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Autore: Ashes Eye    01/07/2012    2 recensioni
Ogni notte, quando si svegliava di soprassalto a causa degli incubi, andava al cimitero a parlare con la lapide nera e scura, sotto la quale giaceva Holmes.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli ci vollero alcuni minuti per riprendersi. Era svenuto. Ricordava l’sms e la testa che girava. Non aveva più ossigeno e un conato si interruppe quando perse i sensi. Si risvegliò dieci minuti dopo con il cellulare in mano e la vista annebbiata. Aveva paura di guardare lo schermo, temeva di essersi immaginato tutto e strapparsi il cuore in altri mille pezzi. Quindi si rialzò e, lasciando tutto sul pavimento, si rifugiò sotto la doccia dove l’acqua fredda sembrava corrodergli la pelle e farsi strada tra i muscoli fino ad arrivare alle ossa che si sbriciolavano come fossero sabbia. Si lasciò cadere e, sull’orlo di un altro svenimento, iniziò a respirare profondamente cercando di recuperare la calma e la lucidità. Uscì dal bagno, si vestì velocemente e raccolse il cellulare rimasto sul pavimento. Quando stava per premere lo schermo la paura lo assalì e iniziò a tremare. Non riusciva a spiegarsi questa reazione. Dopotutto erano tre mesi che aspettava un cosa così. Ma ora che era reale cosa avrebbe fatto? Avrebbe confermato la sua teoria certo, ma se Sherlock non avesse avuto intenzione di tornare? Era come se fosse morto, di nuovo.

Aveva bisogno di qualcuno. Pensò alla signora Hudson, ma accantonò immediatamente l’idea. Non avrebbe retto neanche lei. Poi Lestrade, ma non era sicuro che coinvolgerlo sarebbe stata una buona mossa. Infine pensò a Molly, che aveva sofferto quasi quanto lui, e che non avevo più rivisto da ormai due mesi. Nessuno di loro sarebbe riuscito ad aiutarlo, quindi decise di andare al cimitero. Sentiva che era la cosa più opportuna. Gli ci volle molto per arrivare. Andò a piedi e fece la strada più lunga, spesso passando due volte dalla stesso punto. La paura lo tormentava. Giunse alla fine davanti alla lapide sopra la quale trovò un cappello. Il cappello. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. Beige, a scacchi, due visiere e mal concio. Non era una delle tante copie vendute ai fan del povero falso detective suicida, ma era quello vero. Il suo. Quello di Sherlock. La paura divenne nuovamente reale, e il cellulare si fece pesante nella sua tasca. Lo tirò fuori e per la prima volta dopo lo svenimento rilesse il messaggio. “Mi manchi anche tu” Nessuna firma, nessun numero. Ma John sapeva benissimo da dove veniva. Ripose il telefono nella tasca e si guardò intorno alla ricerca di una sagoma, un’ombra o di una persona in carne ed ossa. Era solo, ancora.

Dopo qualche minuto di contemplazione, John prese il cappello dalla lapide e sollevandolo verso il cielo con il braccio destro ben teso, urlò davanti a sé: «So che sei qui! Cos’è questo?» A quella domanda una risposta giunse automaticamente dalle sue stesse labbra: «E’ un cappello John! Che diavolo di domanda!» Quindi abbassò il braccio e si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi per impedire a se stesso di perdere nuovamente il controllo. Risollevò le palpebre e i suoi occhi azzurri si bloccarono su una figura. Aveva un cappotto nero e lungo dal quale spuntava una testa che lui conosceva bene. Era proprio lui, Sherlock. John si strofinò velocemente gli occhi che riaprendosi avevano davanti a  sé ancora il detective. Rimase immobile senza saper cosa dire. Dentro tremava, e nella sua testa urlava. Sherlock strinse le labbra e qualche secondo dopo le aprì pronunciando un saluto: «Ciao John». Il tono era freddo e piatto. John non rispose ma sentiva che era sull’orlo di vomitare. Non riusciva a credere a ciò che vedeva e sentiva.

Era sicuramente un’allucinazione. Mentre cercava di risvegliarsi dal terrore, Sherlock riprese a parlare: «Mi dispiace. Davvero. Ma non è stat…». Un urlo interruppe la frase. Proveniva da John. «Zitto!!» Urlava agitando le braccia e muovendosi velocemente avanti e dietro con passi lunghi. Sherlock lo osservava silenzioso dondolando sulla punta dei piedi. Quindi John si bloccò improvvisamente smettendo di urlare contro quella che credeva essere un’allucinazione. Si voltò di scatto e osservò il viso di Sherlock con occhi socchiusi e la fronte corrugata. Gli si avvicinò piano e quando gli fu abbastanza vicino, la mano destra si chiuse a pugno e colpì Sherlock in pieno volto. Questo si piegò di lato scuotendo la testa e massaggiandosi il lato sinistro della faccia. John, ancora scettico, allontanandosi da Holmes, si prese il capo tra le mani e, rilasciandolo qualche secondo dopo si girò verso il detective che ancora soffriva e gli urlò: «Che cosa diavolo sei?» E, senza attendere risposta, gli gettò il cappello addosso sussurrando esausto: «Tu non sei vivo…». Cadde così in ginocchio sulla terra umida coprendosi il volto con le mani tremanti e cacciando via le lacrime che iniziarono a sgorgare senza sosta. Era convinto di stare per impazzire e un pensiero si fece largo nella sua mente: suicidio.
   
 
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