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Autore: Catherine Cain Earnshaw    29/06/2012    1 recensioni
In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sfogliando vecchi ricordi, pagine ingiallite, foto spiegazzate e sentimenti chiusi in qualche cassetto, mi sono imbattuta in un mio vecchio tema.

Risaliva al mio quarto anno di Liceo.

E mentre mi sforzo di ricordare il motivo per cui l'ho conservato, il mio sguardo si posa sul voto..1.

Ora ricordo.

 

Era una fredda mattina di novembre, una di quelle mattine in cui la nebbia di Milano ti entra nelle ossa e sembra sostare lì, ghiacciandoti l'anima.

Mi trascinai veloce, ancora intorpidita dal freddo e dal sonno, nell'area riservata ai fumatori, presi il pacchetto di Malboro dalla tasca e mi misi a frugare nella borsa in cerca dell'accendino, trovandolo puntualmente nascosto vicino alle chiavi di casa.

Il cielo era nuvoloso e gli alberi erano già spogli, eppure mi sembrava una giornata così bella..

sorrisi sulle ali della prima sigaretta della giornata.

Al suono della campanella delle 7.55 buttai il mozzicone a terra e mi avviai sulla rampa di scale che portava alla mia classe.

I miei compagni erano quasi tutti in corridoio, sembravano tante api arrabbiate, ronzavano di qua e di là borbottando.

Erano solo le 7.58 e già mi stavano guastando la giornata.

Al suono della seconda campanella ci trascinammo tutti in classe in attesa della professoressa, nelle prime due ore avremmo avuto il tema, il che spiegava il nervosismo dell'alveare.

Questa nuova professoressa, soprannominata "amichevolmente" Hitler II, aveva la sensibilità e la creatività di un vegetale, e a distanza di anni ancora non mi spiego il perchè abbia scelto di insegnare Italiano e Filosofia.

Entrò come sempre puntuale come un'orologio svizzero rotto, esattamente alle 8.25, dando la colpa a qualcuno che in macchina l'aveva fatta tardare.

Facendo due calcoli, noi abbiamo ipotizzato che questo fantomatico "qualcuno" facesse apposta ad aspettare la macchina della Hitler, altrimenti come si spiegherebbero gli assidui ritardi?

Tirò fuori dalla sua valigietta grigia dei fogli e sedendosi goffamente sulla cattedra senza nemmeno togliersi giacca e cappello, ci intimò di scrivere la traccia che ci stava per dettare.

"Descrivi te stesso."

Non ci aveva lasciato altre indicazioni, era un tema libero.

Guardai la mia pagina bianca e mi misi a pensare.

Dopo qualche minuto perso a osservare il foglio bianco e i miei compagni intenti nella stesura, mi venne una folgorazione.

Un'idea innovativa!

Raccolsi la penna nera e scrissi.

Una sola frase.

Una domanda.

"Quale delle tante maschere vuole che descriva?"

Osservai sulla carta bianca quell'unica frase e mi sentii orgogliosa di ciò che stavo facendo.

Era un'idea nuova.

Era azzardato.

Era perfetto.

Presi il foglio e consegnai.

La Hitler, che si era seduta ed era persa nella lettura di un quotidiano, alzò gli occhi dal giornale e con occhio stanco e inquisitore mi chiese che domanda avevo da porle.

Io scossi la testa.

"Io consegno, ho finito."

"Hai finito?! Com'è possibile?!"

vidi le teste dei miei compagni alzarsi e scambiarsi occhiate scioccate, per poi fissarsi su di me e sulla Hitler.

"Ho finito."

lei mi tolse il tema dalle mani e lesse la frase. Aggrottò la fronte e sbattè il tema sul tavolo.

"Ti stai forse prendendo gioco di me, Ricchetti?!"

"No prof., ho semplicemente scritto quello che mi sentivo di dover scrivere."

"Benissimo! Allora scriverò anche io quello che mi sento di Dover scrivere sul tuo tema!"

prese la penna rossa dal suo astuccio disordinato, e grande quanto la metà del foglio che avevo avanzato scrisse "1"

"Così impari a fare l'impertinente con me!"

mi lanciò il tema e io lo raccolsi.

