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Autore: Snafu    29/06/2012    2 recensioni
A chiunque creda nell'amore.
E magari nelle seconde possibilità.
Perché la notte fondamentalmente è il momento migliore per coltivarli entrambi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian May, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Made in Hell Series'
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When you’re screaming in the night

Capitolo XVII - Are you with me now?




Con il cambio di stagione la situazione di Dorothy non si era ribaltata. Aveva deciso di concentrarsi sul lavoro quanto più possibile, per non dover pensare ad altro. Anthea stava liquidando la terza coppa di gelato, mentre la mora era pervasa da uno strano senso di nausea. Da un periodo a quella parte il suo stomaco era letteralmente chiuso.

«Ma insomma, che hai? Non vuoi più uscire, ora neanche mangi. Non vuoi più fare niente... sembra che tu stia per morire.»

«Grazie, eh. Beh, non è colpa mia se sono così sfigata. Tu ti sei fidanzata a diciassette anni con l’uomo della tua vita, ora sei sposata con lui, ti sei laureata, hai una vita da favola. Io ho una vita del ca...»

«Scusa, ma mi pare che tu stia esagerando... dopotutto hai ben due trombamici! ...e che trombamici! Non tutti sono la fidanzata di Roger Taylor!»

«E Tim? Non lo sento da due settimane!»

«Scusa, ma è normale. Lui ti ha chiesto di sposarla e tu hai detto ‘no’. E poi lo sai, chi abbandona il campo vince sempre.*» sogghignò «Quindi è Tim che ti interessa? Sembri sconvolta!»

«Non lo so. Solo che mi mancano le sue attenzioni. Lo ammetto: sono una donna, e sono pure civetta.»

Dorothy si dondolò sulla sedia, intenta a cercare nel soffitto la risposta alle sua domanda: come capire chi amava di più?

«Cosa?! Lo stai ammettendo?»

«Dai, non infierire. Sono terribilmente indecisa.»

«Senti, mentre ti decidi, vado a fare pipì. Tutto questo gelato ha smosso qualcosa...»

«Grazie per il dettaglio.»

Anthea sparì in bagno e Dorothy rimase da sola con i suoi pensieri.

«Merda...» biascicò Anthea, uscendo dal bagno prima ancora di entrare.

«Beh? Che c’è?» disse Dorothy, andandole incontro «Dai, mi hai allagato il bagno?» domandò indispettita.

«Non fare la stronza e portami all’ospedale!»

«Oddio ma dici che ci siamo? Non mancano ancora due settimane? David torna dopodomani! Io non sono sicura di poter gestire la cosa da sola!» il panico inghiottì Dorothy in un nanosecondo.

«Non mettermi agitazione, sono già abbastanza in paranoia.»

«Ok, andiamo!»

«Aspetta!»

Con quell’unica parola la ragazza riuscì a fermare ogni tipo di movimento all’interno dell’abitazione.

«Che c’è? Non eri tu che smaniavi per andare all’ospedale?»

«Ma tu vieni con me in sala... vero?»


Roger Taylor era sdraiato a pancia sotto sul letto incredibilmente scomodo e duro senza di lei, fissando il telefono. Erano quattro giorni che non chiamava.

-Chiama... chiama!!- pensava rotolandosi dalla sponda destra a quella sinistra.

Incredibile ma vero, il telefono squillò.

«Pronto?» domandò all’istante, non appena sollevata la cornetta.

«Accidenti, ma che stavi, con la mano pronta per rispondere?» ironizzò la voce dall’altra parte, divertita.

«Noooooo, ho vinto alla lotteria? Come mai questa telefonata dopo quattro giorni di silenzio?»

«Non mettertici anche tu!»

«Hai ragione: dovrei essere felice, devo godere a pieno di questo momento. Allora? Dove sei? Che fai? Come sta andando? Ci vediamo?»

«Sono all’ospedale, sto per entrare in sala parto» rispose serafica l’altra.
«Cos’è? Uno scherzo? Vaffanculo Dot.»

«Oh, modera i termini. Anthea sta per partorire. David non è ancora arrivato e John, non sono riuscita a rintracciarlo. Devo andare con lei: lo sai che è una cagasotto.»

«Disse colei che ha abortito...» borbottò il batterista.

«Roger Meddows-Taylor! Fammi parlare! Ora chiami Brian, gli spieghi la situazione e gli dici di raccontare tutto a John! Portatemelo qui.» strillò la donna, facendo echeggiare la sua voce per tutta la corsia ospedaliera.

