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Autore: Maggie_Lullaby    01/07/2012    1 recensioni
CrissColfer week 2012:
Day 1 - Meeting
Day 2 - After Glee
Day 3 - Favourite 2012 Moments
Day 4 - AU
Day 5 - Glee Live
Day 6 - Missing Moments
Day 7 - The Dublin Kiss
**
«Darren, se osi venire a mangiare qui prima della scena del nostro primo bacio, ti tiro un pugno».
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chris Colfer, Darren Criss
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cambio di rating per questo prompt, dato che tratta temi più seri.

Capitolo 4. AU

 

Quando Darren aveva detto alla sua famiglia e ai suoi amici che voleva arruolarsi, la maggior parte di loro l'avevano definito un perfetto idiota.

«Ti vengono i sensi di colpa ad ammazzare una mosca e vuoi andare a uccidere delle persone?!», gli aveva urlato Chuck con tutto il fiato che aveva in corpo, dopo avergli tirato uno schiaffo.

Sua madre aveva tentato in tutti i modi di fargli cambiare idea, supplicandolo, piangendo, pregandolo in tutti i modi di non partire, dicendo che non era necessario, che non era la cosa giusta per lui.

Ma Darren non aveva cambiato idea. Pochi mesi dopo era partito, insieme a un convoglio di coetanei, pronti a dare la vita per il loro Paese.

Era andato tutto bene, all'inizio. Non era come se l'aspettava. Per la maggior parte lui e la sua squadra, capitanata dal Generale Roger Philips, facevano giri di ricognizione intorno all'accampamento, controllando come fosse la situazione.

Per mesi, Darren fu fiero di poter dire di non aver usato il fucile nemmeno una volta, ad eccezione delle sessioni di allenamento.

I suoi genitori si erano calmati grazie alle lettere del figlio, che spediva quasi quotidianamente, e anche se Chuck si rifiutava ancora di parlargli, Darren sapeva che leggeva tutte le lettere che gli mandava grazie a suo padre, che lo informava di tutto ciò che succedeva a casa.

Darren era convinto che, in poco più di un anno, sarebbe stato in grado di tornare a casa senza dover fare nessuna di quelle cose orribili che si vedevano alla televisione negli Stati Uniti, come lanciare granate, sparare contro i nemici, assistere a delle esplosioni.

Cambiò tutto una mattina di Aprile. Otto mesi dopo il suo arrivo.

Lui, il generale Philips, e il resto della sua squadra – composta in tutto da nove elementi – stava facendo il solito giro di ricognizione: da un paio di giorni c'era agitazione nelle zone circostanti e l'intero accampamento era stato in subbuglio. Si diceva che i nemici stessero per attaccare la cittadina poco distante e nessuno aveva avuto un attimo di riposo da allora.

Darren non era particolarmente preoccupato, se doveva essere onesto. Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere e tutte le volte precedenti si erano rivelate essere dei falsi allarmi.

«Ehi, Darren», chiamò un suo compagno, Andrew, attirando la sua attenzione. «Smettila di guardarti intorno con quell'aria da pesce lesso e datti da fare».

«Simpatico ed educato come sempre, Drew», commentò Darren con un mezzo sorriso, impugnando meglio il fucile mentre Roger, alla guida del fuoristrada, cercava di evitare le grosse buche presenti sulla strada sterrata.

Andrew gli fece il verso e gli diede una spallata amichevole.

«Sai, Darren, saresti così adorabile se non fosse per i tu-».

Darren non seppe mai cosa stava per dire Andrew.

Un attimo prima stava guardando il suo compagno di convoglio, sorridendo divertito, mentre il resto della squadra li guardava, e un attimo dopo sentì un rumore fortissimo lacerargli le orecchie, sentì il suo corpo che veniva lanciato in aria, per poi sbattere contro il terreno.

Poi non sentì più nulla.

**

Quando Darren si svegliò, capì subito che si trovava in un posto diverso dal suo accampamento, perché non c'era modo che la sua branda fosse così comoda e che facesse così fresco.

Aprì gli occhi lentamente, sbattendoli un paio di volte, cercando di guardarsi intorno.

Cercò di tirarsi sui gomiti, ma la sua spalla destra ruggì in risposta e si rimise nella posizione iniziale con una smorfia.

«Oh, sei sveglio», disse una voce melodica e Darren spostò lo sguardo verso la fonte di quel suono.

