Storia
di violenza su un ragazzino
-La
vita non è quasi mai semplice, Vince.
Ricordatelo sempre. Ma quando ti fai valere, quando metti in gioco
tutto, sarai
ricompensato da Dio, e visto che Dio è buono non ti
deluderà mai. Vero,
piccolo?- .
Questo discorso me l’ha fatto mio padre molto tempo fa. Avevo
circa .. sei
anni. Mi ricordo quel letto d’ospedale, l’odore di
plastica, estraneo e così
vicino. Mi ero messo sul suo letto e guardavo la flebo con
un’espressione
strana. Mia madre era nella stanza, con gli occhi verdi luccicanti.
E’ lei che
mi ha parlato di questo discorso. Più lontano ,invece,
vedevo mio padre che
sorrideva, con gli occhi blu pieni di vita, che ridevano. Mi sono
alzato e ho
cominciato a torturargli la mano
-La
nonna ha detto che te vai in cielo. Vai da Dio?- gli chiesi. Ci fu un
attimo di
silenzio. Probabilmente non sapeva cosa rispondere. –Si,
forse vado da Dio. E
anche se qui non mi vedrai più, ci sarò sempre
con te- mi ha sorriso e mi ha
dato un buffetto scherzoso sulla guancia. Poi ricordo solo che ridevo.
Ridevo
come un matto perché faceva delle facce buffe.
Perché te ne sei andato, penso. Sono furioso, triste. Anche
se è morto ormai
dieci anni fa, non riesco a andare avanti del tutto. Mentre scendo
dalla metro,
mi arriva un messaggio. ‘Stasera che fai? Io sono da Angelo,
vieni?. Toni’.
Sorrido. Toni è il mio migliore amico. Mi ricorda mio padre,
non solo per gli
occhi, ma anche per l’espressione, per il sorriso.
‘Si. Arrivo alle dieci. V’
.Fatto. Mi avvio verso l’uscita della metro. Siamo a
dicembre, si gela. Mi
infilo la sciarpa, chiudo il cappotto e avanzo per la città
fino ad arrivare al
mio appartamento.
Prendo un respiro ed entro nell’edificio. Sto al secondo
piano di un palazzo
anni trenta, senza ascensore. Faccio velocemente le scale e apro il
portone.
Cautamente, entro e vado in camera mia. Ho fame, ma se mi fermo un
momento di
più in cucina è la fine. La mia scelta
però non è una delle più azzeccate.
In corridoio, c’è Giacomo. Gli vado addosso.
–Ti pare
questa l’ora di tornare?-
borbotta. Mi scanso e lo guardo sorpreso
–C’è stato un blocco della metro,
è
stata ferma tantissimo tempo. Non è colpa mia- dico. Lui si
scalda subito –Non
fare l’insolente con me, ragazzino. Stasera stattene a casa
con tua madre che
io vado fuori-.
Giacomo e mia madre stanno insieme da tre mesi. E lui è da
un mese che con me
fa così. Credo mi odi perché gli rispondo. Non ho
certo paura di discutere,
anche se rimpiango i tempi in cui lui era un pezzo di ghiaccio: a me
andava
benissimo.
Ora invece
ha cominciato a picchiarmi. Però, anche se sono molto
più alto di lui, sono
molto magro. Patito, quasi. Quindi incasso male i colpi.
-Stasera esco. E’ per lo studio- dico. Per un momento
c’è silenzio.
Poi attacca con la solita solfa. –Non puoi fare come ti pare!
Anche se a casa
tua non funzionava così, ora vivi con me e mi devi
rispettare. Te non sei
nessuno e quindi fai silenzio e fila in camera tua!- urla.
Che scena ridicola. Perché fa così? Io so che la
sua non è preoccupazione. E’
cattiveria pura.
Come se non bastasse …
-Ci stavo andando in camera mia, se mi lasci il tempo e se mi lascia
andare-
sento la mia voce che trasuda di sarcasmo. Accidenti a me. Mi
pesterà. E’ per
queste cose che passa alle mani.
Invece ride.
Fa una risata cattiva, aspra. Lo guardo senza capire, ma poi comincia a
offendere.
-Sai fare pure il simpatico, eh? Sapevo che se mi mettevo con quella
cagna di
tua madre mi creavo dei problemi- dice.
Io stringo i pugni. Ti sta solo provocando, mi dico. –Non
è vero, e non
provarti a chiamarla così- . Lui ride di nuovo. Non mi sente
neanche.
-Ma cosa sei tu? Un figlio di cane. Com’era un cane tuo
padre, e com’è
dopotutto tua madre- dice.
-Mio padre non si tocca!- ora sono io che urlo.
-Io faccio quel che cazzo mi pare, stronzo! E ti dirò di
più- sbraita. E’ fuori
di testa.
-Tuo padre ha fatto bene a morire. Uno stronzo in meno al mondo- .
Il
tempo si ferma per un momento.
Stai calmo.
Stai calmo.
Se lo prendo lo ammazzo.
No, Vincent, stai calmo.
Stai calmo un cazzo! Mi dico. E parte la rissa.
Tiro
una stecca micidiale sulla faccia a Giacomo.
Sento il naso che si rompe, uno scricchiolio sinistro. Lui reagisce
subito.
Poco dopo mi è addosso, mi tempesta la faccia di calci e poi
di pugni. Il mio
naso sanguina, la mia stessa faccia diventa una maschera rossa.
Con uno sforzo titanico, lo butto contro la parete. Gli tiro un calcio
e lo
faccio accasciare a terra, prendo la mia borsa e mi chiudo a chiave in
camera
mia.
