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Autore: SellyLuna    01/07/2012    2 recensioni
Sakura è una ragazza molto impegnata, talmente impegnata che non ha nemmeno il tempo da dedicare a se stessa. Ma quando tutto sembra finito, anche nel modo più inaspettato e improbabile può nascere l'amore...
coppia principale: SasuSaku con accenni ad altre coppie.
Dal secondo capitolo:
“ È da tanto tempo che non ci vediamo.” riprese ora più serio. “È successo qualcosa?”
Ecco, era il momento giusto per accennare al suo problema, anche se non sapeva da che parte iniziare. Non poteva farsi perdere l’occasione, doveva provarci.
“Vedo una ragazza.”
Naruto lo guardò stupito per un breve istante per poi distendere le sue labbra in un sorriso sincero.
“ Non è come sembra.” intervenne Sasuke smorzando, sul nascere, l’entusiasmo dell’altro.
Naruto corrugò la fronte, rivolgendogli uno sguardo interrogativo. Che cosa intendeva Sasuke con quella frase?
Visto che Naruto non sembrava intenzionato a esprimere a voce i suoi dubbi, Sasuke riprese parola cercando di spiegarsi. “È come se vedessi una ragazza che non è lì.”
Per chi ama "Just like Heaven" (Se solo fosse vero) ♥
Per chi ama Naruto ♥
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Se solo fosse vero
 

Capitolo 1.
Lei e lui.

 
 
