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Autore: Rosmary    27/06/2012    9 recensioni
È in corso una guerra e degli adolescenti hanno il compito di vincerla: non è semplice, non è giusto.
Hermione e George nascondono paure e pensieri bui, e stremati cercano un luogo al ripato da tutto e tutti per dar sfogo al silenzio – qui, a dispetto persino di loro stessi, scoprono di essersi trovati.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Hermione Granger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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I personaggi presenti in questa storia non mi appartengono, sono di proprietà di J.K. Rowling;
la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
Sei spaventata, arrabbiata e preoccupata.

Il mondo urla e tu vorresti essere sorda.

Ti rechi nell’unico luogo capace d’annebbiarti i sensi.

Lì, dov’è il vostro covo, il vostro rifugio. Dove vi allenate a tener duro, a sperare.

T’affacci all’interno e scopri di non essere sola.

Un ragazzo sta duellando con un fantoccio.

Un ragazzo sta facendo a pezzi un fantoccio.

Ha i capelli rossi, l’aria indiavolata.

Tu non l’hai mai visto così.

«Hermione.»

Si è fermato. Si è accorto di te. Ora ti guarda, stranito e imbarazzato.

«Ciao, George.»

Non hai dubbi sulla sua identità: Fred è in punizione, il caso non ha voluto complicazioni per te.

Lui ti sorride e rinuncia all’espressione dura. E tu, finalmente, lo riconosci davvero.

«Mi fai compagnia?»

Lo chiede con un sorriso inedito, sembra dolce, eppure t’indica il fantoccio che di dolce non ha proprio nulla.

Sorridi e t’avvicini a lui. Solo quando riprendi a camminare ti rendi conto d’essere stata immobile a lungo.

«Ci alterniamo, va bene?»

Ti parla ancora. Tu annuisci ed estrai la bacchetta.

E mentre colpisci, mentre lui colpisce, il tuo udito smette d’ascoltare quelle voci.

 
*
 
È trascorsa una settimana dall’ultima volta che hai smesso d’ascoltare.

Stesso giorno, stessa ora. Qualcosa ti dice che hai ancora bisogno di quel fantoccio.

E sei lì. Nella Stanza delle Necessità. In compagnia di un pupazzo da fare a pezzi.

Scarichi la tua rabbia, la tua paura e la tua preoccupazione.

Vorresti distruggerlo e convincerti che distruggere un essere inanimato sia abbastanza.

«Ma questo è vizio!»

Ti volti e lo vedi: è di nuovo lui. Cali la bacchetta. Hai il respiro in affanno.

«Cosa ci fai qui?»

Lui è diretto, e s’avvicina.

«E tu?»

Ma rispondergli significherebbe denudarsi, e tu sei troppo codarda per farlo.

«Ti faccio compagnia?»

Elude la tua domanda. Sorridi, è un codardo come te.

«Ci alterniamo.»

«Va bene.»

Sorridete insieme mentre lui estrae la bacchetta per affiancarti.

E colpite. Ancora, ancora e ancora.
 
*
 
Un’altra settimana è passata.

Qualcuno ti ha chiesto dove sei stata quelle due sere.

Qualcuno lo ha chiesto anche a lui.

Tu hai sorriso, dicendo di non ricordare.

Lui ha borbottato qualcosa, e ti ha guardata.

E siete di nuovo nella Stanza. Siete di nuovo soli.

Per qualche strana ragione, quelle sere nessuno dell’ES si è mai avvicinano al covo.

Ma forse la ragione non è strana, è decisamente razionale: entrambi avete ben ponderato e poi avete scelto il momento.

«Non ne posso più, sono stanchissima…»

Sfinita ti sdrai a terra e guardi senza interesse il soffitto.

Lui ridacchia e ti raggiunge svelto.

«Non ti facevo così aggressiva!»

Incrocia le mani dietro la testa e orienta lo sguardo su di te.

«Non sono aggressiva,» protesti con un sorriso. «Fino a prova contraria, sei tu che scagli un Reducto dopo l’altro!»

«Giusto anche questo!» concede ilare.

È la prima volta che parlate. Anzi, è la prima volta che vi fermate.

