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Autore: Aesir    01/07/2012    1 recensioni
Questa fiction è il seguito di "Leggende del Mondo Emerso: La Strada di Dubhe"
Mano nella mano nelle tenebre
Il prezzo per una vita assieme
Una missione in cui non credono
Dubhe e Aster
Riusciranno nel loro obiettivo?
Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più
[DubhexAster]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Aster, Dubhe
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Mondo Emerso'
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Scena Quinta (V): DICIOTTO

 

Long lost words, whisper slowly, to me
Still can't find what keeps me here
When all this time I've been so hollow, inside
I know your still there

- Evanescence,
Haunted

Lode a Shevraar, lode al Signore del fulmine e della spada, creatore e distruttore, padrone dell’eterno ciclo della vita, lode. Nel suo nome io, Heiral, mi accingo a narrare dei suoi figli prediletti, di come giungano al mondo e di come il Dio si serva di loro. Possa il Dio ispirare le mie parole e condurmi con successo alla fine dell’impresa...

Cazzate!”, sbuffò Dubhe, chiudendo di scatto il volume.
Si alzò, sentendo le gambe indolenzite protestare per la posizione in cui era stata costretta così a lungo e, guardando la luce che filtrava dalle vetrate, si
stupì di quanto tempo fosse trascorso. Gettò il libro sopra una pila di suo simili, e scavalcò una pila di testi di mitologia elfica. Prima di conoscerlo, Dubhe non avrebbe mai sospettato che il Tiranno potesse avere interessi tanto innocui. Quella biblioteca, la più ricca di tutto il Mondo Emerso, era strapiena di tomi rari, scritti in lingue antiche, autografi o addirittura libri che si supponeva fossero andati perduti con il tempo. Sembrava non ci fosse argomento al quale il mezzelfo non si fosse interessato. Indugiò un momento dalle parti degli scaffali di botanica, indecisa se concedersi un po’ di lettura disinteressata, ma era davvero stanca morta. Rimandò. Come faceva da tanto tempo a quella parte. Neanche tanto tempo prima, non avrebbe resistito alla tentazione di sfilare un volume da quegli scaffali. La conoscenza le piaceva, imparare l’affascinava. Ora, invece, si voltò, con un sospiro, e lasciò la biblioteca.
Dopo aver salito le rampe di scale, si tolse il mantello – senza il quale si sentiva nuda – e si gettò nel letto ancora vestita. “Dubhe”, bofonchiò Aster, accendendo con la magia un globo di fredda luce azzurra, “ma lo sai che ore sono? Sei sicura di non essere una vampira?”

Non mettertici a dire stupidaggini anche tu”, tentò di rispondere la ragazza, ma uno sbadiglio la interruppe a metà frase. Il mezzelfo si tirò su e la guardò meglio: i suoi occhi grigi e bellissimi erano arrossati per la fatica e la stanchezza, il suo volto era tirato e aveva un aspetto pallido ed emaciato. “Basta”, le sussurrò, accarezzandole i capelli. “Da domani ti prendi una vacanza, hai capito?”
D’accordo”, mormorò Dubhe, infilandosi sotto le lenzuola. In quel momento gli avrebbe detto sì a qualunque cosa. Tese le braccia: “Dai, vieni qui.”
Aster acconsentì di buon grado, e la abbracciò, deponendola nel cuscino soffice: “Ti stai consumando. Dimagrisci a vista d’occhio”, osservò, sentendole le costole delinearsi sotto le mani. “Credimi, hai proprio bisogno di staccare per un po’”, le mormorò affettuosamente.
Ma Dubhe non sentì queste sue ultime parole, sprofondata com’era, sfinita, in un sonno senza sogni.

