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Autore: 12032008    03/07/2012    1 recensioni
Che scena ridicola. Perché fa così? Io so che la sua non è preoccupazione. E’ cattiveria pura.
One-shot su un'esperienza orribile, che nessuno dovrebbe mai avere.
Commentate in tanti!
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia di violenza su un ragazzino

-La vita non è quasi mai semplice, Vince. Ricordatelo sempre. Ma quando ti fai valere, quando metti in gioco tutto, sarai ricompensato da Dio, e visto che Dio è buono non ti deluderà mai. Vero, piccolo?- .
Questo discorso me l’ha fatto mio padre molto tempo fa. Avevo circa .. sei anni. Mi ricordo quel letto d’ospedale, l’odore di plastica, estraneo e così vicino. Mi ero messo sul suo letto e guardavo la flebo con un’espressione strana. Mia madre era nella stanza, con gli occhi verdi luccicanti. E’ lei che mi ha parlato di questo discorso. Più lontano ,invece, vedevo mio padre che sorrideva, con gli occhi blu pieni di vita, che ridevano. Mi sono alzato e ho cominciato a torturargli la mano   -La nonna ha detto che te vai in cielo. Vai da Dio?- gli chiesi. Ci fu un attimo di silenzio. Probabilmente non sapeva cosa rispondere. –Si, forse vado da Dio. E anche se qui non mi vedrai più, ci sarò sempre con te- mi ha sorriso e mi ha dato un buffetto scherzoso sulla guancia. Poi ricordo solo che ridevo. Ridevo come un matto perché faceva delle facce buffe.
Perché te ne sei andato, penso. Sono furioso, triste. Anche se è morto ormai dieci anni fa, non riesco a andare avanti del tutto. Mentre scendo dalla metro, mi arriva un messaggio. ‘Stasera che fai? Io sono da Angelo, vieni?. Toni’. Sorrido. Toni è il mio migliore amico. Mi ricorda mio padre, non solo per gli occhi, ma anche per l’espressione, per il sorriso. ‘Si. Arrivo alle dieci. V’ .Fatto. Mi avvio verso l’uscita della metro. Siamo a dicembre, si gela. Mi infilo la sciarpa, chiudo il cappotto e avanzo per la città fino ad arrivare al mio appartamento.
Prendo un respiro ed entro nell’edificio. Sto al secondo piano di un palazzo anni trenta, senza ascensore. Faccio velocemente le scale e apro il portone. Cautamente, entro e vado in camera mia. Ho fame, ma se mi fermo un momento di più in cucina è la fine. La mia scelta però non è una delle più azzeccate.
In corridoio, c’è Giacomo. Gli vado addosso.
 –Ti pare questa l’ora di tornare?- borbotta. Mi scanso e lo guardo sorpreso –C’è stato un blocco della metro, è stata ferma tantissimo tempo. Non è colpa mia- dico. Lui si scalda subito –Non fare l’insolente con me, ragazzino. Stasera stattene a casa con tua madre che io vado fuori-.
Giacomo e mia madre stanno insieme da tre mesi. E lui è da un mese che con me fa così. Credo mi odi perché gli rispondo. Non ho certo paura di discutere, anche se rimpiango i tempi in cui lui era un pezzo di ghiaccio: a me andava benissimo.

 Ora invece ha cominciato a picchiarmi. Però, anche se sono molto più alto di lui, sono molto magro. Patito, quasi. Quindi incasso male i colpi.
-Stasera esco. E’ per lo studio- dico. Per un momento c’è silenzio.
Poi attacca con la solita solfa. –Non puoi fare come ti pare! Anche se a casa tua non funzionava così, ora vivi con me e mi devi rispettare. Te non sei nessuno e quindi fai silenzio e fila in camera tua!- urla.
Che scena ridicola. Perché fa così? Io so che la sua non è preoccupazione. E’ cattiveria pura.
Come se non bastasse …  
-Ci stavo andando in camera mia, se mi lasci il tempo e se mi lascia andare- sento la mia voce che trasuda di sarcasmo. Accidenti a me. Mi pesterà. E’ per queste cose che passa alle mani.
Invece ride.
Fa una risata cattiva, aspra. Lo guardo senza capire, ma poi comincia a offendere.
-Sai fare pure il simpatico, eh? Sapevo che se mi mettevo con quella cagna di tua madre mi creavo dei problemi- dice.
Io stringo i pugni. Ti sta solo provocando, mi dico. –Non è vero, e non provarti a chiamarla così- . Lui ride di nuovo. Non mi sente neanche.
-Ma cosa sei tu? Un figlio di cane. Com’era un cane tuo padre, e com’è dopotutto tua madre- dice.
-Mio padre non si tocca!- ora sono io che urlo.
-Io faccio quel che cazzo mi pare, stronzo! E ti dirò di più- sbraita. E’ fuori di testa.
-Tuo padre ha fatto bene a morire. Uno stronzo in meno al mondo- .

Il tempo si ferma per un momento.
Stai calmo.
Stai calmo.
Se lo prendo lo ammazzo.
No, Vincent, stai calmo.
Stai calmo un cazzo! Mi dico. E parte la rissa.

