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Autore: LaniePaciock    01/07/2012    7 recensioni
Rick e Kate finalmente c’è l’hanno fatta, ma a che prezzo? Le dimissioni, la rottura tra Esposito e Ryan… Kate pensava di smettere, di essere in salvo, ma se venisse assassinato Smith? Se fosse di nuovo in pericolo? Ma soprattutto, cosa succederebbe se l’uomo misterioso di nome Smith non fosse stato l’unico a ricevere i fascicoli sul caso Beckett da Montgomery?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rick's dad'
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Cap.10 Vincit omnia veritas

Io… Io sono tuo padre, Richard.
Nonostante Kate l’avesse ormai capito e Alexis l’avesse immaginato, entrambe trattennero comunque il respiro a quella frase. Poi insieme si girarono verso lo scrittore e lo guardarono allarmate, non sapendo quale reazione aspettarsi. Rick era immobile. Avrebbe potuto essere confuso per una statua di cera. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi sgranati puntati in quelli di Alex Tully. Sembrava quasi che non respirasse.
“Richard…?” lo chiamò Martha piano, incerta e preoccupata per la sua reazione. Nel sentire il suo nome, l’uomo inspirò forte all’improvviso, come se si fosse appena svegliato da un incubo, facendo spaventare Kate e Alexis accanto a lui. Fece velocemente qualche passo indietro, andando a sbattere pesantemente contro il muro dietro di lui. Iniziò a respirare velocemente, mentre tirava via a forza lo sguardo dall’uomo di fronte a lui e sbatteva gli occhi più volte, incredulo, le sopracciglia aggrottate.
“Rick…” mormorò Kate angosciata avvicinandosi a lui. Gli posò una mano sul viso e glielo carezzò piano, cercando di riportarlo alla realtà, di calmarlo. Notò che l’uomo aveva gli occhi lucidi e respirava a bocca aperta come se gli mancasse aria. Il suo corpo era teso e completamente appoggiato al muro dietro di lui. Non lo aveva mai visto così. Non lo aveva mai visto in quello stato. Kate era spaventata e preoccupata dalla sua reazione e notò con la coda dell’occhio che anche Alexis non lo era da meno. L’uomo continuava a non reagire ai richiami e alle carezze della detective. Sembrava perso in un mondo diverso dal loro, pullulante di incubi e fatti impossibili. Doveva farlo reagire. “RICK!” ripeté per l’ennesima volta la donna stavolta a voce più alta e con tono deciso. Lo scrittore finalmente alzò la testa di scattò verso di lei. La detective poté quasi vedere i suoi occhi blu che cercavano di metterla a fuoco. Lo scrittore aggrottò le sopracciglia e iniziò a respirare con più calma. Dopo qualche secondo deglutì e voltò la testa verso Tully.
“No…” mormorò quasi impercettibilmente. “No” ripeté dopo qualche secondo più forte.
“Rick…” provò a chiamarlo di nuovo Kate, ma lui la interruppe subito, come se non avesse parlato.
“No. No, io non ti credo” affermò rivolto all’uomo abbracciato a sua madre. Aveva un tono ancora stupefatto, ma ora stava lasciando il posto a uno rabbioso. Tully strinse la presa su Martha e sospirò sconfortato.
“Puoi anche non crederci figliolo, ma…”
“NON CHIAMARMI FIGLIOLO!” urlò lo scrittore all’improvviso facendo un passo in avanti e puntandogli un dito contro. Una rabbia che raramente avevano visto in lui lo pervadeva. Tully e Martha fecero insieme istintivamente un passo indietro, scioccati e intimoriti da tale rancore. Perfino Kate, sbigottita da quello scoppio, si era scostata dal fianco dello scrittore. Alexis era indietreggiata di qualche passo, andando a cozzare contro il tavolo al centro della stanza. La bottiglietta d’acqua vuota, prima poggiata sul mobile, era caduta a terra con uno schiocco secco nel silenzio teso creatosi. Gli occhi blu della ragazza, così simili a quelli del padre e, ora si poteva dire, del nonno, erano sgranati, impauriti e puntati sullo scrittore.
“Richard…” tentò di calmarlo Martha, mentre allungava una mano verso di lui come a volergli andare incontro e carezzare una guancia. La sua voce tremula però sembrò solo farlo infuriare di più.
“TU!!” le gridò contro. Questa volta si suo tono era disperato. Aveva le lacrime agli occhi. “TU SAPEVI CHI ERA!!”