 
Tirava una brezza leggera che le scompigliava in modo gentile i capelli, immaginava che il vento avesse preso sembianze umane e la stesse accarezzando con affetto.
Si sentiva davvero bene, in pace con se stessa e con gli altri. Aveva l’impressione che le venisse sottratto un enorme fardello, quasi che il vento, arrivando a lei e toccandola, si fosse preso carico di tutte le sue fatiche e, andando oltre, le avesse portate via con sé. Era libera, finalmente libera; le sembrava di sentirsi più leggera. Era una sensazione molto piacevole, quasi irreale, dato che nella sua vita non l’aveva mai provata, soprattutto di recente. Si lasciò cullare ancora un po’ dalla ritrovata tranquillità. Decise di aprire gli occhi e davanti a sé si palesò uno spettacolo di colori. Si trovava in un maestoso giardino, ben curato e ricco di fiori e piante.
Non solo la vista era rimasta deliziata dalla visione, ma anche gli altri sensi potevano godersi la loro parte. Nell’aria fluttuavano molti profumi diversi che, nonostante a quanto si potrebbe immaginare, erano gradevoli nell’insieme.
Inoltre questo sperduto paradiso di verde rappresentava un rifugio per molte specie di uccelli, era un pullulare di canti e di tonalità differenti.
Le si riempiva il cuore di gioia. Non sapeva spiegarselo, era felice, estremamente felice e soddisfatta.
Ad un tratto, però, vide l’immagine di quel fantastico giardino farsi sempre più fioca, fin quasi a scomparire. Si sentiva come risucchiare da un vortice e con un tuffo sordo al cuore aprì nuovamente gli occhi per ritrovarsi davanti il solito rincorrersi di colori opachi, quasi nauseanti per una persona che li vedeva tutti i giorni, mentre per chi veniva da fuori dovevano rappresentare igiene e salute.
Era il luogo dove ormai aveva messo radici, diventando così la sua vera casa, soppiantando quella reale ed effettiva: l’ospedale.
<< Quanto sono rimasta ad occhi chiusi? >> chiese alla sua collega, che era seduta vicino a lei al banco, attendendo nuovi ordini.
<< Solo sei minuti. >> le rispose Karin, mentre si guardava le unghie annoiata.
La guardò allarmata. Perché non l’aveva scossa per farla ritornare alla realtà? Non si era mai persa nelle sue fantasticherie per così tanto tempo. Era anche vero che fino a sei minuti prima era stata in continuo movimento a controllare ogni paziente; era stata disponibile per ogni eventualità e, quando aveva visto che la situazione si era calmata, si era seduta e aveva chiuso gli occhi per racimolare nuove energie. I caffè aiutavano molto, ma non erano sufficienti.
Si alzò decisa a rimettersi al lavoro quando passò un dottore, suo collega, che le si affiancò.
Era un ragazzo giovane, di qualche anno più grande di lei, e portava degli occhiali tondi. Sul suo viso vi era sempre un espressione di celata strafottenza, che le urtava visibilmente i nervi, accompagnata da un’aria da saputello: il dottor Kabuto Yakushi.
<< Mentre tu dormivi, io ho salvato una vita. >> le disse con un lieve ghigno di superiorità.
<< Io non stavo dormendo! >> si difese Sakura, ma Kabuto aveva accelerato il passo ed era già dietro l’angolo.
Come si permetteva? Era indignata. Solo perché si era fermata per qualche minuto, non significava che non facesse niente. Anzi. Metteva anima e corpo nel suo lavoro; era la sua unica soddisfazione. Nessuno poteva permettersi di sminuire quello che faceva!
Scacciò questi pensieri, poco costruttivi e salutari, e si diresse verso la stanza 302 a controllare un paziente.
Quando arrivò, trovò il paziente sdraiato sul suo lettino e appena la vide gli si illuminarono gli occhi.
<< Ah dottoressa Haruno, è lei. >> disse con voce sognante e allegra.
<< Sì, signor Rock Lee. Sono venuta a controllare come sta. >> lo informò gentilmente. Intanto giunse Karin, che doveva assistere la dottoressa.
Sakura si meravigliò nel trovarsi Karin al suo fianco, spuntata da chissà dove, ma subito si riprese e si concentrò sul controllo giornaliero.
<< Sono lieta d’informarla che è tutto regolare. >> sentenziò con un sorriso alla fine della visita. Rock Lee rimase imbambolato, non sapeva se per fissarla o solo perché era senza parole per la notizia. Non aveva tempo per scoprire la vera causa, così si voltò e raggiunse la porta.
Aveva appena posato la mano sulla maniglia quando si sentì chiamare dal paziente.
<< Dottoressa, un’ ultima cosa: vorrebbe sposarmi?>> le chiese con tutto lo charme che riuscì a trovare, accentuando la proposta con un sorriso smagliante.
Non sapeva se ridere o piangere. Da una parte si sentiva lusingata, fino a quel momento nessuno aveva avuto l’ardire di chiedere la sua mano. Dall’altra ammetteva che ricevere una proposta di tale importanza in ospedale da parte di un paziente, che aveva visto a malapena quattro o forse cinque giorni, non era normale. E se aggiungessimo che tale individuo non era proprio il suo tipo?
Era giovane, questo sì, probabilmente aveva la sua età o qualche anno in più, ma aveva delle sopracciglia enormi, che erano davvero raccapriccianti. Le trovava così orribili che ogni volta che entravano nel suo campo visivo la facevano stare male, sentiva salire dallo stomaco una sensazione di nausea, tentava di volgere lo sguardo altrove ma non ci riusciva.
Si sorprese di tali pensieri e se ne rammaricò. Non credeva di essere una donna così superficiale. Come scusa poteva addurre che non lo conosceva molto e quel tempo risultante dalla somma dei dieci minuti al giorno per cinque giorni non bastava per decidersi di sposarsi.
Come unica risposta gli regalò un sorriso tirato, dopodiché uscì.
Ancora scossa dai suoi pensieri si diresse al controllo successivo.
 
