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Autore: BeautifulMessInside    02/07/2012    2 recensioni
"Eden Spencer rapinava banche. E non solo. O almeno è quello che faceva prima di essere presa. Oggi collabora con l'FBI. Ma c'è stato un tempo in cui Eden era solo una ragazzina di buona famiglia, figlia di una ricca imprenditrice dell'Upper West Side di Manhattan... Poi un giorno si era innamorata. Della persona sbagliata. Che era anche la persona giusta." Per tutti gli altri Eden è morta quel giorno. Oggi, quasi cinque anni dopo, è costretta a tornare allo scoperto per aiutare l'FBI ad arrestare quelli che una volta erano i suoi amici. Tra verità, bugie e segreti nascosti... In un continuo conflitto tra amore ed odio... Al confine tra la redenzione e la dannazione... Eden scoprirà che non è così semplice spezzare un patto stretto col proprio diavolo personale. - trama, wallpaper e spiegazioni nel capitolo -
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo22

CAPITOLO 21

 

"LASCIALO ANDARE"

 

 

...and now All I Wanna See is a Sky Full of Lighters...

A Sky Full of Lighters...

 

 

La voce arrivò all'altro capo interrotta dalle interferenze.

Uno stridio metallico accompagnò quelle poche parole.

"Qui F21...Credo che abbiamo trovato la vostra donna."

L'agente che raccolse la comunicazione balzò in piedi alla ricerca del suo capo. Il suo nuovo capo.

 

McPhee se ne stava spalmato sulla poltrona di pelle, il fumo dolciastro del sigaro si attorcigliava in un filo immaginario al centro della stanza.

Non gli importava nulla di risolvere il caso.

Non gli importava del tenente Dair.

Non gli importava più di niente.

Al massimo, fra qualche tempo, avrebbe tentato una nuova scalata verso i piani alti.

Per ora il fatto di non essere più comandato da un "ragazzino" era già abbastanza.

 

Il giovane agente entrò senza bussare.

Lo sguardo torvo di McPhee lo trafisse.

"M... Mi scusi comandante... Ho appena ricevuto una comunicazione dai ricercatori speciali..."

Finalmente McPhee sembrò interessato.

Fece cigolare la poltrona rivolgendosi verso il messaggero.

"...Pare che abbiano trovato Eden."


McPhee spalancò gli occhi per un paio di secondi poi la sua grossa risata riempì la stanza.

Incredibile.

La sua fortuna si era proprio messa a girare.

E pronto il trampolino verso la carica di capitano.

L'agente rimase in attesa di nuove disposizioni, impalato sulla porta.

McPhee poggiò il sigaro nel posacenere senza smettere di sorridere

"Fatti dare tutte le coordinate, io preparo la squadra."

L'altro annuì precipitandosi fuori dalla stanza.

Il vicecomandante allungò i piedi sulla scrivania.

Le braccia incrociate dietro la testa mentre stirava i muscoli della schiena.

Eh sì.

La sua fortuna si era proprio messa a girare.

 

----------

 

Eden roteò la forcina tra le dita.

Scassinare una serratura nella sua stessa casa.

No, quella non era affatto casa sua.

Era sono una casa.

Si guardò intorno nervosamente nella penombra della notte sperando, seppur sapesse di non essere troppo brava in quelle manovre, di non fare almeno troppo rumore.

Infilò la forcina nella toppa come una lama nel burro.

Nessun contatto tra metallo e metallo.

Sospirò.

Adesso viene il difficile.

Incurvandosi contro la porta cercò il giusto punto della serratura.

Tyler gli aveva spiegato dove trovarlo, anche se a parole sembrava maledettamente più semplice.

Nella pratica invece non le riusciva mai al primo colpo.

Clak

L'eccezione che conferma la regola.

Un solo scatto interruppe il flusso di silenzio.

Null'altro sembrò muoversi.

D'altra parte, anche le menti più confuse in genere dormono alle quattro di notte.

Ma non la sua.

Non dopo tutto quell'arrovellarsi.

Mosse la maniglia senza alcun rumore aggiuntivo, scivolando dall'altra parte della soglia.

Anche la mente di Dair aveva ceduto al sonno.

E così il suo corpo.

Doveva essere davvero stanco se, nonostante la situazione, non aveva potuto fare a meno di addormentarsi.