“Ora basta Richard!” tuonò Tully all’improvviso a voce alta e con tono duro. Rick si fermò di botto, il respiro ancora pesante. “Martha non sapeva niente di me! Conosceva solo il mio nome. Ecco tutto ciò che sapeva” continuò. “Non darle colpe che non ha.” Il tono e le parole sembrarono sgonfiare tutta la rabbia dello scrittore e prosciugargli le forze. Si riappoggiò alla parete dietro di lui e si lasciò scivolare a terra. Si prese la testa fra le mani. Alcune lacrime gli uscirono silenziose per lo sforzo e la rabbia precedenti. Kate a quel punto gli si avvicinò cautamente e si abbassò alla sua altezza. Passò una mano nei suoi corti capelli, carezzandogli la testa e facendogli sentire la sua presenza. A quel tocco così delicato e familiare, Rick alzò la testa e incrociò lo sguardo della sua musa. L’uomo aveva gli occhi lucidi e leggermente rossi. Fu come se si rendesse conto per la prima volta della sua presenza in quella stanza. Il suo sguardo diceva ‘Mi dispiace’ e sembrava quello di un cane che ha morso il suo padrone ad una mano per sbaglio e ora chiede perdono. Kate gli sorrise a indicargli che ora era tutto a posto, che andava tutto bene. Lasciò scivolare lentamente la mano dai suoi capelli al suo volto, asciugando dolcemente quelle poche lacrime che erano fuoriuscite dai suoi occhi blu, e carezzandolo sulla guancia. Rick sembrava davvero stravolto. Le preoccupazioni della sera prima e il fatto che avesse dormito poco quella notte probabilmente aveva accentuato il suo nervosismo e l’aveva portato a esplodere. Girò appena la testa per baciarle il palmo della mano. Poi chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal tocco delicato della donna. Riaprì gli occhi dopo qualche secondo, colpito da un pensiero improvviso. Girò il capo e il suo sguardo subito si puntò su Alexis. Si era dimenticato anche della presenza della figlia nella sua collera. La ragazza era immobile, ancora appoggiata al tavolo nel centro della stanza. I suoi occhi sgranati non avevano perso di vista un secondo il padre.
“Mi dispiace…” mormorò sinceramente pentito. “Mi dispiace davvero… non so cosa mi sia preso…” sussurrò ancora cercando di ottenere anche il perdono della figlia. A quel punto si avvicinò piano anche Alexis. Rick si sarebbe preso a calci da solo. Sua figlia in quel momento era preoccupata per lui, ma aveva anche paura di lui. Si inginocchiò per terra accanto al padre dalla parte opposta della detective.
“Ti prego papà… Ti capisco, ma… non farlo più, ok?” La sua voce era appena tremula. Rick la attirò a sé e la abbracciò.
“Scusami se ti ho fatto spaventare tesoro… Non volevo. Scusami davvero” mormorò lasciandole qualche piccolo bacio sulla nuca. Alexis non era più un a bambina, lo sapeva, ma non lui non aveva mai avuto tali scatti d’ira. Kate guardò padre e figlia abbracciati. Erano un’immagine molto tenera che la fece sorridere. Sapeva che ora il suo scrittore si sarebbe sentito in colpa per avere urlato quel modo, soprattutto di fronte ad Alexis, ma la rabbia è una delle reazioni più comuni nell’essere umano. E la notizia appena appresa non era delle più facili da digerire. Probabilmente mentiva quando diceva che non gli era mai importato molto sapere di suo padre, che così poteva immaginarlo come voleva, che sua madre bastava per due… pensò la detective con un po’ di tristezza per il suo uomo.
Quando Alexis si spostò dallo scrittore qualche momento dopo, sembrava essere tornato il solito Rick di sempre. Si asciugò completamente il viso con una mano e si alzò lentamente in piedi. Alzò gli occhi e guardò Alex e Martha, ancora abbracciati, di fronte a lui. Era ancora arrabbiato, ma più controllato. L’attrice si era spaventata per la sua reazione ed era impallidita. Tully invece sembrava calmo, seppure allerta. I due uomini si squadrarono attentamente, come in  attesa della prossima mossa dell’altro.
“Credo sia arrivato il momento di darci qualche spiegazione in più, signor Tully” dichiarò Beckett dopo qualche secondo di silenzio teso. L’uomo annuì.
“Sì, credo anch’io sia giunta l’ora” rispose alla detective, mantenendo però lo sguardo su Rick. Tully staccò dolcemente da sé Martha, recuperò una sedia dalla parte opposta del tavolo e la posizionò accanto a quella su cui era stato fino a quel momento. Fece quindi sedere l’attrice e si accomodò anche lui accanto a lei. Le loro mani si intrecciarono subito, quasi fosse impossibile per loro stare così vicini senza un contatto fisico. Rick non aveva mai staccato lo sguardo dai movimenti dell’uomo.
Se volevano rimanere tutti nella stanza però, mancavano ancora due sedie. Kate uscì per recuperarle e le trovò appena fuori la porta, portate evidentemente da Ryan ed Esposito, fermi accanto a queste.
“Abbiamo pensato potessero servire” affermò piano Ryan, lanciando uno sguardo all’interno della sala interrogatori. Beckett era sicura avessero ascoltato tutta la ‘conversazione’ perché sembravano turbati, stupiti e preoccupati insieme. La detective annuì in risposta e sorrise appena per ringraziarli. Stava per portare dentro le sedie quando Esposito la fermò.
“Ehi, Beckett, guarda che ora c’è anche la Gates nella saletta. Ci ha visto entrare ed è venuta a controllare se c’erano novità” affermò un po’ scocciato. Kate lanciò un’occhiata accigliata alla porta della stanza accanto. Ormai però il danno era fatto. Fece un sospiro.
“Non importa” rispose. “Fatemi un favore, dopo, controllate l’identità di Tully” ordinò poi. Credeva a quello che aveva detto l’uomo, ma voleva essere sicura.
“Se è davvero un ex-agente della CIA, difficilmente ci faranno verificare…” replicò Ryan poco convinto.
