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Autore: Aleena    04/07/2012    1 recensioni
In un regno sull'orlo del declino, un gruppo di Maghi lotta per sopravvivere alla distruzione che una profezia ha preannunciato. Custodi di un segreto che non sanno di conoscere, due eroi alla reciproca ricerca sfideranno le leggi del proprio mondo e quelle della loro stessa natura.
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Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 
 
La voce tacque, lasciando l’eco metallico a riscuotersi attraverso il velo d’acqua che scendeva dall’Arco. Nessuno parlò. Kay’den, gli occhi chiusi, stringeva convulsamente il pentacolo che gli cingeva il collo quasi che questo potesse proteggerlo. Dall’altro lato della stanza, accanto alla parete curva della grotta, Alysa sollevò una mano ad asciugarsi le lacrime che le rigavano il volto; Tasha le stava accanto e, ansiosa, guardava a desta e a sinistra, scuotendo la massa di ricci color crema, incerta se poter domandare o no, la curiosità stampata sul piccolo volto. Non aveva capito, non sapeva ancora parlare con la voce dell’acqua.  Per la prima volta, Gherad stava in silenzio, gli occhi fissi nel vuoto che, fra la pietra, l’essere aveva lasciato dietro di se; dietro di lui e dall’alto della piattaforma d’evocazione, lo Shalafi attendeva che i residui dell’incanto abbandonassero il suo corpo: appariva vulnerabile e potente come un dio, avvolto com’era da spire di luce cangiante, le braccia spalancate, le vesti agitate da una brezza sovrannaturale. Thoke, il Gran Maestro, reggeva il bastone, simbolo del comando, una lunga asta di legno ed argento intrecciati così finemente da sembrare due cose vive e in movimento: la pietra marina sulla sua sommità brillava di un lucore pallido e pulsante.
La litania dello Shalafi riempiva l’aria umida della caverna, espandendosi alla velocità del suo respiro condensato. Il Signore della Torre aveva interpretate stelle e presagi, letto rune e sondato pensieri prima di giungere a questo: tutti gli avevano data la medesima risposta, espressa in cento e più lingue arcane. Fareoh non aveva saputo interpretarla e questo lo feriva più di quanto fosse disposto ad ammettere con i suoi discepoli, forse più di quanto avrebbe confessato perfino a sé stesso. Non aveva avuto tempo di pensarvi, in ogni caso: le ossa della Torre s’erano sgretolate troppo in fretta, facendo crollare loro addosso il peso del randagio e la disgrazia, costringendoli al viaggio – e quanto avessero perso era qualcosa che solo Fareoh sapeva con esattezza: il valore dei manufatti superava solamente di poco quello delle pergamene, e quest’ultimo era tutt’altro che esiguo.
Con un’ultima nota, vibrante di dolore, la corrente magica abbandonò lo Shalafi, attraversando i pori della sua pelle come un plasma tiepido e spettrale prima di disperdersi nuovamente nell’ambiente. Il volto del Signore della Torre riacquistò colore, gli occhi si riaccesero lentamente della vita e presero a guizzare velocemente lungo le pareti, quasi alla ricerca di quella parte di se che l’aveva appena abbandonato; era sempre così quando l’Arte veniva sciolta e lasciata fluire: la sensazione di qualcosa di personale e prezioso che venisse strappato con e contro la propria volontà al tempo stesso. Nessuno vi fece caso tranne la bambina: era la prima volta che le veniva concesso di partecipare ad un rito e la paura correva, in lei, di pari passo con la curiosità, alternandolesi in volto.
«Le stelle non mentivano.» disse Kay’den in un sospiro che, nel silenzio incombente, risuonò come una scintilla di tensione, secco e potente.
«Le stelle non mentono mai. Siamo noi che non sappiamo leggerne i significati.» gli rispose lo Shalafi, la voce improvvisamente spogliata della decisione e della forza che l’avevano pervasa fino ad un momento prima. Thoke si fece avanti premuroso, tendendo il bastone e un braccio per sorreggere l’esile corpo della Guida, ma Fereoh sollevò una mano bloccando il suo primo passo. Il Gran Maestro lasciò la presa del bastone e fece un inchino rigido. Il Signore della Torre gli concesse solo un cenno del capo prima di tornare a poggiare lo sguardo sull’arco: non gli piaceva ma non poteva sottrarsi al suo dovere.
«Sta per scatenarsi, allora. E verrà da loro.» disse Alysa, stringendo con un braccio Tasha e attirandola a sé; la piccola non si ribellò, anzi, strinse le manine attorno alla veste ocra della Vate, indecisa se affondarvi o meno il viso. Non le piaceva l’aria che si respirava: avvertiva tensione, dolore e minaccia, tre sensazioni che, unite assieme, non avevano mai condotto a nulla di buono.
