Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Arisu95    01/07/2012    2 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE. Ciao! Questo capitolo l'ho scritto qualche giorno fa, anche se non l'ho mai pubblicato qui. Uhm, forse dovrei dirvi che in questa fanfic alcuni personaggi muoiono ... Scusate se non l'ho detto prima, mi sono dimenticata ... ç___ç'' Detto questo, credo sia tutto.
Spero vi piaccia, e se vi va, recensite, mi farebbe piacere C:

Ary.

 
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Capitolo 9

Mentre le sporadiche nuvole scure si spostavano pigramente sul manto blu del cielo, velando di mistero la bella luna piena, tutti sembravano dirigersi con foga verso il centro.
Le auto si ammassavano sulle strade e nei parcheggi, riflettendo sulla carrozzeria colorata le luci artificiali di insegne e lampioni.

"Fuck ..." - Si lamentò Arthur, scrutando nervoso la situazione fuori dal finestrino.

Quella maledetta festa aveva causato traffico ovunque.
L'inglese iniziò a mordersi il labbro ed a corrucciare le sopracciglia, contando ogni battito del suo cuore ed ogni secondo che passava.
Ogni maledetto secondo.
Ogni maledetto secondo, ogni maledetta auto, ogni maledetta persona che lo allontava da Francis.
Imbottigliato nel traffico com'era, ci avrebbe messo una vita ad arrivare.

Non che fosse così eccitato all'idea ...
No, no per niente!
Non sapeva neppure perché, il metterci tanto tempo, lo innervosisse così tanto.
C'era Francis ad aspettarlo, e allora?
Gli avrebbe aperto la porta, lo avrebbe baciato, gli avrebbe detto qualche stupidaggine in francese ... E poi ...
Poi lo sapeva, cosa sarebbe successo.
Lo sapeva bene, eccome.

Deglutì, decidendo di reprimere l'impazienza, convincendosi che non c'era proprio alcuna ragione di essere impaziente.
Già ... A lui, di quelle cose che Francis voleva, non importava nulla ...
Proprio nulla.
Voleva andare a casa in fretta, perché era stanco e non vedeva l'ora di buttarsi sul letto.

A dormire.
Diamine, buttarsi sul letto a dormire!
Si disse più volte nella mente, immaginandosi l'espressione maliziosa che Francis avrebbe fatto, se fosse stato lì ad ascoltare i suoi pensieri.

La strada per casa era ancora lunga, troppo lunga.
Sarebbe arrivato molto prima a piedi.

"Scusi, mi lasci qui."

"Come?"

"Ho fretta, faccio prima a piedi. How much?"

"Due euro ..."

L'inglese pagò, ed uscì dal taxi in silenzio.
Doveva raggiungere quella maledetta casa, possibilmente senza incontrare nessuno.
Non che conoscesse molta gente, in Italia ... Giusto Francis, qualche collega di lavoro e ...
Quel ragazzo.
Feliciano.
Quel tipo invadente che aveva già incontrato tre volte.
Quella mattina, avrebbe giurato di averlo visto sul balcone di casa sua.
Sua e di Francis.

Aveva forse sbagliato ...?
Sì, doveva essere un piano più in basso, o più in alto.
Forse il balcone appena più a destra, o a sinistra.
No, non poteva essere il cugino di Francis.
Si chiamava allo stesso modo, ed aveva un parente nel suo stesso palazzo.
E allora ?!
Quante persone, in quella città, avrebbero potuto facilmente corrispondere a quella descrizione ...?
Decine, di sicuro!
Cercava di convincersene, nonostante una parte di lui avesse già accettato la verità.


"Veeeeh! Ci sono davvero tante bancarelle!" - Esclamò estasiato Feli, come un bambino alla sua prima volta in un Luna Park.

"Già! Anche i negozi sono aperti!" - Rispose Elizaveta, con la stessa eccitazione, guardandolo con la coda dell'occhio, come una mamma. - "Che ne dici di girare un po' sotto i portici?"

"Ok!" - Il dolce sorriso di Feli non poteva nascondere del tutto le sue preoccupazioni.

Seppur dischiuse in un sorriso, le sue labbra ed i suoi occhi trasmettevano un senso di inquietudine e tristezza.
Come a nascondere un profondo dolore.
Come a fingere che non fosse successo nulla.
Come ad illudere le persone che amava che stesse bene, per non farle preoccupare troppo.

Gilbert poteva essere nei paraggi ...
Feliciano tremava ad ogni ombra proiettata sulla strada, ad ogni presenza dietro di lui.
Già se lo immaginava, bello come sempre, con gli occhi scarlatti puntati su di lui, a denudarlo fino a penetrare il suo cuore.
Prima di allora, avrebbe pagato per avere quella sensazione.
Non c'era cosa che desiderava di più, di quegli occhi color rubino e quel sorriso da teppista, per chiudere gli occhi e lasciarsi andare tra le sue braccia, avvolto da Amore.

Ora no.
Ora quegli occhi li temeva.
Temeva il suo sguardo pentito, temeva che le sue iridi rosse naufragassero nelle sue, chiedendogli perdono in modo così puro e seducente da non poter essere contestato.
Feliciano sapeva che a quegli occhi e quel volto avrebbe ceduto.
Era stato il motivo per cui, dopo la brutta scoperta, era fuggito via.
Perché solo incrociare il suo sguardo, gli avrebbe fatto venire voglia di perdonarlo.
Perdonarlo, come se nulla fosse accaduto, perché lo amava e lo voleva per sé.
Perché sapeva che, infondo, anche Gilbert lo amava.
Avrebbe nascosto il suo profondo dolore, solo per sparire tra le sue braccia.
Avrebbe cercato di dimenticare, convincendosi che era stata solo una sbandata.