E se ne stava lì, raggomitolato sul materasso, le braccia strette sul petto quasi volesse comunque proteggersi.

Gli occhi chiusi e le labbra serrate.

La fronte rilassata.

Il respiro regolare.

Eden sentì un colpo al cuore.

Dair non avrebbe dovuto trovarsi lì.

E lei non avrebbe dovuto tradirlo, non se lo meritava.

 

Cercando di ripassare le parole che sperava lo avrebbero convinto a fuggire, provò ad avvicinarsi.

Le sembrava un vero peccato svegliarlo.

Una parte di lei avrebbe desiderato sdraiarsi al suo fianco e rilassarsi.

Avrebbe voluto svegliarlo e dirgli che ogni cosa sarebbe tornata al suo posto.

 

Allungò la mano sfiorando il suo avanbraccio con le dita.

Insistette ancora un po' tenendo i denti stretti.

Odiava l'idea di interrompere quel breve apparente momento di calma.

Lui si mosse lentamente.

Aggrottò la fronte muovendo appena le palpebre.

Forse intravide il suo viso.

Spalancò gli occhi tirandosi su in meno di un secondo.

"Che succede?"

Eden gli fece immediatamente cenno di abbassare la voce.

Non potevano nemmeno tenerla bassa.

Troppo rischioso.

Avrebbero potuto solo bisbigliare.

 

Lei gli si fece vicino affinché potesse comunque sentirla

"Devi andare via."

Lui sospirò passandosi una mano sugli occhi

"No."

"Devi. Ho bisogno che tu te ne vada."

Lui sollevò le sopracciglia in quel buio quasi completo.

Si allontanò da lei.

Mentre il sonno lo abbandonava, un improvviso sconforto si stava impossessando di lui.

Tutto per niente.

Tutto per niente.

Poggiò i gomiti sulle ginocchia ed affondò il viso tra le mani per una manciata di secondi.

Tutto per niente.

 

Eden inspirò l'aria pesante di quella stanza chiusa.

Azzardò un altro passo per poi inginocchiarsi.

Dritta di fronte a lui.

Dair sollevò il viso trovandosi vicino a quello di lei.

Eden lo sfiorò con le dita fredde.

Lui chiuse gli occhi per afferrare quella sensazione.

 

"Non voglio che ti succeda niente."

 

Lui scosse lentamente la testa.

Il suo modo per dire "Non ti credo".

 

Se avesse davvero voluto tenerlo al sicuro non avrebbe mandato all'aria tutto.

E non avrebbe scelto Davis.

 

Continuò a scuotere il capo allontanando la mano di Eden.

 

"Non è vero."

 

Bisbigliò dando voce al proprio sguardo.

Eden mandò giù a fatica.

Abbassò gli occhi per un istante.

 

"Va' via ti prego."

 

Supplicò di nuovo.

Avrebbe voluto poter dire molto di più, ma se qualcuno si fosse accorto che era lì probabilmente sarebbe stata la fine.

Lui continuò a negare.

La mandibola tesa e lo sguardo deluso.

 

Eden sentì le lacrime affacciarsi non appena riprese fiato.

Non poteva piangere, non poteva urlare, non poteva fare nulla lì dentro che lo convincesse a fuggire.

E la sua preoccupazione era più che reale.

Desiderava con tutte le sue forze che Dair tornasse a casa.

Che riavesse il suo posto.

E magari che si dimenticasse di lei e di tutto quel casino.

No, questo no.

Questo non lo voleva affatto.

 

Chiuse gli occhi un attimo.

 

L'immagine di loro tre insieme a Central Park si fece nitida di colpo, per quanto non richiesta.

Così come l'aveva sognata tante volte.

Lei indossava un vestito a pois.

Dair senza divisa e coi capelli scompigliati.

Sua figlia col viso sporco di cioccolata.

 

La scansò più forte che poteva.

E si scagliò contro di lui.

Sperando che non la respingesse di nuovo lo strinse in un abbraccio.

Spinse il viso contro il suo collo.

Cercò il suo orecchio con le labbra.

 

Dair barcollò appena un attimo poi contrasse i muscoli.

Ce l'aveva addosso.

E avrebbe voluto non desiderarla tanto, nonostante la rabbia.

La mancanza di fiducia.

La delusione.

 

Eden inspirò profondamente.

Le era mancato quell'abbraccio.

