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Autore: xhysterical    26/06/2012    2 recensioni
Salve a tutti, mi chiamo Lidia Thomas e ho ottantotto anni. Vengo da Glasgow, in Gran Bretagna. Volevo iniziare a scrivere la mia storia da qualche tempo, ma purtroppo non ne ho mai avuto il coraggio. Avevo paura di non saper parlare al pubblico attraverso un libro. Ora invece sono qui, a scrivere, e a cercare di trasmettere le mie emozioni. Ciò che mi ha portato a scrivere è stato un insolito evento accaduto più di settantadue anni fa. Avevo sedici anni allora, ma ricordo tutto come se fosse ieri.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, mi chiamo Lidia Thomas e ho ottantotto anni. Vengo da Glasgow, in Gran Bretagna. Volevo iniziare a scrivere la mia storia da qualche tempo, ma purtroppo non ne ho mai avuto il coraggio. Avevo paura di non saper parlare al pubblico attraverso un libro. Ora invece sono qui, a scrivere, e a cercare di trasmettere le mie emozioni. Ciò che mi ha portato a scrivere è stato un insolito evento accaduto più di settantadue anni fa. Avevo sedici anni allora, ma ricordo tutto come se fosse ieri.


Era un caldo pomeriggio di Luglio del 1924. Mi trovavo fuori, nel giardino di casa mia a raccogliere piccoli fiori estivi che spuntavano a inizio estate, quando vidi mia madre, un po’ affannata, correre verso di me nel giardino. Mi afferrò per il polso e, senza dire niente, e senza rispondere alle mie domande del perché mi avesse afferrato così, iniziammo a correre. La strada era completamente intasata dal traffico. C’erano automobili ovunque. Mi chiedevo cosa c’era di così importante da far uscire di casa così tanta gente. Presa dai miei pensieri non mi accorsi del gradino del marciapiede che c’era a terra e così inciampai sbucciandomi un ginocchio. Mia madre continuava a correre e si fermò solo quando si accorse che non teneva più stretto il mio polso. Si voltò di scatto, corse verso di me, intenta a sistemarmi la gonna sporca di sangue, mi riafferrò per il polso e per la prima volta da quando avevamo iniziato a correre mi disse:
-Dobbiamo sbrigarci. Devo passare a prendere la nostra valigia dalla signora Dawson.
Di tutta risposta le dissi:
-Puoi spiegarmi perché corriamo da un quarto d’ora? E perché la signora Dawson ha la nostra valigia? E poi non so se riesco a correre ancora, mi fa male il ginocchio.
Detto questo, lei prese dalla tasca della sua gonna un fazzoletto, s’inginocchiò e mi ripulì il sangue che scorreva dal ginocchio. Rialzatasi, mi guardò e mi disse che dovevo sforzarmi per correre almeno il tempo che fossimo arrivate a casa Dawson. Lì avrebbe gentilmente chiesto a Marie (era così che si chiamava la sig. Dawson) se poteva darmi un cerotto per il mio ginocchio. Così riprendemmo a correre. Arrivammo finalmente a casa Dawson, dove potetti riposarmi. Marie diede a me il cerotto tanto atteso e a mia madre la nostra valigia augurandoci buona fortuna. Non capivo perché tanta fretta di quel viaggio, né il perché la sig. Dawson ci avesse augurato buona fortuna. Per cosa, o a causa di chi correvamo? La risposta alla mia domanda la ebbi dopo ore di viaggio in un camion di bestiame. Mia madre mi disse che stavamo partendo a causa della guerra. Beh, non proprio guerra: c’era stato un annuncio in radio di un bombardamento su mezza Gran Bretagna, compresa Glasgow, per motivi politici ed economici. Ecco perché le strade erano così trafficate. Mia madre riprese a parlare dopo essersi asciugata gli occhi dalle lacrime e mi disse che mi avrebbe accompagnato al porto e sarei partita per Belfast, in Irlanda. Lì ci abitava una mia vecchia zia, e sarei stata da lei fino a quando quell’incubo non fosse terminato. Rimasi scioccata dal suo piano di fuga perché lei non sarebbe partita con me. Ma purtroppo mi disse che non poteva lasciare che i miei nonni, ormai anziani e troppo deboli a causa dei vari acciacchi, rimanessero da soli a Glasgow. Si sarebbero riparati in qualche scantinato sotterraneo, sperando di salvarsi dalla catastrofe.
Arrivammo al porto, e prima di imbarcarmi per Belfast mia madre, con gli occhi gonfi di lacrime, mi salutò abbracciandomi così forte da farmi mancare il respiro. Mi disse che ci saremmo incontrate presto. A quella sua affermazione le dissi piangendo:
-Devi promettermi che non mi abbandonerai. Che ci rincontreremo subito dopo la fine di quest’inferno.
-Te lo prometto tesoro.
-Ti amo mamma. Mi mancherai.
-Anche tu piccola mia. E tanto.
Mi disse piagnucolando.
 