Ma non aveva alcuna intenzione di ascoltare il suo cuore.
Era una richiesta stupida ed egoista.
Accettare un errore del genere, per il puro desiderio di volerlo al suo fianco.
Anche a costo di illudersi che non fosse successo niente, che mai nessun altro aveva sfiorato i pensieri del tedesco, oltre a lui.
No, per una volta, voleva ascoltare la sua testa.
Per quanto ne avesse sofferto, era giusto così.
Non poteva perdonarlo.

"Carina quella!" - La voce di Elizaveta lo fece tornare alla realtà.

Il ragazzo si voltò verso la vetrina, dove capeggiava una maglietta leggera, di un materiale simile al velo, senza la manica sinistra ed una lunga manica destra, quasi fin sopra le dita del manichino.

"Credo che ti starebbe molto bene, Eli ..." - Commentò l'italiano, dandole una veloce occhiata.

"Quasi quasi la provo! Dai, entriamo!"

Elizaveta si sentiva inadeguata.
Continuava ad agire cercando di convincersi che non fosse successo niente, che nulla stesse preoccupando Feli.
Ma quello che ne usciva, era un comportamento piuttosto forzato, spensierato ad ogni costo.
Si domandava se l'italiano se ne fosse accorto.
Sperava proprio di no ...
Infondo, il motivo per cui aveva chiesto a Feliciano di uscire con lei, era proprio quello di distrarlo ...

"Hola! Feli!" - Un ragazzo si avvicinò a loro.

Aveva la carnagione olivastra e gli occhi verdi, oltre ad un sorriso smagliante.
Qualcosa suggeriva ad Elizaveta di averlo già incrociato, da qualche parte, ma proprio non riusciva a ricordare dove.
Forse a qualche festa ...
Ma la ragazza bionda al suo fianco, non le diceva proprio niente ...

"Antonio!" - Lo salutò Feliciano, ma presto la sua espressione mutò. - "Tu sei ... Bella, giusto?"

"Sì ... Piacere." - Cercò di sorridere la ragazza, benché sapesse che la situazione non era delle più piacevoli.

Da quanto aveva capito dai racconti dello spagnolo, quel ragazzo era il fratello del suo ex.
E lei era stata la causa della loro rottura.
Probabilmente, anche Feliciano la odiava.
Eppure, l'espressione che aveva in volto, non era di pura rabbia o antipatia.
Era più ... Immensa tristezza.

"Piacere mio ..." - Rispose l'italiano, mordendosi il labbro.

Se Antonio non avesse conosciuto Bella ...
Se Bella non si fosse innamorata di Antonio ...
Lo spagnolo non avrebbe mai lasciato Romano.
E Romano non avrebbe mai fatto quello che aveva fatto.
Anche se la colpa, infondo, era prima di tutto di Gilbert, Feliciano non poté fare a meno di provare una certa antipatia nei confronti di quella donna, benché fosse un qualcosa di estraneo al suo carattere.

"Lei ... Lei é Elizaveta. Antonio, credo che tu l'abbia incrociata qualche volta ... A qualche festa con Romano ..." - Spiegò Feliciano, cercando di cambiare discorso, benché qualsiasi cosa rimandasse ad argomenti scomodi, ora per lui, ora per Bella.

"Ah! Ecco dove ti ho già vista!" - Esclamò lo spagnolo, facendole un cenno con la testa.

"Anche a me sembrava di averti già incontrato da qualche parte!" - Sorrise Elizaveta con fare amichevole, benché temesse qualche uscita di Antonio riguardo a Gilbert.

Era certa che, sotto il sorriso, anche Feliciano ci stava pensando.
Anche lui era teso, come,se non più, di lei.

"Piacere Elizaveta! Io sono Bella, la sua fidanzata!" - Si presentò ancora la belga, stringendosi al braccio del ragazzo, che le diede uno sguardo insieme tenero e sorpreso.

"Feli ... Hai sentito Romano? Come sta?" - Chiese lo spagnolo, guadagnando un'occhiataccia di Bella, che si strinse ancora di più a lui.

Sapeva che era meglio non parlare di certi argomenti.
Sapeva che a Bella dava fastidio, e che, probabilmente, anche Feliciano, per quanto non lo avesse voluto dare a vedere, non era poi così contento del suo comportamento.
Ma, infondo, lui e Romano si conoscevano da molto tempo.
Era inevitabile che, per quanto si fossero lasciati, avesse un minimo di interessamento per come si sentisse in quel momento.
Dopotutto, se il ragazzo stava così male ... Era colpa sua.

Non si era certo pentito di averlo lasciato.
Amava Bella, e non sarebbe mai tornato indietro.
Ma, per quanto alla ragazza questo non piacesse, continuava a nutrire un certo affetto nei confronti dell'italiano.
Perché erano stati insieme per anni, e perché non era solo il suo fidanzato, ma anche uno dei suoi pochissimi amici.
Forse l'unico.

Chiedere a Feliciano come stava, forse suonava un po' come una presa in giro.
Una presa in giro per tutti.
Ma saperlo, gli interessava davvero.
Aveva riconosciuto il fatto che era stato brusco, a lasciarlo in quel modo.
E non voleva vederlo soffrire.
Desiderava che si ricostruisse una vita, e fosse felice senza di lui.
Era cio' che voleva, quello che qualsiasi buon amico avrebbe sperato.

Alla domanda, l'ungherese sentì un brivido dietro la schiena, e si voltò di scatto verso l'italiano.
Si sentì debole e smarrita, come se la domanda fosse rivolta a lei.
Come se quella che si era trovata di fronte la persona amata, nuda e insieme ad un altro, fosse stata lei.
Come se, quell'amico che voleva farle dimenticare le sofferenze, fosse stato Feliciano.
Come se, quella tradita due volte, dall'amato e dal fratello, fosse stata lei.