Anche se lui non stava ricambiando riusciva a sentire il suo profumo e tanto bastava per riportarla a casa.

Casa sua.

Un misero appartamento a Chicago.

Due agenti che suonano alla sua porta ogni mattina e sera.

Un divano di finta pelle rossa.

 

"Mi sei mancato così tanto."

Bisbigliò.

Un sibilo appena ma lui non poté non sentirla.

Ed era sincera.

Maledettamente sincera.

Strinse ancora la presa.

Si sentiva divisa in due.

Come se due donne ben distinte abitassero il suo corpo.

Quella disposta a rivoltare di nuovo la sua vita per Davis Miller.

E quella innamorata di un poliziotto.

Non poteva non essere amore.

Un singolo abbraccio in grado di riportarla a casa, di teletrasportarla a Central Park, di farla sentire in pace con quella vita.

Non poteva non essere amore anche quello.

 

Respirò quel profumo fino a riempire ogni cellula del suo petto.

Sfiorò appena le labbra contro la sua pelle umida.

 

"Perdonami."

 

Non poteva lasciarlo andare senza quella certezza.

Dair finalmente si mosse, afferrando i suoi polsi.

Di nuovo la costrinse a mollare la presa.

I suoi occhi vacillavano, ma la sua espressione era rimasta dura come all'inizio.

Eden sentì un pugno nello stomaco.

Non l'avrebbe perdonata.

Ma poteva forse biasimarlo?

 

"Ti prego..."

Sussurrò disposta a provare comunque un'ultima volta

"...Vai via da qui."

 

Lui sollevò un angolo della bocca in un impeto d'ironia.

"Perché dovrei?"

 

Eden sembrò cercare nel vuoto la risposta più giusta.

Nulla l'avrebbe convinto.

Nulla eccetto forse...

Sentì lo stomaco chiudersi.

Poteva dirlo davvero?

Ed era giusto dirlo proprio in quel momento?

"Usare" quelle parole per farlo fuggire?

 

Mentre un forte calore le riempiva le guance decise che ci avrebbe provato lo stesso.

Forse era la sua ultima occasione per dirlo dopo tutto.

Ed era giusto che lui lo sentisse.

 

Si bagnò le labbra cercando i suoi occhi,

inspirò tutto l'ossigeno che poté

 

"Perché credo di amarti anch'io Daniel."

 

L'idea di usare il suo nome di battesimo non fu però premeditata.

Uscì da solo, anche se lei aveva sempre preferito chiamarlo Dair.

Come se in quel modo fosse riuscita a tenerlo lontano.

 

Dair sentì la terra crollargli sotto i piedi.

E si chiese se non avesse appena avuto un'allucinazione uditiva.

Non era possibile.

Non poteva averlo detto davvero.

Non in quel momento.

Non in quella stanza.

Non dopo tutto quanto.

 

Rimase a fissarla senza vederla davvero.

Per quanto tempo aveva desiderato sentirlo.

Ed ora ecco,

lei lo amava e lui avrebbe dovuto andarsene.

Lei lo amava e lui avrebbe dovuto rinunciarci.

Avrebbe dovuto alzarsi e lasciarla lì tra le conseguenze delle sue decisioni.

Avrebbe dovuto lasciarla lì.

Questo meritava.

Eppure il suo cuore stava battendo troppo forte.

 

Eden si sentì di pietra.

Avrebbe voluto rimangiarselo immediatamente.

Non perché non fosse vero,

forse proprio perché lo era.

Se solo fosse riuscita a dirlo prima,

prima che questo amore si scontrasse con quello che provava per Davis.

Con la passione,

con l'abbandono più completo,

con il passato.

 

"Vieni con me."

 

Eden riuscì a malapena a respirare di nuovo

 

"Venite con me."

 

Insistette Dair.

Lei arricciò le labbra nella tipica posizione pre-pianto.

Voleva andare via con lui.

Ma voleva anche restare.

 

"Vieni con me."

Ripeté abbandonando la vecchia dura espressione.

Ora non aveva più importanza.

 

Devi prendere una decisione.

 

Le parole di Payne risuonarono nella sua testa.

Aveva ragione.

Non poteva più permettersi di fare avanti e indietro.

Non poteva più comportarsi come una ragazzina indecisa.

Doveva scegliere una direzione.

E forse proprio quella era la più giusta.

