Anime & Manga > D.Gray Man
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Autore: Kanda_90    27/06/2012    1 recensioni
Il mondo di D.Gray-man...la sua storia...i suoi personaggi...
Ma come si sarebbero svolti gli avvenimenti, come sarebbero cambiati gli equilibri tra i membri dell'Ordine, se fin dall'inizio ci fosse stata un'esorcista in più?
Tutto ha inizio in una calda e limpida mattina, alla alba. Una ragazza e il suo cavallo nero si concedono una lunga cavalcata...
Sostano sulle rive di un piccolo specchio d'acqua....
Lei non ricorda il suo passato...non pensa al suo futuro...ma sta per fare un incontro che le cambierà drasticamente la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strano, ma vero: due aggiornamenti in meno di una settimana!
Premetto fin da subito che mi sono trovata abbastanza in crisi per questo capitolo, per vari motivi, tra cui:
a) Entrare nella mente di "certa gente" è veramente un gran casino =.=
b) Scrivere, ma soprattutto DEscrivere, le varie scene, ora che la storia si è collegata al manga, è veramente una responsabilità XD
Si! Mi tiro la zappa sui piedi, e ne sono fiera!!
Detto ciò, aggiungo solo che siamo giunti al collegamento col manga (già detto) e questo è il capitolo che introduce l'altro importante personaggio della storia (Ahinoi XD)
Non vi tedio oltre e attendo, come sempre, le vostre recensioni, buone e cattive ^^
Buona lettura!!!!

Kanda

4th Night: l’Ordine Oscuro

Seduto sul lettino dell’infermeria, sentivo le odiose fasciature a contatto con la mia pelle. Il solo fatto di averne avuto bisogno mi irritava. Era ridicolo. Le ferite se ne sarebbero andate, come sempre, non avevo bisogno delle inutili cure di un’infermeria. Era vero, da qualche tempo mi ero reso conto che le mie capacità rigenerative si erano attenuate, ma non se ne sarebbero mai andate. Io non potevo morire.
Con un lieve gesto di stizza mi alzai i piedi, prendendo l’uniforme senza nemmeno indossarla. Non mi preoccupai di riprendermi la camicia, ridotta com’era serviva a poco. Detestavo le missioni che non si concludevano nel modo sperato, e questa era stata una di quelle. Le ferite che mi ero procurato si sarebbero potute certamente evitare, se quell’idiota del Supervisore avesse vagliato meglio le missioni da affidare. Ed ora me ne stavo lì, nell’ultimo posto di cui avessi bisogno, tutto a causa di una stupida pietruzza, che si era rivelata nient’altro che un falso. Quel maledetto cinese mi aveva mandato fin in uno sperduto villaggio siberiano a recuperare un frammento di Innocence, che altro non si era rivelato che un mediocre esperimento, fatto da un pazzo locale, senza nemmeno una gran conoscenza scientifica al riguardo. Era stata una gran seccatura scoprirlo, odiavo agire a vuoto...e probabilmente lo dovevano aver pensato anche quegli stupidi “livello 2”, mandati in quella landa desolata per lo stesso motivo, visto l’accanimento con cui avevano attaccato il sottoscritto. La bufera di neve che aveva cominciato ad infuriare, fin dal mio arrivo, non mi aveva certo aiutato e fu solo grazie ai miei sensi ben sviluppati che ero riuscito ad evitare danni peggiori. Degli Akuma, comunque, non era rimasta traccia.
Uscii nel corridoio, lasciando che la porta sbattesse alle mie spalle. Sentivo i miei passi risuonare ritmicamente nello spoglio corridoio, interrotti solo da qualche goccia d’umidità che cadeva lievemente dagli antichi e grigi mattoni dei muri. Oramai era ora di cena e, benché non avvertissi il bisogno di mangiare, mi diressi meccanicamente verso la mensa. Dopo cena me ne sarei andato a letto, come al solito, sperando di dormire. L’ultima nottata prima della missione l’avevo passata interamente in uno dei locali d’allenamento, impegnandomi in una serie di figure con la mia katana. Era ciò che facevo, ogniqualvolta gli incubi del mio primo passato cercavano insistentemente di varcare la soglia del mio inconscio. Il che accadeva spesso, fin da quando avevo visto la luce.