Ero arrabbiata. Ero frustrata. Ero furibonda.

Respirai profondamente e la guardai negli occhi, i suoi erano di un grigio spento e si scontrarono con i miei occhi verdi carichi di emozione.

"Lei ci ha chiesto di descrivere noi stessi. Si aspetta che qualcuno scriva qualcosa di diverso da: mi chiamo Tizio, sono alto un metro e 60, sono simpatico ma ho tanti difetti e chissà cos'altro?!

Io sono stata sincera. Nessuno descriverà mai Se stesso!"

la Hitler si alzò e sbattendo i palmi delle mani sulle cattedrà, con la voce carica di rabbia disse:

"Ricchetti abbassa i toni o ti mando in presidenza! E ora vai a posto se non vuoi accompagnare questo bel voto da una nota!"

io continuai imperterrita con il mio discorso, mentre sentivo il vociare nervoso dei miei compagni che parlottavano fra loro.

Sostenni lo sguardo della prof. e continuai:

"Non ci vado a posto se lei non accetta di leggere con attenzione il mio tema. Il mio non era un affronto nei suoi confronti bensì verso la società! Ognuno di noi è costretto a nascondersi dietro qualche maschera. Persino lei. Lei è soltanto una persona annoiata che è stanca del suo lavoro, però lo maschera dietro un sorriso falso perchè la società vuole così!"

le sue guance avvamparono di vergogna e di rabbia, credo che nessuno prima di allora abbia mai osato sfidarla così apertamente.

"Ricchetti stai esagerando! Ti mando in presidenza e ormai la nota non te la toglie nessuno!"

"Lei si sta arrabbiando perchè sto facendo una cosa vergognosa per la nostra società."

ormai ero come un treno lanciato a folle velocità, nessuno avrebbe potuto fermarmi.

"Almeno te ne rendi conto ragazzina! Rispondere così a un professore è.."

non la lasciai nemmeno finire

"Non mi riferisco a questo. La cosa vergognosa che sto facendo è: dire la verità. E mi rendo conto che in questa società di ipocriti è una cosa assolutamente deplorevole."

dopo quest'affermazione la Hitler cambiò colore, dal rosso vivo che le accendeva le guance passò a un bianco cadaverico, mi artigliò una spalla e a grandi falcate mi trascinò in presidenza, vedevo alunni nel corridoio che mi fissavano curiosi e intimoriti.

Arrivammo davanti alla porta della presedenza e la Hitler si catapultò nella porta parlando senza quasi respirare, di come io ero stata impertinente e irrispettosa e qualche altro aggettivo che iniziava per "I".

Il preside sollevò gli occhi dalle pagine sparse sulla cattedra e sistemandosi meglio gli occhiali sul naso iniziò a far scorrere lo sguardo da me alla Hitler.

Quando lei ebbe finito il suo racconto in cui sembrava che io avessi dato fuoco a un banco per incitare una rivolta, e dopo che ebbi sentito risuonare la parola "ribelle" e "rivoluzionaria" un paio di volte il preside annui stancamente e guardandomi mi chiese con la sua voce bassa e strascicando ogni sillaba

"Hai qualcosa da aggiungere?"

"Ho semplicemente detto la verità."

e sostenni il suo sguardo, mentre la Hitler continuava ad additarmi come "squilibrata" e quant'altro.

Il preside ritenne opportuna una nota, che grazie alle incredibili storie della Hitler si trasformò in un'ammonizione.

Tornai stancamente in classe mentre la Hitler sconvolta si fermava a parlare con ogni professore che incontrava.

In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità.

La mattina seguente, in area fumatori, mentre stavo accendendo la mia Malboro, vidi un folto gruppo di ragazzi che discuteva animatamente e qualcuno che mi indicava sorridendo.

Feci per andarmene quando ad un tratto si levò un applauso, alzai gli occhi, dei ragazzi mi avevano bloccato la strada. Non potevo crederci.

Applaudivano me.

   
 
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