Respiro affannosamente. Il sangue mi spaventa, è la mia
paura peggiore. Mi
asciugo la faccia con una maglietta e mi levo lentamente il cappotto e
la
sciarpa.
Sono a sedere per terra. Non sto bene.
In corridoio sento il respiro affannoso di Giacomo. Si sta rialzando.
Mi alzo in piedi e svuoto la borsa dai libri. Ci metto solo due o tre
cose
essenziali, telefono,
sigarette, soldi
e chiavi. Mi porto anche una maglia e della biancheria.
Sto finendo di preparare che sento Giacomo che urla. Sbatte i pugni
sulla
porta, bestemmia. Poi comincia a tirare spallate.
Prendo un respiro e apro, scappando in corridoio. Ma lui è
più veloce. Mi
afferra per i capelli e mi sbatte per terra. Non riesco a replicare che
siamo
già alla porta.
-NON TORNARE MAI PIU’!- urla. Poi, mi lascia sanguinante sul
pianerottolo.
Sbam. La porta sbatte. Resto nel silenzio. Mi alzo lentamente. Il naso
ha
ripreso a sanguinare. Chiudo gli occhi e in tasca trovo un fazzoletto.
Mi
tampono il naso quando sento dei passi per le scale.
Apro gli occhi, spaventato per un urlo.
Mi torna in mente Quasimodo ‘ … all’urlo
nero della madre che andava incontro
al figlio …’ Cervello, ma che hai? Sanguino, e mi
consoli con una poesia?
-Vincent! Che è successo? Chi è stato? Oddio non
dirmi che è Giacomo!- esclama,
balbettando leggermente. Ha gli occhi preoccupati, che lacrimano.
Non rispondo per un momento.
-Non piangere- dico. Lei scoppia in lacrime.
-Ma chi è … cosa … - cerca
furiosamente un fazzoletto e mi tampona il viso, le
labbra.
Io la fisso. E dico solo una frase.
-E’ stato quel mostro- .
Lei
apre casa e mi dice di stare fermo. Faccio per
ribattere, ma mi chiude la porta.
-Giacomo! Sei in casa?- dice. Mi metto con l’orecchio sul
portone.
Lui le va incontro –Giorgia, tuo figlio mi ha pestato. Non
sopporto più questa
situazione. O se ne va lui, o me ne vado io- dice.
Aspetto con ansia la risposta.
-Fai pure le valigie. Ti chiamo un hotel?- replica mia madre.
Immagino la faccia di Giacomo. Mamma, te non sai quanto ti voglio bene.
-Ma non … non dirai sul serio, spero!- esclama.
-Mio figlio è più importante di uno stronzo che
lo concia in quel modo- dice.
Un
brivido di paura mi attraversa la schiena. No,
mamma, non esagerare.
Non sento la risposta. Però sento lo schiaffo.
Mi alzo in piedi. Non riesco a ragionare. Mi butto sulla porta,
spaccando la
serratura di sotto. La scena che vedo è Giacomo che sta per
andare addosso a
mia madre. Ma non ci arriva.
Prima che possa fare qualcosa, gli tiro un calcio fortissimo. In
faccia. E’
strano, sento la sua mascella che si sloga. Un crac! Spaventoso, poi
lui cade a
terra.
Non
si muove. Mia madre chiama il 118. I fatti che
seguono sono confusi. Arriva la polizia. Mia madre spiega la
situazione. Grazie
a Dio non ho niente di grave.
Lei va alla stazione di polizia, ma insiste perché io non
venga.
-E’
solo un ragazzino, non serve. Lo richiameremo
poi- dice il poliziotto a mia madre. Lei annuisce.
-Vai da Toni a dormire- mi ordina –Scusati e spiegagli tutto-
. Io annuisco.
Lei mi da’ un bacio sulla guancia e mi abbraccia.
Sono
le due quando arrivo da Angelo, in una casa
in periferia.
Mi apre Toni. Entro senza una parola.
Poi lui vede la mia faccia, i miei vestiti.
-Quel figlio di cane!!! Bastardo, se lo becco l’ammazzo!!!-
urla. Mi strizza un
braccio e solleva gli occhi blu, incazzati ma soprattutto preoccupati.
-Sembra che non sia stato immobile a farsi picchiare, però.
Che è successo?- mi
chiede Angelo, con la sigaretta in mano e i capelli lunghi e biondi
arruffati.
-Ha detto che mio padre era un cane. Mi è bastato. Gli ho
slogato la mascella e
rotto il naso- dico, freddo.
I due mi fissano. Sanno tutto. Toni mi fa mettere la roba sul divano e
mi
obbliga a medicarmi il sopracciglio, che ha una ferita piccolissima.
Angelo, in compenso, mi da’ una birra e un sigaretta. Secondo
lui, la soluzione
ai miei problemi.
Dopo che mi hanno sistemato, chiedo a Angelo se posso dormire da lui.
-Certamente. Non ci sono problemi, resta anche Toni- dice.
C’è un attimo di silenzio. Gli osservo, Angelo per
terra a gambe incrociate,
Toni stravaccato sulla poltroncina, i Guns n’ Roses allo
stereo.
-Grazie
ragazzi- dico bruscamente.
Gli altri due sorridono e cominciano a parlare. Sanno che gli vorrei
abbracciare, ma non siamo tipi da queste scemenze.
Prendiamo un'altra birra. E facciamo le tre.
Angolo
dell’autore
Storia
sperimentale. Perdonate la
Consecutio temporum
probabilmente sbagliata J
Commentate grazie! Vi aspetto
HG.