All’ombra
e su due rami di un albero, i due giullari riposavano placidamente.
Avevano confessato di aver visto il Dragone uccidere la Guida dei
Falchi. Cikra era stato intercettato, trovato con una mano imbrattata
di sangue e cervella e imprigionato. Il cadavere di Algos era stato
prelevato e seppellito con sontuosi funerali ed Eito, unico cavaliere
rimasto, decise di andare fino in fondo. I due amici furono invitati a
restare a palazzo in veste di testimoni e a passare la notte nelle
camere private per gli ospiti, ovviamente sotto scorta.
Sambo dondolava una gamba avanti e indietro, con le braccia dietro la
testa; Vasher era comodamente seduto, spalle al tronco, intento a
rosicchiare una mela. I giardini del chiostro interno del castello
erano rigogliosi e verdi e offrivano una finestra di pace dal trambusto
politico della vita reale.
<< Per una volta che decido di fare tappa qua per venirti
a trovare, guarda che succede: il più famoso tra tutti i
cavalieri di drago esistiti sviene, impazzisce e uccide un suo
compagno. Siamo diventati testimoni di un delitto e dobbiamo sottoporci
a processo. Non era questa la vita che immaginavo quando ho iniziato a
fare il buffone per professione. >>
<< Rilassati, Sambo. Siamo nei giardini imperiali,
all’ombra di un salice e sotto la protezione delle guardie.
Che abbiamo da temere? >>
<< I fantasmi… >>
<< I cosa? >>
<< Guarda! >>
Vasher non si accorse minimamente della spettrale presenza che vagava
nei giardini: un fantasma, un uomo dalla forma eterea e dal colorito
azzurrognolo, camminava lentamente, senza far rumore. Il passo era
quello di un disperato, strascicava i piedi a terra e, con le mani
aperte di fronte al viso, sembrava piangesse e gridasse.
<< No… Non ci posso credere. >>
Era Cikra. Il cavaliere dalla pelle nera stava avanzando
nell’erba; si fermò e con occhi pieni di lacrime
si voltò verso i rami del salice, proprio verso i due
giullari. Vasher rischiò di cadere per lo spavento. Sambo si
protrasse verso l’amico, gli rubò la mela di mano
e la lanciò verso il cavaliere fantasma: l’oggetto
attraversò il corpo senza incontrare resistenza e
ruzzolò al suolo. Lo spettro non ne risentì e
continuò a piangere e a mostrare le mani ai due giullari,
muovendo le labbra.
<< Ma ci sta parlando? >>
<< Non lo so, Vasher. Le sue mani, guardale! Sono
più scure. >>
<< Forse è sangue. Forse è il
sangue di Algos. >>
La figura stava lentamente svanendo ma l’immagine era
terribile: lacrime, sangue e lamenti. Le parole di Cikra non avevano
alcun suono; per quanto potesse gridare, i due giullari non riuscivano
a sentire niente.
<< “Aiutatemi”. >>
<< Cosa? >>
<< Sta chiedendo aiuto. Gli leggo il labiale. Dice:
“Aiutatemi”. >>
<< Cosa? Perché dovremmo aiutarlo? In che
modo? >>
Il fantasma scomparve e Sambo saltò giù
dall’albero. Proprio in quel momento, dietro al fantasma, era
apparso Bihares.
<< Oh… Maestà! >>
La maschera di Sambo toccò quasi terra per il poderoso
inchino che fece; Vasher lo raggiunse e si chinò a sua volta.
<< Cosa vi prende a tutti e due? >>
<< Mi scusi, Maestà? >>
<< Vi sentivo parlare e vi ho visto fissare un punto.
Eravate come… Spaventati. >>
<< Oh, oh! Non si preoccupi Maestà, va tutto
bene. >>
Vasher però intervenne:
<< Si, Maestà, va tutto bene ma se non le
dispiace vorremmo andare a visitare il Dragone. >>
<< E perché dovreste? >>
<< Ci dispiace un po’ per lui e vorremmo
mostrargli compassione. Parlargli o magari semplicemente osservarlo.