«Non poteva essere altrimenti. Ci odiano» ringhiò Kay’den, scoprendo i denti in un’espressione di ferino disprezzo che gli si addiceva. Aveva i pugni contratti, i muscoli tesi come prima di un balzo – e chissà quanto avrebbe desiderato poter attaccare!
«Siamo la loro nemesi e vittoria» obiettò Thoke, lanciando al ragazzo un’occhiata carica di profondo biasimo, la stessa che gli riservava ai tempi del suo apprendistato, quando era stato suo compito formarlo fino all’Illusionista che era diventato.
«Siamo il loro errore. Non avrebbero mai dovuto permettercelo…» la voce di Alysa si ruppe in un singhiozzo cui seguirono altre lacrime, che pareva non essere in grado di trattenere «Perdonatemi. È la mia natura…»
«Mia Signora, non scusarti. Guarda avanti, piuttosto: dobbiamo vedere come difenderci. Quando saranno qui non avremo tempo: il mondo crollerà prima che la nostra arte possa essere evocata.» lo Shalafi scese dalla piattaforma, appoggiandosi incerto al bastone: appariva improvvisamente più vecchio, come se tutti gli anni della sua lunga vita pesassero improvvisamente su quella schiena esile. Con un brivido di paura, Alysa notò i fili d’argento che venavano i suoi capelli normalmente del colore della luce solare. Un cattivo presagio, l’ennesimo.
«Prevenzione? E cosa mai potremmo fare? Non abbiamo la forza di erigere barriere magiche, e quelle di roccia sono state già distrutte, come i nostri Grimori e i nostri fratelli.» Gherad si era riscosso e aveva parlato con una voce calma e controllata, degna del grande oratore che era sempre stato: voleva trasmettere un senso di sicurezza e tranquillità che le sue abilità di attore avrebbero perfino potuto far sembrare vero, benché in cuor suo sentisse il peso opprimente della rivelazione. «L’unica cosa possibile è un Sigillo, ma siamo veramente in grado di pagare questo prezzo?»
«Un…» Kay’den era confuso. Volse il capo velocemente da un lato all’altro della sala, squadrando ognuno dei presenti, gli occhi accesi che somigliavano sempre più a due pozzi di brace agitata dal vento.
«È rischioso, senza dubbio. E chi di noi si offrirebbe come Suggello?» domandò Thoke, il volto improvvisamente illuminato da un’espressione rivelatoria, carica di comprensione.
«Cosa volete dire? Potreste…» Kay’den era furioso, tanto da non riuscire a controllare neppure la sua voce, che riempiva la caverna in  un eco tonante e funesto.
«Ogni porta ha bisogno di una chiave che sia fatta a sua misura. Ogni chiave ha bisogno di un portatore. E questi devono essere legati.» disse Gherad con calma, accarezzandosi distrattamente il pelo che gli spuntava dalle maniche della veste come una lancia grigia puntata alle mani forti.
«Un portatore? Un martire, piuttosto!» sbottò Thoke, rivolgendo un’occhiata supplice a Fereoh, che mantenne un’espressione impassibile, la mente al lavoro.
«Non lo sarebbe. Un portatore può essere al tempo stesso una porta.» obiettò Gherad con calma, chinando il capo in un cenno di rispetto. «E l’attivazione sarebbe la medesima.»
«Shalafi, la prego…» ora nella voce di Kay’den c’era una nota di furia più che marcata: non aveva mai saputo lavorare sotto pressione - era il suo più grande difetto, quello che l’aveva lasciato per molti anni fuori dal Circolo Superiore.
«Uno di noi deve rimanere fuori. Chiudere il Sigillo, nascondere la chiave, fuggire.» disse il Signore della Torre con lentezza, quasi stesse soppesando e valutando ogni parola mentre questa lasciava le sue labbra «È una magia piuttosto inusuale. Un praticante dell’Arte può richiamarla per avvolgere un luogo e sigillarlo. Questo rimarrebbe inaccessibile a tutti tranne a colui il quale fosse stato designato come Suggello, una sorta di mastro delle chiavi.»
«Ma questo luogo diverrebbe senza tempo! Un’aberrazione. Come faremmo noi a…» Thoke si bloccò, cercando la parola giusta.
«… sopravvivere?» tentò Kay’den, sperando in cuor suo di non aver compreso veramente.  
«L’incanto era ideato per conservare manufatti e pergamene.» confermò Fereoh, lanciano un’occhiata mesta a Thoke, che sentì i propri peggiori timori farsi d’un passo più vicini.
«Dovremo correre il rischio. Mal che vada, non potranno raggiungere questo luogo, e credo che già sarebbe abbastanza.» s’intromise Gherad, laciando un sorriso di accondiscendenza verso Thoke, che arrossì violentemente. Tasha,la bocca mezza aperta, seguiva lo scambio di battute con la stessa viva e intensa curiosità di chi assista ad una giostra.