Dair.

Davis.

Dair.

Davis.

 

Devi prendere una decisione.

 

La spirale di pensieri si interruppe all'improvviso.

Un suono acuto e fastidioso ferì le loro orecchie.

Una specie di lungo beep intermittente li costrinse a voltarsi d'istinto verso la porta.

La luce del corridoio al di là della soglia si accese.

La luce che filtrava dalle fessure mandò Eden in allarme.

Si sarebbero presto tutti accorti che lei era lì.

Gesticolando in preda all'agitazione guardò di nuovo Dair.

 

"Devi scappare Dair.. Devi andare via!"

 

Lui era ancora preso da quel tumulto improvviso.

I rumori provenienti dall'altra parte lasciavano ben capire che l'intera casa si era svegliata.

Che cavolo stava succedendo ora?

 

Eden tornò ben presto alla lucidità.

Sophia.

Qualsiasi cose stesse succedendo doveva subito tornare da sua figlia.

Con quel pensiero, senza troppo indugiare, rivolse gli occhi a Dair un'ultima volta e poi afferrò la maniglia per uscire.

Le lampade accese la costrinsero per qualche secondo a strizzare gli occhi.

Il tempo di accorgersi che Dair si era mosso immediatamente dietro di lei.

Decise di non fermarsi ancora.

Sfilò dritta verso la sua stanza.

Payne era già lì.

Sophia sveglia, seduta sul letto.

Il suo visetto imbronciato si rilassò appena alla vista della madre.

"Mamma!"

Esclamò.

Eden corse immediatamente da lei.

La strinse a sé per poi rivolgersi a Payne.

"Che succede?"

La ragazza dai capelli biondi le porse una felpa e dei calzini che aveva trovato tra i vestiti della bambina.

"Siamo in emergenza. Dobbiamo andarcene. Subito."

Eden stava per rispondere con un'altra domanda, ma l'apparizione di Dair alla porta interruppe la sua curiosità.

"Daniel!"

Esclamò Sophia divincolandosi velocemente da lei per correre a piedi scalzi verso l'unica altra figura familiare che potesse riconoscere.

"Hey piccola."

Rispose lui al richiamo inginocchiandosi per essere alla sua altezza.

Sophia lo strinse forte.

Era una bambina dopo tutto.

E non poteva capire.

Non sapeva che Davis fosse suo padre.

Non sapeva bene perché fossero lì.

E di certo non poteva capire i dubbi di sua madre.

Lei di dubbi non ne aveva affatto.

"Andiamo a casa?"

Chiese innocentemente.

E Dair avrebbe voluto sciogliersi in quel momento.

Avere la facoltà del teletrasporto.

Ed il potere di cambiare il DNA di quella creatura.

 

Eden, all'altro lato della stanza, si sentì la madre peggiore del mondo.

Mai più egoista, crudele ed indegna che in quel momento.

Mai peggio di così.

 

La porta si spalancò di nuovo.

 

Davis si pietrificò sulla soglia.

 

Quella scena gli bruciò gli occhi.

Gli contorse le viscere.

Gli ferì il cuore più di ogni altra.

Il cuore che non aveva.

O almeno che credeva di non avere più.

 

Eden si accorse del suo dolore.

Della sua gelosia.

Del suo rammarico.

Dei suoi rimpianti.

Quasi riuscì a sentire un altro pezzo di lui che si infrangeva.

Tanti piccoli pezzetti.

 

Quanti colpi da ko avrebbe ancora potuto sopportare suo marito?

Quello era forse peggio di qualsiasi punizione si era immaginata di infliggergli.

 

Payne fu mosse dal terribile desiderio di uscire di lì.

 

"Siamo pronte."

 

Disse muovendosi verso la porta e costringendo Davis ad indietreggiare.

Deliberatamente lo scosse un po' affinché i suoi occhi cambiassero meta.

Non era giusto.

Non era giusto.

 

Eden mandò giù a fatica.

Riprese a muoversi a capo chino.

Poggiò la felpa sulle spalle di Sophia.

"Andiamo tesoro mio."

 

Il suo piccolo labbro tremolante era il preludio di un pianto disperato.

Il suo cuore si strinse ancora un po'.

"Presto andremo a casa amore mio. Te lo prometto."

 

In quel momento Eden rinunciò ad un pezzo di sé.

