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Autore: Vitani    27/06/2012    9 recensioni
"«Perdonami.»
Era stata la prima parola che gli aveva detto quella sera, mentre stavano entrambi a guardare il mare sul ponte della Thousand Sunny. Lui aveva scosso la testa lentamente, col cappello di paglia allacciato al collo e quella brezza lieve e calda che gli sparava in alto i capelli neri, ribelli più del solito. Aveva gli occhi sbarrati, un’espressione che avrebbe potuto dirsi di panico, di sofferenza quasi. Un’espressione che mai lei gli aveva visto addosso prima. Allora capì che era cresciuto davvero, che la morte di suo fratello l’aveva segnato ben più della cicatrice che gli deturpava il bel torso scolpito. Allungò una mano affusolata, toccò i bordi slabbrati di quella cicatrice ancora rosea, sentì l’addome di lui contrarsi in preda a un brivido, poi lacrime scorrerle giù per le guance senza che potesse fermarle.
«Perdonami…»

Rufy e Nami, due anni dopo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami | Coppie: Rufy/Nami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stand the Pain

 
 
 
 

«Perdonami.»
Era stata la prima parola che gli aveva detto quella sera, mentre stavano entrambi a guardare il mare sul ponte della Thousand Sunny. Lui aveva scosso la testa lentamente, col cappello di paglia allacciato al collo e quella brezza lieve e calda che gli sparava in alto i capelli neri, ribelli più del solito. Aveva gli occhi sbarrati, un’espressione che avrebbe potuto dirsi di panico, di sofferenza quasi. Un’espressione che mai lei gli aveva visto addosso prima. Allora capì che era cresciuto davvero, che la morte di suo fratello l’aveva segnato ben più della cicatrice che gli deturpava il bel torso scolpito. Allungò una mano affusolata, toccò i bordi slabbrati di quella cicatrice ancora rosea, sentì l’addome di lui contrarsi in preda a un brivido, poi lacrime scorrerle giù per le guance senza che potesse fermarle.
«Perdonami…» ripeté, con la voce che le si rompeva.
Le sfuggì un singhiozzo, si portò le dita al volto. Ma furono le dita di Rufy a toccarla: due anni dopo le toccavano il volto, con una delicatezza impensabile per lui che di norma aveva modi spicci, brutali quasi.
«Sei tu a dovermi perdonare, Nami. Tu e tutti gli altri. Zoro, Sanji, Usop, Chopper… e poi Robin, Franky, Brook. Io sono il vostro capitano e quella volta non sono stato in grado di proteggere uno solo di voi. Non ho potuto impedire che quel… quell’Orso vi portasse via da me.»
Rufy strinse i pugni, forte, tanto da far temere a Nami che si ferisse con le sue stesse unghie.
«Nonostante voi mi steste chiedendo aiuto, non ho potuto fare proprio niente.»
La navigatrice, perché quello era, gli strinse piano un polso. Rufy aveva la pelle calda, un poco secca a causa del sole e della salsedine nell’aria. Quel semplice contatto era rassicurante, però, così come lo era lui in quel suo modo del tutto particolare.
«Capitano, nessuno di noi ha potuto fare niente quel giorno, ma siamo di nuovo qui insieme ed è questo che conta. Ormai siamo abbastanza forti da non dover più temere di essere separati ancora.»
Lui le rispose con un sorriso leggero, appena tirato ma indubbiamente sincero.
«Sì, lo so. L’ho sempre saputo che ci saremmo ritrovati tutti quanti. Io mi fido di voi, Nami. È solo che…»
Un colpo di vento più forte scompigliò i lunghi capelli rossi di Nami, che li ravviò dietro un orecchio.