“Voi provate. Altrimenti dovremo affidarci alla sua sola parola” dichiarò Beckett. I detective quindi annuirono e la lasciarono rientrare. Appena Rick sentì aprire la porta e vide Kate con le sedie, le si avvicinò per prendergliele di mano e portarle lui stesso al tavolo. La donna indugiò un secondo sulla porta. Cosa gli avrebbe rivelato questa volta? Castle, sentendo l’assenza della sua musa dietro di sé, si voltò. Tutto bene? chiese con gli occhi. La detective gli sorrise e annuì. Entrò e chiuse la porta dietro di sé.
“Alexis, tesoro, non sei obbligata a restare…” disse dopo qualche secondo Castle alla figlia. La ragazza però fece un cenno negativo con la testa e si sedette su una delle sedie. Era curiosa. Inoltre l’uomo di cui si parlava era suo nonno. Aveva il diritto di sapere, per quanto suo padre volesse proteggerla. Kate prese posto accanto ad Alexis. Rick invece sembrava ben intenzionato a stare il più possibile lontano da Alex e Martha. Rimase in piedi e si appoggiò a braccia incrociate al muro, giusto accanto allo specchio, dietro alla sua musa e a sua figlia. I suoi occhi non abbandonavano Tully. In apparenza lo scrittore era calmo, ma il suo sguardo non lo era per niente. Era arrabbiato e confuso insieme. Rick avrebbe voluto andarsene e sbattere con forza la porta dietro si sé, lasciando chiuse in quella stanza le ultime affermazioni dell’uomo. Il problema era la sua curiosità. Voleva sapere. Voleva apprendere la storia dietro quell’ex-agente CIA. Si ricordò le parole che aveva detto a Kate in uno dei suoi primi casi insieme. C’è sempre una storia… C’è sempre una serie di eventi che danno senso al tutto… Bisogna solo trovarla. Ecco perché era ancora lì. Voleva conoscere il motivo per cui un padre abbandona il proprio figlio senza il minimo scrupolo, ben sapendo della sua presenza. Perché era quello il reale problema. Quello aveva fatto scattare la sua rabbia. Poteva capire un uomo che non sapesse di essere diventato padre. Aveva sempre pensato fosse per quello che non lo aveva. Si era convinto che se solo il suo vero padre avesse saputo della sua esistenza non l’avrebbe abbandonato. Ma era ovvio che Tully sapesse. Sapeva tutto e a quanto pareva anche di più. Voleva sapere perché non aveva potuto avere un padre come tutti gli altri bambini. Cosa c’era che non andava bene in lui da abbandonare lui e sua madre? Cosa c’era di sbagliato in lui?
Vedendo quello sguardo di fuoco su di sé, Tully sospirò triste.
“Immagino ti starai chiedendo perché me ne sono andato” mormorò l’uomo al figlio. Rick non disse niente. Sbuffò solo. “C’è un’altra storia che vi devo raccontare” continuò atono rivolto a tutti i presenti. Lo sguardo abbassato sul tavolo era abbattuto. Sembrava invecchiato di vent’anni nell’ultima mezz’ora. Le spalle, prima ben dritte, ora erano leggermente incurvate. “Parte da molto più indietro dei fatti della mia ultima narrazione, ma alla fine si lega a essa indissolubilmente…” Fece un respiro profondo e cominciò a raccontare. “Direi che la cosa migliore è partire dall’inizio, quarantadue anni fa… Avevo 28 anni all’epoca. Ero giovane, affascinante, sconsiderato e tremendamente deciso a entrare nella CIA.” Fece un mezzo sbuffo divertito e scosse la testa. “Anche stupido dovrei aggiungere. Comunque, ero appena arrivato a New York da Los Angeles, dove lavoravo come poliziotto. Subito mi ero fatto notare per il mio intuito, la mia mira, il mio spirito intraprendente e soprattutto per la mia assenza di legami.” Si rabbuiò un momento scambiando uno sguardo con Martha. La donna gli strinse le mani, ancora intracciate. “Ora sono meno intransigenti, ma fino ancora a pochi anni fa se volevi entrare nella CIA, uno dei requisiti fondamentali era essere solo. I miei genitori abitavano in Canada e non li vedevo né sentivo praticamente mai. Inoltre ero quello che si diceva ‘uno spirito libero’. Avevo molte relazioni, ma nessuna seria per farla breve”disse non nascondendo un mezzo sorriso al ricordo delle molte scappate. Poi tornò più serio. “Questo comunque finché non arrivai a New York. Come vi dicevo, mi avevano notato ed ero riuscito a ottenere un colloquio per entrare in quella famosa agenzia che sembrava un sogno per me. Senza pensaci due volte, presi l’aereo e giunsi a New York, dove avrei avuto questo incontro. Conobbi il mio esaminatore in pratica il giorno stesso del mio arrivo. Rimasi con lui per ventiquattro ore…”
“Ma da Los Angeles a New York sono diverse ore di aereo” commentò Alexis confusa. Tully le sorrise.