Avrebbe rinunciato a tutto per sua figlia.

La prese in braccio e scese le scale affiancata da Dair.

Ancora non si erano detti una parola.

E lei non avrebbe saputo cosa dire.

 

Gli sguardi di tutti si puntarono proprio sul poliziotto.

Davis in un angolo con un triplo scotch tra le dita.

Il suo sguardo rivolto accuratamente altrove.

 

André mosse ancora qualche dito sulla tastiera.

"Ho posizionato questi rilevatori per precauzione..."

Fece una pausa facendo scivolare i polpastrelli su un altro touchscreen.

"...Avrebbero suonato nel caso in cui qualcuno tentasse di entrare nella nostra rete..."

Di nuovo una pausa di silenzio interrotta da un non ben celato sbadiglio di Tyler.

Payne accanto a lui.

Le loro sagome chiare in contrasto con le tende di tessuto marocchino dietro di loro.

"...Non riesco ancora a capire di chi si tratti, ma ci stanno provando..."

 

"...Cercano di intercettarci..."

 

"...Ci sono vicini..."

 

Un ultimo clic ed il suo sguardo si sollevò lento verso il federale e la traditrice

"...Mi gioco le palle che si tratti dell'FBI."

 

Blake scattò sul posto

"Lo sapevo! Tutta colpa tua! Tutta colpa tua!"

Additò Eden ancora ai piedi delle scale con la bambina tra le braccia.

Lei scosse la testa di risposta.

Non li aveva portati lei.

Non di proposito.

Non stavolta.

 

"Alla luce di quanto detto dobbiamo filare..."

Sentenziò André

"...Di corsa."

Nessuno sembrò sapere come muoversi.

 

"Davis?"

 

Lui inspirò profondamente tendendo la narici.

Buttò giù il liquore e si sforzò di spostare gli occhi per guardare André.

"La tenuta di Strawberry Plains. E' l'unico posto che mi viene in mente."

Blake gli si avvicinò

"Tennessee? Non sarebbe meglio cambiare continente?"

Lui tirò su le spalle

"Potete andare dove volete per me Blake."

 

Sua sorella indietreggiò di un passo guardandolo contrariata.

Il suo improvviso menefreghismo era fastidioso.

E lei non ci teneva a finire dietro le sbarre.

Ma in fin dei conti la colpa non era certo di Davis.

Si voltò di nuovo verso Eden.

Non riusciva a ricordare se in qualche altro momento della sua vita l'avesse odiata di più.

Poco importa che quella bambina fosse sua nipote.

Eden aveva rovinato le loro vite.

A quel punto avrebbero già dovuto trovarsi in un bel bungalow sulle spiagge della Croazia, sorseggiando Slivovitz mentre le azioni dell'amato nonno andavano in fumo.

Maledetta Eden Spencer.

 

André chiuse uno dei portatili staccando frettolosamente i fili.

"Al diavolo, io me ne vado! Non ho intenzione di finire in galera!"

Blake si rivolse a lui

"Dove?"

"Dove dice Davis.. Voi fate come diavolo vi pare!"

Afferrò qualche altra cosa dal tavolo

"Adieu!"

 

Blake afferrò suo fratello per il braccio

"Aspetta, veniamo anche noi!"

Davis però sembrò fare resistenza.

La camicia stropicciata fuori dai pantaloni.

La barba appena incolta.

I capelli scompigliati come ai tempi del liceo.

Rimase impalato mentre sua sorella cercava di trascinarlo via

"Andiamo Davis!"

Insistette

Lui la guardò sembrando sicuro di sé

"Vai Blake... Ci vediamo lì."

 

Non era un saluto.

Né una semplice richiesta.

Era un ordine.

Blake mugugnò qualcosa tra le labbra afferrando la borsa e nascondendo una pistola nei jeans.

"Se ti prendono per colpa sua giuro che..."

Si fermò avvertendo un'insospettabile soggezione nei confronti di quella bambina.

Decise di non proseguire.

Filò dritta fuori dalla stanza sperando che André non fosse già corso via da solo.

 

Nella stanza piombò di nuovo il silenzio.

Davis si mise allora a fissare Tyler e Payne.

Aspettava che si muovessero anche loro.

E dallo sguardo era chiaro il suo desiderio.

Dovevano volatilizzarsi.

Immediatamente.