Partii per Belfast. Al porto mi attendeva, con mia enorme sorpresa, una lussuosa auto nera lucida, con un cartello sul finestrino con su scritto il mio nome. Mi avvicinai e un maggiordomo si presentò:
-Salve, lei deve essere la signorina Lidia. Giusto? Io sono il maggiordomo di sua zia: la signora Harriet Johansson. Io mi chiamo Lucas Ramirez. E, sì, ho origini spagnole. Mi spiace non averla fatta parlare per niente ma non abbiamo tempo. Dobbiamo partire immediatamente. Sua zia ci aspetta.
Mi fece entrare in auto e partimmo per casa di mia zia. Quel maggiordomo era freddo, scostante e andava sempre di fretta. Dopo un quarto d’ora di viaggio Lucas fermò l’auto davanti al cancello di un’enorme villa. Attese che il cancello fosse aperto da due uomini completamente vestiti di nero, e poi entrò. Parcheggiò l’auto e mi fece segno con la mano di seguirlo. Entrammo in casa e mi disse di attendere nel frattempo che lui andasse a riferire a mia zia del nostro arrivo. Si diresse verso un’enorme scala a chiocciola , con i gradini in marmo e il passamano in oro. Salì le scale e sentii i suoi pesanti passi sul delicato marmo dirigersi verso una stanza, a me ancora sconosciuta, lo sentii bussare alla porta che si aprii dopo pochi istanti. Riferì a mia zia che ero al piano di sotto ad attenderla. Nel giro di un minuto mia zia Harriet scese la lussuosa scala a chiocciola dirigendosi verso di me. Era una donna sulla cinquantina, occhi verde smeraldo e capelli castani con alcune ciocche bianche, che le davano un aspetto elegante, raffinato. Era magra, poco robusta con delle mani stupende, lisce come seta e con le dita tempestate di anelli. Aveva un abito lungo fin sopra il ginocchio, color pesca, abbinato con i sandali dello stesso colore. Una volta che mi raggiunse, mi abbracciò e con un enorme sorriso stampato sul volto, si presentò:
-Ciao mia cara. Ti chiami Lidia vero? Io sono tua zia Harriet. So che non ci siamo mai incontrate a causa della distanza, ma io e tua madre ci siamo tenute in contatto attraverso le lettere. Io e tua madre ci vogliamo bene, io l’ho cresciuta fino a quando non ha compiuto sette anni. Questo perché tua nonna, incinta di tuo zio Marcus non ce la faceva a starle dietro, visto che è sempre stata una ragazzina iperattiva. Adorava correre ovunque soprattutto……… Oh, cara, mi dispiace…a volte parlo troppo. Ti va di bere qualcosa? Hai fame? Vuoi che ti aiuti a portare le valigie in camera? Lucas! Porta le valigie di Lidia in camera sua. Vieni tesoro, andiamo in cucina. Ti farò preparare uno spuntino dallo chef.
-Grazie zia. Ho davvero tanta fame, ma non vorrei approfittare…
-Approfittare? E di cosa? Su, non fare la stupidina Lidia. Dopo aver mangiato, ti farò accompagnare nella sala da bagno per un rilassante bainchaud. Mi disse con un sorriso lieve.
-Un ba…che?
-Un bagno caldo in francese. Sai ho studiato all’università di…Oh, ecco. Lo sto facendo ancora. Parlo troppo e cambio subito discorso lo so, è un mio difetto. Ma questa villa e i miei innumerevoli soldi sono il mio pregio più bello. Ahahahahaha.
 

…TO BE CONTINUED…




Oooh, finalmente ho trovato il coraggio di pubblicarla.
E' la prima storia che pubblico, quiiiindi siate tolleranti.
Anche se, accetto critiche negative. 
Bye.
*va  a sotterrarsi*
  
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