Ero giunto al piano della mensa, decisamente più popolato degli altri settori della torre, se si eccettuava la Scientifica, perennemente in fermento e al lavoro. Finder ed Esorcisti affollavano l’atrio antistante la sala da pranzo, passai in mezzo a loro senza degnarli di uno sguardo, come al solito, ed essi, come di consueto, evitarono di fermarmi od incrociare il mio sguardo. Non ero il tipo di persona che ispirava simpatia o loquacità, ed ero ben attento affinché la situazione rimanesse tale. Stavo per aprire la porta della mensa, quando gli altoparlanti diffusi nel corridoio proruppero in un sonoro boato.
“COSTUI E’ OUUUUT!!”
Era la voce del guardiano. Il che significava che, all’ingresso principale, c’era una seccatura da eliminare. Proprio ciò di cui avevo bisogno per rilassare i nervi, dopo quell’inutile giornata.
Senza pensarci troppo, infilai l’uniforme, tralasciando di allacciarla, aprii la finestra più vicina e mi buttai in picchiata sulla mia preda. Dietro di me, un’immensa luna piena faceva da sfondo alle mie azioni, al mio lavoro...l’unico che sapessi fare, l’unico per cui la mia maledetta vita era stata creata...
Sotto di me, il cornicione dell’ingresso si avvicinava, di fronte al portone un uomo, sempre che lo fosse, visto il puntino microscopico che le mia visuale mi procurava. Attutendo la caduta, coma un felino, atterrai sull’ingresso, proprio sopra il guardiano, la mia Mugen tra le mani, guardai il ragazzino dai capelli bianchi che si parava di fronte al portone. Un esserino simile aveva scatenato quel putiferio? Tanto meglio, eliminarlo sarebbe stato rapido.
Un colpo di vento scostò un ciuffo di capelli albini dalla fronte del ragazzo...sopra l’occhio sinistro, faceva bella mostra di sé un pentacolo, il simbolo che contrassegnava gli Akuma. Istintivamente, sguainai Mugen, fissandolo con uno sguardo in cui potesse facilmente leggere a chiare lettere il suo destino.
“Hai proprio un bel fegato a venire da solo...”
Saltai dal cornicione, ignorando i farfugliamenti sconnessi di quel microbo. Con velocità sovrumana giunsi a pochi attimi dalla sua testa, la lama che calò velocemente dall’alto, pronta a segnare il colpo fatale...ma che venne inspiegabilmente bloccata. Con un’espressione vagamente stupita, mi rialzai dalla posizione acquattata con cui ero atterrato davanti alla mia preda, sorreggendo delicatamente la lama della mia katana con la punta delle dita, una posizione di delicata grazia assassina. Il ragazzino di fronte a me esibiva un braccio sinistro alquanto fuori dal comune, totalmente sproporzionato rispetto al suo esile corpicino. Un’enorme mano artigliata proteggeva il suo possessore, al centro del dorso una croce. L’Intero arto emanava un bagliore verde-azzurro...avvertivo in quella strana appendice una presenza quasi familiare che mi confuse.
Senza lasciare che la mia espressione mostrasse il minimo cambiamento circa i miei propositi, decisi di fare chiarezza.
“Cos’è...quel braccio?”
L’albino ricambiò il mio sguardo con aria di sfida, in cui però si notava anche una punta di timore e confusione.
“...E’ un arma anti-Akuma. Io sono un Esorcista.”
Un Esorcista?
“Cosa?”
Questo cambiava le cose. Ma perché allora gli era stata rifiutata l’autorizzazione? Nonostante le sue parole, il pentacolo che esibiva sulla fronte, non lasciava certo la possibilità di fidarsi completamente. Per quanto ne sapessi, avrebbe anche potuto essere una trappola...Certo, se invece fosse stato davvero un compagno, avrei eliminato un potenziale alleato, tutto a causa di quel maledetto...
“CUSTODE!”
Gli ringhiai contro con rabbia. Commettere errori a causa d’altri era insopportabile. Quel grassone, intanto, non faceva altro che frignare, non l’avevo mai potuto sopportare.
“No! Cioè, insomma! Se non capisco cosa c’è dentro, non posso mica farci niente! Se è un Akuma come facciamo?!”