Era ormai sera quando Sakura poté tirare un sospiro di sollievo e immaginare che da lì a poco sarebbe stata a casa, dove si sarebbe distesa sul letto e avrebbe fatto una lunga e bella dormita.
Le ci voleva proprio; la giornata era stata lunga e faticosa. In quel momento non invidiava per nulla le sue colleghe che, tornando a casa, avevano molte altre cose di cui preoccuparsi. Lei, l’unica cosa a cui avrebbe dovuto pensare era quella di mettere qualcosa sotto i denti e poi andare a dormire, aspettando un altro giorno lavorativo.
A volte si chiedeva come sarebbe stata una vita in cui avrebbe avuto qualcuno che l’aspettava a casa, qualcuno di cui prendersi cura, qualcuno d’amare…  Probabilmente non l’avrebbe saputo mai. Che tristezza.
<< C’è un emergenza! Cerco un dottore libero! >> urlò una voce che sovrastava un rumore assordante di una barella in corsa.
Si precipitò in quella direzione. Un altro dottore era disoccupato come lei e si stava dirigendo nello stesso luogo.
La corsa di entrambi fu fermata dall’apparire davanti a loro della figura di una donna austera e autoritaria. La dottoressa Tsunade Senju era il primario, conosciuta per la sua bravura in campo medico e per i suoi metodi rigidi necessari per fare rispettare le regole. Era una donna molto carismatica, adatta al ruolo che si era conquistata dopo anni di duro lavoro.
Sakura provava sempre soggezione in sua presenza e anche quell’occasione non fu da meno.
Dopo aver scrutato sia Sakura sia Kabuto, rivolse la sua attenzione sulla dottoressa Haruno e le domandò quante ore avesse lavorato.
<< Dodici ore. >> disse cercando di risultare convincente. In realtà aveva lavorato più di dodici ore, per l’esattezza erano ventisei ore che si trovava in quel edificio, ma sapeva che il limite massimo acconsentito erano dodici ore.
Tsunade la esaminò con cipiglio severo. Sotto il suo sguardo indagatore si sentiva piccola piccola e stava per rimpiangere di aver detto una bugia. Era talmente sottopressione che le sue mani iniziavano a sudare e ci mancava poco che le tremassero le gambe.
La dottoressa Senju passò oltre, posando il suo sguardo su Kabuto, il quale prontamente rispose che aveva lavorato meno di dodici ore. L’incarico fu assegnato al dottor Yakushi, che corse verso la sala operatoria.
Sakura era ancora immobile, attendeva un segno che le indicasse che fosse libera di andare.
<< So perfettamente che hai lavorato più di dodici ore.>> le disse Tsunade sorprendendola. Ora come poteva sfuggire alla sua ramanzina?
Si sentiva davvero desolata, perché ora Tsunade si sarebbe fatta un’idea sbagliata di lei. Le aveva mentito, perché avrebbe davvero voluto poter aiutare quella persona, perché le piaceva il suo lavoro nonostante talvolta fosse estenuante, ma alla fine di ogni giornata, ripercorrendola con la mente, poteva trovarvi un sacco di soddisfazioni, che alimentavano il suo animo, la sua felicità. Come poteva rivelarle tutto ciò?
Anche se avesse dato voce ai suoi pensieri più profondi non sarebbe scampata al suo licenziamento, nelle peggiori delle ipotesi. Si era ormai rassegnata a sentire le fatidiche parole. Tuttavia Tsunade la sorprese di nuovo. Al posto della solita espressione dura, vide nascere sul suo viso un lieve sorriso. Era raro che Tsunade Senju concedesse ai suoi sottoposti sorrisi d’incoraggiamento o d’approvazione, per questo avevano un valore immenso e Sakura sapeva riconoscerlo.
<< So quanto impegno ci metti nel tuo lavoro >> continuò con più dolcezza << ma ora ti consiglio, anzi ti ordino, di andare a casa a riposare. Te lo meriti. >>
Sakura la guardò con riconoscenza e si congedò. Stava per voltarsi quando fu richiamata dal suo superiore.
<< Sakura, dimenticavo. Ti ho promossa a responsabile reparto. >>
La guardò stupita e poi un grande sorriso le illuminò il viso e senza pensarci troppo abbracciò con foga Tsunade. Da parte sua, Tsunade fu in un primo momento contrariata dall’esagerato trasporto della ragazza, ma poi ne rimase contagiata dalla genuina felicità.
Quando si staccò da Tsunade, Sakura fece un inchino di scuse e, ancora con il sorriso sulle labbra, se ne andò.
Non poteva crederci. Dopo tanta fatica, finalmente venivano riconosciuti i suoi meriti. Sapeva che, salendo di grado, avrebbe avuto più responsabilità e non doveva vantarsi del risultato ottenuto, ma rimanere sempre la stessa con i piedi ben ancorati a terra.
Ma al momento non poteva frenare la felicità che le riempiva il cuore, facendolo traboccare fino quasi a scoppiare.  
Non vedeva l’ora di raccontare la bella notizia a Ino, la sua migliore amica.
Ora che ricordava, si vedevano quella stessa sera. Ino l’aveva invitata a cena e le aveva raccomandato di venire, perché aveva invitato anche un ragazzo. Ino era sempre la solita. Secondo lei non riusciva, da sola, a trovarsi un uomo. Quante volte doveva ripeterglielo che, invece, ne era in grado? Ma no, con una scusa del tipo “Fidati di Ino!” si chiudeva la discussione; le sue lamentele le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro.
A grandi passi attraversò il parcheggio e raggiunse la sua vettura. Salì e mise in moto.
Mentre era alla guida, squillò il cellulare. Dopo una breve ricerca, prese l’apparecchio e se lo accostò all’ orecchio.
<< Sì, pronto? >>
<< Ciao Sakura, sono Ino. Dove sei? >>
<< Sono in viaggio. Tra poco arrivo. >> la rassicurò. << E ho una bella notizia da darti >> continuò, euforica.
<< Ah sì? Sono proprio curiosa. >>
<< A proposito: lui è già arrivato? >> chiese Sakura preoccupata. Che razza di figura ci faceva se arrivava in ritardo e faceva aspettare tutti?
<< No, stai tranquilla. >> le disse l’amica. Si era  rasserenata, stava per aggiungere altro quando, nella sua visuale, comparvero due grandi fanali, che a grande velocità si dirigevano verso di lei.
Sbarrò gli occhi e spalancò la bocca, ma non ne uscì nessun suono. Era accaduto tutto così in fretta. Ino, dall’altro capo della cornetta, sentendo silenzio iniziò a preoccuparsi e chiamò più e più volte l’amica.
<< Sakura? Sei ancora lì? >> urlò Ino, ormai in panico. << Sakura? >>
Non ottenne nessuna risposta.
 
