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Autore: Melanyholland    14/01/2007    12 recensioni
Quando fai una scelta sbagliata, è difficile accettare i cambiamenti che essa porta nella tua vita; ma ancora più difficile è accettare che a cambiare la tua vita in peggio sia la scelta di qualcun altro.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Title: The Chance of a Lifetime

Author: Melanyholland

Subject: Quando fai una scelta sbagliata, è difficile accettare i cambiamenti che essa porta nella tua vita; ma ancora più difficile è accettare che a cambiare la tua vita in peggio sia la scelta di qualcun altro.  

Rating: PG

Shipper: Sana/Akito, dolce amaro.

Note: è la mia prima ff su Kodocha, un manga/anime che ho sempre amato e che ha accompagnato i miei anni alle medie. Spero di essere riuscita a non far risultare OOC  i personaggi.

Ma soprattutto spero che la storia vi piaccia. Per qualunque commento, osservazione, critica (costruttiva, vi prego!^^") per favore recensite!

 

 

The Chance of a Lifetime

di Melanyholland

 

 

Akito

 

Ultimo anno delle superiori. Ultima settimana di scuola.  Immaginava di doversi sentire contento, o magari sollevato.

Ma tutto ciò che Hayama Akito provava, mentre guardava cupamente dalla finestra della scuola, era rimpianto mescolato a rabbia. Profonda, bruciante, che gli attraversava tutto il corpo mandando scariche di adrenalina agli arti. Aveva una gran voglia di fare a pugni, per scaricare tutta quella rabbia…ma il vicepreside era stato chiaro: un solo altro episodio di violenza collegato in qualche modo a lui e poteva scordarsi la promozione. Così, non poteva fare altro che fissare il cortile della scuola, le labbra strette, il viso adombrato, il fondo degli occhi nero come un crepaccio. Se qualcuno dei suoi vecchi compagni delle elementari l’avesse visto, avrebbe riconosciuto in lui l’Akito di un tempo, quello che ricattava i professori e faceva piangere le bambine.  

Il cortile era pieno di ragazzi vestiti tutti uguali, una massa informe di blu e porpora che si godeva la mezz’ora di ricreazione; sarebbe stato impossibile distinguere una sola persona, in mezzo a tutte quelle divise alla marinara.

Eppure, gli occhi di Akito scorsero immediatamente lei. Poteva vedere la sua lunga chioma brillante alla luce del sole, poteva sentire la sua voce sovrastare quelle di tutti gli altri, poteva avvertire la sua risata, Cristo, era inconfondibile. Per anni l’aveva sentita, e l’aveva amata dal primo istante.

Sana…

Il pensiero di lei non lo fece più controllare. Quando ritirò il braccio, il dorso della sua mano era scorticato e sanguinava sulle nocche. Era stato il più forte del suo corso di karate, in altri tempi, ma il muro non aveva graffi. La sua mano pulsava e bruciava, ed era meglio così: il corpo umano percepisce solo il dolore più forte; e lui stava cercando in tutti i modi di procurarsene uno che allontanasse il centro della percezione dal suo cuore.

Peccato che ancora non ci fosse riuscito.

Avrebbe voluto odiare Sana per quello che aveva fatto. Avrebbe voluto davvero, e ci provava in continuazione. Odiava il mondo, odiava la sua vita, odiava se stesso. Ma Sana no.

Più di tutto era questo a riempirlo di rabbia.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“È la tua occasione, Hayama-kun!”

Il suo istruttore lo guardò con gli occhi che brillavano. Aveva sempre creduto in lui, e finalmente era arrivata. L’Occasione. Quella con la ‘O’ maiuscola, quella che capita una volta nella vita.

“Accetti?” I suoi occhi dicevano: ovvio che accetti. Chi sarebbe così stupido da rifiutare?

“Devo pensarci.” Rispose con indifferenza lui, voltandosi per andarsene.

“Come sarebbe a dire!? Hayama! Ehi!”

