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Autore: slice    01/07/2012    6 recensioni
Affetta/o da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.
Mi odio da sola, quindi è ragionevole pensare che anche voi, alla fine di questa strana ff, mi odierete molto.
Itachi e Mikoto da soli, in una bolla d'amore circondata d'odio. Che fastidio.
Auguri, Anna! ^^
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Itachi
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Prima dell'inizio
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Crack, fanon o canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I ♥ Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »













Attimi indispensabili per la fine
di slice







Itachi, sei veramente un bambino dolce.”



Mikoto chiude gli occhi. Il suo petto si gonfia e una lacrima scende quando il rumore della testa del marito che cade sul pavimento le giunge alle orecchie. Sorride portando via quella lacrima, ormai scesa, con la lingua. Va bene così, dopotutto. I suoi figli vivranno, Itachi si prenderà cura di Sasuke; Mikoto ne è certa.
Mentre attende la katana del suo primogenito con un sorriso sulle labbra, porta la mente al suo matrimonio, dove tutto è cominciato. E un istante dopo è davvero là, ad occhi aperti, ad osservare l'evento da fuori.



C'è un anello al suo dito, Fugaku sorride senza guardarla; è un uomo composto che ha ricevuto un'educazione severa, ma è felice, Mikoto lo vede, lo sente nello stomaco.
Suo padre sta guardando male il padre di Fugaku; mille cose son state discusse tra quei due, non c'è un singolo aspetto del suo matrimonio che non sia scritto su fogli ufficiali, recanti il timbro del clan Uchiha. Dovrà avere due figli maschi, ad esempio, per garantire che la vita da ninja ne lasci almeno uno alla guida del clan, e fino ad allora continuerà ad avere gravidanze. Mikoto ha riso quando sua madre glielo ha comunicato, poi l'espressione della donna non è cambiata e lei si è fatta seria, riuscendo a scorgere un futuro in cui avrebbe potuto avere un ragionevole attacco di panico. Ma adesso non importa, loro sono felici.
C'è confusione, in quella sala. La cerimonia è sfarzosa, tutto il clan partecipa e in quel momento i più giovani li incitano ad un bacio. È tutto molto rumoroso fuori dai suoi confini, se parlasse non riuscirebbe a sentire la propria voce, mentre la confusione nella sua testa si traduce in un battito serrato, nella sua gola, sulle sue tempie. Ed è in quel bacio, con i volti così vicini per quel breve tempo, che Fugaku prende la sua mano e la porta sul proprio petto. Anche il suo cuore sembra impazzito.



Itachi gira intorno alla coppia, osserva quelle mani, in silenzio. L'immagine è bloccata.
Mikoto ha una mano sulle labbra e le lacrime spingono forte per uscire.
“Sembrava che dovesse durare per sempre...” sospira.
Itachi non la guarda, continua ad osservare quel bacio, gli occhi chiusi, le mani congiunte sul petto di suo padre.
“La stessa realtà che conosciamo è un'illusione, madre: io ti amo, ma posso scegliere una persona sola.”



Conosce molto bene quella stanza d'ospedale, è semplice e bianca, sembra abbastanza intonsa per accogliere l'animo puro di un bambino. Mikoto lo ha pensato nella veglia agitata della notte precedente, poi c'è stato il travaglio e il parto, tutto è passato in secondo piano.
Le spinte sono sembrate laceranti e solo in seguito, quando ha potuto avere una visione del suo bassoventre si era accorta di tutto il sangue che era uscito; sembrava comunque qualcosa di normale per i medici che avevano particolare affanno solo nel chiederle un'ultima spinta.
E proprio in quell'ultima spinta le sue urla si sono mescolate con un pianto frenetico che l'ha fatta sorridere, sudata ed esausta.
Le è sembrato che l'infermiera ci mettesse troppo tempo per pulire il suo bambino e il cuore ha preso a battere più forte, forte come le è successo pochissime volte. Un attimo dopo, la stanza è vuota e quel fagotto è nelle sue mani, un pensiero le balena subito in testa: è perfetto.
Non sa cosa dire, il bambino ha smesso di piangere, come se attendesse di sentire cosa lei ha da dirgli. Mikoto rimane a bocca aperta, con la testa colma di parole e nessuna che abbia il suono di quello che vuole davvero dire. Alla fine si arrende.
“Ciao,” dice solo, per prima cosa, guidata dall'istinto. Poi tace per un attimo, perché nient'altro che fissarlo negli occhi sembra importante, quegli occhi neri, così piccoli, la cui profondità si scorge anche se sono semichiusi. “Sono contenta di conoscerti, Itachi,” e si asciuga una lacrima con il dorso della mano.
Il vano della porta, lasciata aperta dalle infermiere, ospita Fugaku, lui e la sua strana espressione hanno la testa inclinata da una parte.
Mikoto prosegue, ignara dell'ospite.
“Sai, non credo di poter proteggere nessuno, in questo momento, ma quando arriverà tuo padre lo incaricherò di farlo anche per me. Devi avere pazienza, con lui, non è facile, ma è un uomo buono,” sorride, pensando all'espressione idiota che probabilmente farebbe se fosse lì, senza sapere che è proprio quella che ha, “e non ridere quando si arrabbia, lo so che è terribilmente buffo, ma lui crede di essere minaccioso, vorrei che continuasse a pensarlo,” ridacchia, incoerente, baciando il piccolo palmo della mano del bambino.



