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Autore: shaka666    01/07/2012    0 recensioni
Del futuro tutto ci spaventa, ma esso incombe su di noi.
Sta alla nostra mente essere così forte da scegliere il proprio futuro.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi definisco un figlio del mondo attuale, ma la mia anima affonda in un tempo e in uno spazio che ormai sono solo un ricordo. All'epoca in cui nacqui c'erano poche cose che importavano, avere buona salute, crescere dei figli, essere affermati nella società, ma oggi di me non rimangono che magri ricordi di quei tempi così distanti che sembrano lucciole nella notte. Si accendono e si spengono incalzati dal vento. Era notte e il sasso che stavo calciando rimbombava sui muri di quel vialetto sporco. Mi ricordava ad ogni colpo il battito del mio cuore quando la incontrai per la prima volta, tra quelle insegne sbiadite e quel rumore assordante dei treni in partenza. Non sapevo molto di me stesso a quell'epoca, e mi risulta difficile oggi trovare il tempo per ricordare. Ma non potrò mai dimenticare i capelli come fili d'oro e i suoi occhi che come calamita spirituale catturarono la mia anima. Il quella notte di sogni e memorie vagavo senza meta tra i fumi e i sorrisi celati della gente del distretto 9. La gente sembrava riconoscermi ma io non davo peso ai loro falsi sorrisi. L'essere umano ha bisogno di qualcosa a cui attaccarsi per non sentirsi solo, ma alla fine pare che sia proprio la solitudine, ciò che brama l'uomo moderno. Persi il sasso mentre me ne stavo tra i miei pensieri sognanti. Non so bene cosa accadde quella notte ma certo cambiò il resto della mia vita. Un funereo incedere accanto a palazzi neri, ridotti in cenere dalla guerra dei passati anni ancora rimanevano li, come monito per gli anni a venire. Sogni e illusioni di gente spezzati in una notte di fuoco. pensai di fretta, ma subito tornai in me. Non ci era concesso pensare, non ci era concesso vivere. Eravamo pedine di un una partita di scacchi iniziata da molto tempo. Ma eravamo uomini, così riluttanti a credere in qualcosa fuori dagli schemi prefissati che c'era ancora chi inneggiava alla distruzione del proprio pensiero per una minestra riscaldata. Cosa ci può essere di più intimo del nostro stesso pensiero, eppure ciò ci venne proibito. Quella notte di sogni mi ricordava quella mostra a cui partecipai con lei, così fuori dal tempo erano i quadri che trovavo in lei una loro connessione con il presente. Il mio nome l'ho dimenticato, ma in un mondo in cui non ci è concesso pensare, l'identità ormai non ha più importanza. Un'esplosione scosse il mio incedere sicuro. pensai cercando di nascondermi dietro un muro di mattoni. Aspettai li, seduto sull'acciottolato per diverse ore, in cui la mia mente sembrava incapace di generare alcun tipo di immagine, e poi tornai di corsa verso casa. Il coprifuoco era iniziato. Il mio ingresso fu accompagnato da un'eruzione di felicità del mio sekai, un bastardino che trovai ancora cucciolo vicino alla mia porta, dopo una notte di baldoria. Sekai, mondo, secondo l'ormai scomparsa lingua giapponese, mi ricordava qualcosa del mio passato che ancora mi sfuggiva. Forse sono cresciuto in giappone. A quella domanda, non riuscii mai a dare una risposta. Lui si addormentò quasi subito, accanto alla mia sedia, mentre cercavo meticolosamente di razionare il cibo sul tavolo e scegliere il menù della serata. Alla fine decisi per della carne secca. Era quasi l'alba quando mi addormentai e tra il sogno e la veglia intravidi un bagliore silenzioso e azzurro nella mia camera. pensai, mentre venivo trascinato tra le braccia di Morfeo. Al mio risveglio il sole brillava "chiazzato", secondo il gergo moderno. Nascosto tra le nubi e i vapori quasi fosse un compagno solitario, quasi cercasse di urlare per affermare la propria presenza, ma rimanesse inascoltato. Quel giorno del dodicesimo mese, (il calendario gregoriano era stato soppiantato da un semplice elenco di numeri), avevo un colloquio importantissimo. Uscii di casa in fretta mentre Sekai continuava ad abbiaiare, quasi volesse ricordarmi qualcosa di fondamentale. esclamai a gran forza. . Afferrai di tutta