E’ la prima volta che siamo testimoni di un omicidio ed
è… strano. >>
<< Non vi ho capito, ma andate pure. >>
<< Grazie, Signore. >>
I due giullari si alzarono e corsero alle spalle
dell’impietrito Bihares: il poveretto era la prima volta che
veniva a contatto con tali eventi e soprattutto con tali soggetti. Il
vecchio scosse la testa e andò a sedersi all’ombra
dello stesso salice.
Alle sue spalle, Sambo sussurrò al compagno in corsa:
<< Ma che razza di scuse ti inventi? >>
<< Non rompere, non sapevo che dire! >>
Le prigioni erano nei sotterranei del palazzo reale: posto scomodo e
illogico per una prigione, ma in realtà erano solo le
fondamenta di un altro edificio su cui è successivamente
sorto il Palazzo Imperiale. I due buffoni attraversarono in fretta e
furia i cunicoli labirintici delle prigioni, destando sospetti e
curiosità tra le guardie ai lati delle celle e tra i
detenuti stessi:
<< Sambo, ma che cavolo era? >>
<< Un fantasma mio caro Vasher. Probabilmente Cikra
è morto e vuole essere sepolto. >>
<< Dici? >>
<< Dico. >>
Raggiunsero finalmente un’area sospetta: il corridoio era
bloccato da tre guardie armate fino ai denti ed un bancone con un
ufficiale. I giullari chiesero di poter passare e, dopo un breve ma
approfondito controllo, furono ammanettati e scortati dalle tre guardie
verso la cella del detenuto.
Sambo non era ovviamente capace di comprendere la situazione delicata e
iniziò a raccontare barzellette alle guardie. Vasher era
nervoso e sapeva che qualcosa stava per andare storto.
La cella era finalmente di fronte a loro: due guardie tenevano
d’occhio Cikra dall’esterno, mentre altre tre
restavano all’interno, vicine al detenuto, per intervenire in
caso di disordini.
<< Ma… è vivo? >>
Una guardia si preoccupò di rispondere e chiarire ogni
dubbio:
<< Si, il detenuto Cikra Skaolis è vivo.
E’ rimasto sveglio dal momento dell’incarcerazione.
E’ stato anche sottoposto a visite mediche e, oltre a un
po’ di febbre e ad una piccola ferita, è
perfettamente in forze. Non si può dire lo stesso della sua
salute mentale però. >>
<< Ma.. ma ho visto il suo fantasma! >>
Vasher non poté credere alle sue parole; si era lasciato
sfuggire una sciocchezza simile. Tutti risero eccetto Cikra. Anche
Sambo rideva dal fondo della sua maschera bianca:
<< Ma che ti ridi, scemo! Da che parte stai?
>>
<< Ahahaha! Scusatelo guardie, è un
po’ matto il mio amico! >>
<< Senti chi parla. >>
Un boato scosse la terra:
<< Cos’è stato? >>
Si affrettò a dire una guardia dall’interno della
cella. I presenti iniziarono a guardarsi attorno mentre in sottofondo
un rumore di passi segnava l’avvicinarsi di qualcuno. Difatti
una guardia sbucò immediatamente da dietro un angolo. Aveva
il fiatone e delle strane bruciature sulla corazza parlavano da sole:
<< Svelti, Vantos sta combattendo con Baton alla piazza
d’armi! >>
Le guardie si allarmarono e, eccetto quelle nella cella di Cikra,
abbandonarono la posizione e fuggirono insieme alla guardia superstite.
Vasher iniziava lentamente ad abbinare i nomi alle immagini
finché non capì che si trattava dei draghi; Sambo
era invece paralizzato. Tremante, riuscì a sussurrare:
<< L-l’accampamento, i miei amici!
>>
Con furia, Sambo fece saltare le manette e Vasher si stupì
di tale forza. Il giullare mascherato liberò anche
l’amico e, afferrandolo per un braccio, lo
trascinò con se.