“Era un altro modo per testare la nostra resistenza” rispose. “Feci diverse prove quel giorno… di cui però sarebbe il caso di non chiedermi nulla perché non risponderò” aggiunse ridacchiando, vedendo la nipote già pronta con una nuova domanda. La ragazza annuì un po’ dispiaciuta. Non disse nulla però e si rimise ad ascoltare. “In ogni caso, finito il colloquio, mi dissero che avrei dovuto aspettare una settimana e poi mi avrebbero comunicato se ero pronto o meno per entrare. Dormii per dodici ore filate, quindi mi misi a esplorare New York. Ero già sicuro di rientrare a Los Angeles quella sera stessa e tornare una settimana dopo, quando qualcuno stravolse completamente i miei piani…” disse con aria sognante, girandosi verso Martha. L’attrice arrossì appena e gli sorrise. Kate capì in quel momento da chi Rick avesse preso, seppure inconsapevolmente, quell’aria fanciullesca e tenera di bambino mai cresciuto. Nonostante l’età infatti, la donna si era accorta che ogni volta che Tully guardava Martha sembrava tornare un ragazzino innamorato. “New York è famosa per i teatri e io ero un appassionato, per cui mi diressi a Broadway. Se devo essere sincero però, non ho la più pallida idea di cosa vidi quel giorno… So solo che rimasi incantato tutta la sera a guardare una splendida attrice. Appena lo spettacolo fu concluso, corsi fuori e rimasi ad attendere la sua uscita per più di un’ora sotto la pioggia.” Martha ridacchiò.
“Sei sempre stato uno stupido” commentò scherzosamente. Parlavano di loro come se si conoscessero da una vita. Alex le fece un galante baciamano.
“Il tuo stupido. E hai dimenticato inguaribile romantico” dichiarò con un finto tono offeso. L’attrice scosse la testa divertita. Uno schiarimento di voce li fece tornare alla realtà. Rick era ancora appoggiato al muro, le braccia conserte, rigido. Non aveva voglia di stare a sentire le flirtate dei suoi… No, non riesco neanche a pensare quella parola. Diciamo di mia madre e di questo Tully. Alex annuì.
“Giusto, devo andare avanti. Dicevo, conobbi quindi questa magnifica attrice, Martha Rogers. La settimana di attesa passò in un lampo in sua compagnia. E se all’inizio tra noi c’era stata solo attrazione, in qualche giorno capii di essermene innamorato.” Il sorriso sognante che aveva mantenuto fino a quel momento scomparve lentamente sostituito da uno triste. “Dopo una settimana esatta mi arrivò la risposta. Ero stato preso. Sarei partito il giorno seguente per un corso di formazione in un altro stato.” Tully si girò a guardare l’attrice e aumentò la presa sulle mani di lei. “Martha non mi chiese mai nulla di me. Le avevo accennato che probabilmente sarei dovuto andare via. Le avevo detto anche che non potevo parlare del mio lavoro. Seppe solo il mio nome e nulla più. Ebbe fiducia in me, nonostante l’epilogo scontato che entrambi sapevamo ne sarebbe seguito. Ma eravamo così presi, che il mondo rimaneva in secondo piano…” Si fermò un momento, lo sguardo fisso e spento sulle loro mani unite. Iniziò a fare delle lievi carezze con il pollice sulla mano di lei. “Fu la decisione più dura della mia vita. Avevo trovato l’amore. Questa volta sapevo che non mi sarei dimenticato di lei come le altre donne che avevo avuto in passato. Restare e vivere con lei o proseguire con la CIA, era questa la mia scelta.” Fece un sospiro. “Inutile dire che partii. Tenevo troppo al mio lavoro, per quanto brutto possa suonare dirlo ora. Furono mesi terribili. Pensavo a lei sempre, notte e giorno. Ma avevo fatto la mia scelta. E ne avevamo pagato le conseguenze in due. Ero un egoista probabilmente, ma la CIA era il sogno della mia vita… Non me ne pentivo e sapevo che lei mi avrebbe capito. Ma questo non mi impedì di stare malissimo. Sei mesi dopo tornai a New York e la cercai. Volevo rivederla un’ultima volta. Mi era impossibile stare con lei. Forse non in quel momento, ma nel futuro avrei potuto metterla in pericolo e io non avevo alcuna intenzione che accadesse. Però, come ho già detto, ero un egoista. Volevo rivederla, controllare che stesse bene, che fosse felice. La trovai di nuovo a teatro. E scoprii che era incinta.” Si fermò e abbassò gli occhi sul tavolo, una smorfia di dolore in volto. “Non sapevo se il bambino era anche mio o meno. Se volevo staccarmi definitivamente da lei dovevo lasciarmela alle spalle. Volli però continuare a farmi del male. Una parte di me voleva sapere. Riuscii a trovare la sua cartella clinica. Martha era incinta di sei mesi, quindi da quando me ne ero andato. Ma poteva ancora non essere mio. Sapevo il suo modo di interagire con gli uomini, come lei aveva avuto modo di conoscere il mio con le donne” disse ridacchiando leggermente per alleggerire l’atmosfera. Martha gli diede un buffetto sul braccio, ma non sembrava arrabbiata. Quello che aveva detto infondo era vero. “Attesi tre mesi, sempre nei paraggi di Martha, senza però avvicinarmi mai, finché un giorno non nacqui tu…” disse alzando gli occhi su Rick. Lo scrittore era immobile, lo sguardo duro. “Non riuscii a trattenermi. Andai in ospedale. Seppi che il parto era andato bene e tirai un sospiro di sollievo. Mi sentivo