 
 
 
 
 
<< Allora, che ne dici di questo? >>
Jugo era in piedi in mezzo al salotto che voltava lo sguardo a destra e a manca osservando lo spazio intorno a sé per poi posarlo su di lui, attendendo il verdetto.
La sua voce era risultata un po’ stanca, dopotutto lo era anche lui. Quella ricerca stava andando avanti da troppo tempo. Com’era possibile che non ci fosse un appartamento che rispondesse alle sue esigenze?
Jugo, ragazzo armato di tanta pazienza, aveva sempre messo in luce, in tutti quei sopraluoghi, i pregi che riusciva a scovare per convincere il suo giovane amico a prendere sistemazione.
Ma non c’era stato verso; aveva sempre rifiutato perché, diceva, non facevano al caso suo.
Anche in quel momento, sprofondato in quel divano davvero scomodo, Sasuke guardò desolato Jugo e rifiutò l’ennesima offerta.
Jugo non parve sorpreso, anzi se l’aspettava. Non sapeva più come fare, cosa poter offrirgli: quella era stata la sua ultima carta.
Non riusciva a capire cosa non gli andasse a genio: forse non gli piaceva lo stile e il design moderno? Doveva ammettere che, chi aveva scelto il mobilio, non aveva buon gusto, ma con una ritoccatina sarebbe risultato più apprezzabile.
Sasuke si alzò dal divano, che fino un attimo prima lo aveva intrappolato nelle sue grinfie, e si diresse verso l’uscita.
Jugo capì che quella era stata la scelta definitiva, così seguì l’amico.
Una volta fuori dall’edificio, senza risultare troppo indiscreto, gli domandò cosa non avesse trovato di suo gradimento.
<< Il divano era troppo scomodo.>> se ne uscì l’altro come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Giusto, il divano. Come poteva essersene dimenticato? Infatti, ora che ci pensava, la prima e l’unica cosa che Sasuke aveva cuore di esaminare era il sofà.
Tralasciando la sua affermazione, gli disse che si sarebbero sentiti più avanti e magari avrebbe avuto altre offerte.
Sasuke lo ringraziò e accettò la sua soluzione, anche se intimamente non ne era convinto. Era nello sconforto più totale; non l’avrebbe mai trovato. Ci teneva a trovare un appartamento, non voleva più vivere nella sua vecchia casa, troppo ingombrante di ricordi dolorosi.
Al solo pensarci, sentiva una stretta al cuore.
Per questo aveva deciso di cambiare aria, forse gli avrebbe fatto bene e l’avrebbe aiutato a ridimensionare il suo passato, a fare in modo che non lo perseguitasse.
Stava per allontanarsi da Jugo, quando un colpo d’aria più forte gli parò davanti agli occhi un bigliettino.
Questo innocuo piccolo pezzo di carta sospinto dal vento portava belle notizie. Sopra di esso, c’era scritto l’indirizzo di un appartamento che era stato messo in affitto.
Non era lontano; si trovava dall’altra parte della strada.
Decise di darci un’occhiata, così attraversò la strada. Jugo lo seguì per cercare di convincerlo che sarebbe stato meglio aspettare; prima dovevano procurarsi tutte le informazioni in merito.
Sasuke non l’ascoltò e, arrivato davanti al condominio si fermò, alzò lo sguardo per ammirarlo in tutta la sua maestosità.
Ne era rimasto piacevolmente sorpreso e pensò che non gli sarebbe dispiaciuto abitarvi.
Rilesse il bigliettino: la sua futura dimora era all’ultimo piano. Così, camminando con una nuova speranza, varcò il portone.
Dopo aver contrattato con il portiere per aprire loro la porta dell’appartamento e aver salito molte rampe di scale, finalmente vide ciò che sapeva sarebbe diventata la sua nuova casa.
Era molto spazioso, forse troppo per una persona sola come lui. Aveva una grande sala, luminosa e accogliente. Anche il divano non sembrava male, vi si accomodò e rimase estasiato. Quello era un signor divano, era davvero confortevole, proprio quello che stava cercando.
Diede una rapida occhiata anche alle altre stanze e il suo giudizio era positivo.
Una particolarità che lo aveva colpito era stata la zona a forma di semicerchio, percorsa da una panca rivestita con cuscini, davanti alla quale si trovava un basso tavolino. Era una zona di relax, resa ancora più originale dalle enormi vetrate da cui era costituita, dalle quali si intravedeva tutta la città.
“ Chissà che spettacolo la sera” pensò Sasuke.
Inoltre scoprì che annesso all’appartamento c’era uno spazio molto ampio sul tetto.
<< Potrebbe diventare un bel giardino. >> considerò Jugo a voce alta.
Forse aveva ragione, ma quello che si presentava davanti a loro era una distesa di grigio e asfalto con due o tre piante in vaso, ormai rinsecchite.
Se il proprietario non aveva voluto abbellire e sfruttare al meglio quello spazio, di certo non ci si metteva lui. Dopotutto gli bastava solamente avere un tetto sopra la testa.
<< Aggiudicato. >> dichiarò Sasuke finita l’ispezione, lasciando il doveroso compito a Jugo d’informarsi con i proprietari.
 