Il ragazzo rimase un attimo muto.
Aveva sentito il cuore trafitto da una lama di ghiaccio, ed era come se l'anima avesse lasciato il suo corpo, e si stesse vedendo da fuori.
Lui, testa bassa a coprire occhi e pensieri, e il mondo intorno.
L'uomo che aveva tradito suo fratello, di fronte, a chiederne notizie.
Come se gli importasse qualcosa ...
Come se gli importasse sapere che, dopo averlo sperimentato sulla sua pelle, Romano aveva deciso di far provare anche a lui come ci si sentisse, quando la tua stessa vita pare crollarti addosso.
Come se gli importasse sapere che, ora, quello che avrebbe voluto morire, era lui, Feliciano, e non certo suo fratello.

Bella, stretta ad Antonio, con fare maniacale, come se temesse che qualcuno glielo potesse portare via, da un momento all'altro.
Gli occhi splendenti, l'anima da cane da guardia, a mettere in chiaro, ogni secondo, che quella era 'roba sua'.
E di quel fantasma, quel tale 'Romano', aveva ancora paura.
Feliciano glielo leggeva in volto.
Spirito guerriero a combattere qualcuno che non esisteva più.
Riviveva forse nei pensieri dello spagnolo.
Non potevano certo immaginare, loro, che intanto Romano si era dato da fare.
Non potevano immaginare che per lui, Antonio non esisteva più.

Al fianco di Feliciano, Elizaveta.
Gli occhi verdi come uno specchio.
Specchio della sua tensione.
Ci si poteva specchiare, e leggere cio' che stava provando.
Come se quella tradita, fosse stata lei.
In quel momento, apprezzò davvero il suo altruismo.
Quelli in cui credeva di più, l'avevano abbandonato, tradito, preso in giro.
Solo lei, solo lei e Francis gli volevano davvero bene.
Sì, solo loro avevano capito come si stesse sentendo ...

Intorno, quelli a cui non importava nulla.
Ignare comparse nella sua vita, che non sapevano nulla di lui, e nemmeno volevano saperne.
Quelli non lo amavano, non lo avevano mai amato.
E non l'avevano nemmeno mai tradito.
Chissà, se avrebbe potuto fidarsi di uno di loro, uno qualsiasi, senza esserne preso in giro.
Chissà, se qualcuno avrebbe mai aperto le sue braccia per lui, consolandolo, senza mai pretendere nulla in cambio, e senza mai tradirlo.

"Sta ... Meglio. Molto meglio." - Rispose in un filo di voce, sorridendo appena.

"Meno male ..." - Sospirò Antonio. - "Sai, l'altro giorno ho incontrato Gilbert!"

Vedere Feliciano uscire senza l'albino, era cosa davvero rara.
Lesse un certo cambio di atteggiamento negli occhi dell'italiano, non appena quel nome fu pronunciato.
Era successo qualcosa?
Avevano litigato, forse ...?
Ma no, magari Gilbert si era allontanato un attimo con il marito di Elizaveta ... Forse erano appena fuori dal negozio.
In ogni caso, non aveva voglia di chiedere.
Non aveva voglia di intrattenersi con Feliciano in probabili lunghi discorsi, dai quali Bella sarebbe stata inevitabilmente tagliata fuori.
Infondo, Antonio non aveva più niente a che fare con loro ...
Era amico di Gilbert.
Solo questo.
Certo, Feliciano gli stava simpatico, ma era certo che qualcosa in lui fosse cambiato, almeno nei suoi confronti, dopo la rottura con suo fratello.

Glielo leggeva negli occhi.
Era distaccato, con il sorriso forzato e gli occhi fuggiaschi.
Glielo leggeva in volto, che qualcosa non andava.
Non gli andava di parlare con lui, per quanto si stesse sforzando di farlo.
Doveva essere così, di sicuro.
Conosceva bene lo sguardo tipico dell'italiano, conosceva la sua allegria.
E sapeva per certo che quel Feliciano era ben diverso da quello che aveva imparato ad apprezzare.

A quel nome, l'italiano aveva avuto un lieve scatto con la testa, gli occhi per un attimo illuminati, risvegliati come da un bagliore, per poi posarsi di nuovo tristi sullo spagnolo, cercando invano di scappare altrove.
No ... Non aveva voglia di parlare di Gilbert.
Non aveva alcuna voglia di dire nulla.
Non a lui.
Né a lui, né a nessun altro.
Voleva godersi la serata, e basta.
Perché, perché, tra tutti quelli che avrebbe potuto incontrare, proprio Antonio ...?

"Uhm, non so se te l'ha detto, però avevamo pensato di organizzare una rimpatriata, più avanti ..." - Decise di proseguire, benché un senso di colpevolezza lo stesse assalendo, vedendo l'espressione dell'italiano mutare segretamente in peggio. - "Quando le cose con Romano si saranno sistemate ..."

"... Sarebbe bello ..." - Ammise in un filo di voce Feliciano, sforzandosi ancora una volta di sorridere, le guance pallide tese in un'espressione forzata, e la voce insieme felice e stanca,
Stanca di fingere.

"Vorrei anche fare pace con Francis ..." - Aggiunse, sperando che il cambio di argomento compiacesse l'altro. - "A proposito, me lo saluti?"

"Sì! Con piacere!" - Al nome del francese, Antonio notò un sorriso più sincero ravvivare le labbra quasi inermi dell'italiano.

Lo spagnolo sorrise di rimando, sollevato.
Feliciano lo stava davvero facendo sentire in colpa ...
Non che non si sentisse già in quel modo, non che non si fosse già sentito così.
Ai tempi in cui nascondeva a Romano un mondo intero.
Ai tempi in cui lo lasciava a gridare nervoso e da solo, chiudendo la porta dietro di lui ed andando da Bella.
Ai tempi in cui tornava tardi la notte, cercando di nascondere il profumo della belga, solo per buttarsi sul letto al fianco dell'italiano, stanco ma ancora voglioso.
Con la voglia di fingere che tutto andasse bene.
Che lo amava ancora, e lo voleva ancora, se non più ardentemente di prima.