«Perché vieni qui, George?»

«E tu?» rilancia, ghignando della tua occhiataccia. «Non lo so. Mi fa stare bene.»

«Perché Fred non viene con te?»

Inaspettatamente, si volta del tutto verso di te con un’espressione seria in viso. Pensi subito d’aver esagerato, e arrossisci pronta a scusarti, ma lui ha già schiuso le labbra per parlarti, ancora.

«Fred non vuole vedermi così.»

«Capisco.»

«No, non capisci.»

Decidi di non contraddirlo. Perché davvero non capisci il loro legame. Non lo capirai mai, forse: è qualcosa che appartiene a loro, e a loro soltanto.

 
*

Avanzi a passo di marcia, ti hanno appena informata dell’accaduto, ma qualcuno interrompe la tua corsa.

Una mano t’afferra. È una presa salda, decisa. È la presa di George.

«George! Cosa fai?»

Lo chiedi sperando in una risposta, ma lui t’indirizza solo un’occhiataccia.

Ti arrendi, e lo segui. Hai riconosciuto la strada e compreso la meta: la Stanza.

Solo quando siete al suo interno ti libera dalla sua presa. Estrae la bacchetta e raggiunge il fantoccio.

Tu sai cosa fare: devi fargli compagnia.

«Inizia tu.»

Lui annuisce e solleva la bacchetta, ma si blocca poco prima di pronunciare l’incantesimo.

«Ѐ stato espulso anche Harry.»

Annuisci, anche se non capisci quest’esitazione.

«Vuoi andare da lui?»

Scuoti il capo e accenni un sorriso. Ora riesci a capire.

 
*
 
I mesi sono trascorsi troppo rapidamente.

Gli impegni sono divenuti tanti.

I controlli si sono triplicati.

L’Esercito di Silente non ha avuto vita facile.

E ora è finito tutto.

Non sei più tornata nella Stanza: non sola, non con lui.

Vi siete fatti compagnia con parole dette a caso, con sguardi complici.

Lui ti ha sorriso spesso, ogni volta che un’ombra ti ha rabbuiata.

Tu gli hai sorriso spesso, ogni volta che lo hai visto solo, anche se non hai mai capito perché lo fosse.

Ora sei tu a esser sola, alla voliera dei gufi, impegnata a osservare il panorama e ignorare il fetore dell’ambiente.

È da molto che non badi ai dettagli.

Improvvise, delle mani calde e sicure si posano sulle tue spalle.

«Perché sei qui?»

Sorridi. Ti volti. Hai riconosciuto la sua voce.

«Non lo so. Mi fa stare bene.»

Sorride anche lui, mentre le sue mani scivolano lente lungo le tue braccia per convincerti a voltarti verso di lui.

«Non ti ho mai dato una spiegazione.»

«Neanche io,» ammetti.

«Ha importanza per te?»

«No, e per te?»

«Direi di no,» risponde con un sorriso, mentre incastra le sue dita tra le tue.

Guardare le vostre mani intrecciate è un’istinto che non riesci a vincere, come lo è arrossire non appena incontri di nuovo i suoi occhi.

«George…»

«Non hanno importanza le spiegazioni,» insinua ghignando. «L’hai appena detto.»

«Sei stato attento,» tenti con briciole di ironia.

Sei terribilmente imbarazzata. Il suo viso è sempre più vicino e il tuo sguardo vaga tra le labbra di George e le efelidi, gli occhi, il naso, vaga ovunque.

Ma sono le sue labbra a esigere attenzione, e sei costretta a fissarle mentre scompaiono, inghiottite dalle tue.

Vi baciate. Vi baciate come se domani non esistesse o non avesse importanza.

Scarichi in quel bacio la tua paura, la tua preoccupazione, la tua rabbia.

E lui t’asseconda. E più lui t’asseconda, più l’eccitazione cresce in te.

 
~

Quella è stata la prima e l’ultima volta che le tue labbra hanno baciato le labbra di George.

Ma dopo quella prima e ultima volta non ti sei più sentita sola.

Dopo quella prima e ultima volta non hai più avuto bisogno di un fantoccio da distruggere.

Mai più.
   
 
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