Non aveva dato retta alle sue insistenze. Lui doveva pensarci, gliel’aveva detto. Non che la proposta non lo allettasse: entrare nella squadra nazionale del Giappone. Lottare al fianco di tutti i più grandi campioni di karate del suo paese. Korugami-sama aveva ragione: solo uno stupido non avrebbe accettato. Nonostante l’impassibilità esteriore, Akito era eccitato all’idea.

Ma doveva tener conto di qualcos’altro. Anzi, di qualcun altro.

Quel qualcuno era una ragazza, la sua ragazza; colei che gli era stata al fianco per tutti quegli anni, colei che l’aveva aiutato ad affrontare la morte di sua madre, che lo aveva salvato, sempre, in mille modi diversi, anche se non se ne era mai resa conto.

La sua ragazza, la ragazza che amava.

Sana.

“Ciaaaoo Akito-kun!!” Lo accolse Sana il giorno dopo, a scuola. Akito rifletté fugacemente per l’ennesima volta su tutto il tempo che lei aveva impiegato ad abituarsi a chiamarlo per nome, poi l’abbraccio e il profumo di lei lo distrassero completamente.

Come sempre.

“Ciao.”

Sana gli rivolse il suo splendido sorriso e lui non resistette alla tentazione: la baciò. Lei lo lasciò fare, ma quando si staccarono lo guardò indignata, le guance rosso vivo, e tirò fuori il suo martelletto da chissà dove per colpirlo in testa.

“Davanti a tutti!! Ma che fai!?” Lo rimproverò urlandogli nelle orecchie.

“Ohi.”

“Sempre i soliti…” Commentò Fuka divertita, con il suo inconfondibile accento del Kansai. Lei e Sana erano ancora amiche inseparabili.

Ma quando lui e Sana si baciavano, Fuka non guardava mai.

Le ragazze lo precedettero nell’edificio scolastico, chiacchierando allegramente, così Akito ebbe il tempo di riflettere. L’occasione della sua vita era lì, a portata di mano. A lui non restava che afferrarla.

Ma voleva davvero afferrarla? Amava il karate. Quante persone avevano la possibilità di guadagnare soldi, e di diventare magari anche celebri, facendo una cosa che amavano? Poche. Pochissime. Lui poteva. Ma voleva?

In fondo era per lei che aveva iniziato a fare karate. Per essere degno di lei, come diceva Naozumi. Era stata Sana a incoraggiarlo quando aveva pensato di gettare la spugna, Sana che era andata a tutti i suoi incontri facendo il tifo e mettendo in subbuglio tutti gli spalti, facendolo vergognare da morire per tutte le smorfie e il modo imbarazzante in cui urlava a squarciagola, Sana che aveva esultato con lui ad ogni vittoria, che lo aveva messo di buonumore dopo ogni sconfitta.

Sana.

Se avesse accettato di far parte della nazionale, gli allenamenti, i viaggi per il mondo, lo avrebbero allontanato dalla sua Sana. E questa era l’ultima cosa che voleva.

Akito amava il karate.

Ma più di tutto, Akito amava Sana Kurata.

 “Cos’hai, Akito-kun?”

Sussultò, trovandosi accanto la ragazza in questione, mentre era seduto al tavolo della mensa. Poteva essere rumorosa come un elefante se voleva, ma lui aveva imparato già da  molto che riusciva anche a essere silenziosa come un gatto.

Soprattutto quando era in pensiero.

“Niente.” Rispose con tono neutro.

“Sicuro?”

Gli occhi chiari di lei brillavano di sincera preoccupazione. Era sempre stato così. Era stata la prima a preoccuparsi per lui quando tutti i suoi ‘cari’ non facevano che trattarlo male o con indifferenza, e continuava ad essere l’unica a capire veramente quando stava male, nonostante la maschera di distacco dal mondo che portava sempre indossata.  