Il mondo le apparve fuori fuoco per un momento, mentre apriva gli occhi e subito batteva le palpebre, confusa. C’era qualcosa che non andava, qualcosa che non riusciva ad individuare. Mezza addormentata, la sua mente impiegò alcuni istanti a connettere del tutto. Poi capì. La luce. La stanza era inondata di luce. Scattò in piedi, all'improvviso completamente lucida.
Aster”, esclamò. “Che ore sono?”
Le undici passate da poco…”
COSA?!”
La ragazza si guardò intorno freneticamente, accorgendosi solo in quel momento di avere i capelli sciolti e soprattutto di essere in biancheria intima. Arrossì appena: “I miei vestiti…?”, chiese.

Te li ho tolti io ieri sera, non preoccuparti. Quando sei crollata a letto, non ti eri neanche spogliata, perciò ho pensato che potessero darti fastidio.”
La ladra accettò la spiegazione con un cenno, e si guardò intorno. “Beh… ho perso praticamente mezza giornata… è meglio che mi metta al lavoro…”

Dubhe… ti ricordi che cosa ti ho detto ieri sera?”
Cosa?” Le ci volle un attimo per fare mente locale. “Ah. Vero…”
E, comunque, oggi non ti permetterei di muovere un dito in ogni caso.”
Perché?”, lo fissò confusa lei.
Che giorno è oggi?”
La ragazza continuava a guardarlo, sempre più confusa: “Che giorno dovrebbe essere?”
Aggrottò la fronte, provando a ricordare, ma per quanto si sforzasse, non le veniva in mente nulla. “Niente. Aster, che giorno è?”
Il mezzelfo sorrise e la abbracciò: “Buon compleanno, Dubhe!”
Lei sgranò gli occhi: “No! Stai dicendo sul serio?”
Il ragazzo annuì, e sorrise: “Non mi dirai che te l’eri dimenticata?”

Davvero. Sul serio, io…”
Aster gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. “Sei incredibile!”
La guardò, notando il suo sorriso lieve, gli occhi che scintillavano divertiti e le guance tinte appena appena di rosso. “Ti ho mai detto che sei bellissima?”
SI alzò, e le porse un involto che avevo preso dai piedi del letto: “Tanti auguri!”
”Oh, Aster! Non dovevi, davvero…!”

Dovevo, sì. Sei o non sei la mia ragazza?”
Lei rise: “Direi che lo sono, in effetti.”

Beh, cos’aspetti? Dai, aprilo!”
Le dita della ladra sciolsero lentamente il nastro, aprirono con delicatezza la carta, e, quando scoprirono il contenuto, si intravide qualcosa di verde. Guardò Aster interrogativa, e lui le fece cenno di andare avanti. Le sue dita sfiorarono una superficie morbida: tessuto. Incuriosita, eliminò la carta e svolse l’oggetto, rivelando un lungo abito verde foresta, con gli orli di merletto bianco. Dubhe sentì distintamente il cuore mancarle un battito. “Te lo provi?”, sorrise lui.
Come in trance, la ragazza si alzò e indossò il vestito, aggiustando rapidamente i vari passanti e legacci. Il tessuto era davvero morbido come sembrava, e le frusciava addosso. Era… piacevole… sentirselo contro la pelle. Abbassò lo sguardo, osservandosi. Sembrava andare bene.
Il mezzelfo le porse lo specchio e lei, dopo aver preso un respiro profondo, osò guardarsi. Non era la prima volta che si vedeva in abiti femminili, e il vestito, nonostante la sua indubbia bellezza, era qualcosa di abbastanza semplice, ma, chissà come, si sentiva…
diversa. Si concentrò sulla propria immagine. Le spalle e le braccia erano nude, il seno minuto era stretto nel corsetto, la stoffa le avvolgeva la vita sottile, e dietro di lei lo spacco le lasciava scoperta buona parte della schiena. I suoi bei capelli castani scivolavano sul verde intenso, creando un contrasto che era difficile ignorare. Il colore era intonato anche con quello degli occhi. Non era un abito per celare la sua identità, per nasconderla, ma piuttosto un modo per arricchirla e circondarla di nuove sfumature che forse, da sola, non avrebbe mai notato.
E Dubhe si trovò carina, davvero.