fretta quell'involucro di pelle, ormai così raro, e fuggii di corsa in direzione del treno. Tutto era cambiato da come lo ricordavo, le insegne sbiadite, erano solo un lontano ricordo, sostituite dalle più moderne insegne olografiche. Letteralmente sembravano confondersi con la gente, immagini di uomini e donne che declamavano i loro prodotti. oppure, . Io lo ricordo il sapore del caffè, e tutto ciò mi metteva molta tristezza. I treni ora correvano su binari immaginari, sospinti dal magnetismo, ma erano anche estremamente veloci. Ma ciò che non cambiava era quel luogo, il luogo del nostro primo incontro, sembrava immutabile. Un frammento del passato catapultato in un futuro incerto. Volsi subito lo sguardo altrove. Dopo circa un'ora giunsi a destinazione. pensai. Metre salivo le scale verso il primo piano mi soffermai solo un istante per guardare il panorama al di fuori della grande finestra al pian terreno. La modernità era un baluardo di salvezza rispetto alla solitudine di quel luogo. A passi svelti raggiunsi la porta numero 3 quasi incespicando sull'ultimo gradino e bussai. giuse una voce profonda dall'altra parte. Aprii delicatamente la porta e la richiusi alle mie spalle con altrettanta grazia. disse fissandomi con aria tra il divertito e il severo. Quella stanza la ricordo bene, ampia, alti soffitti, una finestra enorme dietro la scrivania di acciaio inossidabile. I vapori si stagliavano all'orizzonte oltre la grande finestra, li sembrava di essere in un luogo distante chilometri dalla civiltà. L'odore profondo di sigaro si confondeva con l'aroma di incenso che bruciava avidamente accanto a uno schermo di un computer dallo schermo così sottile da dare l'impressione di non esistere. disse nuovamente con lo stesso atteggiamento. disse con aria annoiata. <18432502> dissi con tranquillità. quasi sussurrò con tono irritato. dissi con voce ferma e lui parve tranquillizzarsi. chiese. . Risposi prontamente. disse. Prontamente mi sollevai in piedi e feci un inchino e lui rispose ad esso con un lieve accenno del capo. concluse il discorso e subito raggiunsi con fare spedito la porta e la varcai. Avevo bisogno di quel lavoro, avevo bisogno di lavorare, riuscivo a stento a sopravvivere. Giunto all'ingresso di casa vidi un bagliore azzurro provenire dalla finestra della mia camera da letto e subito corsi in casa. Era vuota. chiamai ma nessuno accorse. urlai, ma anche questa volta non successe nulla. Guardai in fretta in ogni angolo ma del mio Sekai non c'era traccia. Nell'aria c'era un odore strano, antico. esclamai dopo averci riflettuto così a lungo. Non era molto comune al giorno d'oggi trovare dell'incenso, sembrava quasi un eco di un tempo lontano, nascosto tra gli ultimi baluardi della mente libera. La porta era chiusa, perciò non poteva essere scappato, non potevano neanche essere stati i pulitori, in quel caso mi avrebbero avvertito almeno un giorno prima con una citazione. La rabbia canina era stata per un pò di anni quello che ai miei tempi fu la peste nera. Il virus mutò, non si sa bene per quale causa, e arrivò ad infettare anche gli umani. Ci volle diverso tempo per arginare la malattia, e al minimo segno di contagio prendevano il tuo fedele amico e lo portavano in quelli che chiamavano centri di pulizia, ma altro non erano che grandi forni dove quelle povere bestie, venivano bruciati vivi. C'era la credenza diffusa tra il popolo che quella fosse la giusta punizione divina. Era tanto che non pensavo a Dio. Una divinità che ci ha abbandonato a noi stessi e che ormai non rappresentava altro che un ricordo lontano di una scomparsa civiltà. Ero disperato, preoccupato, tanto che le mie palpitazioni fecero impazzire l'orologio di controllo al mio polso. Ci venne imposto dopo la prima grande purga, tutti noi dovevamo indossarlo, e pochè era legato a noi tramite impianto e ogni tentativo di rimozione era punito con la morte. pensai d'un tratto, . Caddi rumorosamente sulla sedia e appoggiai la faccia sul tavolo, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra, e silenziosamente mi addormentai. . dissi con voce assonnata. commentò mia moglie con leggero tono di disappunto. mi stiracchiai sonoramente. dissi