Sì, si era sentito colpevole.
Si era sentito un uomo orribile.
Si era sentito così per molto tempo, ed anche allora, con Romano ormai alle spalle, e Bella tra le sue braccia ogni istante, ci ripensava e si sentiva in colpa.
Ma Feliciano, aveva il potere di amplificare ogni cosa.
Quegli occhi ambrati trasparivano un immenso dolore.
Antonio quasi si sorprese: doveva volere davvero un bene immenso a Romano.
Pareva soffrire come se quello tradito fosse stato lui.
Forse stava soffrendo ancora più del fratello.
O, forse, era solo meno bravo a nasconderlo.
O più abile nell'ascoltare i bisogni e i dolori del cuore.

"Bella! Ma sei italiana?" - Elizaveta decise di rompere il silenzio, leggendo chiaro negli occhi di Feliciano il suo sconforto, prendendolo per mano e muovendo l'altra in direzione della bionda, sorridendole amichevolmente.

"Non, je suis belge!" - Rispose lei, felice di poter cambiare discorso.
Amava Antonio, ma questa sua piccola ostinazione nel voler vivere nel passato, le dava un po' sui nervi.
Insomma, non pretendeva certo di estirpare lo spagnolo da tutte le sue amicizie ... Ma, con tutte le persone che potevano incontrare, proprio il fratello del suo ex ?!
... E le era già andata bene, che non fosse il diretto interessato.
Perché era certa che Antonio, alla vista di Romano, si sarebbe fermato a salutarlo.
Perché, come diceva, erano anche amici.
Lo odiava ... Non lo conosceva bene, ma solo il suo nome le faceva ribollire il sangue nelle vene.

"Tu?" - Proseguì, con il suo accento piuttosto francofono.

Antonio aprì la bocca, ma la richiuse subito, senza dargli fiato.
'Cara! Te l'ho mai detto che il cugino di Romano é francese?'
No. Era meglio non parlarne.
Anche cambiando il nome di Romano con quello di Feliciano, dirlo non era una buona idea.
A maggior ragione in quel momento, vista la chiara volontà del francese di voler mantenere le distanze, almeno per qualche tempo.

"Sono ungherese!"

"Davvero? Non l'avrei mai detto! Hai una pronuncia perfetta, sembri italiana!"

"Grazie! Sono in Italia da molto tempo, avrò avuto ... Sui sette o otto anni, quando sono arrivata qui!"

"Beh, sentire una lingua straniera già quando si è piccoli, credo aiuti molto ..." - Sembrava simpatica, dopotutto.

"Credo di sì ... Mio marito già aveva sugli undici,dodici anni e ha fatto già un po' più fatica ..."

"Sei già sposata? Complimenti!"

Mentre le ragazze parlavano, Antonio continuava a fissare Feliciano, e Feliciano il pavimento.
Qualcosa non andava in quel ragazzo, ne era sicuro.
Certo, era sensibile, molto legato al fratello ... Ma, che ce l'avesse tanto con lui per aver lasciato Romano, non riusciva a crederci.
Non era solo questo.
Non poteva essere solo questo ...
Doveva esserci qualcos'altro sotto, ne era certo.
Tanto certo quanto lo era il fatto che non avrebbe mai potuto chiederglielo.
Avrebbe peggiorato ancor di più il loro rapporto, e non voleva perdere per sempre la sua amicizia.
Gli voleva bene, come a un fratello ...


"Tsk, non é possibile una cosa del genere!" - Sbuffò Austria, le mani sul volante, guardandosi attorno.

Imbottigliato nel traffico.
Come tutti gli altri.
Chi diamine gliel'aveva fatto fare, di uscire?
Avrebbe potuto restare a casa, a suonare qualcosa ...
Ah, già, schiamazzi notturni.
Quella vecchia denuncia gli mandava ancora il sangue al cervello.

Solo perché una sera, non accorgendosi dell'ora tarda, si era messo al pianoforte giusto dieci minuti, a suonare Chopin.
Solo dieci, maledetti minuti.
Dieci minuti per vedersi recapitare a casa una multa.
Dieci minuti di schiamazzi notturni, erano bastati a Roderich per odiare i suoi vicini di casa.
Se li salutava ancora, era solo perché era un signore.
Perché sicuramente, un uomo che suona Chopin alle dieci di sera, vale dieci volte quei coniugi che, spesso e volentieri, tenevano la radio a tutto volume, costringendolo a sorbirsi scempi come Rap e House.

"Dove andremo a finire ..." - Sospirò, sentendo in lontananza la radio maleducata di un' auto, mentre davanti agli occhi assenti si apriva la portiera di un taxi ed un ragazzo usciva, spazientito, prendendo a camminare a passi lunghi e decisi.

Maledicendosi per non essere uscito di casa a piedi, notò un'auto poco distante lasciare il parcheggio, e decise di approfittarne.
Qualsiasi cosa, anche una passeggiata tra lo smog, sarebbe stato meglio di rimanere chiuso in macchina tra musica assordante ed abbaglianti invadenti.
Parcheggiata l'auto, si sistemò la camicia ed i capelli, guardandosi attorno.

Doveva esserci un locale lì vicino ...
Ricordava di esserci stato molte volte con Elizaveta, ed una o due persino con Feliciano e Gilbert.
Quel maleducato di Gilbert ...
Era insopportabile.
In qualsiasi posto di classe, sembrava un pesce fuor d'acqua.
Sembrava essere nato apposta per fargli fare brutta figura.
Si vedeva lontano un miglio, che aveva sempre bazzicato i bassifondi.
Non sapeva nemmeno come un ragazzo come Feliciano, avesse potuto innamorarsi di lui.
Gli idioti hanno spesso lo strano potere di attrarre i bravi ragazzi, purtroppo ...