Sono bella…”, mormorò, quasi incredula.
Lo sei sempre”, le sussurrò Aster, abbracciandola.
Dubhe sorrise timidamente e gli baciò le labbra: “Grazie.”
Il ragazzo la scostò un attimo e la squadrò con sguardo critico. La scollatura evidenziava le clavicole, che interrompevano la linea morbida nel collo, incavandosi appena. Ricordò le sensazioni che dava seguirne il contorno con le labbra, ad occhi chiusi, e fremette inconsciamente. Ma era qualcos’altro che aveva attirato la sua attenzione: “Aspetta.”
Prese da un armadio i vestiti della ladra, dove li aveva riposti. Era una sensazione strana, quella che aveva sentito nel guardarla: un senso di… inadeguatezza, l’avrebbe definita. Come se ci fosse stato qualcosa di… sbagliato. Seppure bellissima, quella ragazza che aveva davanti era… diversa dalla sua Dubhe. Sollevò il mantello nero. “Posso?”, le chiese.
La giovane lo guardò negli occhi e annuì. Come sempre, aveva capito. Aster le drappeggiò l’ampio manto dietro alla schiena, andando a coprirle le spalle. Lasciò abbassato il cappuccio, perché i capelli lucidi di Dubhe erano uno spettacolo che meritava di essere ammirato nella sua completezza. Le allacciò il fermaglio sul collo e la voltò: “Adesso, guardati di nuovo.”
La ragazza ubbidì. Un flash. Passato e presente si univano in un caleidoscopio, in quell’immagine che la guardava. Una ladra, un assassina e una regina.
Sono io?, si chiese, stupita. Ma gli occhi non lasciavano dubbi. Si osservò: come sempre, Aster aveva avuto ragione. Il mantello nero la completava stranamente, elevandola al di sopra della normalità. A lungo non aveva voluto vedere la propria bellezza, ma ora era costretta a riconoscerla. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Avvicinò il volto allo specchio. I suoi occhi grigi le restituirono lo sguardo. Era la prima volta che se li osservava così attentamente. Percepì la rapida interruzione di un battito delle ciglia, il dilatarsi della pupilla, le pagliuzze più scure che si irraggiavano nell’iride. Trovò il colore davvero bellissimo, sembravano due opali. Capì cosa intendesse Aster quando le diceva che sarebbero bastati i suoi occhi per fargli perdere la testa, anche senza tutto il resto. Si sorrise, timida. Nel suo sguardo c’era sempre quella nota malinconica e inquieta. La accettò come tale, e se ne sentì rincuorata. Era lei, dopotutto.
Le piaceva l'impenetrabilità di quegli occhi grigi: nessuno, tranne il mezzelfo, riusciva mai a capire se fosse felice, arrabbiata, oppure semplicemente stanca. Per chiunque altro, lei era
ghiaccio. Un grigio che poteva essere il nulla e ogni cosa, mutevole e sfuggente come lei, con l'unica costante della freddezza. Il semplice risultato di aver passato la vita ad imparare, a costo di grandi sacrifici, ad essere forte, ad essere insensibile.
Era così… strano. Ebbe la netta sensazione che riconoscere la propria debolezza in qualche modo la sollevasse da essa. In un istante capì le parole che Aster le aveva rivolto dopo che lei aveva affrontato Gloriar: significava capire chi era lei, e poi capire che non era più la stessa persona. Significava che aveva fatto un errore, e che quell’errore l’aveva cambiata, e che nel farglielo capire lui le aveva dato la certezza che non avrebbe rifatto lo stesso sbaglio, perché adesso era già un’altra, una persona meno spaventata, una persona capace di affrontare il dolore in sé e negli altri.
Se non sono la ragazzina piena di paura che si sentiva l’anima dilaniata a metà e non aveva idea di cosa fare, allora chi sono?
Ci pensò su un attimo, senza risultato. Stava per rinunciarvi, forse era già abbastanza sapere che non era più quella di un tempo, quando lo capì. Lo aveva detto lei stessa ad Ondine:
sono la ragazza di Aster.
E comprese anche che era l’amore che provava per lui ad averla cambiata, ad averla plasmata in una persona nuova, ad averla
completata.
Iniziò a spogliarsi, pian piano.