«Non posso farlo direttamente io?» si offese lui.

«No. Tu hai il tatto di un elefante. Lo faresti morire di crepacuore. Brian troverà le parole giuste...»

«Del tipo?»

«Del tipo non lo so, Roger, se le avessi sapute lo chiamavo direttamente io, John, no? Su ora devo andare, altrimenti quella partorisce senza di me.»

«Augurale buon parto! ...Ops. Ha attaccato.»


Anthea era parecchio nervosa. Stava aspettando il suo turno quando l’amica la raggiunse con indosso un camice verde, una cuffiettina e una mascherina.

«Beh? Si può sapere dove sei stata? Se non te ne sei accorta sto per partorire!» si lamentò istericamente, indirizzando gesti minacciosi verso di lei.

«Nervosetta, eh... ho fatto un paio di telefonate per fare in modo che tuo marito non apprenda la notizia dalla stampa scandalistica.»

«Quindi hai chiamato Roger? Che dice?»

«Ti augura buon parto.»

«È proprio un cretino. Beh, dopotutto perde il suo tempo con te...» bofonchiò, passandosi una mano sulla fronte.

«Signora Deacon?» domandò l’infermiera, guardandola «Andiamo su.»

«Ehm... Dot?»

«Sì, vengo.»

«No, un’altra cosa...»

«Cosa?»

«Se dovessi morire dì a tutti che gli ho voluto bene.»

«Anthè, ma perché devi fare la drammatica pure nelle fiction altrui?!»


Laughing like we’re crazy:
n
othing mattered,

nothing fazed me.
We were younger then, 
s
o much younger then...


«Daiiiiiiiiiiiiiiii» le urla di Roger si sentivano persino sulla luna... e non stava succedendo niente di sconcio, per la verità «quello era il mio panino!» 
I due si stavano rincorrendo per tutto il giardino. Dorothy era balzata sulle scalette che portavano a una piccola casetta sull'albero in cui Anthea era solita giocare da piccola. Da lassù gli aveva lanciato il panino, ma lui aveva fallito clamorosamente nell'afferrarlo e questo gli aveva causato ancora più risentimento. 
«Sei una frana, Taylor!» esclamò lei e il biondino saltò per raggiungerla, premeditando una vendetta sanguinosa.1


Everything seems rotten 
t
hrough the eyes of the forgotten.
We were dumber then, 
s
o much dumber then...


«... Se non hai fiducia in noi...» Roger iniziò a obiettare, poi si zittì, rendendosi poi conto che era tutto vero, che non c'era niente da dire. Il punto cruciale della discussione, a tutti gli effetti, non esisteva, perché quel bambino, non esisteva. Avrebbe potuto, sì, odiarla, avrebbe avuto, sì, il diritto di gridare. Ma a cosa sarebbe valso? Non ne aveva neanche tanta voglia. Si sentiva così enormemente triste, dispiaciuto, voleva rintanarsi in un angolo come di solito faceva lei, e piangere. Chiudersi per una volta nel dolore. E cercare conforto nell'unica persona che, per la verità, gli aveva inferto la ferita, e che era anche l'unica che sapeva come curarla.2

The years have took their toll
a
nd all the things I can’t control
c
ome back to haunt me now...
a
lmost taunt me now.


Dorothy continuava a fissare, dalla poltroncina infondo alla stanza, la figura materna di Anthea che giocava con il suo piccolo Robert. Appoggiava con tutta la delicatezza dell’universo le labbra carnose sulla piccola testa mentre con l’indice accarezzava le piccole mani ancora strette in due piccoli pugni, e cullava la creatura con piccoli movimenti, quasi impercettibili.
Quel momento di assoluta perfezione fu interrotto dal singhiozzo strozzato di Dorothy che si copriva il viso per la vergogna.

«Santo cielo, adesso che succede?» domandò la donna, preoccupata.

«Ma, niente... è che siete così belli.»

Bugia. Neanche Anthea impiegò molto per capire che i suoi pensieri volavano oltre quella coltre di lacrime e felicità per l’amica. C’era il rimpianto. E anche il rimorso. C’era tutto quello che lei aveva buttato via con enorme sacrificio e che adesso rivoleva indietro con disperazione. Improvvisamente si era resa conto di aver rinunciato alla felicità a portata di mano, semplice, perfetta e per sempre, e di aver accettato in cambio un calvario che la stava portando dritta al manicomio. Per quale diavolo di motivo sputare su un piatto così ricco per avere in cambio un pugno nello stomaco? Perché sacrificare Roger e il suo bambino? Di cosa aveva avuto paura davvero? E perché continuava ad averne?