Itachi è immobile. Osserva quel bambino piccolo, osserva se stesso e la serietà di sua madre nel raccomandargli di essere adulto già dopo pochi minuti dalla sua nascita, poi viene passato nelle braccia del padre, quando lui palesa la sua presenza. Sembra che entrambi amino fissarlo negli occhi, lui non si ricorda di tanto rispetto mentre suo padre uccide la sua infanzia a colpi di responsabilità, ma ha una vaga sensazione addosso, un ricordo lontano, come se appartenesse ad una vita precedente.
Mikoto, dietro di lui, cade in ginocchio e le lacrime rigano il suo viso; non riesce a staccare gli occhi da quel bambino. È davvero perfetto.



Ancora una volta si trova in una stanza d'ospedale, c'è odore di sangue e i capelli del bambino che ha in braccio sono umidi e nerissimi.
“Ciao, Sas'ke, sono la tua mamma,” Mikoto piange già e tira su con il naso, senza ritegno, direbbe Fugaku.
Quelle dita minuscole le ha già viste, poi stringe gli occhi annebbiati dalle lacrime sulla manina, stende le dita con una delle sue e si accorge che è evidente, quelle sono diverse, sono di un altro bambino e sono così belle che le bacia. Gli occhi sono sfuggenti, pare che voglia dormire.
Un altro bambino moro fa capolino nella stanza. La voce del padre lo richiama all'ordine.
“Itachi, non disturbare.”
Ma lui ha visto la mamma sorridergli e porgergli quel coso minuscolo. Ipnotizzato, non fa altro che avvicinarsi al letto della madre, in silenzio si guardano e, senza che lei le dica niente, allunga le mani e prende il fagotto. Itachi rimane a contemplare quel piccolo esserino, un po' gonfio e sonnolente, poi Mikoto gli accarezza la testa, correndo con le dita sulla sua piccola coda bassa, oltre le spalle.
“Tuo padre sarà troppo impegnato a proteggere te... Sei intelligente, Itachi, un giorno ti accorgerai che gli uomini non sono particolarmente bravi a fare due cose insieme,” Mikoto è seria, pare sia una verità, quella. “Proteggilo tu, tuo fratello!” adesso sorride, invece, ma è un sorriso serio. Itachi ha sempre saputo che c'è qualcosa di speciale che aleggia sulle donne, sulle madri in particolar modo, il suo istinto gli ha sempre suggerito di fare tesoro di qualsiasi loro consiglio.
Si volta verso il fratellino, ci pensa un momento e poi torna a guardare la madre.
“Lo farò,” dice, con quella sua serietà solenne fuori luogo per un bambino.
A Mikoto viene da piangere di nuovo, quegli occhi neri la stregano ogni volta, con quella profondità e quella dolcezza, le sciolgono il cuore. Spera di riuscire ad essere più madre, con Sasuke, perché occuparsi totalmente di Itachi le è mancato. Lo abbraccia, dicendogli che gli vuole bene.
Fugaku si intravede, fuori dalla stanza, non è un ninja nel giorno della nascita dei suoi figli, ma solo un uomo maldestro, un padre con migliaia di pensieri in testa. Sta lì, appoggiato al muro, con un pezzo di sandalo che spunta dalla porta che fa sorridere la moglie, quando lo scorge.



