Crossover
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Autore: Jade MacGrath    11/01/2007    2 recensioni
Quando era ricoverato per l'aneurisma alla gamba, e stava lottando durante la crisi cardiaca, House vide una donna che non c'era. Cinque anni più tardi, la stessa donna gli riappare davanti. Il suo nome è Six, solo House la può vedere, e sconvolgerà la vita del dottore da cima a fondo... crossover House/Battlestar Galactica
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Il sorriso di tutti svanì in fretta come era apparso, non appena House venne dimesso e poté tornare al lavoro. Sebbene il dolore alla gamba fosse scomparso quasi del tutto, rimaneva lo stesso odioso misantropo bastardo di sempre. La ragione? Stava cercando di capire cosa avesse scatenato quella sequenza di sogni assurdi mentre era in coma. Potevano dipendere dalla ketamina, erano abbastanza confusi e insensati per esserlo, eppure aveva l’impressione che ci fosse qualcosa che ancora non afferrava. Come non afferrava il comportamento di Cameron e Wilson.

Wilson ultimamente parlava spesso a quattr’occhi con Cameron, e se questo gli sembrava strano, quando sentì distintamente i due usare i rispettivi nomi di battesimo decise che c’era qualcosa che non andava… altrimenti detto, qualcosa che non sapeva e che voleva dannatamente sapere.

Così, un giorno, decise di chiedere loro che diavolo stesse succedendo, usando le seguenti parole: ‘Per gli dei di Kobol, si può sapere che diavolo sta succedendo?’.

Cameron e Wilson lo squadrarono con l’aria più allibita possibile, lanciandosi una rapida occhiata che sicuramente pensavano lui non avesse visto, e dopo averlo distratto con una scusa avevano girato i tacchi e se l’erano svignata di corsa. Da quel momento in poi, non era più riuscito a beccarli da soli o in coppia.

Avrebbe voluto dire che questa fosse l’unica scocciatura che aveva, ma sfortunatamente tale ruolo era ancora ricoperto in modo eccelso dalla dottoressa Cuddy, che gli aveva imposto un programma di fisioterapia piuttosto serrato e una nuova fisioterapista che a quanto aveva sentito era tanto bella quanto sadica. Sapeva anche che, come lui, era stata scelta personalmente da Cuddy, zittendo il consiglio d’amministrazione con un curriculum di tutto rispetto.

A questo punto, mancava solo che si incontrassero. Ma se dipendeva da House, non si sarebbero incontrati mai. Fortunatamente invece dipendeva da Cuddy, quindi le presentazioni avvennero nel suo ufficio il giorno dopo la comunicazione che doveva fare fisioterapia, e dopo averlo attirato lì con l’unica esca che funzionava con lui, ovvero uno sconto sugli orari di clinica.

House era combattuto: se da un lato sospettava che fosse una trappola, dall’altro sapeva a cos’era disposta Cuddy per di vederlo a fare il suo lavoro in quel circo a tre piste che era l’ambulatorio del Princeton-Plainsboro.

E in presenza di certezze, i sospetti andavano in secondo piano… decise di tenere la guardia alta, e andò verso l’ufficio di Cuddy. Che non era lì, a sentire la sua nuova segretaria, che lo spedì nella sala adibita alla fisioterapia.

Si era preparato una battuta d’entrata fulminante per mettere subito a posto la fisioterapista, ma quando la vide in faccia rimase semplicemente basito. Di fronte a lei, in carne, ossa, e impeccabile tuta nera, c’era Numero Sei. Dopo aver speso giornate a convincersi che quella era la realtà… possibile che avesse preso una cantonata del genere?

“House, stai bene?” domandò Cuddy, vedendolo nel panico.

House aprì la bocca per parlare, ma fu battuto sul tempo dalla ragazza, che con un sorriso disse a Cuddy che non era il primo uomo che la fissava così.

“O sbavano, e so che ci proveranno entro la fine della fisioterapia, o tremano, e so che hanno chiesto in giro e si sono sentiti rispondere che sono una sadica. Oltre a essere soggetti chiaramente intimoriti da una figura dominante femminile.”

“Andiamo a casa mia e ti faccio vedere quanto sono intimorito.”

“D’accordo, ma la frusta preferisco farla schioccare in palestra. Sono più tradizionalista da altre parti.”

“Oh non me lo dire… fiori, appuntamento e preliminari infiniti?”

La ragazza fece finta di pensarci un attimo “No… fiori, appuntamento e deviazione nel parcheggio del ristorante. Credevo fossi infettivologo.”

“Lo sono.”

“Allora smettila di farmi un esame radiologico.”

“Tesoro, non hai niente che non abbia già visto.”

“Non si sarebbe detto da come mi stavi fissando le tette.”

“Cos’è, preferisci il richiamo dell’antitetanica?”

“Dipende da dove posso infilarti la siringa.”

“Scusate?” disse Cuddy, che aveva fissato lo scambio di battute come una partita di tennis. I due si voltarono a guardarla.