What’s left to be afraid of?
We found out what we are made of...

Di colpo la porta fu spalancata e i Queen al completo fecero ingresso nella stanza.

Anthea, spaventata, strinse il bambino al petto con fare protettivo.

L’infermiera li seguì immediatamente, scusandosi con Dorothy, o meglio, con i suoi occhi annacquati che sputavano fiamme dalle iridi per l’inaspettata irruzione.

«Mi scusi, io ho provato a fermarli, ma...»

«Non importa, adesso può andare.»

John si fermò di colpo in mezzo alla stanza e guardò madre e figlio nel letto. Tutti lo guardarono e ci fu un momento di suspense.

«J-John?!» azzardò Brian.

Fu in quell’esatto momento che gli occhi del bassista si rovesciarono, le sue gambe cedettero e se non fosse stato per gli altri tre che lo avevano afferrato prontamente avrebbe avuto un incontro molto ravvicinato e di certo poco piacevole con il pavimento.


And we’ve come this far:
w
e both have the scars.

Anche Dorothy si alzò di colpo per prendere un cuscino dalla poltrona e farglici appoggiare la testa, mentre Brian gli sollevava le gambe. Anthea, si sporgeva nel vano tentativo di vedere qualcosa... come se poi ci fosse stato qualcosa da vedere.

«Ma guarda te, è svenuto come un pappamolle...» commentò Roger divertito.

«Avresti fatto la stessa cosa...» replicò la mora, senza dargli troppa soddisfazione.

«Avrei... forse... boh! A questo punto dubito che lo saprai...»

Anthea sgranò gli occhi, pronta ad assistere ad una delle scenate più violente e rumorose della storia, ma Dorothy non disse niente, non fece niente non alzò neanche lo sguardo dallo svenuto per incrociare quello del fidanzato.

Era stanca di trattare male Roger per qualcosa che non aveva fatto, che non avrebbe comunque potuto fare. E poi c’era gente. Meglio non fomentare inutili dubbi. Sapeva perfettamente qual’era il problema: e il problema era lei.


Well have I judged a book by how it’s bound?

Am I lost or am I found?

Are you with me?

Non avrebbe mai deciso: era troppo insicura per farlo, e se non fosse stato qualcun altro a fare la scelta per lei, la situazione sarebbe rimasta così, in perfetto equilibrio e allo stesso tempo ad un basso dal baratro, creando quella sensazione di serenità e allo stesso tempo dello stomaco attorcigliato per il terrore che qualcosa possa andare storto.

Ma aveva troppa paura a lasciarlo andare. Sarebbe rimasta sola, avrebbe perso la via. Il punto era proprio quello: puoi ritrovare qualcosa solo dopo averlo perso.

Debbie aveva ragione.  C’è per tutti un momento nella vita in cui devi tornare indietro e ammettere di aver sbagliato. E smettere di scaricare la colpa su tutti gli altri.

Sfiorò con il pollice il ventre vuoto, poi si accarezzò il cuore.

Un battito.

Sorrise.


Are you with me now?
Come back from the dead.
You’ve been inside your head for too long.
Are you with me now?
Find the places that scare you...
c
om’on, I dare you!
Are you with me?
Are you with me?

» Just give me, give me, give me, give me... Fried Cath!


Avrei voluto aspettare ancora un po’ prima di postare questo capitolo, perché a mio avviso è il più bello di tutta la storia. Per il suo contenuto, per la canzone che ho scelto e perché rappresenta il punto di svolta della trama. Poi però è successa una cosa, quindi, alla luce di una conversazione che abbiamo avuto martedì, anche se non c'è una ricorrenza particolare, io vorrei dedicare questo capitolo ad Antea.


«Antea: un motivo in più per non fare figli.

Cat: sono la cosa più bella del mondo.

Antea: ah sì?»


Ecco, credo che la risposa alla tua domanda giaccia più che mai in questo capitolo.

Buona lettura a tutti quanti voi e un "maltornata" a me :)

C.


1Made in Hell, feat. MrBadGuy, cap. XVI.

2When you’re screaming in the night, cap. IX.

   
 
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