in colpa per non esserle stato accanto in quel momento doloroso… Fui sul punto di andarmene. Avevo deciso che non volevo sapere se eri mio o meno. Lei stava bene, quindi potevo lasciarla andare sereno. Ero ancora in tempo ad abbandonarmi tutto alle spalle. Feci un errore però che mi fu fatale... Mi fermai a guardarti nella culla dell’ospedale “ continuò con occhi leggermente lucidi rivolti allo scrittore. “Vidi il tuo nome. Richard Alexander Rogers.” Fece un mezzo sbuffo sorridendo. “Alexander… Fu in quel momento che seppi che io avevo aiutato questa donna straordinaria a dare alla luce una cosa così bella. Tu non puoi saperlo ovviamente, ma… ti presi in braccio e ti cullai per qualche secondo. Uno dei momenti più belli della mia vita…” Il suo sguardo si perse sulle sue mani intrecciate con quelle di Martha, un dolce sorriso sul suo volto al ricordo e gli occhi ancora lucidi. Tully non era sembrato mai fragile come in quel momento. Sembrava completamente un altro uomo da quello che era entrato diverse ore prima in quella stanza. Ma Beckett sapeva bene quanto può cambiare una persona quando si parla di chi ama. Poi Tully scosse la testa, i suoi occhi si fecero più profondi, decisi, e li rialzò su Rick. “Fu allora che decisi che ti avrei protetto. Per quanto mi sarebbe stato possibile, avrei protetto te e tua madre, rimanendo però sempre nell’ombra. Nessuno doveva sapere che avevamo qualche legame. E non perché mi vergognassi di te, Richard, ma per paura che qualcuno vi usasse contro di me” spiegò l’uomo. Rick era ancora immobile. Sembrava che le sue parole non l’avessero minimamente scalfito. Ma Kate sapeva che non era così. Non vedendo reazione dallo scrittore, il volto di Alex si intristì. “Mi dispiace ragazzo…” mormorò.
“Dispiace anche a me” replicò duro lo scrittore. Non c’era traccia di pietà. Alex abbassò la testa, colpito da quelle parole.
“Richard…” tentò di ammonirlo Martha, ma Rick fu insensibile.
“No, mamma, nessun Richard” dichiarò spietato. Si rivolse a Tully. “Mi hai abbandonato. Dici che mi avresti protetto, ma io non ho mai voluto protezione. Io volevo solo un padre.”
“Io ti sono stato sempre a accanto, anche se tu non mi vedevi” replicò Alex punto sul vivo. “Ho seguito ogni tuo passo da quando sei nato. Non ho potuto tenerti tra le braccia quando eri piccolo, certo. Non ho potuto insegnarti a camminare né a dire ‘papà’. Né ho potuto insegnarti a giocare a baseball. Non ho potuto confortarti quando tornasti a casa in lacrime dopo che quel teppistello ti aveva preso in giro per non avere un padre, forse, ma…”
“Aspetta… Come fai a saperlo?” domandò Rick scioccato. Fece un mezzo passo in avanti e le braccia gli caddero lungo i fianchi. Aggrottò le sopracciglia e la bocca gli si aprì. Era un fatto che non aveva mai raccontato a nessuno, ma era un ricordo vivido nella sua mente. Aveva 10 anni e stava tornando a casa da scuola, quando uno dei suoi compagni aveva pensato bene di seguirlo per tutta la strada ridendo del fatto che non conoscesse suo padre. Era il giorno del papà. Era stato malissimo. Aveva pianto tutto il giorno, appallottolato sul suo letto, approfittando del fatto che sua madre sarebbe rimasta a teatro fino a sera. Martha si portò una mano davanti alla bocca nel sentire ciò, stupita.
“Quando è successo? Perché non me ne hai mai parlato?” chiese la donna sgridandolo. Ma la sua domanda rimase inascoltata. Rick infatti continuava a studiare stupefatto l’uomo di fronte a lui. Tully sorrise appena, dolcemente.
“Te l’ho detto Richard. Non sei mai stato solo. Io sono sempre stato accanto a te, anche se tu non mi hai mai visto. O meglio, quasi mai…” rispose l’uomo voltandosi a guardare la nipote seduta davanti a lui. Alexis indietreggiò appena con la schiena sulla sedia e iniziò a spostare lo sguardo da suo nonno a suo padre, confusa.
“Che c’entra mia figlia?” domandò Rick irritato seguendo lo sguardo dell’uomo. Tully si prese un momento per rispondere.
“Ti ricordi quando nacque Alexis?” domandò. Castle lo guardò confuso, ma annuì, non capendo comunque dove volesse arrivare. “Ti ricordi anche quando l’hai tenuta in braccio la prima volta?” Lo scrittore guardò sua figlia e sorrise dolcemente, dimentico per un momento della rabbia.
“Certo che lo ricordo. Era così piccola… Avevo una paura matta di farle del male in qualsiasi modo e con qualsiasi movimento.” A quelle parole Kate sorrise leggermente. Rick era protettivo nei confronti della figlia anche ora che era una donna. Poteva solo immaginare come lo fosse i primi tempi quando era neonata. Era un lato tenero di lui che amava e che lo faceva essere un padre meraviglioso. “La presi in braccio e iniziai a muovermi per il corridoio davanti alle culle con gli altri neonati” continuò con occhi persi nel ricordo. “Il problema è che non sapevo come tenerla. Per fortuna c’era un uomo che era lì per la nipote e mi aiutò a capire come prenderla per ben…” Si bloccò, le sopracciglia aggrottate. I suoi occhi blu saettavano a destra e sinistra, come cercasse di ricordare un particolare preciso. Poi sgranò gli occhi e li puntò su Tully. “Eri tu…” mormorò. Alex sorrise e annuì.