Scoprì che era un locale in subaffitto e che poteva restare per un tempo indeterminato, con la sola clausola che, se si fosse ripresentato il precedente affittuario, sarebbe dovuto andarsene. Quest’ultimo vincolo lo aveva lasciato perplesso e un po’ scombussolato, ma Jugo lo tranquillizzò dicendogli che non ci sarebbero stati problemi.
Si distese e si lasciò accogliere dalle morbidi e cullanti braccia del divano.
Aprì l’ennesima birra e la sorseggiò mentre guardava la televisione.
 
<< Otuoto, cosa stai facendo? >>
La telecamera si focalizzò sull’immagine di un bambino in mezzo alla sabbia, intento a scavare. Al suono della voce alzò il viso, sporco di sabbia, e disse: << Un castello.>>
L’obiettivo si avvicinò all’opera del bambino, rivelando un ammasso di sabbia indistinta intorno alla quale c’era un piccolo fossato, senza acqua.
<< Non vorresti una mano? >> gli chiese gentilmente la voce.
<< No. Ci riesco anche da solo. >> disse il bambino risentito, mettendo il broncio. Avrebbe tanto voluto che suo fratello lo elogiasse, ma evidentemente non gli piaceva il suo castello.
A vederlo, effettivamente non sembrava un castello, ma piuttosto una montagna dalla quale presto si sarebbe staccata una parte, provocando una valanga, che avrebbe ostruito il fossato. Avrebbe dovuto accettare l’offerta di Itachi e non farsi comandare dall’orgoglio, e ora come poteva chiedere il suo aiuto? Quanto si vergognava.
Osservò nuovamente il suo obbrobrio.
<< Bambini, venite! È ora di mangiare! >> si aggiunse una seconda voce, più dolce e melliflua.
La telecamera, solo per un attimo, riprese la donna che si sbracciava per richiamare la loro attenzione.
<< Su otouto, andiamo. >>
Click.
 