“Io sono un essere umano!”

Il bambinetto dai capelli bianchi si avventò sul guardiano, sbraitando le sue ragioni verso quel ciccione che, naturalmente, seppe solo lamentarsi. E quello sarebbe dovuto essere il custode dell’Ordine? Ridicolo.
Sbuffai, spazientito.
“Beh, non importa.”
Akuma, umano o, come l’albino sosteneva di essere, maledetto, non avrebbe fatto differenza, c’era un modo molto più rapido per dirimere la questione e porre finalmente fine a quell’inutile seccatura. Avessi potuto tornare indietro, mi sarei fatto i cavoli miei, evitando tutta quella sceneggiata.
Mugen descrisse un’elegante arco intorno a me, caricando il colpo.
“Basterà guardare cosa c’è dentro, per capire.”
Evocai l’Innocence. La lama prese una lieve luminescenza azzurra, mentre il suo potere prendeva corpo.
“Ti farò a pezzi con la mia Mugen.”
Fu un lieve sussurro, quel tanto che bastò perché il ragazzino, terrorizzato e con le spalle al muro, l’udisse. Corsi veloce verso di lui, puntando la lama verso la sua gola, mentre l’albino protendeva verso di me il suo braccio scarlatto, tentando inutilmente di salvarsi la vita...ancora pochi centimetri...
“...lettera di presentazione da parte del Maestro Cross!”
Cross? Il nome del Generale mi fece tornare sui miei passi. Inchiodai, a pochi centimetri dal suo occhio destro, mentre il polverone si depositava intorno a noi, ma non riposi l’arma, né accennai a cambiare posizione. Non mi fidavo di quel tizio, tremante, di fronte a me.
“Da parte del generale...? Una lettera di presentazione...?”
L’albino, la cui paura era decisamente palpabile, si affrettò a rispondere.
“Esatto, una lettera di presentazione...indirizzata a qualcuno che si chiama Komui.”
Komui, quel dannato cinese non ne combinava mai una giusta. Se ciò che il ragazzo diceva fosse stato vero, allora la lettera era sicuramente arrivata...e dimenticata, in quel marasma infernale che era la scrivania del Supervisore. Ma se la lettera non fosse comparsa...
Tenevo attentamente il ragazzino sotto tiro, stando bene attento ad ogni suo movimento, anche se oltre al tremolio delle sue ginocchia, non pareva che alcun altro muscolo del suo corpo avesse intenzione di muoversi.
“Kanda, ferma l’attacco!”
La voce del Caposezione Reever arrivò forte e chiara dal mio golem, che fluttuava a pochi centimetri da me. Immaginai che il suo tono irritato fosse rivolto al suo superiore, anche se ero ben cosciente del fatto che, per chiunque all’interno dell’Ordine, io fossi il tipico “soggetto difficile e pericoloso”, quindi una lieve irritazione repressa, forse era indirizzata anche a me ed al mio modo di agire. Cavoli suoi, non era certo un mio problema.
Le due enormi inferiate del portone, ai due lati del muro dove, io e la mia vittima, ci stavamo fronteggiando, si spalancarono, due enormi bocche pronte ad inghiottire noi e la nostra vita.
“Sei autorizzato ad accedere a castello, Allen Walker.” Trasmise l’altoparlante, invitando il ragazzino ad entrare. Ma io non ero affatto convinto. In tutta quella faccenda non c’era nulla di chiaro, né un’anima viva che si degnasse di spiegarmi per quale motivo avevano deciso di farlo passare. Riavvicinai pericolosamente la lama al suo viso.
“Aspetta! Aspetta, Kanda.”
Era il maledetto Komui.
“Komui...? Che significa?”
Adesso mi avrebbe dato spiegazioni, gli conveniva decisamente.
“Scusaaa! Siamo saltati troppo presto alle conclusioni! Quel ragazzo è un allievo del generale Cross.”
Il resto della conversazione e i battibecchi da coppietta sposata tra Komui e Reever, non furono nemmeno captati dai miei timpani. Dunque era così che stavano le cose? Se questo ragazzino era davvero allievo di Cross, significava che il generale, disperso da non meno di tre anni, era ancora in vita, non solo, aveva anche un discepolo. Chi era veramente questo tizio?
