Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: Belarus    01/07/2012    3 recensioni
#13: " Sorridevano tutti in quella foto, tutti tranne Hibari poggiato al muro della casa accanto. Erano tutti insieme, c’era persino quell’irritante di Squalo con loro, la spada che brillava dietro la testa dell’idiota. La stupida mucca aveva il moccio al naso e un pacco di caramelle tra le braccia, I-pin il suo vestitino cinese, le ragazze abbracciavano i bambini, Ryohei mostrava il suo pugno estremo, Chrome pareva accennare un sorriso entusiasta, sua sorella reggeva Reborn-sama. Il Decimo rideva, rideva, rideva…
« E’ la cosa più bella che mi sia rimasta… »
"
[ Dal cap #07. 15 years later - cap #13. 20 years later ]
Mi avventuro, vediamo che combino!
Sperando che piaccia!
Baci Baci Belarus
Genere: Angst, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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#08. Repeat - Ripetere



Non ricordava nemmeno quando avevano cominciato a farlo.
Di sicuro non erano dei ragazzi, di certo non erano in Giappone. Sapeva di averlo inventato fra le mura di quella villa quel rituale, ma non riusciva proprio a visualizzare il luogo incriminato. Ricordava vagamente un enorme tavolo dall’aria troppo appariscente per frapporre una tale distanza fra due persone. Probabilmente c’erano anche delle poltrone, magari un divano e qualche cristalliera ricolma di liquori invecchiati nelle cantine di chissà quale casa del paese. Ricordava molte cose di quella sala, ma apparivano talmente effimere nella sua memoria da assumere l’aspetto del fumo che fuoriusciva dalla sua sigaretta.
Avevano smesso di cercare quella stanza la notte seguente, forse se l’erano persino inventata. Eppure sapeva di esserci stato, di esser rimasto seduto per ore alla stessa sedia reggendo delle stupide carte fra le mani impregnate di nicotina. Quella villa era troppo grande per diventare una casa. Troppa gente che andava e veniva, troppi uomini che passeggiavano in giardino con pistole tra le cinture dei pantaloni, così poco casino e nessun profumo della cucina della mamma. Ecco, perché quello spaccone perennemente incazzato era cresciuto da disadattato. Gli venne quasi da sorridere nel pensare che ci dovesse essere qualche problema anche nella casa dell’idiota a Namimori.
Chissà se c’era ancora quella casa lì…
I giornali del bar all’entrata del paese venivano dalla città più vicina. Parlavano di alcuni problemi nelle zone a nord della capitale Giapponese. Forse, qualsiasi cosa fosse, stava andando anche a Namimori. Probabilmente Hibari era già armato di tonfa, poggiato al muro di chissà quale casa all’entrata della città. Magari non c’era più nemmeno lui. No… lui probabilmente ci sarebbe stato sempre, come quella presenza inquietante di Mukuro che appariva e spariva tra le scale del primo piano. Avrebbe dovuto dire a Chrome di finirla con quella dannata routine, cominciava a farlo arrabbiare sul serio.
<< Forse ho vinto! >> sentenziò dubbioso poggiando le carte sul tavolo traballante.
Soffiò fuori una nuvola di fumo grigiastro, il Guardiano di fronte a lui tirò appena indietro la testa.
<< Moriremo di fumo passivo temo… è giusto?! >> chiese curioso.
Gokudera fissò per l’ennesima volta nella nottata le carte poggiate sul tavolo, anche quella volta sbagliate.
Andava avanti da un paio d’ore, andava avanti da un paio d’anni ormai e quello stupido zuccone non aveva ancora capito niente. Si costrinse a non saltare sopra il tavolo e strangolarlo per quanto riusciva a essere stupido anche a quell’età.
<< Ti ho detto mille volte che devono essere dello stesso seme! >> ringhiò trattenendosi.
<< Perché, non lo sono? >> chiese osservandole.
<< Ti pare forse?! >> sbottò afferrandole e tirandogliele in pieno volto.
Yamamoto si scostò ingenuamente, come se dovesse ripararsi da qualche arma pericolosa. L’ultima carta che riuscì a prendere fu sottoposta a un’attenta analisi.
Hayato ringhiò per il nervosismo accumulato, un rumore di sottofondo cui il moro aveva fatto l’abitudine.
<< Ah… scusa, non avevo visto bene il disegnino! >> si scusò, porgendo il sette di fiori all’amico.
Gokudera gliela strappò di mano con tanto vigore da far sussultare pericolosamente il tavolo. Mentre mescolava per l’ennesima volta nella sua vita, lasciò scorrere lo sguardo sull’avambraccio del Guardiano della Pioggia. Tremava.