“Volevo vedere la mia bellissima nipotina” spiegò come se fosse la cosa più normale del mondo. Poi tornò a un tono più serio. “Il fatto comunque è questo Richard. Ti ho sempre tenuto d’occhio. Ti ho visto crescere. Ti ho visto prendere il diploma e laurearti. Ti ho visto sposarti e divorziare due volte con donne che credevi di amare. Ti ho visto crescere una figlia fantastica…” Fece un sospiro triste a quelle parole. Poi continuò. “Ti ho visto iniziare a scrivere e pubblicare. Ho visto la tua fama crescere, insieme, se posso dirlo, alla tua arroganza e al tuo fascino.” Si fermò e ridacchiò appena. “Scusa, credo che questi purtroppo siano aggettivi da attribuire al mio DNA. Io ero uguale a te alla tua età…” Tornò più serio e girò lo sguardo verso Beckett, continuando comunque a rivolgersi allo scrittore. “Ti ho visto però anche maturare accanto a questa donna. Ti ho visto rischiare. Ti ho visto salvare il mondo, gioire e piangere qui al distretto. Ma soprattutto ti ho visto innamorarti.” A quelle parole Kate arrossì appena e si voltò a incrociare lo sguardo dello scrittore. Dopo qualche secondo di silenzio, Tully continuò con un tono di rimpianto per tutto quello che aveva visto solo da fuori e non aveva potuto vivere in prima persona. “Ti ho visto crescere e diventare lo scrittore, il padre e l’uomo che sei ora. E non importa quanto tu mi possa odiare in questo momento per non essermi mai fatto vedere. Io sono fiero di te.” Rick rimase parecchi secondi in silenzio, assimilando quelle parole, lo sguardo ora puntato sul pavimento.
“Hai detto che nessuno sapeva chi eri. Ma almeno una persona lo sapeva” replicò duro alzando gli occhi su di lui. Non era più arrabbiato, non completamente almeno, ma ancora non si fidava. Tully aggrottò le sopracciglia, confuso. Kate invece capì subito a chi si riferiva. C’era anche lei quando era stato nominato. “Sophia Turner” dichiarò Castle. Un lampo di comprensione passò negli occhi dell’uomo e annuì.
“Già… mi ero dimenticato di lei. Beh, devo dirtelo. Ora sono in pensione, ma, senza vantarmi troppo, sono stato uno dei migliori agenti della CIA in circolazione. Ma come Sophia Turner abbia scoperto che tu eri mio figlio, per me è ancora un mistero purtroppo. Devo averle insegnato troppo bene…”
“La Turner era sua allieva?” domandò stupita Beckett senza riuscire a trattenersi. Tully annuì grave.
“Sì, Sophia Turner è stata una mia apprendista” rispose. “Una delle migliori devo dire. Basta vedere come ha ingannato poi tutti all’interno della CIA, come voi avete avuto ben modo di vedere… Comunque io ero un suo superiore, quando passò per la mia scrivania la tua richiesta di seguirla per scrivere un libro. Ero abbastanza influente già all’epoca e misi una buona parola per te. Lo confesso: sapevo che ti avrei esposto a dei pericoli e che non avrei dovuto permettertelo, ma, come ricorderete, io ero un egoista. In questo modo ebbi la possibilità di vederti più spesso e da più vicino di quanto avessi mai potuto fare…” Fece un sospiro e poi continuò. “In ogni caso, non seppi mai come recuperò l’informazione sul nostro legame di sangue. Credo che a un certo punto della vostra collaborazione volesse anche svelartelo, ma non lo fece mai. Forse in realtà lo suppose solo che noi fossimo imparentati…”
“Dimmi che non è successo così anche per il distretto” lo bloccò Castle. Si sentiva in qualche modo manipolato, oltre che spiato. Tully lo guardò e scosse il capo.
“No, la tua amicizia con il sindaco in questo caso fu abbastanza” replicò. Rick sospirò sollevato. “Comunque se proprio vuoi saperlo, anche in quel caso interpellarono me.” Lo scrittore alzò subito il capo verso di lui. “Conoscevo già il capitano Roy Montgomery quattro anni fa. Secondo te perché ha accettato così facilmente che tu ti mescolassi ai suoi uomini?” domandò retorico alzando le sopracciglia. Rick lo guardò confuso. “Chiese informazioni su di te in giro. E siccome io ero, come si dice, ‘un amico che lavorava alla CIA’ quale migliore aggancio a cui chiedere informazioni?” Castle era immobile. Non sapeva se sentirsi più tradito per essere stato all’oscuro per tanto tempo o più confuso. Questa volta però fu Beckett a interrompere il momento di silenzio.
“Lei… lei ha detto che conosceva Montgomery” chiese esitante. Alex annuì. “Perché? Come lo ha conosciuto?” L’uomo sorrise.