<< Dobbiamo tornare! Dobbiamo aiutare! Dobbiamo salvare i
miei amici! >>
Sembrava spaventato a morte, sembrava che non vi fosse cosa
più importante dei suoi compagni. Vasher pensò
che fosse strano poiché in due giorni non li aveva nemmeno
accennati ma lo seguì senza troppe storie.
Lo spettacolo che gli si presentò quando arrivarono era
spaventoso: la piazza d’armi, sede
dell’accampamento del Circo della Luna, era ora
dominata da due figure imponenti che lottavano tra loro. Vantos, nero,
robusto e visibilmente adirato, era intento a sputare minacciose fiamme
nere su Baton, più piccolo di dimensioni, con la testa e il
corpo schiacciati e affusolati e con la schiena, la testa e la punta
della coda irti di aculei ossei; i resti dell’accampamento
erano sparsi ovunque e piccoli fuochi neri stavano ancora bruciando
residui di tendaggi, attrezzi da circo accatastati e corpi ormai privi
di vita; soldati della guardia imperiale tentavano di legare Vantos con
lacci e catene ma l’enorme Drago Nero faceva piazza pulita di
quei fastidiosissimi insetti solo con un colpo di coda o un battito
d’ali. I due draghi erano spariti dalla fine della battaglia
contro i suriaki, si erano nascosti chissà dove e nessuno
dei due aveva mai fatto ritorno alla Torre-Nido: un possente edificio
terminante con una guglia, al cui interno vi era la dimora dei draghi
dei cavalieri.
Vasher non poté credere ai suoi occhi e forse nemmeno
Bihares aveva mai visto nulla di simile. Il vecchio infatti
arrivò correndo alle spalle dei due giullari e, tutti
insieme, rimasero paralizzati ad osservare quello spaventoso scenario.
Vantos azzannò una zampa di Baton, ma il piccolo drago
irsuto menò un potente colpo di coda sul fianco scoperto del
drago nero. Il colpo abbandonò decine di lance
d’osso sulla carne del rivale e suscitò
un’imponente fiammata nera scatenata più dal
dolore che dal desiderio di colpire. Sfruttando il vantaggio, Baton
ruggì, un suono stridulo e logorante, e le spine su schiena
e testa si sollevarono e iniziarono a vibrare: un avvertimento. Vantos
tornò in sé, spinse con le zampe anteriori verso
terra e si impennò ruggendo a sua volta, un urlo di rabbia e
furia omicida, un ruggito profondo, pesante e cupo. Il drago nero
tornò su quattro zampe e, ignorando l’avviso del
rivale, colpì anch’esso con la coda sulla schiena
di Baton: la coda di Vantos, anch’essa dotata di protuberanze
ossee, presentava due lame gemelle. Il colpo penetrò nella
corazza e nella carne dell’animale che ruggì di
rimando. Vantos estrasse la coda, seguita da un fiotto di sangue, e,
approfittando del momento di dolore, sputò fiamme nella
bocca di Baton. Quest’ultimo richiuse immediatamente la bocca
e, sconfitto, si appallottolò. Divenne una sfera irta di
aculei e impenetrabile, probabilmente per aver il tempo di riprendersi
dal danno subito a bocca e gola, ma Vantos non si lasciò
scoraggiare e sputò ancora fiamme nere sul dorso del drago
ora diventato una palla chiodata. Baton reagì sparando
centinaia di lance d’osso in tutte le direzioni: Vantos venne
colpito alla gola, al petto e alle ali ma i danni più
ingenti vennero assorbiti da tutto ciò che stava intorno ai
due draghi: soldati vennero impalati a terra o sulle pareti del palazzo
reale che faceva da sfondo, le poche tende rimaste in piedi vennero
crivellate e lo stesso vale per i corpi dei compagni caduti di Sambo;
lo stesso imperatore, seguito dai due buffoni, fu costretto a gettarsi
a terra per evitare di essere decapitato da una di quelle spaventose
lance.
La battaglia sembrava non aver fine, i due draghi avevano ancora molti
assi nelle loro maniche ma qualcosa attirò
l’attenzione di tutti i presenti: un canto.