Mikoto piange, stanca e confusa. Quelli sono i ricordi più preziosi che ha.
“Itachi...”mugola, in una supplica.
La stanza d'ospedale è di nuovo il salotto di casa loro. Gli occhi di Mikoto cadono sul corpo del marito nel tentativo di voltarsi verso il figlio. Lei li serra e un singhiozzo le scuote il petto.
“Mi hai chiesto di proteggerlo ed è quello che farò,” dice Itachi, muovendo la mano con la katana.
Mikoto pare tornare lucida, si tira in piedi con fatica e si volta verso di lui, sembra abbia realizzato che Sasuke tornerà a breve dall'accademia. Quello che non vede invece è la katana arrivarle addosso e Itachi fa in tempo a spingergliela dentro fino all'impugnatura, prima che lei provi davvero tutto quel dolore.
Rimangono in piedi, instabili e vicini al punto che Mikoto vede le lacrime del suo bambino, gli sembra che quegli occhi neri siano stati violentati dalla vita. La loro profondità è diventata un abisso dove quella dolcezza rischia di perdersi.
Lei lo sapeva, pensava di essere preparata. Ha visto nubi scure e minacciose addensarsi sul loro futuro, Mikoto ha potuto solo sperare per il meglio, in fondo ha avuto paura per così tanto tempo che ormai ci si era abituata. Aveva messo la sua vita nelle mani di Fugaku, ma lui guardava altrove e non ha visto quelle conseguenze arrivare, o forse credeva che fossero ancora molto lontane.
Itachi non ha potuto salvare sia il villaggio che il suo clan.
Con la mano accarezza il suo viso, cercando di sorridere. Non è colpa sua, gli uomini non sanno fare due cose insieme.
“Va bene, Itachi...”
Ma le donne sì, le madri possono odiare il destino e amare il proprio figlio tanto da comprenderlo e perdonarlo.
Chiude gli occhi e si appoggia a lui, priva di forze, “va tutto bene, amore mio,” riesce a sussurrare, prima del buio.





Owari













È frettolosa, non è venuta come la volevo io. Mi sento un po' costretta a postarla perché l'ho cambiata milioni di volte e non riesco a concepire qualcosa migliore di così, non amo l'angst e neanche dover parlare di questo momento della vita di Itachi, ho mal di testa, una scadenza, e altri due compleanni in sei giorni. Ma non mi piace granché.
Mi dispiace e mi scuso con la festeggiata: questo, evidentemente, è il mio massimo - spero che almeno riguardi solo l'angst, questo limite. (Speranze vane! XD)

Questa malinconia tagliavene è per una delle due mamme del nostro gruppo, Annamariz.
Senza niente togliere all'altra mamma, *butta un bacio a Nejiko* dal momento che è il compleanno di Anna, parliamo di lei. ^^

Annamariz è una Mamma, una con la M maiuscola, che ti viene da pensare, in situazioni come quella in cui si è trovata Mikoto, darebbe la vita per i suoi figli. È una di quelle mamme di un tempo che sembra sappia risolvere tutto, dà buoni consigli e ha dei valori, ma ha anche lo spirito giovane che serve per comprendere e far evolvere le nuove generazioni. Forse la vedo così solo per una sensazione legata all'età, non so se c'entra davvero la saggezza o la bellezza della gravidanza che rende tutte le donne più luminose, ma Annamariz sembra uno di quegli adulti che cercavo quando ero bambina e mi trovavo in difficoltà. Di quelli che ispirano fiducia, ecco. Ho questa sensazione, nella pancia.
E io sono ancora la bambina sperduta che esprime concetti con parole semplici perché ha il cuore giovane, le persone che mi comprendono e mi mostrano che le stesse parole semplici possono essere usate per tante sfumature diverse e tutte belle, diverse ma giuste, ognuna nel loro modo, mi affascinano. Le ammiro perché per me è questa la maturità. Tendo, in un modo infantile, a vederle adulte e vorrei riuscire ad essere così anch'io; so che ancora, a volte, anche se poi pensandoci e ripensandoci mi accorgo dell'errore, mi succede di cadere nel giochino del 'se una cosa mi sembra sbagliata deve esserlo per tutti'. La vita, tramite queste persone, mi ha insegnato che l'importante è avere motivazioni sensate e riuscire ad essere obbiettivi anche nel giudicare le cose che si amano di più.
Le persone che sanno farlo mi fanno crescere e non credo che ci sia davvero un modo per ringraziarle, la mia autostima non mi permette di credere che la mia amicizia possa bastare, ma in fondo in fondo, ci spero.

Auguri Annamaria!





I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.



  
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