L'albino era il genere di persona che l'austriaco avrebbe volentieri evitato.
Se ci era uscito insieme, era solo perché amava Elizaveta, e non voleva litigare con lei.
Era indisciplinato.
Maleducato.
Rumoroso.
Imbarazzante.
Sempre a sghignazzare, a dar pacche sulle spalle (e quanto avrebbe voluto rispondergli per le feste! Ma era un signore, a differenza sua), sempre a mangiar patate e bere birra.
Lo odiava, lo odiava con tutto il suo cuore.

Per quanto gli dispiacesse per Feliciano, doveva ammettere che era contento della loro apparente rottura.
Quel ragazzo non era per niente adatto a lui.
Come poteva, un angelo come Feliciano, andare insieme ad uno scapestrato del genere ?!
Era inaccettabile!
Nessuno dei suoi amici si sarebbe ridotto così!
Certo, la vita era la sua, e non gli aveva mai detto apertamente quello che davvero pensava ...
Ma, per quanto stesse soffrendo, non poteva nascondere molto la sua soddisfazione.

Si era seduto ad un tavolo.
Lo stesso di sempre.
Provò un senso di smarrimento nel non trovare gli occhi di Elizaveta di fronte a lui.
Quel locale era il loro.
Quello che, anni prima, era stato una delle loro prime mete, quando Roderich, ironizzando sull'infanzia da maschiaccio della ragazza, diceva di volerle insegnare le buone maniere e la classe.

Tutte sciocchezze.
Quelle cose erano innate, nella sua Eliza.
Erano rimaste nascoste in lei, in attesa di maturare e dare il meglio di loro.
Poi, erano maturate tutte d'un colpo.
Sbocciate come meravigliosi fiori, come quelli che aveva iniziato a mettere tra i capelli.
Quelli che l'austriaco adorava sentire sotto le dita, mentre le accarezzava le ciocche di seta.
Quelli di cui amava sentire il profumo, mentre percorreva la sua testa ed il suo collo con le labbra.
Quel profumo era buonissimo, secondo solo a quello della pelle dell'ungherese.

"Dovresti smetterla di pensare a lui!" - Una voce interruppe i pensieri di Roderich.

Non gli era particolarmente familiare, eppure, era sicuro di averla già sentita, da qualche parte ...

"Lo so, Feliks ..." - Un'altra voce.

Feliks?
Anche quel nome, l'aveva già sentito ...
Posò appena lo sguardo sugli altri tavoli, scrutando il viso di ogni persona con occhio insieme fuggiasco e scientifico, finché non lo trovò.
Pochi tavolini vuoti davanti a lui, un ragazzo dai capelli biondi, a caschetto.

Dove l'aveva già incontrato ...?
Certo! Il concerto della sera prima!
Guardava seccato il ragazzo di fronte a lui, le iridi verdi e le dita intrecciate.
L'altro, non lo guardava neanche, gli occhi assenti di un verde più tenue, come se faticasse a parlare.
Come se, quell'argomento, gli fosse tutt'altro che gradito.

"Intanto mi chiedo perché tu abbia accettato il suo numero ..." - Sbuffò Feliks, chiaramente infastidito.

"Te l'ho detto, ha insistito ... Mi ha praticamente tolto il cellulare dalle mani! E poi lo sai, com'é fatto ..." - Sospirò l'altro, passando nervoso il cellulare tra le dita un po' sudate - "E ... Insomma, non mi convince."

"Non ti convince? Solo ora non ti convince? Da quanto mi hai raccontato, non é mai stato uno stinco di santo ... Te lo dico io, cos'ha in mente quello." - Serrò i denti e diede un leggero pugno al tavolo - "Non gli é andata giù che l'hai mollato. E sta cercando di riavvicinarti. Ma che ci provi, che lo ammazzo! E provaci anche tu, ad abbassare la guardia, e giuro che mi incavolo!"

"Non lo so, Feliks ... Non so se sia questo il motivo per cui ha voluto ridarmi il suo numero ..." - L'altro alzò le spalle, sconsolato. - "Ma resta il fatto che non mi convince. Quando gli ho chiesto se, dopo di me, aveva avuto qualcun altro, mi ha detto di no ..."

"Certo, perché quel bastardo é ancora innamorato di te!"

"Però mi sembra strano." - Proseguì, ignorando completamente il polacco. - "Mi sembra strano che uno come lui sia rimasto solo. Avrà anche un pessimo carattere, ma non ci credo ... In più, quando mi ha risposto, aveva un'espressione in volto che mi ha fatto paura. Come se mi stesse nascondendo qualcosa ..."

"Ti stai facendo un sacco di paranoie inutili!" - Sbuffò di nuovo. - "Non capisci che stai facendo il suo gioco? Continui a pensare a lui! Cosa dovrei dire?"

"Feliks, tra me e Ivan non c'é più niente, e mai ci sarà qualcos'altro." - Spiegò, la voce calma, raggiungendo appena le dita di una mano con le sue. - "Voglio solo assicurarmi che non stia facendo nulla di strano. Perché, come hai detto, non é uno stinco di santo. E quell'espressione che aveva, era davvero terrificante. Sta tramando qualcosa, me lo sento. E devo scoprire cosa, anche se ne ho paura."

"Io capisco le tue intenzioni. Mi fido di te, Toris ..." - Anche la voce dell'altro, ora, era quasi inudibile. - "... Ma, se fossi in te, starei il più lontano possibile da quell'uomo. Non giocare con il fuoco ... Non ti sono bastate le cicatrici che hai sulla schiena, per imparare la lezione?"

"..." - Toris abbassò la testa, deglutendo, come a farsi forza.