Cosa c’è?”, le chiese il mezzelfo, incuriosito.
Dubhe voltò la testa e gli sorrise: “Una volta mi hai detto che un giorno mi sarei resa conto di essere libera, ti ricordi?”
Lui annuì. “Beh, penso che questo giorno sia arrivato.”

Davvero?”, sorrise il ragazzo.
La ladra fece cenno di sì: “Davvero. Mi sento ancora… inquieta, triste, insomma, lo sai. Però… però quando sono qui con te, è come se non me ne importasse. È questa la libertà?”

Sì. Cioè, credo di sì. Ma… non lo so. Non dici di dipendere comunque da me?”
Aster, io dipenderei da te in ogni caso. Mi appartieni, e io ti appartengo. Non è una questione di debolezza o no, io ho bisogno di te anche solo per respirare e per vivere. Se c’è una cosa che ho imparato in questi diciotto… diciannove anni passati sul Mondo Emerso, è che è impossibile non essere controllati da nessuno. Però posso scegliere di essere controllata da chi mi vuole bene.”*
Dubhe…”, sussurrò il mezzelfo. “Lo sa che mi hai appena detto una cosa bellissima?”
Lei annuì piano. “Adesso, aiutami, per favore. Ho voglia di… controllare se sono... cambiata, ho voglia di sapere come vedo il mio corpo… ora. Voglio vedermi come chi si vede la prima volta…”
Aster le sorrise, e le andò accanto. “Chiudi gli occhi, allora.”
L’assassina ubbidì e per sicurezza si voltò, sentendo il tessuto morbido scorrere via. Al permesso, riaprì gli occhi e voltò il capo, scrutandosi al si sopra delle spalle. Il suo sguardo passò sul fisico scolpito dalla danza delle armi che durava da dieci… undici anni ormai. Scostò i lunghi capelli, mostrando la pelle pallida, seguì le scapole, che sporgevano come un paio d'ali, dividendo la chioma castana, quindi il saliscendi della colonna vertebrale, laddove le dentellature erano ben evidenti, poi scese fino ai glutei sodi. Prese un respiro e si volò, davanti alla figura nuda riflessa nello specchio, lasciando i capelli che aveva trattenuto. Un corpo sottile e nervoso, il corpo di un’assassina. Era magra, forse troppo, ma in fondo si piaceva così. Da sotto il seno minuto, con i capezzoli appena più scuri della pelle circostante, le costole affioravano leggermente, ad ogni respiro rompendo il gioco di ombre che scivolava sul suo corpo; l’addome piatto si tendeva all’indietro, disegnandole appena il profilo della muscolatura morbida, le gambe erano lunghe e snelle a furia di correre e arrampicarsi su tetti con un'agilità che poco aveva di umano. Si accarezzò le braccia tornite, sentendo i muscoli sottili ed elastici che si tendevano sotto il velo della pelle. La sua mano passò sul sigillo, e per un momento la Dubhe fuggita dalla Gilda si chiese perché non pulsasse e come mai la Bestia fosse così tranquilla. Poi sorrise e ne segnò i contorni con le dita. Il simbolo della sua prigionia era diventato quello della sua libertà.
Sopra le spalle sottili, l’incunearsi delle clavicole e il collo esile, stava quel volto dolce e infantile, quel volto da ragazzina, quella bocca ben disegnata, quei capelli castani che scendevano a ciuffi ai lati del viso, e poi giù, sulla nuca e fino quasi alla vita, e soprattutto quei bellissimi occhi grigi e malinconici.