Così, capì che nessuna fama e nessuna ricchezza valevano quello che avrebbe perduto. Niente era comparabile a Sana, al modo in cui lo faceva sentire: bene, e amato

Come non aveva più creduto di poter essere dopo che sua sorella, con voce rabbiosa e carica di risentimento, gli aveva urlato che era colpa sua se la mamma era morta.

“Sicuro.” Rispose, ed era la verità. La baciò, teneramente, cercando di rassicurarla; e quando vide dai suoi occhi che era ancora un po’ in ansia, le infilò una mano sotto la gonna.

La reazione di lei fu istantanea:

“PERVERTITO!” Urlò infuriata, spaccandogli il vassoio del pranzo in testa e facendolo capriolare all’indietro  con un calcio fino al muro. Tutti i compagni di scuola scoccarono loro un’occhiata fugace e poi tornarono tranquillamente alle loro conversazioni. Niente di eclatante: solo i soliti Sana-chan e Hayama-kun immersi nella loro routine quotidiana.

Akito la osservò mentre si voltava, torva, si gettava indietro i lunghi capelli con un gesto secco e se ne andava verso il tavolo di Fuka, con passo pesante e per niente femminile, i pugni stretti lungo i fianchi. In quel momento, non somigliava per niente alla modella sensuale che ammiccava da tantissimi cartelloni pubblicitari sparsi per la città.

Akito si concesse un breve sorriso: era certo che non avrebbe rimpianto la sua scelta.

Quanto si era sbagliato.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

La incontrò per il corridoio. Erano soli.

Incredibile quante occasioni di stare soli ci fossero in una scuola di più di cento persone, fra studenti, professori e inservienti. Finora non l’aveva mai notato.

La tensione fra loro era palpabile, sgradevole. Ma Sana, che era in grado di fronteggiare una folla numerosa di spettatori con gli occhi tutti puntati su di lei, non era tipo da farsi scoraggiare per così poco.

Prevedibilmente, fu lei la prima a parlare, seppur con voce flebile:

“Ciao, Akito.”

“Ciao.” Disse lui, distaccato, superandola senza nemmeno darle un’occhiata e poi fermandosi. Non sopportava di guardarla.

Era più facile parlare così, dandole le spalle.

“Partirò subito dopo il diploma.” Fece lei. Quel tono fioco non le si addiceva affatto, stonava, con la sua voce. Una voce fatta per gridare, e ridere, e infondere allegria a chiunque la ascoltasse.

“Bene.”

“Faccio una festa la sera prima…a casa mia. Con tutti i miei amici. Vorrei…vorrei che ci fossi anche tu.”

“Forse avrò da fare.” Mentì, indifferente. Con la coda dell’occhio la vide annuire.

“Beh, allora ci vediamo.” Concluse, dopo lunghi, penosi momenti di silenzio. S’incamminò verso il bagno, ma con sua sorpresa Sana lo fece bloccare di nuovo, con un un’unica frase:

“Mi odi, Akito?”.

Ed era così triste, così vulnerabile, che lui non poté resistere, suo malgrado. Si voltò a guardarla: sempre bellissima, i capelli lunghi e luminosi che ricadevano sulle sue spalle, leggermente ondulati, gli occhi grandi e chiari, che facevano perdere la testa a tutti i suoi fans e anche a qualche attore… Sana era stata una bella bambina, sì, ma crescendo era diventata una splendida ragazza, di un fascino abbagliante, seppure semplice, genuino, mai ricercato. La sua bellezza stava soprattutto nell’innocenza che, malgrado tutto, aveva conservato, in quel suo sorriso che avrebbe fatto innamorare il più duro dei cuori. Quando stavano insieme, Akito non riusciva a credere che lei avesse voluto lui, con tutti i ragazzi che poteva avere solo con uno sguardo di quei suoi grandi occhi, solo tirandosi indietro i capelli lucenti con quel gesto che aveva preso l’abitudine di fare, solo con un sorriso delle sue morbide labbra.