“Salve. Vedo che la conoscenza è andata bene. Perché non ti presenti?” disse poi alla dottoressa, con cui, House dedusse, doveva esserci un rapporto precedente all’assunzione.

“No, lasciamo l’alone di mistero per ancora…dieci minuti.”

“Ti chiami Petula, Cindy Lou o qualche nome del genere? Capirei se fosse così.”

“No. Se non lo sanno già, non dico mai il mio nome di battesimo ai miei pazienti alla prima seduta, così posso evitare che lo strillino diecimila volte al secondo in varie combinazioni di insulti.”

“Visto il soggetto che ti attende ti do ragione. A presto, tesoro.”

La ragazza sorrise e salutò con la mano, poi sorrise perfida e si mise me mani sui fianchi.

“Bene, Gregory, pronto a iniziare?”

House fece una smorfia di dolore intenso nel sentirsi chiamare così “Possiamo evitare? Solo mia madre e la prostituta che chiamo il venerdì sera mi chiamano così.”

“Mio mondo, mie regole.”

E sulle regole, la bionda non scherzava. Dopo avergli detto le cose di cui avrebbe dovuto fare a meno durante il lavoro con lei, House le disse che valeva la pena ucciderlo direttamente e anche che se ne andava.

“Beh, l’esperto sei tu” bofonchiò lei appena le ebbe voltato le spalle. House si girò subito.

“E questo che vuol dire?”

“Solo che tra me e te quello che ha avuto più esperienze di quasi morte sei tu.”

“Ma c’è qualcosa che la Cuddy non ti ha detto di me?”

“No, ma non è questo il punto. L’ultima me l’ha detta lei, ma la prima l’ho vista.”

House aggrottò le sopracciglia. La prima l’aveva vista?

Poi, tutto ebbe un senso.

La ragazza in rosso, la visione che credeva di aver avuto durante l’arresto cardiaco… era lei?!

“Vestito rosso, tacchi a spillo, cinque anni fa?”

“Caspita che memoria.”

“Stavo morendo per un attacco di cuore, ricordo perfino la sfumatura della camicia di Cuddy. Che diavolo facevi lì?”

La ragazza si morse il labbro, combattuta… poi disse che se sarebbe sopravissuto alla sessione, glielo avrebbe detto.

Fregato dalla sua curiosità, House capitolò. Ma si divertì parecchio in quell’ ora a trovare insulti nuovi per la fisioterapista. Aletto, per esempio. Megera. Figlia di Satana. Tisifone. E il suo preferito, nipote di Vogler.

Scoprì che anche quella ragazza non era certo una novizia in quel campo, anche se rimaneva sul tradizionale.

“Dai sempre del brutto idiota ai tuoi pazienti?”

“No, ma di norma non ho bambini di cinque anni come pazienti. Dovevo pur trovare un terreno comune. Senza contare che quando lo racconterò a Lisa si farà delle belle risate.”

“Rapporto privilegiato dottore paziente!”

“Infatti non le parlerò della terapia… cosa che tra l’altro già sa.”

“Sto iniziando a desiderare di farti...”

“Oh no, non dirlo. Non vorrei che la prostituta del venerdì si trovasse disoccupata per colpa mia!”

Dopo uno scambio di sorrisi molto sarcastici, la sessione di fisioterapia venne dichiarata finita. House ringraziò il cielo, e pretese di sapere che ci facesse in ospedale quella sera di cinque anni prima.

“Cinque anni fa, ero fidanzata. Ragazzo perfetto sotto ogni punto di vista, idolatrato perfino da mia sorella, il che era veramente tutto dire. Usciamo a cena in un ristorante di lusso per festeggiare la fine del suo dottorato di ricerca al MIT e la fine della nostra storia d’amore da pendolari. Decidiamo che la cosa merita di essere festeggiata a dovere, quindi ordiniamo cose che mai avevamo mangiato prima. In breve, crostacei e champagne francese. Mentre aspettiamo, mandiamo giù un paio di Apple Martini, lui tira fuori un anello di fidanzamento e mi chiede di sposarlo. Sono stata gloriosamente fidanzata all’uomo perfetto per altri dieci minuti, poi sono arrivate le portate…”

“Servite dalla sua ex che non aveva mai smesso d’amare. Sono fuggiti insieme lasciandoti il conto e tu sei finita in ospedale per un crollo nervoso e un’indigestione? Capita più spesso di quello che credi.”

“Giuro che l’avrei preferito. Al primo boccone, Gabriel inizia a tossire come se si stesse strozzando, ma non si stava strozzando. Shock anafilattico. Non sapeva di essere allergico ai crostacei, non avendoli mai mangiati in vita sua. È morto appena arrivato in ospedale. Io mi sono aggirata per l’ospedale in pieno shock per delle ore… e sono finita col buttare l’occhio nella tua camera.”

Prese un respiro profondo, sorrise, e disse che ora la sessione era ufficialmente finita, e di levarsi di torno perché aveva un altro paziente e il fisiatra suo capo era un vero rompiballe.

“Mi ricorda tanto qualcuno.”