“Il fatto che sia accompagnato da Timcampi è la prova più evidente. Lui è un nostro compagno.”
Vero. Anche la presenza del golem giocava a suo favore, ma non riuscivo a fidarmi completamente. Quel ragazzo aveva qualcosa di strano, anche se, detto da uno come me, un’affermazione del genere aveva quasi del ridicolo.
Non ebbi più il tempo di pormi troppe domande, perché una cartelletta planò poco dolcemente sulla mia testa. Tastando la parte offesa mi rivolsi verso l’impudente ragazzina, artefice dell’attacco. Linalee. Avrei dovuto immaginarlo che la sorella del Supervisore sarebbe giunta a placare gli animi, come sempre.
“Insommaaa! Ti abbiamo detto di smetterla, no?! Se non entrate in fretta, il portone si chiuderà!”
L’incredulità con cui l’albino la guardò e la mia espressione irritata e reticente, la portarono ad un tono che non ammetteva repliche.
“Entrate!” Ci ammonì, indicando il portone.
Varcammo il grande portone, giungendo all’imponente ingresso. Mentre gli altri due si sprecavano nelle presentazioni di rito, mi voltai e feci per andarmene.
“Kanda!”
L’albino ce l’aveva col sottoscritto, a quanto pareva. Mi fermai sul posto, girando lievemente il volto, guardandolo con la coda dell’occhio e uno sguardo che tutto aveva, fuorché dell’amichevole.
“...E’ così che ti chiami vero...?”
Che razza di domande. Mi ero fermato, no? Avesse chiamato un altro nome, me ne sarei andato per la mia strada. Mi aveva seriamente fermato solo per constatare l’ovvio?!
“Piacere.” Mi disse, porgendomi la mano destra, per presentarsi.
Tsk. Figurarsi se mi mettevo a fare amicizia con un ragazzino del genere, che fin’ora non aveva causato altro che problemi. Sentivo già di detestarlo nel profondo.
“Figurati se do la mano a un maledetto.”
E me ne andai.
Irritato ed infastidito da quella giornata, mi recai direttamente in camera. Ormai mi si era chiuso lo stomaco dal nervoso. Chiusi la porta e mi liberai immediatamente delle bende, constatando di non averne più necessità. Di cicatrici, nemmeno l’ombra, la pelle era liscia e chiara, senza alcun segno. Come sempre. Con un sorriso amaro, poggiai Mugen alla testata del letto e mi stesi, sperando in una nottata di sonno.

L’alba illuminava dei suoi colori rosati ogni cosa, dagli alberi, al terreno, alla torre dell’Ordine. Potevo solo immaginare queste cose, attraverso la benda che mi copriva la visuale. Ero uscito di buon ora, come sempre, per esercitarmi nel boschetto adiacente il Quartier Generale, ma ero stato intercettato dalla capo-infermiera, furente per la scomparsa delle sue maledette bende. La forza di quella donna rasentava l’inumano, così, malgrado le vigorose proteste del sottoscritto, era riuscita nel suo intento. Ed eccomi nella mia sessione di allenamento mattutina, di nuovo in compagnia di quelle inutili fasciature.
Rinfoderai la katana e mi levai la benda dagli occhi. Recuperando l’uniforme di diressi verso la torre.
La sera precedente, mentre cercavo di prendere sonno, avevo sentito una certa concitazione, ai piani inferiori, ed ero certo di aver sentito distintamente i cardini del pesante ingresso principale, cigolare per l’apertura. Ero abbastanza certo che nessun Generale o Finder avesse annunciato il proprio arrivo, quindi supposi dovesse trattarsi di un altro novellino. In una sola giornata si erano aggiunte ben due seccature alla mia vita, benché una delle quali non l’avessi ancora incontrata. Fortunatamente.
L’Ordine brulicava di attività, come di consueto a quell’ora, ed ero certo che avrei trovato la mensa piuttosto affollata. Mi fermai a lato del corridoio per levarmi quelle inutili bende, senza che la capo-infermiera potesse scovarmi. Era inquietante il modo in cui quella donna captava coloro che sgarravano dalle sue ferree cure. Liberatomi da quelle seccature, mi allacciai i bottoni dell’uniforme, ma non potei avanzare.
Il mio sguardo cadde a terra, basito.