Sospirò. “No. Non ti odio.”

E poi se ne andò, perché sapeva che se fosse rimasto ancora un momento a guardarla, avrebbe fatto qualcosa di stupido, di cui poi si sarebbe pentito.

Era meglio così.

Forse.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Glielo disse una sera, mentre cenavano a casa sua. Sua sorella ormai divideva un appartamento con una sua amica e suo padre era al lavoro.

Akito ne era rimasto così sconcertato che aveva quasi rovesciato il  bicchiere che teneva in mano. Sana aveva abbassato gli occhi, fissando il piatto.

“Mi hanno presa alla sprovvista. Avrei voluto parlarne con te, ma hanno detto che avevano proposto lo stesso lavoro ad altre tre attrici, che hanno più esperienza di me, e che se non rispondevo subito…beh, non avrei più potuto. Ed è una grande opportunità per me, per farmi conoscere anche all’estero, lo ha detto anche Rei, e la mamma, e…e allora io ho accettato.”

“COSA!?” Akito era sconvolto. Per l’America. Sana sarebbe partita per l’America per fare una delle protagoniste in un nuovo serial.  Non l’avrebbe rivista per…

“Per quanto tempo?” Chiese subito.

Sana sembrò profondamente a disagio.

“Il contratto è per…quattro stagioni del telefilm. Ma se avrà successo non escludono che possa durare di più.” Aggiunse dopo un po’, come a voler trovare il coraggio di dirlo.

Akito non riusciva a crederci, non poteva pensare che lei avesse accettato di lasciarlo, di mettere un oceano fra loro, non dopo che lui, invece…

“Mi dispiace, Akito. Non potevo rifiutare.”

“Potevi.”. Lapidario. Potevi, per me.

Solo che non hai voluto, vero Sana? Non hai voluto gettare la tua carriera, la tua vita, per me. Non sei stata così stupida.

Lo sono stato io per entrambi. Stupido, e illuso.  

“Mi dispiace”, ripeté lei quasi alle lacrime, e il fatto che lei stesse soffrendo, che lei si permettesse di piangere quando era lui quello che aveva fatto la più grande stronzata della sua vita, che aveva gettato al vento il suo futuro per inseguire una sciocca illusione e una ragazza che non lo amava e che era solo una maledetta egoista, lo fece infuriare più della rivelazione in sé.

Lo schiocco dello schiaffo risuonò per la stanza vuota. Era la prima volta che osava colpire Sana, la prima volta che aveva desiderato farle veramente male. E subito dopo averla toccata, si sentì morire dentro, i rimorsi che lo divoravano vivo, strappandogli brandelli di carne. Scioccato, la guardò massaggiarsi la guancia infiammata, quasi assente, incredula che lui avesse potuto fare una cosa del genere. Poi vide le lacrime affiorare dai suoi grandi occhi, e impotente la fissò mentre correva via, via dalla sua casa, dalla sua vita, da lui.

Sentì il suono dello schiaffo e i suoi singhiozzi anche molte ore dopo che lei se ne fu andata.

Ma soprattutto, Akito si sentì solo. Solo come non lo era più stato da quando una strana ragazzina aveva finto di essere sua madre in un gazebo nel parco, e in un modo che ancora gli era oscuro, lo aveva salvato.

 

 

Sana

 

La festa era riuscitissima, come tutte quelle in casa Kurata. I ragazzi si divertivano, urlavano, e sua madre girava per casa sulla sua macchina rossa, inseguita dal suo editore.

Sana sorrideva a tutti, scherzava, si era perfino fatta convincere a cantare una canzone. Fuka era stata un po’ preoccupata che la sua rottura con Akito potesse portarle via il buonumore, ma ora, vedendola così, sembrava risollevata.

Ma Sana era una grande attrice. Come la sua scuola d’arte le aveva insegnato fin da quando era piccola, riusciva a scacciare i suoi veri sentimenti in fondo al suo animo, mettendo sul proprio viso una maschera di allegria e spensieratezza. Perché Sana era Sana, e lei era sempre felice.