sogghignando. commentò di fretta mentre indossava quello splendido vestito nero elegante che le regalai per il nostro anniversario. Mi piaceva guardarla mentre si preparava; la sua attenzione, la sua cura dei dettagli ispirava in me molta fiducia. I suoi capelli d'oro splendevano al pallido sole del crepuscolo di una brillantezza quasi magica. Sarei stato ore ad osservarla, ma era tardi purtroppo e non mi sarei perso la recita di Marco per nessuna cosa al mondo. mi disse con il suo classico tono nervoso ma subito si sedette sul letto per indossare le scarpe e non potei non notare che tentava di nascondere un sorriso. Mi alzai dal letto e dopo aver scelto dall'armadio il mio vestito migliore corsi in bagno per i preparativi. Quella sera l'aria era molto fresca nonostante fossimo in pieno maggio, e tornai indietro verso il ripostiglio per prendere i cappotti. Salimmo in macchina e mentre ci recavamo verso la scuola, ebbi un tremore alla mano destra. disse lei appoggiandomi una mano sulla gamba. dissi con tono incerto. Non mi sentivo bene affatto, d'improvviso il mio corpo divenne caldo e il tremore sulla mano destra si acuì. disse con tono preoccupato. mentii mentre il tremore si era esteso anche alla mano sinistra, passando per il braccio e si accingeva a raggiungere il petto. D'incanto come era giunto, così scomparve, lasciandomi per un attimo senza fiato. disse lei con tono preoccupato. commentai svelto mentre giravo l'angolo in cui si trovava la scuola elementare Carlo D'amico. Trovammo parcheggio davanti al grande portone d'ingresso, e senza parlare uscii dall'auto. L'ingresso era gremito di gente, intravidi i Costa, i D'angelo e i Bianchi, così accennai un lieve saluto con la mano alzata nella loro direzione. Subito fummo fatti entrare nella palestra adibita per quella sera a palcoscenico, e trovammo occupammo il posto riservato ai genitori, in prima fila, leggermente sulla sinistra. Non trovammo il tempo di discutere quello che era successo in macchina perchè improvvisamente le luci si spensero e il sipario si aprì. "Nella notte dei tempi, il grande giudice attende sulla soglia Le notti buie sconvolgono le menti e confondono le direzioni Riusciranno i nostri eroi a trovare la strada Verso la luce?" Conoscevo quella poesia, scritta trenta anni fa da quel poeta viandante americano che aveva vissuto la propria vita della carità della gente dei sobborghi di Los Angeles e della sua musica, che riproponeva insistentemente tra i chioschi sulla spiaggia, e scoperto per caso da un produttore, non aveva mai voluto i soldi e aveva finito per raccattare tutti i suoi testi in una poesia prima di morire qualche mese dopo per overdose di eroina. sussurrai verso di lei. rispose. risposi, . disse sussurrando verso di me. "Quando le tenebre avanzano, non c'è animo umano che non tema la paura quando la luce si accende ecco che avviene la magia". Marco era entrato in scena, e subito mi alzai applaudendo, ma ero l'unico e mi rimisi a sedere piuttosto imbarazzato. La sua voce risuonò nella sala, amplificata, come se ci circondasse, come fosse una innocente e impalpabile emozione che coinvolse non solo noi ma tutto il pubblico. Il suo sguardo sorridente era rivolto verso di me e subito iniziò a recitare: "riuscirai tu a non perderti nei sogni infranti e nelle tue notti senza stelle ma non puoi non prendere la mia mano e accarezzarmi e,sorridermi dolcemente" La sua voce si faceva via via più profonda e un sorriso di smarrimento si dipinse sul mio volto. "non esser temerario ne codardo la notte avvolge i tuoi sensi la luce li rischiara la tua mente moribonda" Iniziai a tremare ancora più violentemente, ma intorno a me tutto diventava opaco. Nessuno c'era più in sala, nessuno a cui chiedere conforto. Solo il mio bambino con i suoi capelli d'oro che riflettevano la luce abbagliante del riflettore puntato su di lui. La sua voce si fece più profonda, quasi distorta. "Sarai pronto se sarà necessario quando la chiamata della notte giungerà a correre verso la luce sgargiante che la tua notte rischiarerà?". Quelle ultime parole risuonarono più cupe e come di soprassalto, mi risvegliai.
  
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