Se la schiena, ogni tanto, ancora gli bruciava come fuoco, era colpa di quell'uomo.
Sua, e del suo amore malato.
Lo sapeva, lo sapeva bene che, con il suo ex-fidanzato, era meglio non averci nulla a che fare.
Ma lo conosceva.
Lo conosceva bene, forse meglio di chiunque altro, e conosceva quell'espressione.
La conosceva, e aveva imparato a temerla, perché da essa non scaturiva mai niente di buono.

Sospettava che gli avesse mentito.
No, non poteva essere rimasto solo.
Non con quell'espressione.
Non con l'espressione che aveva ogni volta, poco prima che le sue carezze si trasformassero in schiaffi, e i fremiti di piacere in grida di dolore.
Ma se era solo, allora a chi era diretto, quel sorriso malato?
A lui ...?
No di certo, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa di nuovo.
Non ora che aveva ripreso a vivere, e che aveva qualcuno che lo amava veramente.
O, forse, semplicemente qualcuno che era capace a dimostrarlo.

"Scusa ..." - Sbuffò il biondino.

"Come ...?"

"Scusa. Non volevo ricordartelo ..." - Gonfiò appena le guance, come un bimbo dopo aver confessato una marachella, posando gli occhi verdi altrove.

"Tranquillo! Non preoccuparti!" - Lo rassicurò Toris, coprendogli la mano con la sua - "Aš tave myliu ..."

"..." - Bastò quel poco contatto fisico, per ridipingere un largo sorriso sulle labbra del polacco. - "Anche io ... Kocham cię!"

"La sua ordinazione."

"Come?" - La voce del cameriere distolse Roderich dall'ascolto della conversazione.

"La sua ordinazione ..." - Sorrise di nuovo, lasciando la bevanda sul tavolino.

"Oh ... Grazie."

Così preso dai suoi pensieri, non si era nemmeno accorto di aver ordinato.
Avrebbe voluto salutare Feliks, da gentiluomo qual'era, ma sembrava piuttosto assorbito dalla conversazione con il ragazzo.
Non voleva disturbarli.
Rimase a meditare su quelle ultime parole dal suono strano e straniero, chiedendosi cosa mai volessero dire, e posando le labbra chiare sul bordo del bicchiere, intento a dissetarsi.


"Hai intenzione di rimanere qui seduto tutta la sera ...?" - Chiese Ludwig, fissando serio il fratello maggiore, seduto su una panchina.

"Tu vai pure dove ti pare, se vuoi ..." - Rispose scontroso Gilbert, i gomiti sulle ginocchia e le mani tra i capelli color neve. - "Non voglio andare in centro. E' troppo rischioso."

"...?" - L'altro rimase immobile ad ascoltarlo, le mani sui fianchi e gli occhi di ghiaccio, con la compostezza di un soldato.

"Magari incontriamo Francis, oppure ..." - Si bloccò. No ... ll nome di Feliciano era diventato un tabù doloroso. Gli veniva la nausea solo a pronunciarlo, quel nome, mentre la sua espressione, davanti all'ascensore, gli torturava il cuore e la mente. - "... Meglio di no. Io me ne sto qui al parco."

"Gil ... Non ti lascio solo. Se stai qui, allora ci sto anche io." - Concluse, poca emozione a smuovergli la voce, sedendosi al suo fianco.

L'albino continuava imperterrito a fissare la terra un po' umida, i ciuffi d'erba scura qua e là e qualche cartaccia dimenticata mossa dalla debole brezza.
Il biondo lo guardava, cercando di non farsi scoprire.
All'improvviso, ebbe un dolce dejà-vu, e un sorriso gli addolcì per poco i tratti duri e severi.

La sua mente era volata indietro nel tempo, quando era ancora piccolo.
Quando il suo volto era come una luna piena, e gli occhioni azzurri pieni di emozioni, come un grande libro aperto.
Lui, piccolo e debole, a fissare pieno di ammirazione il suo fratellone, guardandolo dal basso verso l'alto come se fosse un eroe.
Era un eroe.
Il suo eroe.

Osservava attentamente ogni sua mossa, e provava ad imitarlo.
Lo spiava di nascosto, quando si guardava allo specchio mostrando a sé stesso i muscoli, e sperava di diventare come lui.
Lo spiava, dalla porta della cucina, quando era in soggiorno con i suoi amici, e sperava di poterne avere altrettanti.

Probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato più alto e più robusto.
Neppure lui, lo avrebbe sperato.
Invece, si era ritrovato, senza volerlo, a guardarlo dall'alto verso il basso e, anziché renderlo felice, questo lo deprimeva.
Perché il suo corpo pareva essere diventato presuntuoso, con la voglia non più di rispettare la magnificenza del fratello, bensì di eguagliarlo e superarlo.
Era un pensiero stupido, Ludwig lo sapeva, ma non poteva farci nulla.

Vedere l'uomo, il ragazzo che da sempre aveva preso come esempio di forza e di bravura, in quelle condizioni disperate, gli faceva male.
Era come un drago senza più ali né poteri.
Come un cavaliere senza più terre.
Come un re senza più corona.

Quell'uomo straordinario era proprio al suo fianco.
Più basso, più magro e più sconsolato.
Gli sembrava di essere un gigante, al fianco di un pulcino caduto dal nido.
Il pensiero lo divertì e rattristì al tempo stesso.
Il fratello minore era lui.
Non doveva essere lui, quello più basso e da consolare?

"..." - Silenzioso, fratello minore imprigionato nelle sembianze di un fratello maggiore, appoggiò un braccio attorno al collo di Gilbert.

Così, senza dir nulla, perché a nulla servivano le parole.
Specialmente le sue.
No, non era mai stato bravo con le parole.
Mai quanto il suo fratellone.
Voleva solo fargli capire che non era solo.
Che, per quanto Ludwig credesse che l'albino aveva fatto un grave errore a tradire Feliciano, non lo avrebbe abbandonato, mai e poi mai.
Perché, se aveva fallito come fratello minore, superandolo in quanto a muscoli ed altezza, voleva almeno rendersi utile come fratello maggiore.
O, perlomeno, voleva provare a fingere di esserlo.
Almeno per qualche istante, mentre l'altro pareva vegetare nel vuoto, senza terra sotto i piedi.