Quando ancora erano a Namimori, non ricordava di averlo mai visto in quelle condizioni, neanche dopo lo scontro con i loro attuali coinquilini o con Byakuran. Adesso invece, dopo tutti quegli anni, quel maledetto braccio non faceva che sussultare impercettibilmente ogni qual volta l’altro provava a muoverlo. Ricordava perfettamente il motivo di quell’incertezza muscolare, lo ricordava talmente bene, da sperare ogni giorni di dimenticarlo. Lo stupido faceva finta di niente, continuava a passare le giornate come se mai fosse accaduta una cosa simile. Brandiva ancora la spada con la stessa mano ormai cicatrizzata, i rimproveri disgustati di Squalo non li aveva mai sentiti.
<< Domani facciamo qualcosa che so fare anch’io. >> propose fiducioso.
<< Perché sai fare qualcosa? >> ghignò compiaciuto, posando un paio di carte davanti alla figura del compagno.
Takeshi parve piacevolmente consapevole della battuta dell’amico. Spostò le carte, non più curante del gioco e sistemò con molta flemma la cravatta scura legata al collo.
<< So tenere a bada te, credo che questo basti! >> esclamò noncurante.
Quella frase parve a Gokudera il peggiore degli insulti subiti nella sua vita da quello stupido idiota. L’aria che aveva avuto nel dirlo, che si ostinava a mantenere, sembrava quella di qualcuno che non fa altro che far notare l’evidenza a dei bambini. Lui però non era un bambino, e tutte quelle storie sul tenere a bada erano campate in aria.
<< Quando mai mi hai tenuto a bada?! >> urlò quasi, il tono leggermente isterico.
<< Non le conto più, Gokudera… >> sorrise amorevole, facendo spallucce.
Le mani di Hayato affondarono inevitabilmente nel legno traballante del tavolo ribaltandolo del tutto. Lo scatto che aveva nell’atterrare Yamamoto non era più quello di un tempo, quando tentava invano di ficcargli la testa nelle pozzanghere sul ciglio della strada, ma aveva assunto una certa potenza che prima non gli apparteneva. Il placcaggio fu ben riuscito, ma Takeshi non si scostò che di pochi centimetri con la sedia, i piedi piantati sulle mattonelle logore del pavimento.
<< Non fare lo spaccone con me, brutto zuccone bacato! >> lo strattonò per la camicia.
<< Non faccio lo spaccone, non puoi arrabbiarti sempre con me! >> le mani di Yamamoto si piantarono su quelle del compagno.
Gokudera percepì il fremito singhiozzante della mano ferita, per qualche istante fu tentato dal mollare la presa e lasciarsi sfuggire di bocca qualche parola di scuse. L’idea scemò in fretta com’era arrivata. Lui non aveva mai chiesto scusa a nessuno se non al Decimo, e quello stupido non era il Decimo. Non aveva niente che ricordasse il Decimo, né la stazza, né il volto, né tanto meno quell’altrettanto stupida sensazione di ansia e rabbia che gli provocava quando si avvicinava.
<< Non mi arrabbio solo con te! C’è anche quella stupida mucca, ma tu sei quello più fastidioso! >> borbottò snervato, il ginocchio poggiato sulla gamba dell’altro.
<< Lambo ti vuole bene ed io sono quello più fastidioso perché ci tengo a te, come tu tieni a me! >> costatò.
Gokudera strinse la presa attorno alla giacca, il tessuto si accartocciò succube sotto il tocco delle sue mani.
<< Io non ci tengo a te! Come non tengo a quel moccioso! A me importa solo del Decimo! >> urlò.
Takeshi lo fissò compassionevole, tirando fuori uno di quei sorrisi malinconici cui Gokudera aveva fatto tristemente l’abitudine in quegli anni. Parve sicuro di tutto, quando poggiò la fronte su quella dell’altro. Il respiro sottile, si mescolò al fumo acre della sigaretta ormai consumata.
Hayato sbarrò gli occhi, ma rimase congelato nella posizione in cui si trovava.
<< Ripeterlo continuamente non ti renderà diverso da come sei… >> sussurrò vagamente divertito.
Gli occhi nocciola lo squadrarono inevitabilmente, Gokudera si sentì pericolosamente vulnerabile. Fece l’unica cosa che riuscisse a passargli per la mente, ma quando colpì la fronte dell’altro con la propria, un lampo gli attraversò la mente.
Forse avrebbe dovuto pensarci un po’ di più…










  
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