“Ed è qui che la storia di stamattina si lega a questa” dichiarò con un mezzo sorriso divertito. Si prese un paio di secondi prima di rispondere. Accarezzò lievemente la mano di Martha, ancora stretta alla sua. “Conobbi l’agente Roy Montgomery venti anni fa. Sì, detective, proprio nel periodo in cui lui, John Raglan e Gary McCallister si divertivano a rapire mafiosi e chiedere riscatti” rispose, visibilmente contrariato tutt’ora da quel fatto. Fece un respiro profondo per calmarsi. “Io ero uno degli agenti incaricati di sorvegliarli e… Che c’è?” domandò osservando lo sguardo sbigottito di Castle e Beckett. “Pensavate non lo sapesse nessuno? No, non è per niente così. Molti sapevano, ma nessuno parlò perché a tutti andava bene quella soluzione. Non che mi piacesse ciò che facevano, ma quei tre stavano togliendo dalla strada un sacco di mafiosi. Facevano un lavoro sporco ben accetto ed erano ben coperti. Come credeva che andassero avanti altrimenti, detective? Crede davvero che la CIA e la stessa FBI non sapessero niente di tre poliziotti che giocavano a fare gli eroi delle strade?” domandò sarcastico. Kate era stupita e imbarazzata. Si sentiva una bambina rimproverata dal padre per non essere stata attenta nell’attraversare la strada. La donna guardò il suo scrittore e vide il suo stesso disagio. Martha e Alexis erano confuse per quelle informazioni per loro completamente nuove e sconosciute, ma non chiesero niente. Lasciarono che Kate e Rick capissero e assimilassero quelle notizie. “Quando Bob Armen, l’agente infiltrato dell’FBI, morì per sbaglio, subito fu nostro compito nascondere le prove…”
“Ma la CIA non può lavorare su territorio nazionale!” esclamò Castle. Tully gli fece un sorriso divertito e alzò un sopracciglio.
“Perché, tu sei mai uscito dagli Stati Uniti, mentre seguivi Sophia?” domandò. Rick aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. Quel particolare non gli era mai passato per la mente. “Appunto. Diciamo che non possiamo ‘operare’ su territorio nazionale, ma da nessuna parte c’è scritto che non possiamo ‘aiutare’ le altre agenzie… È un cavillo a cui ricorrono spesso, non ci pensare” disse scuotendo appena la mano in segno di noncuranza. Poi continuò il racconto. “Comunque dicevo, fummo ingaggiati per nascondere le prove. Non che c’è ne fossero molte, erano attenti i tre, ma eravamo lì anche per evitare che uno di loro facesse qualche stupidaggine. Raglan e McCallister erano due esperti detective, ma avevano tirato dentro Roy che all’epoca era ancora poco più di un novellino in polizia. Lo ascoltai, lo aiutai e lo consolai. Voleva confessare, era un bravo agente, ma riuscii a farlo desistere. Era mio compito convincerlo. Fu in quei giorni che iniziammo a diventare amici” commentò con un mezzo sorriso. “Appena in tempo comunque lo feci tacere. In quegli stessi giorni, infatti, ci fu il problema del recupero del denaro. Roy ovviamente non voleva neanche mezzo dollaro dei riscatti e non si era preso nemmeno la briga di chiedere dove fossero. Da quel momento si profuse anima e corpo nel lavoro, diventando uno dei migliori. Raglan e McCallister invece tentarono di nascondere i soldi, ma furono a loro volta ricattati e il denaro svanì” continuò guardando Beckett.
“Il drago” affermò solo la detective. Tully annuì.
“Prese lui i soldi e divenne quello che è oggi, aiutato dal fatto che nascose nel tempo anche molte… diciamo malefatte altrui. Ma all’epoca non potevamo saperlo. Ed era oscuro per noi dove fossero finiti quei maledetti contanti. Raglan e McCallister infatti non dissero mai chi lo aveva ricattati. Dopo un po’ di tempo però nessuno ci pensò più. Joe Pulgatti era stato arrestato per l’omicidio di Armen ed eravamo riusciti a nascondere l’identità dei tre poliziotti a tutti. Le acque erano tornate tranquille. Al momento il nostro compito era terminato. Al denaro ci avrebbero pensato altri. Tutto andò bene, fino alla comparsa di Johanna Beckett, sette anni dopo.” A quelle parole, Kate sussultò. Alex la guardò teneramente. “Era davvero una donna straordinaria, quanto lo è oggi sua figlia. Si mise contro tutti per aiutare Pulgatti a uscire di galera. Aveva accolto la sua richiesta d’aiuto e aveva capito che era innocente, seppure affiliato alla mafia.”
Vincit omnia veritas…” mormorò la detective in un sussurro ricordando le parole sulla tomba della madre. Tully annuì.