"...!" - Gilbert ebbe un lieve sussulto, sorpreso dal gesto del fratello.

Si voltò appena, accennando un sorriso, per poi spingersi verso la panchina, appoggiandoci la testa e premendo il collo contro il braccio di Ludwig.
A naso in su, le stelle parevano navigare nelle acque rosse dei suoi occhi.
Voleva poter smettere di pensarci.
Voleva poter smettere di pensare ai due italiani, almeno per un istante, sebbene tutto, in quel momento, glieli riportasse alla mente.

"Chi l'avrebbe detto, Lud, che un giorno saresti stato tu a consolare me ..." - Sospirò, cercando di sorridere ancora, gli occhi incollati sull'oceano scuro del cielo. - "... Danke."

Ludwig chiuse gli occhi, e i ricordi lo assalirono di nuovo.
Ricordi in cui era piccolo e grasso, e Gilbert era come un re davanti a lui, inginocchiato per concedergli una carezza.
Ricordi in cui piangeva, perché i bambini sanno essere tanto cattivi quanto fragili, e l'albino lo consolava.
Ricordi in cui si gridavano e lanciavano di tutto, chiudendosi nelle rispettive stanze senza parlarsi per ore.
Ricordi in cui, uno dei due, apriva lentamente la porta, accorgendosi che l'altro stava facendo esattamente lo stesso, ed entrambi la richiudevano orgogliosi di colpo.
Ricordi in cui uno dei due, alla fine, metteva da parte l'orgoglio ed andava a bussare alla porta del fratello, scoprendosi entrambi stanchi di tenersi il broncio, e scoppiare in una cristallina risata.

"Credo che i fratelli siano insieme la più grande benedizione e maledizione che Dio abbia potuto darci!"

Quella frase gli aveva colpito le tempie così, all'improvviso, e il suo cuore iniziò a battere più forte.
Glielo aveva detto Feliciano, qualche tempo prima.
Gilbert, Antonio e Romano si erano allontanati per qualche istante, e loro erano rimasti sotto le stelle, a parlare.
Erano finiti col descrivere i loro rispettivi fratelli, e Feliciano aveva concluso con quell'affermazione, sorridendogli felice, mentre la brezza gli accarezzava le guance e scompigliava i capelli.
Se lo ricordava bene, come se fosse stato il giorno prima.

Perché ...?
Perché quando pensava, o vedeva Feliciano, si sentiva così?
Era una sensazione strana, come un benessere misto a malessere.
Come una profonda voglia, ostacolata da un misterioso divieto.
No ... Non doveva pensarci.
Non ora.
Gilbert gli era accanto, e sembrava essersi tranquillizzato.
Perché doveva iniziare ad agitarsi lui ...?
Lo guardò appena con gli occhi azzurri e stretti, tirando un sospiro nella speranza di cacciare via i pensieri.

Finalmente, un bagliore.
C'era lui, e c'era Gil.
Lui, fratellino minore, e Gil, fratello maggiore.
Ah, beati e dolci ricordi ...


Francis, seduto in soggiorno, si stava ormai lentamente addormentando, quando il cellulare sul tavolo improvvisamente suonò, facendolo trasalire.
Era un messaggio.

'Sono qui fuori. Aprimi.'


Poche e sbrigative parole, nello stile dell'inglese.
Quello stile imbarazzato, sempre attento a non mostrare il suo amore, che Francis adorava.
Cercava così di non dare nell'occhio, mostrarsi distaccato, senza sapere che, il francese, lo trovava ancora più adorabile.
Si alzò di scatto, aprendo la porta.

"Fran- ...!" - Non fece in tempo a dire una parola, che già Francis aveva premuto le labbra contro le sue.

Aveva sentito la sua mano scendere, fino a posarsi vogliosa sul suo coccige, mentre con l'altra gli accarezzava una guancia, le dita tra i capelli.
Arthur premette i pugni contro il suo petto, diviso tra il desiderio di allontanarlo e la voglia crescente di amarlo.
Tenne ben strette le labbra, quando avvertì la lingua del francese percorrerle, cercando una via d'entrata, sentendola allontanarsi al suo ennesimo rifiuto di aprirle.

"Mi sei mancato ..." - Gli sussurrò all'orecchio, accarezzandogli la nuca e cercando di farsi più vicino, spingendosi in avanti con il petto ed avvicinandolo con la mano sulla schiena.

"... Fuck! Non qui! Are you crazy or what ?!" - Protestò infine l'inglese, trovando finalmente la forza di spingerlo via ed entrando nellappartamento, chiudendo a chiave la porta. - "Pensa se passava qualcuno!"

"... Ti vergogni così tanto a farti vedere con me ...?" - Gli chiese dispiaciuto, mantenendo le distanze.

"Tu non c'entri niente ... Lo sai ..." - Sbuffò, gli occhi color smeraldo fissi sul pavimento lucido.

"..." - Il francese rimase un attimo in silenzio.

Voleva davvero che le cose cambiassero.
Non potevano andare avanti così.
Forse l'arrivo di Feliciano era un segno.
Era segno che dovevano smetterla.
Era segno che Arthur doveva smetterla.
Smetterla di nascondersi.

"Uhm ... Ho dato a Feliciano dei tuoi vestiti, per uscire stasera." - Decise di cambiare discorso. - "Spero che non ti dispiaccia ..."

"...!" - All'inglese andò di traverso l'aria. - "Cough! Cough! Era proprio necessario ?!"

"Cosa devo fare? I miei non gli vanno bene, e ancora non vuole tornare a casa sua, ha paura di incontrare Gilbert ..."