Era un ragazzo. Ma era troppo bello per essere solo un ragazzo, i suoi occhi erano troppo azzurri per essere umani e la sua voce era troppo bella per poter appartenere a una persona normale.

«Sono morto?», chiese con voce impastata. «Sono in paradiso?».

L'angelo – perché di un angelo doveva trattarsi – fece un sorriso tranquillo.

«Ed ecco l'effetto degli antidolorifici che fanno effetto», disse. «Sono Christopher Colfer, sono il tuo medico. Sei in un ospedale militare a Singara*, il tuo convoglio è stato colpito da una mina. Sei qui da un paio di giorni».

Darren fece un'espressione confusa, poi ricordò: il rumore, lui che veniva sbattuto a terra... e poi un uomo sconosciuto che lo portava via, il viaggio su un pullman medico...

«Come stanno i miei compagni?», domandò con voce flebile.

Il sorriso di Chris si spense.

«Sono rimasti tutti feriti, chi più e chi meno gravemente, sono stati portati in altri ospedali nelle vicinanze... Sfortunatamente il soldato Andrew Harrinson non ce l'ha fatta».

Darren fissò Chris per cinque lunghi secondi.

«Io...», cominciò, sentendo un dolore che non poteva essere curato dagli antidolorifici crearsi nel suo petto.

«Sono molto dispiaciuto», disse Chris, e sembrava sincero.

Darren non rispose.

«La tua spalla destra è slogata, il tuo piede destro rotto e hai sbattuto forte la destra, ma con un po' di fisioterapia e buona volontà, ti riprenderai completamente. I tuoi genitori sono già stati avvertiti...». Darren trattenne rumorosamente il fiato a quell'informazione: non aveva ancora pensato a loro. «E ti aspettano a casa il prima possibile. Volevano venire qui ma non è una buona idea e li abbiamo scoraggiati. In un paio di settimane prenderai l'aereo e ti riporterà a casa negli Stati Uniti».

Darren annuì piano.

«Io... grazie».

«Prego», commentò Chris. «Lo so che dovrei darti del lei, ma sinceramente hai praticamente la mia età e mi sento un idiota a parlare così con i miei coetanei. Ti dispiace?».

Darren corrugò la fronte, confuso.

Antidolorifici, Darren, antidolorifici.

«No, io... affatto», disse poi.

«Perfetto!», sorrise Chris. «Ora dormi, hai bisogno di riposarti, passerò tra qualche ora a vedere se hai bisogno di me».

Darren fece un cenno d'assenso con la testa, poi chiuse gli occhi.

Un minuto dopo già dormiva.

**

Nei giorni che seguirono, Darren si rese conto che tutta la storia della riabilitazione poteva andare molto peggio.

Non appena era stato in grado di sostenere una conversazione decente aveva chiamato i suoi genitori, i quali erano scoppiati a piangere e gli avevano chiesto se voleva che lo raggiungessero, ma Darren li aveva rassicurati e detto loro che si sarebbero visti da lì a un paio di settimane. Chuck gli aveva parlato per la prima volta da otto mesi e gli aveva chiesto scusa per almeno una dozzina di volta per non essersi fatto sentire per tutto quel tempo prima di calmarsi.

Poi, aveva chiamato il suoi compagni di squadra. Stavano tutti bene, più o meno, ed alcuni erano già pronti per tornare a casa.

La salma di Andrew era già stata riportata negli Stati Uniti e in pochi giorni ci sarebbero stati i funerali: solo coloro che sarebbero rientrati a casa in un paio di giorni avrebbero potuto parteciparvi.

Darren maledì la sua gamba e il suo colpo in testa per non poter andare.

In tutto questo, Chris si era rilevato una compagnia molto piacevole.

Quando non era impegnato con altri pazienti, passavano le ore a parlare, anche sino a notte fonda, raccontandosi delle loro famiglie, le loro vite, i loro ricordi e i motivi per cui erano lì.

«Volevo essere utile», aveva risposto Chris quando Darren gli aveva domandato cosa ci facesse così lontano da casa. «E negli Stati Uniti... sì, potevo aiutare, ma non era abbastanza, capisci cosa voglio dire? Così sono venuto qui. Tra pochi mesi finisce il mio contratto, però, e tornerò in California».

«Abito anch'io lì», aveva detto Darren, e da lì avevano iniziato a chiacchierare a proposito di uno degli Stati più assolati degli Stati Uniti d'America.