Attenta a non innamorarti di te stessa”, l’avvertì scherzosamente Aster. “Fossi in te, non ci penserei due volte.”
Dubhe sobbalzò.

Allora, ti trovi cambiata?”, proseguì il mezzelfo.
Forse.” Si buttò di schiena sul letto, invitandolo con un cenno a fare altrettanto. “Da bambina non ho mai pensato di essere carina. Un tempo, neanche troppo lontano, il mio era un mondo fin troppo concreto, in cui contava solo la sopravvivenza e la vita era puro mangiare, bere e respirare. La mia vita era un' infinità, immutabile notte, ferma nel suo momento più cupo, perchè solo al buio sarei stata sicura, sarei stata protetta. L'oscurità mi ha dato una casa quando non ne avevo nessuna, mi ha dato di che vivere quando ero sperduta. Questo prima che una notte tu bussassi alla mia porta.”
Da bambina non hai mai pensato di essere carina? I ricordi ti giocano strani scherzi.”
La ladra scosse la testa, e la frangetta le finì come al solito sugli occhi: “No. Voglio dire, il corpo e il viso sono gli stessi. Cioè, sono cresciuta da quand’ero bambina, sono diventata una ragazza, ma in fondo sono ancora io. Ah, no, aspetta, non è così. Della bambina che ero un tempo, non è rimasto proprio nulla. È dell’apprendista assassina che sto parlando, o della ragazzina che viveva di furti a Makrat. Sì, adesso ci siamo. Ti dicevo, sarò cambiata forse un po’ da allora, ma non credo così tanto. Solo che..”

Solo che una volta non sapevi cosa fosse la bellezza.”
Ehi, come fai a saperlo? Giù le zampe dalla mia testa, Tiranno che non sei altro!”
Aster rise assieme a lei: “No, è quello che ho provato io quando ti ho vista da quella boccia per pesci in cui mi avevano infilato nella Casa. Allora, la mia anima aveva soggiornato così a lungo nel corpo di un bambino, che non potevo capire a fondo il sentimento che provavo… non all’inizio, almeno. Ma sappi mi piacevi già da allora. I tuoi occhi, Dubhe. Gli occhi sono rimasti gli stessi di quand'eri bambina, sono ancora innocenti, ancora si stupiscono della crudeltà di questo mondo.”

Davvero? Grazie… per me, quando ti ho visto davvero - e il ragazzo capì cosa intendeva dire - dopo che mi hai parlato, è stato… indescrivibile. Prima la mia bellezza – il fatto che gli altri mi trovassero bella – era inutile, fastidiosa, addirittura. Ora devo dire di no, perchè ha uno scopo se questo scopo è donarla a te.”
Lo stesso per me.” Il mezzelfo si stiracchiò. “Ti aiuto a rivestirti, ti dispiace? Scusa, ma sei troppo carina, vestita così.”
Dubhe sorrise, quasi timidamente, con una lieve sfumatura che saliva a colorare le sue guance. Si voltò di schiena per permettergli di allacciare i vari passanti. La mano del ragazzo, prima di occuparsi del corsetto, scesero piano lungo la colonna vertebrale della ladra, strappandole un brivido.