Erano seduti sugli sdrai al riparo dal sole sotto l’ombrellone.
Mikoto, la loro madre, stava ministrando il loro pranzo. << Ecco, tieni tesoro. >>  disse, porgendo un piattino al figlio più piccolo.
<< Grazie mamma! >> la ringraziò Sasuke, mentre Mikoto stava già preparando un altro piatto.
<< Per l’amor del cielo Itachi! Puoi spegnere quell’affare mentre mangiamo? >> lo rimproverò bonariamente ma con tono fermo sua madre mentre consegnava il pranzo a Fugaku.
Itachi riprese suo padre mentre prendeva il suo primo boccone, alzò il viso e guardò contrariato suo figlio maggiore. Sapeva che odiava essere immortalato su pellicola, poteva acconsentire, raramente, a farsi fotografare.
L’immagine di Fugaku fu oscurata dal viso di sua madre. << Su, Itachi. Per favore spegnila. È ora di mangiare, continuerai dopo. >> gli sorrise, ora.
Click.
 
Si portò alle labbra la lattina. Era vuota.
Si alzò e andò in cucina a prendersene un’altra. Aveva bisogno di dimenticare, di non pensare.
Gli stavano tornando alla mente tutti i bei momenti passati con la sua famiglia. In particolare sentiva la mancanza di Itachi. Come avrebbe fatto senza di lui? Gli era sempre stato vicino, soprattutto nei momenti più duri. Ed era stato il suo unico appiglio dopo la morte dei loro genitori.
Con questi pensieri, ritornò in salotto quando vide una ragazza che, appena lo vide, urlò.
Sasuke sobbalzò lievemente. Era interdetto. Cosa diavolo ci faceva una ragazza in casa sua?
<< Cosa ci fai tu qui? >> gli disse la ragazza, dopo essersi ripresa, con tono vagamente minaccioso.
<< Ci abito. >>
La ragazza parve sorpresa. Come biasimarla? Lo era, leggermente, anche lui.
Non gli avevano detto che non ci sarebbero stati problemi?
<< Impossibile. Qui vivo io. >> disse la ragazza con convinzione.
<< Senti, ci deve essere un errore. Io ho preso quest’appartamento in affitto. >> le disse con calma, scandendo le parole come se stesse parlando ad una pazza. Non aveva voglia di litigare con una sconosciuta.
La ragazza lo guardò incredula.
<< Non è possibile. >> sussurrò più a se stessa. Sasuke scrollò le spalle e tornò a comodarsi alla sua postazione preferita.
<< Chiamerò la polizia. >> disse lei, risoluta.
Sasuke alzò un sopracciglio.  << Fa’ come credi. >> liquidò la sua affermazione.
Con la coda dell’occhio vide la ragazza davanti al mobile del telefono, cercando di afferrarlo. Non ce la faceva, era come se le sue mani trapassassero la materia, gli oggetti.
<< Cosa hai fatto al mio telefono? >> Nel suo tono c’era una nota acuta, di panico.
<< Fa niente. Provo con l’altro. >>  La ragazza s’incamminò e vide la sua figura sparire un po’ alla volta.
Rimase a fissare il punto dove era scomparsa ancora per un po’, attendendo il suo ritorno. Ma la ragazza non tornò.
Forse aveva bevuto un po’ troppo quella sera. Non era ubriaco, era ancora sobrio e lucido, ma non riusciva a trovare una soluzione logica se non che quella ragazza fosse frutto della sua immaginazione. Sì, doveva essere proprio così.
Decise comunque che era ora di andare a dormire. Forse così si sarebbe ripreso e la sua mente non gli avrebbe fatto più scherzi del genere.  
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed eccomi qui! Che dire?
Innanzitutto, questa è la mia prima long, che non sarà molto lunga, pensavo di scrivere tre o quattro capitoli. E vorrei avvisarvi, appunto perché è la mia prima long, che non so se riuscirò ad essere puntualissima, per questo metto già le mani in avanti e vi chiedo scusa! :D 
Da come avrete notato dal titolo si ispira all’omonimo film, anche se alcune cose le cambierò per renderle più congeniali ai personaggi di Naruto. Spero possiate gradire la storia, anche se i personaggi non risultano perfettamente IC. Comunque io cercherò di fare del mio meglio! ^^
Ah un’altra cosa: non ho mai letto il libro da cui è tratto il film, anche se mi piacerebbe moltissimo, spero prima o poi di avere l’opportunità! ;)
Grazie infinitamente a Hikari che ha trovato del tempo per betarmi questo capitolo! ;) Grazie di cuore! <3
Ringrazio vivamente chi ha letto e chi lascerà un commento, che mi farebbe davvero molto piacere!
Questo è tutto! Grazie per chi è arrivato fin qui. :)
A presto! ;)
Selly
 
 
 
 
 
 
 
 

 

   
 
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