“Ma che spiritosa.”

 “Ah, a proposito” disse. “Non ti ho detto il mio nome.”

“Non sono sicuro di volerlo sapere. Megera poi ti sta così bene…”

“Come misantropo bastardo e di incredibile accidia sta bene a te, ma trovo che Gregory House come nome sia più presentabile.”

House non rispose, ormai vicino alla porta. Considerato come si sarebbe sentito una volta varcata, forse avrebbe seriamente fatto meglio a tenere la bocca chiusa, ma se c’era una cosa che non poteva tenere a freno era proprio la sua curiosità…

Dannata, dannata curiosità.

“E quale sarebbe, questo nome? Cinque secondi per dirmelo” disse già stringendo la maniglia e aprendo la porta.

“Sono Shelley. Shelley Godfrey.”

House annuì senza voltarsi e in silenzio se ne andò a casa.

L’espressione di shock passò più o meno dopo il quinto whisky.

 

Il dubbio lo tormentava. Non è che stesse ancora sognando?

Per esserne certo, il giorno dopo decise di ‘sovvertire l’ordine’, cosa che si era sempre ritorta contro di lui. Diede così un giorno libero a Cameron, evitò di fustigare Chase e diede ragione senza discutere a Foreman. Il terzetto, sconvolto, filò da Cuddy appena House girò lo sguardo, ma la donna si limitò a guardare l’orologio e a sogghignare, mandandoli poi via dicendo che doveva fare una telefonata. Passare anche da Wilson sembrò una cosa da non fare (a questo punto, avrebbe anche potuto strapparsi la camicia e mettersi a ballare scuotendo delle maracas), e così decisero di andare di nuovo da House, non contraddirlo, prendere il più velocemente possibile le cartelle dei pazienti che stavano seguendo, e sparire.

Si fermarono giusto in tempo per evitare di essere travolti dalla dottoressa Godfrey, vestita con una tuta grigia e una maglietta azzurro cielo e i capelli raccolti in una coda di cavallo, che entrò come una furia nell’ufficio di House che stava giocando con la Playstation.

“Se non fossero trent’anni di carcere ti sarei già saltata addosso!”

“So di essere affascinante, Cameron, ma addirittura questo… Ah, non sei Cameron. Ops. Offesa, Shelley?”

Godfrey, che odiava perder tempo con i pazienti indolenti solo pochissimo di più di quanto odiava essere presa in giro, strinse gli occhi in un modo che gli ricordò la sua versione immaginaria. Di norma a quel punto Six avrebbe preso un’espressione calma e poi lo avrebbe fatto cozzare col muro o col tavolo. Shelley… pure. Si avvicinò, gli si sedette sulla scrivania, fece un respiro profondo, e si scusò dicendo di aver reagito in maniera esagerata per una sessione di fisioterapia mancata, incolpando la sindrome premestruale e gli ormoni. House la guardò strano, e strinse più forte tra le mani il videogioco, come a dire che se lo voleva avrebbe dovuto strapparlo dalle gelide dita del suo cadavere. Shelley invece si lanciò in un discorso sul perché non avrebbe dovuto essere così incostante nella riabilitazione, gli ricordò la sessione successiva il giorno dopo, e se ne andò in un’aura di calma. Ma gli assistenti di House videro che la sua bocca increspata stava trattenendo a malapena una grossa risata. Si voltò a guardarli, e mostrò sporgendolo lievemente dalla tasca della felpa l’I-Pod di House, strizzando loro l’occhio e facendo leggermente segno con l’indice dell’altra mano di fare silenzio.

Non aveva fatto che qualche passo, quando House emerse dal suo ufficio sbraitando.

“GODFREY!” ruggì il dottore. “Maledetta ladra di I-Pod! Torna subito qui!”

Shelley, che non ci pensava nemmeno, si mise a correre verso gli ascensori, e s’infilò nel primo libero giusto in tempo, prima che House potesse usare il bastone per bloccare la porta.

“Domani alle diciotto, e sii puntuale. Ciao!” disse Shelley, sorridendo dolcemente e facendo un cenno di saluto muovendo le dita. Si appoggiò poi alla parete dell’ascensore, e tirato fuori l’I-Pod iniziò a guardare le sue playlist, alla ricerca di qualche arma, e pensando già a come poteva fregargli la Playstation, obbligandolo così a venirci, alle sedute di fisioterapia.

House intanto stava mazziando Chase, Cameron e Foreman per non aver placcato quella donna diabolica, e appena non visti ringraziarono il cielo per aver fatto tornare il loro capo quello di sempre. Appena spariti, guardò il posto vuoto prima occupato dal suo prezioso I-Pod, meditando vendetta. Ma scoprì di non riuscire ad avercela con la bionda dottoressa, sveglia abbastanza da fregargli il suo giocattolino da sotto il naso. Sogghignò.

Vuoi la guerra, bionda? Oh, se l’avrai…

La fisioterapia che era deciso a evitare come la peste si era appena trasformata in qualcosa di molto, ma molto più interessante…

 

 

  
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