Tiro una stecca micidiale sulla faccia a Giacomo. Sento il naso che si rompe, uno scricchiolio sinistro. Lui reagisce subito. Poco dopo mi è addosso, mi tempesta la faccia di calci e poi di pugni. Il mio naso sanguina, la mia stessa faccia diventa una maschera rossa.
Con uno sforzo titanico, lo butto contro la parete. Gli tiro un calcio e lo faccio accasciare a terra, prendo la mia borsa e mi chiudo a chiave in camera mia.
Respiro affannosamente. Il sangue mi spaventa, è la mia paura peggiore. Mi asciugo la faccia con una maglietta e mi levo lentamente il cappotto e la sciarpa.
Sono a sedere per terra. Non sto bene.
In corridoio sento il respiro affannoso di Giacomo. Si sta rialzando.
Mi alzo in piedi e svuoto la borsa dai libri. Ci metto solo due o tre cose essenziali,   telefono, sigarette, soldi e chiavi. Mi porto anche una maglia e della biancheria.
Sto finendo di preparare che sento Giacomo che urla. Sbatte i pugni sulla porta, bestemmia. Poi comincia a tirare spallate.
Prendo un respiro e apro, scappando in corridoio. Ma lui è più veloce. Mi afferra per i capelli e mi sbatte per terra. Non riesco a replicare che siamo già alla porta.
-NON TORNARE MAI PIU’!- urla. Poi, mi lascia sanguinante sul pianerottolo.
Sbam. La porta sbatte. Resto nel silenzio. Mi alzo lentamente. Il naso ha ripreso a sanguinare. Chiudo gli occhi e in tasca trovo un fazzoletto. Mi tampono il naso quando sento dei passi per le scale.
Apro gli occhi, spaventato per un urlo.
Mi torna in mente Quasimodo ‘ … all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio …’ Cervello, ma che hai? Sanguino, e mi consoli con una poesia?
-Vincent! Che è successo? Chi è stato? Oddio non dirmi che è Giacomo!- esclama, balbettando leggermente. Ha gli occhi preoccupati, che lacrimano.
Non rispondo per un momento.
-Non piangere- dico. Lei scoppia in lacrime.
-Ma chi è … cosa … - cerca furiosamente un fazzoletto e mi tampona il viso, le labbra.
Io la fisso. E dico solo una frase.
-E’ stato quel mostro- .

Lei apre casa e mi dice di stare fermo. Faccio per ribattere, ma mi chiude la porta.
-Giacomo! Sei in casa?- dice. Mi metto con l’orecchio sul portone.
Lui le va incontro –Giorgia, tuo figlio mi ha pestato. Non sopporto più questa situazione. O se ne va lui, o me ne vado io- dice.
Aspetto con ansia la risposta.
-Fai pure le valigie. Ti chiamo un hotel?- replica mia madre.
Immagino la faccia di Giacomo. Mamma, te non sai quanto ti voglio bene.
-Ma non … non dirai sul serio, spero!- esclama.
-Mio figlio è più importante di uno stronzo che lo concia in quel modo- dice.

Un brivido di paura mi attraversa la schiena. No, mamma, non esagerare.
Non sento la risposta. Però sento lo schiaffo.
Mi alzo in piedi. Non riesco a ragionare. Mi butto sulla porta, spaccando la serratura di sotto. La scena che vedo è Giacomo che sta per andare addosso a mia madre. Ma non ci arriva.
Prima che possa fare qualcosa, gli tiro un calcio fortissimo. In faccia. E’ strano, sento la sua mascella che si sloga. Un crac! Spaventoso, poi lui cade a terra.

Non si muove. Mia madre chiama il 118. I fatti che seguono sono confusi. Arriva la polizia. Mia madre spiega la situazione. Grazie a Dio non ho niente di grave.
Lei va alla stazione di polizia, ma insiste perché io non venga.

-E’ solo un ragazzino, non serve. Lo richiameremo poi- dice il poliziotto a mia madre. Lei annuisce.
-Vai da Toni a dormire- mi ordina –Scusati e spiegagli tutto- . Io annuisco.
Lei mi da’ un bacio sulla guancia e mi abbraccia.

Sono le due quando arrivo da Angelo, in una casa in periferia.
Mi apre Toni. Entro senza una parola.
Poi lui vede la mia faccia, i miei vestiti.
-Quel figlio di cane!!! Bastardo, se lo becco l’ammazzo!!!- urla. Mi strizza un braccio e solleva gli occhi blu, incazzati ma soprattutto preoccupati.
-Sembra che non sia stato immobile a farsi picchiare, però. Che è successo?- mi chiede Angelo, con la sigaretta in mano e i capelli lunghi e biondi arruffati.


-Ha detto che mio padre era un cane. Mi è bastato. Gli ho slogato la mascella e rotto il naso- dico, freddo.
I due mi fissano. Sanno tutto. Toni mi fa mettere la roba sul divano e mi obbliga a medicarmi il sopracciglio, che ha una ferita piccolissima.
Angelo, in compenso, mi da’ una birra e un sigaretta. Secondo lui, la soluzione ai miei problemi.
Dopo che mi hanno sistemato, chiedo a Angelo se posso dormire da lui.
-Certamente. Non ci sono problemi, resta anche Toni- dice.
C’è un attimo di silenzio. Gli osservo, Angelo per terra a gambe incrociate, Toni stravaccato sulla poltroncina, i Guns n’ Roses allo stereo.

-Grazie ragazzi- dico bruscamente.
Gli altri due sorridono e cominciano a parlare. Sanno che gli vorrei abbracciare, ma non siamo tipi da queste scemenze.
Prendiamo un'altra birra. E facciamo le tre.

 

 

Angolo dell’autore
Storia sperimentale. Perdonate  la  Consecutio temporum probabilmente sbagliata J
Commentate grazie! Vi aspetto
HG.

 

 

  
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