Doveva esserlo.

Nessuno degli invitati avrebbe mai sospettato che per tutto il tempo non aveva fatto altro che sperare che Akito venisse, che la perdonasse, così da potersi separare da lui in buoni rapporti. Sapeva di averlo ferito, di aver fatto una scelta egoistica. Avrebbe tanto voluto che la loro storia non fosse finita in modo così orribile.

Ma Akito non venne mai.

Quando la festa fu giunta al termine, Sana salutò tutti calorosamente, abbracciando le persone con cui aveva più stretti rapporti, inclusa Fuka. Le voleva molto bene. Era cosciente del sacrificio che lei aveva fatto, facendosi da parte, lasciandole il ragazzo che entrambe amavano. Era una buona amica, la migliore che potesse desiderare. Le venne da piangere quando si strinsero, e seppe all’istante che le sarebbe mancata da morire.

Come le sarebbe mancato Akito. Si chiese, non per la prima volta, se lei sarebbe mancata a lui. Akito le aveva detto che non la odiava, ma Sana non ne era sicura.

Dopotutto, lei odiava se stessa per quello che gli aveva fatto. E ci stava malissimo.

“Sei ancora in tempo.”

“Uh?” Sana trasalì, accorgendosi che era rimasta imbambolata davanti alla finestra. Sua madre le si avvicinò, lei poteva vederla attraverso il riflesso sul vetro. Il suo viso era serio, solenne, proprio come la volta che le disse di non essere la sua vera mamma.

“Non devi partire per forza, se non vuoi.”

“Ho firmato un contratto”, sospirò Sana. “Ed è…una grande occasione, per me.”

“Sì, lo è.” Confermò sinceramente lei. “Ma vorrei che tu riflettessi su una cosa, piccola mia.”

Sana si voltò verso sua madre, guardò in quegli occhi così simili ai propri, pronta ad ascoltare. Sapeva che i sorrisi finti che aveva rifilato a tutti i suoi compagni, non avrebbero mai potuto ingannare la madre che l’aveva cresciuta. Lei era cosciente di quanto stesse soffrendo, del peso che portava nel cuore, e come sempre, le fu di grande aiuto.

Dopo che ebbero smesso di parlare, Sana la abbracciò affettuosamente.

 

Il giorno dopo, andò da lui.

Akito era in casa, come aveva sperato. Fu proprio lui a venire ad aprirle, e fu con non poca sorpresa che la guardò.

“Akito...io…” Cominciò lei, senza sapere esattamente cosa dire. Ma non ci fu bisogno di spiegazioni, di troppe parole. Loro si erano sempre capiti anche senza parlare.

Così, lui la prese per i fianchi e la attirò a sé per un lungo bacio. Come le erano mancate, le sue labbra, la sua stretta. La dolcezza di quel momento la commosse. Quando si staccarono, lui la guardò con quei suoi occhi profondi, in una domanda inespressa che forse non osava fare, per paura di perderla ancora.

Perché?

Lei sorrise, e ripeté ciò che sua madre le aveva detto.

“Perché, che vantaggio posso avere dal diventare famosa in tutto il mondo, se non ho nessuno accanto a me, da amare?”

Nessuno, era la risposta. Poteva accontentarsi di essere celebre in Giappone.

Almeno finché aveva l’amore di Akito.

 

 

 

Fine

 

 

 

Note dell’Autrice: ciao! Solo un’altra piccola precisazione (lo so, parlo troppo! Me lo dicono tutti^^"): non sono sicura al 100% che esistano campionati mondiali di karate… (scusate l’ignoranza); comunque, per il bene della ff, facciamo finta che sia così.

Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e soprattutto chi recensirà. Farò tesoro di qualsiasi commento, ve lo prometto!

A risentirci,

Melany   

  
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