Quel fiore? Perché ora? Perché lì? Non aveva senso...
Non ebbi la possibilità di provare a comprenderne il significato, perché qualcosa mi urtò violentemente la schiena, facendomi sbilanciare. Il fiore scomparve...
Mi voltai, parecchio irritato.
“Perché non guardi dove cammini?”
Aprii leggermente le fessure che erano diventati i miei occhi. Davanti a me stava una ragazza, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri come un cielo di montagna, ma...tristi? No, doveva esser stata solo una mia impressione. Eppure lo sguardo di quella giovane aveva un che di familiare...ma probabilmente sbagliavo, anzi, sicuramente. Dopotutto, non avevo mai conosciuto alcun Esorcista che non avesse anche solo una lieve sfumatura di sofferenza nello sguardo. Tutti avevano perso qualcosa a causa dell’Innocence...me compreso...
Non indossava l’uniforme dell’Ordine, ma solamente una camicia azzurra dal taglio orientale, chiusa a lato da fini alamari di legno. Benché certe considerazioni varcassero più che raramente i miei pensieri, mi ritrovai a pensare che fosse piuttosto carina.
Doveva essere lei la novellina arrivata a notte fonda, giusto in tempo per smentire le mie speranze di poco prima.
Mi parve, per un attimo, che il suo sguardo si facesse vuoto, confuso...un’espressione che, per qualche motivo, che al momento mi sfuggiva, mi ricordava qualcosa.
Lasciai cadere a questione. Dopotutto, non m’importava.
La giovane, che doveva avere pressappoco la mia stessa età, mi squadrò subito con occhio infastidito. Sembrava il tipo di donna che non intende farsi mettere i piedi in testa, men che meno da un uomo.
“Prego?”
Era sorda? Ripetei quanto detto poco prima, con tono ancora più seccato.
“Ti ho detto di guardare dove cammini.”Le dissi, tra i denti.
Mi fissò con uno sguardo penetrante ed irritato, quasi degno del sottoscritto, ma che non mi intimidì per nulla. Era almeno una quindicina di centimetri più bassa di me, perché dovette piegare il collo per guardarmi negli occhi.
“Vedo benissimo dove cammino, grazie. Magari, se tu non ti mettessi nascosto agli angoli dei corridoi, la gente non ti verrebbe addosso, non ti pare?”
Quindi, era colpa mia? Certo questa tizia aveva un bel fegato. Cominciavo già a non sopportarla.
“Mi metto dove mi pare.” Fu la mia gelida risposta, senza staccare lo sguardo. Avvertivo la tensione espandersi intorno allo spazio in cui ci fronteggiavamo. Nemmeno lei cedette di un millimetro.
“Ed io cammino dove mi pare.”
Rimanemmo fermi, ciascuno deciso a non cedere. Più la guardavo, più avevo la netta sensazione che l’avrei detestata, anche se sentimenti simili, normalmente, erano condivisi per chiunque incontrassi. Ma questa ragazza aveva qualcosa di diverso...forse era proprio questo “qualcosa” a spingere il mio odio ai livelli di guardia. Eppure...continuava a non convincermi...ma forse era solamente la visione di poco prima a confondermi.
“Ora, se permetti, devo passare.”
E detto ciò mi scostò, urtandomi una spalla e dirigendosi verso la mensa. Ci guardammo a lungo con la coda dell’occhio, promettendoci a vicenda chissà quali atroci vendette. Avevo trovato nuovamente qualcuno che si sarebbe rivelato una gran seccatura. Un gran bel seguito, dopo la vicenda con l’albino.
“Brutta...”
Borbottando tra me e me una serie di poco eleganti improperi, mi diressi verso la mensa, sperando che ci fossero sufficienti tavoli affinché potessi starle il più lontano possibile. Per qualche motivo, desideravo ardentemente che non mi si ripresentasse davanti agli occhi tanto presto. Nemmeno l’albino, la sera prima, aveva messo così a dura prova i miei nervi, nonostante il nostro scontro fosse stato decisamente più lungo e rischioso, almeno per lui. Quell’Ordine stava diventando decisamente troppo affollato.
Sperando che il pasto mi avrebbe rilassato, aprii la porta ed entrai nel salone.
   
 
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