Uno strano suono, flebile e dolce, risuonò
nell’aria. La piazza d’armi fu costretta ad
ospitare un’altra imponente figura: Tolus, il drago azzurro.
Con straordinaria delicatezza, il possente drago atterrò
alle spalle di Baton: Tolus era decisamente più largo e
massiccio di Vantos ma questo non significava che fosse più
forte. Tolus, come il padrone, era un pacifista e le sue
abilità non vertevano certo sulla violenza. Vantos non vide
di buon occhio quest’intrusione e iniziò a ruggire
contro il nuovo arrivato; quest’ultimo rispose con un altro
canto che, da come Vasher poté capire, non era un canto
bensì il suo ruggito. Un ruggito morbido, leggero e sinuoso.
Non poteva esistere in natura suono più rilassante e
piacevole di quello. Tolus spalancò le ali e, curvandole
contemporaneamente verso l’alto e verso la sua testa,
formò una specie di corona alle sue spalle: visto
frontalmente, Tolus avrebbe intimidito chiunque e sembrava avesse una
specie di aureola o di disco dietro la testa liscia e priva di fessure.
Il drago iniziò a portare il peso all’indietro e,
sollevando le zampe anteriori, si poggiò sul terreno con il
petto. Le zampe anteriori, libere, iniziarono a muoversi come quelle di
un umano ed eseguirono alcune posizioni rituali con inesorabile
lentezza. Vantos cercò di interrompere quel rituale sputando
fiamme sul nuovo nemico ma Tolus aprì la bocca,
più larga di quelle dei compagni, e assorbì, anzi
inghiottì, tutte le fiamme.
Le pose vennero eseguite e le ali, insieme alla testa, iniziarono ad
illuminarsi: Vantos sembrò calmarsi, le ali si abbassarono,
la fronte, prima aggrottata per la rabbia, tornò alla
normalità e il drago nero si accasciò a terra
come a voler dormire. I soldati e lo stesso Baton, posti tutti
frontalmente alle ali di Tolus, subirono gli stessi effetti: tutti si
rilassarono, tutti abbandonarono ogni idea aggressiva, tutti lasciarono
andare le armi e Baton tornò ad essere un normale drago e
non più una sfera; tutti si accasciarono a terra e
riposarono.
La scena,indimenticabile, aveva zittito tutti i presenti, o almeno,
coloro i quali erano sopravvissuti alla furia dei due draghi. Sambo e
Vasher avevano smesso di pensare e di parlare da circa dieci minuti,
incantati dalle immense figure dei tre draghi, in lotta tra loro. Ma
qualcosa svegliò i loro animi: un grido.
<< Fermati! >>
Una voce decisa e forte. Uno sfrigolare di tegole e un’ombra
assalì la piazza d’armi: Cikra era libero. Il
Dragone era in qualche modo fuggito dalle prigioni ed ora era saltato
dal tetto del palazzo reale, a più di dieci metri
d’altezza, e cadeva in direzione di Baton con una lancia
d’osso in mano. Alle sue spalle, Eito il Pacifista, non
poté che fermarsi e assistere impotente alla scena: Cikra
atterrò, a piedi e petto nudi, sulla testa di Baton, ormai
in trance. La lancia d’osso penetrò il suo
creatore nell’occhio e, quasi per intero, si
conficcò nel cervello della creatura. Bihares rimase
allibito e sconcertato e la vista del sangue verde
dell’animale irsuto, suscitò un conato di vomito.
Eito, in preda alla collera, saltò giù atterrando
però sulla testa del suo drago e scese a terra. Con
rapidità e professionalità, tra i leggeri
movimenti del velo sul volto e delle vesti sotto le gambe,
eseguì delle posizioni uniche con entrambe le mani, imitando
il drago: delle spire di luce afferrarono le spalle di Cikra, le
bloccarono con violenza, seguite dalle ginocchia. Il cavaliere nero era
immobilizzato ma con evidente sforzo, con occhi spiritati e a denti
stretti, si voltò verso il giullari, verso
l’imperatore in particolare e disse:
<< Ridammi… la mia… Anima!
>>