«Sì…» lei deglutì, ingoiando le sue lacrime «è come per me… è come per me che avrei dovuto essere al tuo fianco a Marineford. Non avrei potuto fare niente, lo so… ma almeno non avresti dovuto affrontare tutto da solo.»
Tutto, sì… la morte di suo fratello, quel suo adorato fratello maggiore di cui condivideva lo sguardo luminoso e l’animo schietto. Gli occhi di Rufy erano asciutti in quel momento, persi in avvenimenti lontani due anni, eppure ancora intensi, dolorosi. Il suo sorriso, però, non vacillava.
«Nami…» la sua voce divenne un sussurro «Due anni fa, io ho desiderato di morire.»
Lei sussultò, serrando le palpebre come se questo potesse impedir loro di riempirsi ancora di nuove lacrime.
«Ace è morto fra le mie braccia, dopo essersi gettato a difendermi. Non ho potuto salvare neanche lui, alla fine, l’ho praticamente ucciso io e non me lo potrò perdonare mai.»
Sì, lo sapeva. Come con Bellemer. Anche per lei era stato lo stesso. Morta a causa dell’ingenuità di una bambina, a causa dei suoi ideali. Morta per seguire i suoi desideri.
«Io sono certa che Ace sia stato felice.»
Non furono parole di circostanza, le sue. Le disse perché davvero lo pensava. Anche Bellemer, come Ace, era morta sorridendo. E in quel sorriso c’erano stati l’affetto, l’orgoglio, la gioia d’aver difeso ciò che contava di più al mondo.
A quel punto, il sorriso di Rufy s’allargò. Un lampo d’amore illuminò il suo sguardo, un amore tanto profondo quanto lo era nel cuore il ricordo di quel fratello perduto. Poi, il capitano chinò il capo. Chinò il capo, senza una parola, e pianse.
Nami, con le mani che tremavano, poté solo abbracciarlo forte. Prima ancora di rendersene conto, s’erano stretti piangendo come bambini spaventati. Perché sì, erano cresciuti, ma momenti come quello arrivavano sempre, imprevisti quanto indesiderati, ed era impossibile tenerli lontani. Eppure, lei nel calore del corpo di quel ragazzo ci si perse. Le era mancato, le era mancato immensamente.
Sorrise, fra le lacrime si diede forse della stupida, ma baciarlo fu in quel momento la cosa più naturale del mondo. Aveva delle labbra meravigliosamente calde, Rufy, come quel cuore e quell’anima grande che si portava dentro.  E, dopo solo un attimo d’incertezza, lui la ricambiò.
Fu con un brivido addosso che Nami sentì le sue mani circondarle le spalle, ma neppure per un istante si chiese cosa diamine stessero facendo. Se proprio avessero avuto domande da farsi, avrebbero avuto cento e mille giorni ancora… ma non quel momento.
Quel momento era per loro, un istante infinito che sarebbe stato il primo o forse l’unico.
«Grazie…»
Sussurrarono, all’unisono.
Grazie sempre.
 
 
 
 
 
 
N.d.A. Ok. Un fandom che mai, mai e poi mai avrei pensato di tornare a calcare, sia pure con una brevissima oneshot. Un ritorno alle origini che mi riporta indietro di dieci anni, ai miei primi orridi lavoretti. E santo cielo, io Rufy e Nami li adoro ancora come il primo giorno! T^T Il titolo, be’… se ci sono ancora miei vecchi lettori in questa sezione, qualcuno si ricorderà di una vecchia storia iniziata e mai finita. Ebbene, il titolo vuole essere appunto un omaggio a quella storia che non avrò finito ma non ho mai nemmeno dimenticato. Rimanda inoltre a un’illustrazione dedicata alla saga di Arlong Park. (Tra l’altro sono reduce dalla visione di un filmato del Japan Anime Live, con una sessione di doppiaggio live ed Emanuela Pacotto che ci delizia con un meraviglioso: “Rufy, aiutami.” Goduria immensa.) Spero che questa cosina vi piaccia, grazie a chi vorrà leggere e/o commentare! :3 A presto!
 

Vitani

   
 
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