 

Payne guardò il terzetto ai piedi delle scale.

E Davis all'altro capo della stanza.

Una volta spariti loro due chissà cosa sarebbe successo.

Chissà a cosa avrebbe assistito quella povera bambina.

 

No...

 

Davis è arrabbiato, ma in fondo non è un'idiota.

Non farà nulla davanti a sua figlia.

Non farà nulla che possa spaventarla.

 

Nuovamente si sentì incalzata dagli occhi di Davis.

Rivolse gli occhi ad Eden per l'ultima volta.

Se lei le avesse fatto cenno di restare non si sarebbe mossa.

Ma Eden sembrava non essere minimamente interessata.

Sophia tra le braccia e gli occhi su suo marito.

Anche lei stava aspettando.

Aspettava quel che stava per succedere.

 

Payne prese allora Tyler per la mano.

Nemmeno lui sembrava troppo convinto.

"Andiamo."

Disse. Delicata ma decisa.

Lui fece appena un po' di resistenza

"Eden?"

Invocò l'amica per essere più che certo di potersene andare.

Lei annuì nel mezzo di un lungo sospiro.

Non c'era modo di venirne fuori, non senza lo scontro che si sarebbe tenuto di lì a poco.

E meglio che non ci fossero spettatori.

 

Tyler prese le sue cose e seguì Payne.

Le chiavi della Mustang tra le dita.

Una sacca con poche cose sulla spalla.

Se Payne voleva andare in Tennessee ce l'avrebbe portata,

se invece avesse deciso di seguire lui.. beh.. tanto meglio.

C'erano ancora mille sospesi tra di loro e sembrava che non trovassero mai abbastanza tempo.

Non ne sarebbe servito molto in fin dei conti.

Cosa provasse per lei era chiaro.

Se avesse potuto fidarsi un po' meno.

 

Appena i loro passi sfumarono verso il garage fu la volta dei pochi rimasti.

Davis tremava ancora al pensiero di ciò che aveva visto.

I suoi nervi erano così tesi che non riusciva a tener ferme le mani.

In quella stanza c'era qualcuno di troppo.

Ed era sicuro,

nonostante i crampi allo stomaco e gli oscuri pensieri che cercava di frenare,

quel qualcuno non era lui.

 

Incredibile.

Eden era ferma.

Immobile.

In quella situazione troppo assurda non c'erano parole giuste da dire.

Non c'era nulla che avesse senso.

 

Dair mosse qualche passo verso il suo avversario.

"Lasciaci andare via."

 

Non era una richiesta la sua.

Non stava pregando Davis di avere compassione per lui.

Non aveva bisogno del suo permesso.

Voleva piuttosto che lui alzasse le mani e si togliesse dalla porta.

Avrebbe voluto vederlo rinunciare su due piedi.

Magari rendersi conto che era la cosa migliore per sua figlia.

E sparire per sempre.

 

Davis abbassò la testa mordendosi il labbro.

Una specie di sorriso nascosto tra i denti.

Dopo tutto quel poliziotto era forse più disperato di lui.

Per quanto avesse potuto desiderare ardentemente Eden,

anche se le sue mani l'avevano toccata,

lei restava SUA moglie.

Per quanto desiderasse far da padre a quella bambina,

lei restava SUA figlia.

 

L'ultimo pensiero vacillò appena un po'.

Su Eden non aveva dubbi.

Lei era un libro aperto.

Ed era facile capire che sarebbe sempre stata sua.

Non erano bastate quattro pallottole.

Non era bastata la morte,

né il disprezzo,

tanto meno cinque anni passati con un altro..

 

Ma Sophia,

per lei era solo un estraneo,

un estraneo che le aveva comprato un hamburger..

E se avesse dato retta a quel tizio non avrebbe mai potuto cambiare le cose.

Al diavolo Daniel Dair.

 

"Non puoi cambiare le cose..."

Esordì in risposta.

Tono basso ma affilato.

"...Lei è mia."

 

Una pausa per guardarlo dritto negli occhi.

 

"Sei tu che dovresti andartene."

 

Dair strinse i pugni sforzandosi di respirare.

Non l'avrebbe mai avuta vinta con facilità.

Nemmeno facendo appello al buonsenso di tutti i presenti.

 

Tra di loro le scintille.

L'apparente strafottenza di Davis da un lato.

Deciso a fargli saltare i nervi.