"Poteva mettere i tuoi ..." - Arrossì appena, sfuggendo con lo sguardo. - "... Insomma, ogni tanto a me li fai indossare ... I tuoi orrendi vestiti ..."

Francis notò l'imbarazzo dell'altro, e decise di giocarci un po' su.

"Ma tu con i miei vestiti sei très joli ... Oltre che molto sexy ..." - Gli sussurrò vicino all'orecchio, facendogli salire un brivido lungo la schiena.

"...! N-Non é vero! Non c'è niente di sexy nell'indossare magliette che ti arrivano infondo ai piedi! Non riesco neanche ad usare le mani, con quelle maniche!"- Protestò, mentre il rossore sul suo viso si faceva più vivo al pensiero.

"Ahah! Ma sei adorabile!" - Sorrise Francis, abbracciandolo.

"..." - Arthur rimase per un attimo immobile e silenzioso tra le braccia dell'altro.

Posò la testa sul suo petto, finché i suoi occhi non incrociarono il cellulare del francese, sul tavolo.
Probabilmente lì dentro c'era qualche foto di suo cugino.
Sicuramente, ce n'erano.
Cercava di dirsi che non gliene importava nulla, ma la verità era che la curiosità lo stava uccidendo.
Voleva scoprire se ci aveva visto giusto, quella mattina.
Voleva scoprire se erano state tutte semplici coincidenze, o se quel famigerato Feliciano che aveva già incontrato ben tre volte, era lo stesso Feliciano con cui, suo malgrado, stava dividendo tanto l'appartamento quanto il suo Francis.

Ma non voleva dare nell'occhio.
No, non avrebbe mai detto a Francis 'Hey! Mi dai un attimo il tuo cellulare, che voglio vedere la faccia del tuo cuginetto?'
No! Non l'avrebbe mai fatto!
Era fuori discussione!
Doveva trovare un modo per allontanarlo ...

"Uhm, ho voglia di fare una doccia ..." - Prese a dire e, benché stesse sentendo di tradire il suo carattere, decise di aggiungere - "... La facciamo insieme?"

Era solo per allontanarlo.
Solo per controllare il suo cellulare, mentre quel maniaco se ne stava sotto la doccia ad aspettarlo.
Sì! Era solo un'esigenza!
Nulla di più!
Il fatto che sapesse in cosa, nel novanta per cento dei casi, si trasformassero le docce in coppia con Francis, non era certo il motivo che l'aveva spinto a trovare questa soluzione!
Nossignore!

"..." - Francis sorrise ignaro, dandogli un bacio sulle labbra - "... Come siamo intraprendenti, ce soir ..."

"..." - Senza quasi volerlo, Arthur si ritrovò a ricambiare il bacio. - "... Comincia ad andare, appoggio chiavi e cellulare, e arrivo ..."

Il francese decise di obbedire, benché gli sarebbe piaciuto aspettarlo.
Riempirlo di baci fino al bagno, spogliarlo con lenta smania e passare le labbra su ogni centimetro della sua pelle, facendolo arrossire e gemere.
Al pensiero, già il cuore e il respiro si facevano più affannati, mentre era già arrivato nella stanza.
Prese a spogliarsi da solo e in silenzio, cominciando a regolare l'acqua per la doccia.

Un sorriso malvagio e infantile dipinse le labbra dell'inglese, rimasto solo, come un bambino all'uscita di un negozio, dopo aver rubato una caramella.
Prese tra le mani il cellulare di Francis, deglutendo.
Era il momento della verità ...

Fece scorrere l'infinita rubrica con fare maniacale, maledicendo il francese per tutti i numeri che si ritrovava, finché, finalmente, non raggiunse la lettera F.
F ... E ...
Feliciano.
Eccolo!
Ancora un istante.
Solo un pulsante lo separava dalla verità ...

Click.
Aprì il profilo.
Il nome, il numero di telefono ...
Francis aveva sicuramente messo anche una sua foto ...
Infatti.

Un ragazzo sorrideva felice con un chicco d'uva rossa tra le dita.
Dietro, un cielo così azzurro da sembrare dipinto, ed un campo di grano in lontananza.
Ancora più lontano, le colline sfidavano il cielo, adornate da tanti vitigni come collane di perle.
La pelle candida era appena benedetta dal sole, mentre i capelli sembravano più rossi ai suoi raggi, facendo risaltare la margherita tra le ciocche come in mezzo ad un campo bruciato.

I suoi occhi ambrati.
Le sue labbra rosate.
Quel sorriso.
Era la stesso.
Non c'erano più dubbi ...
Erano la stessa persona!

Arthur si affrettò a richiudere tutto, riponendo il cellulare sul tavolo nel modo più accurato possibile, tirando un sospiro di sollievo.
Aveva scoperto la verità.
E, per un istante, si chiese perché gli era importato così tanto scoprirlo.
Perché mai era stato un suo chiodo fisso da quando Francis gli aveva imposto la covivenza con quel piccolo guastafeste.
Quel fantasma che lo costringeva a stare lontano da casa sua ...
Finalmente aveva, senza ombra di dubbio, un volto.
Ed anche piuttosto conosciuto ...

L'inglese scosse la testa, come a cercare di svuotare la mente dai pensieri, per poi posare il suo cellulare al fianco di quello dell'amato (amato? Tsk, non che gliene importasse poi tanto!), insieme alle chiavi, l'accendino e le sigarette.
Fuck ... Doveva decidersi a smettere di fumare.
Non perché lo volesse Francis, non era certo per questo ...

Raggiunse silenziosamente il bagno, e altrettanto silenziosamente si spogliò, con una strana impazienza che lo sorprese, e che cercò di reprimere.
Era impaziente?
Impaziente di raggiungere Francis nella doccia?
No ... No, aveva solo voglia di darsi una rinfrescata.
Solo la maledetta voglia di lavarsi!

 

 

 

 
  
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