La verità vince tutto” tradusse Alex. “La rispettai e ammirai per il suo coraggio” continuò dopo qualche secondo. “Cercava costantemente giustizia. Senza che noi riuscissimo a fare niente però, purtroppo Johanna Beckett fu uccisa. E come lei anche altre persone legate alla sua associazione” disse con tono dolorante. “Credo che sia stato in quei giorni che Roy decise di raccogliere tutti i documenti su quel caso, quello di Armen e di altre vittime innocenti. All’inizio solo per nasconderli. Aveva notato anche lui che alcuni fascicoli iniziavano a sparire nel nulla...” A quelle parole Kate ricordò un appunto di sua madre in cui diceva di voler visionare un incartamento di cui però poi si era persa ogni traccia. “Racimolò anche tutto quello che poteva su quello che oggi chiamiamo il drago e che sapeva essere il ricattatore dei suoi due compagni di rapimenti. Quando tu entrasti in polizia, Kate, quando ti vide così bisognosa di vendetta, fu quello il momento in cui decise di proteggerti. Era già troppo tardi per fermare il drago e lui era praticamente solo. Decise di nascondere tutti i documenti finché tu non fossi stata pronta per accettare la verità e finalmente dare giustizia. Giustizia, sia ben chiaro, non vendetta. Perché la vendetta uccide. La giustizia rende liberi.” Beckett alzò piano li occhi sull’uomo. La verità vince tutto… La vendetta uccide. La giustizia rende liberi… quelle parole continuava a girarle in testa.
“Chi è il drago?” domandò dopo qualche secondo Beckett. Era sicura. Era pronta. Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e stringerla leggermente. E seppe che Rick era accanto a lei. Alzò gli occhi su di lui e per un momento si fece stregare ancora una volta dai suoi occhi blu. Le fece un piccolo sorriso incoraggiante e fiero, nonostante fosse ancora turbato per le notizie relative a suo padre. Lei sorrise in risposta e tornarono insieme a osservare Tully. L’uomo osservò con attenzione la detective a quella domanda e poi quel silenzioso scambio tra i due. Annuì.
“Permettimi di concludere questa storia allora e quel nome sarà tuo” ribatté. Beckett annuì in risposta. Si morse il labbro inferiore, nervosa. “Molto bene. A questo punto possiamo anche fare un salto di qualche anno. Ormai tu, Kate, sei una giovane detective della polizia e da tre anni il famoso scrittore Richard Castle ti segue come un’ombra. Il drago sembra tranquillo, ma è solo un’impressione. Negli ultimi tempi infatti, come ben sapete, ha fatto in modo di eliminare chi sapeva qualcosa di lui, cioè Raglan e McCallister. Mancavano solo Roy e tu stessa Kate, poiché eri diventata un po’ troppo attiva nella sua ricerca. Roy purtroppo muore e tu rischi di rimanere uccisa da un cecchino. Ma il capitano Montgomery era una vecchia volpe. Sapeva che non sarebbe durato a lungo. Così aveva mandato tutti i documenti che potevano incastrare il drago a due suoi fidati amici, Jonathan Smith e me, per la salvaguardia e la tutela tua e della sua famiglia.” Si fermò per un secondo. Un lampo di dolore passò nei suo occhi blu scuro e strinse appena le mani di Martha. “C’ero anch’io quel giorno al funerale… per questo non vidi subito quei documenti” aggiunse dopo un momento con tono di scuse. Prima che potessero chiedere qualcosa però, Tully continuò. “Roy però non sapeva che in realtà erano già tre anni che ti seguivo Kate. Mi scuso, ma non potei farne a meno, visto che tu e mio figlio sembravate una cosa sola spesso” disse sorridendo dolcemente. Beckett arrossì appena a quella dichiarazione. “Tenendo d’occhio lui, tenni d’occhio automaticamente anche te. Come vi ho già raccontato poi, io e Jonathan trovammo un modo per tenerti al sicuro. Fino a pochi giorni fa. Ora sono rimasto solo io. E adesso tu, Kate, sei pronta per avere giustizia.” Fece un sospiro e puntò i suoi occhi in quelli ansiosi della detective. “Tu mi chiedi chi è il drago Kate… ebbene, immagino tu conosca Franklin Spark Junior” dichiarò Tully. Beckett spalancò la bocca e sgranò gli occhi. Si sentì un lieve tramestio arrivare da dietro lo specchio, ma la detective non lo udì minimamente. Rick la guardava preoccupato e stava per chiederle se lo conosceva, quando la stessa donna parlò.
“Mi sta dicendo che il Capo della Polizia dello Stato di New York è il drago??”

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Xiao!! :D
Ehilà allora come state? X) Fa troppo caldo qui da me... :P
Allora finalmente Tully ha deciso di raccontare la sua storia!! :D Ve lo dico subito, scrivere questo capitolo è stata una fatica immensa... Non tanto per la lunghezza (se mi conoscete, sapete che non mi spaventa), quanto per il contenuto... Nella mia testa avevo in mente la storia, ma ho scoperto che scriverla, cercando di non annoiare, di non ripetermi e di non scrivere cavolate è stato un lavoraccio... Avrei scritto anche di più, ma dovevo ridurre in qualche modo... magari aggiungerò qualche altra cosa negli altri capitoli, boh... Spero solo sia venuto abbastanza bene questo! :)
Comunque, Tully quindi ha sempre tenuto d'occhio il figlio! Insomma il lato protettivo gli sarà venuto fuori da qualche parte allo scrittore, oltre fascino e arroganza! XD 
Povero Rick era scioccato e incavolato a quella rivelazione!!
E finalmente scopriamo chi è il drago... XDXD
Ok mi raccomando ditemi che ne pensate anche con un commentino piccolo piccolo!!! :D:D
Ah, vi avverto, settimana prossima altro esame, quindi non so bene quando pubblicherò... probabilmente nel fine settimana... boh...
Al prossimo capitolo!! :D
Lanie
  
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