E sei ancora più bella quando arrossisci.”
Sì?”
Sì. Sembra che quelle ombre che ti porti sempre dentro agli occhi si diradino di colpo.”
Beh... grazie.”
Mentre lei terminava di scrollare l’abito per aggiustarselo addosso, Aster rotolò giù dal letto e le porse un pacchetto avvolto in carta velina. “Ops. Quasi mi dimenticavo. Apri.” Le fece l’occhiolino.
Lei lo fissò, stupita. Per la seconda volta, scartò l’oggetto. Quando la sottile carta semitrasparente venne rimossa, la ragazza rimase davvero senza fiato. Su una lastra di roccia chiara, circa una spanna per una spanna, stava impressa una libellula, stupenda, congelata nella morte chissà quanti milioni di anni prima. Era così perfetta che poteva distinguere le nervature delle ali e gli occhi sfaccettati. Sembrava sul punto di staccarsi dalla roccia e spiccare il volo, e dovette sforzarsi per imprimersi nella mente che invece ne era tutt’uno da molto più tempo di quanto non ne potesse immaginare.
Si voltò verso Aster: “Io… non ho parole. È bellissima. Grazie. Grazie davvero”, ripetè, come se fosse insoddisfatta delle limitazioni d’espressione di quella parola.
Fu quell’incapacità di trovare un termine con cui ringraziarlo, che fece capire al mezzelfo quanto avesse apprezzato il suo dono. “Di nulla”, le sorrise. “’Ti voglio bene’ va benissimo”, suggerì.
Dubhe appoggiò con cautela il fossile e gli gettò le braccia al collo: “Ti voglio bene, e ti amo, Aster.”
Vedendo come aveva maneggiato la libellula, con estrema attenzione, quasi temendo che un respiro la potesse spazzare via, si affrettò a rassicurarla: “Stai tranquilla, ho imposto un incantesimo sulla lastra. Neanche usando una lama di cristallo nero riusciresti a danneggiarla.”
La ladra sorrise e lo baciò: “Grazie, Aster. Di tutto.”

Non è finita”, rise lui. La prese per mano, e corsero fino ai bastioni della Rocca. Prima di uscire, le chiese: “Dubhe, ti fidi di me?”
La ragazza non ebbe neanche bisogno di pensarci: “Sì.”
Il mezzelfo mise una mano davanti agli occhi. “Bene, allora... Cammina in avanti, piano... non preoccuparti, ti sostengo io... brava... stai andando bene... adesso, tendi la mano davanti a te...”
Lo fece, e si sentì sotto le dita qualcosa di freddo.
Aster le scoprì gli occhi.

Neve!”, esclamò lei, stupita.
Contenta?”
Dubhe non rispose. Un fiocco candido le cadde esattamente sulla punta dell'indice. Lo avvicinò agli occhi.
Che cos'è la neve? Qualcosa di bianco. Qualcosa di puro. Ma che cosa vuol dire bianco? Che cosa vuol dire puro?
Qualcosa di estraneo a me... qualcosa che non mi appartiene.
E allora che cosa sono io? Qualcosa... che non è bianco... che non è puro.**
Qualcosa di rosso. Una Bestia.

Una mano si poggiò sulla sua spalla.
Stupida. Ora non più. Ora sono con te...
Alzò gli occhi al cielo. Nevicava. Nevicava sulla Rocca.
...e sono la tua ragazza.

Questo... tutto questo... è molto di più di quanto abbia mai potuto sperare in tutta la mia vita”, disse lentamente. Si guardò intorno: la Grande Terra coperta da un candido manto. Il bianco della neve, il nero del cristallo. “Nevicava ogni inverno, nella Terra del Sole. Ogni inverno tutto diventava bianco, ed ogni inverno eravamo fuori casa a giocare... E poi, la neve ha continuato a cadere, quasi una beffa al mio destino. Per due inverni vedendola l'ho odiata. Era il simbolo di quel mondo perduto che mi era precluso. Adesso...”
I suoi occhi scintillavano come stelle.
La Dubhe di una volta le ricordò cinicamente che di solito quando una cosa è troppo bella per essere vera, allora non è vera. Ma la Dubhe presente la zittì seccamente. Forse era un sogno, forse era un'illusione, ma, qualunque cosa fosse, era loro.
Si voltò, e baciò Aster.

Grazie! È il compleanno più bello della mia vita!”
Sono davvero libera.

______________________________________
* Ispirato a Orson Scott Card, "Il gioco di Ender"
** Ispirato alla mitica prima notte di Vampire Knight

Altro che armatura di Nihal! Capito, Ido? Aster sì che sa come si arriva al cuore di una ragazza! ^ ^
E lo spogliarello di dubhe era proprio necessario?! Sì, lo era ^ ^

   
 
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