Finché non fosse esploso.

Dall'altro la tenacia di Dair.

La sua disperazione.

L'impresa impossibile di convincere Davis Miller.

 

Quest'ultimo staccò gli occhi per primo.

Stavolta verso sua moglie.

 

La battaglia valeva la pena,

ma stavano comunque sprecando troppo tempo.

 

E lui su Eden non aveva dubbi.

 

"Decidi tu..."

 

Sottolineò con un cenno della testa.

 

"...Io devo andarmene."

 

Ancora un paio di secondi occhi negli occhi e poi si mosse.

Era serio.

Serio e stranamente rilassato.

 

Eden si irrigidì di colpo.

Era quello il momento.

 

Devi prendere una decisione.

 

Era quello il momento.

 

Mentre nella sua testa ripeteva di lasciarlo andare, la presa intorno a sua figlia si stringeva.

Il cuore le batteva forte.

Il respiro si faceva sempre più corto.

 

Dair attendeva nel suo angolo di stanza.

 

Lascialo andare.

Lascialo andare.

Lascialo andare.

 

Davis si infilò il giubbotto di pelle.

La ventiquattrore che sarebbe stata il suo solo bagaglio era già lì pronta.

La afferrò senza indugi.

Si avviò verso la porta sul retro senza rivolgere nuovi sguardi a nessuno.

 

Lascialo andare.

Lascialo andare.

Lascialo andare.

 

Ben presto si trovò ad attraversare la soglia della stanza.

Un altro passo e sarebbe sparito.

Un altro passo e forse non l'avrebbe più visto.

 

Un altro passo e avrebbe dovuto convivere con le conseguenze del non aver scelto lui.

 

Un altro passo e sarebbe finalmente stata libera.

 

Come aveva tanto desiderato.

 

Il respiro si bloccò mentre l'ultimo frammento della sua sagoma spariva dietro lo stipite.

 

Il suo cuore mancò un battito.

 

Le sue labbra tra i denti.

 

Lo stomaco in gola.

 

Lascialo andare.

Lascialo andare.

Lascialo andare.

 

"Davis!"

 

Urlò.

Con tutta la voce che aveva.

Senza nemmeno aver dato il comando al cervello.





----------------------







CIAOOOOOOOOOO!!!

Scusatemi! L'ultima volta ho pubblicato alla meno peggio senza aggiungere nemmeno una parola... Sinceramente credevo che questa storia fosse stata irrimediabilmente dimenticata e che nessuno avrebbe notato l'aggiornamento.. E invece...

GRAZIE MILLEEEEEEEE!!

Devo innanzitutto chiedervi perdono perché ho smesso di scrivere sparendo da un giorno all'altro.. Non era nelle mie intenzioni, ma mi sono fermata un attimo e BAM! La vita reale mi ha investita in pieno!

Riassumendo senza troppo annoiarvi, cosa è successo in questi due anni??

- sono riuscita a laurearmi di nuovo, 

- ho iniziato il mio tirocinio post-lauream e sto giusto giusto decidendo cosa farò dopo l'esame di stato,

- mi sono innamorata e ufficialmente fidanzata,

- ho perso due persone importanti in famiglia :((

Quando succedono queste cose pensi solo che vorresti prendere in mano la tua vita e cambiare tutto, lasciando da parte ciò che sembra meno importante.. come appunto la scrittura..

Io però amo scrivere e questa storia interrotta è sempre rimasta attiva nella mia testa, in attesa del momento in cui avrei potuto di nuovo dedicarle il mio tempo.

Un paio di settimane fa ho ricominciato a leggerla dall'inizio,

una parte di me pensava che sarei finita col dirmi "Che stupida, ancora a pensare a queste cavolate!", ma in realtà mi sono accorta di essere ancora innamorata di questi personaggi e dell'idea di finale che balena nella mia mente da mesi e mesi... Tant'è vero che arrivata all'ultimo capitolo avrei voluto tantissimo continuare a leggere...

Mi sono detta "Ecco! E' arrivato il momento!"

E ho ricominciato a scrivere..

Sono arrugginita, lo ammetto... ma spero comunque di arrivare in fondo nel migliore dei modi.

POSSO SOLO RINGRAZIARVI CON TUTTO IL CUORE DI NON ESSERVI DIMENTICATE DI ME!

Martina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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