Ogni volta che Chris si presentava da lui, il cuore di Darren sembrava perdere un battito e a volta si chiedeva se non fosse tutto un sogno, se magari fosse veramente morto e Chris non era altro che un angelo.

«La tua spalla è ufficialmente a posto», disse con soddisfazione Chris, togliendogli l'ultima benda e dando un'occhiata alle radiografie che aveva fatto a Darren il giorno precedente. «Sarà un po' rigida per qualche tempo, ma hai giù un appuntamento con un fisioterapista per quando tornerai a casa».

Darren annuì, in silenzio.

«Stai bene?», gli chiese Chris, guardandolo negli occhi. «Oggi avrai detto sì e no due parole. Sei emozionato di tornare dalla tua famiglia, dopodomani?».

Darren, ancora una volta, non rispose.

«Penso che noi due dovremmo uscire insieme», disse con tono tranquillo.

Chris rimase a guardarlo in silenzio.

«Pensa prima a rimetterti in sesto», disse poi, con un sorriso radioso. «Poi ne riparliamo».

Due giorni dopo, Darren tornò negli Stati Uniti.

Quando rivide la sua famiglia, ci furono lacrime, abbracci e baci per lunghi, lunghi minuti.

Darren sarebbe rimasto a vivere con i suoi per un po', il tempo necessario per far sì che guarisse anche il suo piede.

Chris gli aveva lasciato il suo numero.

Tutte le sere, prime di andare a dormire, Darren gli scriveva un massaggio, per la maggior parte gli raccontava com'era andata la sua giornata e gli chiedeva cosa avesse fatto lui, se stava bene, se il suo nuovo paziente era carino perché, davvero, lui sapeva diventare molto geloso.

Una sera, invece, semplicemente gli scrisse “Mi manchi”.

E il mattino, quando si svegliò, trovò un messaggio che lo fece sorridere per il resto della giornata: “Mi manchi anche tu”.

Tre mesi dopo, la spalla di Darren era completamente guarita, e il suo piede era ormai senza gesso. Continuava ad andare dal fisioterapista, ma ormai non gli dava più nemmeno fastidio.

Era tornato a vivere a casa sua, nonostante Chuck lo venisse a trovare praticamente ogni giorno.

Sembrava che tutto stesse andando per il meglio.

Un mattino, poi, ricevette un messaggio che rese il tutto ancora più perfetto.

Tra due giorni torno a casa”.

Chris. Chris stava tornando in California. E il buco che c'era nel cuore di Darren quando pensava a quel ragazzo sapendolo lontano, si riempì di gioia.

Tre giorni dopo indossò un completo elegante, fece ben attenzione a mettersi a posto i capelli e provò allo specchio il suo sorriso migliore.

Quando arrivò in aeroporto, vide che il volo di Chris era appena atterrato.

Aspettò davanti al gate d'uscita per quelli che gli parvero secoli, finché non lo vide.

Camminava con una grossa valigia in mano e una ancora più grossa veniva trascinata dall'altra, indossava solo un paio di jeans e una maglietta scura.

E a Darren non parve mai più bello.

Lo raggiunse a metà strada, sorridendogli.

Chris sembrava sorpreso di vederlo, non si aspettava che lo raggiungesse all'aeroporto.

«Sono guarito», commentò con leggerezza Darren. «Che ne dici di quell'appuntamento?».

Il sorriso di Chris si fece ancora più grande.

E annuì.

 

Continua...

 

Lo so, sono in ritardo di un giorno çwç Ieri sono tornata a casa troppo tari e non sono riuscita a scrivere, e ho trovato tempo solo ora.

Non so come mi sia venuta in mente quest'idea: stavo leggendo una fic di Finn come militare e, puf, ho pensato di scriverci il prompt di ieri. All'inizio volevo fare qualcosa di più spinto, ammetto, (lalalla, spogliarellisti, lalalallallalalala) ma poi mi sono resa conto che non ne sarei stata probabilmente in grado, quindi ho scritto questo. Quindi Soldier!Darren e Doctor!Chris.

Ve lo immaginate Chris vestito da dottore? Cioè kciewfgdeofrvo2rf *muore nella sua stessa bava*

Spero vi sia piaciuto! Grazie come al solito per le recensioni, risponderò appena posso! Spero tra oggi e domani.

Questa sera posto il prompt di oggi!

Ora scappo, sono già in ritardo.

Ciaoooo <3

  
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