«Abbastanza? E se questo Suggello venisse catturato? Se finisse nelle loro mani, come potrebbe evitare di svelarci? E se morisse?» la voce di Thoke era un misto di rabbia ed indignazione, il tono di chi sia raramente abituato ad essere contraddetto da chi consideri inferiore. Il Gran Maestro continuava a lanciare occhiate di traverso allo Shalafi, quasi aspettasse una sua risposta che avrebbe confermato la veridicità della tesi che sosteneva.
«Tutti rischiamo la morte, ogni istante. È insita nella vita. Ma il nostro Suggello non verrà riconosciuto. Come potrebbero? Non sarebbe uno di noi.» nella voce di Gherad c’era un trionfo malcelato, un senso di soddisfazione che traspariva dalla piega della bocca, dalla scintilla gialla nell’iride ferina.
«Volete… spogliarlo della…» Kay’den era allibito.
«”Un portatore può essere al tempo stesso una porta”. Capisco. Ma quale coincidenza potrebbe portare la porta alla sua chiave? E chi dovrebbe essere?» domandò lo Shalafi, lo sguardo insondabile che viaggiava lento dall’uno all’altro volto dei suoi adepti.
«Non una porta, ma due: l’una la chiave dell’altra.» spiegò Gherad, la voce mitigata dalla riverenza.
«Due Suggelli?» disse Thoke in un sussurro pieno d’incertezza.
«Precisamente.»
«E chi saranno?»
«Uno dovrò essere io. Non c’è magia che possa aprire un sigillo che io ho imposto. Perdonatemi per quanto sto per dire, ma tutti voi siete deboli.» disse il Signore della Torre, stringendo con forza le dita attorno al bastone del suo comando.
«E l’altro?»
«Qualcuno che avrà l’assenza giusta.» disse lo Shalafi, enigmatico. Tuttavia, i suoi occhi si soffermarono su uno fra i superstiti della Torre abbastanza a lungo da chiarire a cosa si riferisse. Per qualche istante nessuno parlò, soppesando le conseguenze di quella scelta.
«Chi rimarrà?» chiese infine Kay’den, rompendo il silenzio gravoso.
«Chi vorrà. Più sarete, meglio potrete difendere questo luogo se e quando il sigillo dovesse infrangersi.»
«Lasciate me, mio Signore.» si offrì Alysa, facendo un passo avanti, le mani ora giunte in grembo: pareva uno spirito prossimo all’evanescere, ora.
«Aspettate! Come fuggirete? Il vostro volto è noto, Shalafi! Natura o meno, non vi lasceranno allontanarvi da qui.» disse Thoke a voce alta, scavalcando i toni leggeri ed eterei di Alysa.
«Non avrò questo aspetto. I Suggelli saranno il più simili possibile. Sigillerò la mia arte con voi e regredirò fino allo stadio in cui la magia non sia ancora nata. » disse Fereoh e tutti annuirono, consci che la decisione era saggia.
«Sarò io a farvi decadere, mio Signore.» si offrì Thoke, portando una mano al torace in gesto di rispetto, sottolineato dal frusciare morbido delle vesti nere e d’argento.
«Lo farò io stesso. Tu mi servi qui più di chiunque altro» così dicendo, lo Shalafi tese il bastone nuovamente verso il Gran Maestro, che lo ricevette con un’ammirazione e una reverenza quale non l’invadevano da anni. «Difendili se il Sigillo s’infrange. Crea una Cavità e riparatevi lì, chiusi in un Sonno Indotto legato al Sigillo. Lo farai?»
«Si, mio Signore.»
«Te ne sono grato e mi rammarico. Io stesso dovrei essere qui…» comincio lo Shalafi, ma s’interruppe quasi subito, lasciando sfumare la frase e i suoi possibili significati nel silenzio greve d’umidità gelida.
«Vostra è la saggezza e il comando. Sia quello che ritenete più giusto.» disse Alysa, facendo un breve inchino. Tutti l’imitarono, compresa la piccola Tasha.
«Pregherò che sia così, sorella mia.» c’era un sorriso gentile sul volto del Signore della Torre, l’ennesimo atto di coraggio.
«Come farete ad attivarvi?» domandò Thoke in un respiro sommesso, lo stesso che sarebbe stato di luogo dinnanzi ad un condannato.
«Quando giungerà il tempo verrà da me, desiderandolo con la stessa intensità con cui anelerà all’aria o alla luce. E quando mi avrà trovato, io sarò attirato da questo luogo. Allora verremo da voi e qui, dove la magia sarà rinchiusa, recupereremo coscienza di noi. La sua magia, intoccata e finalmente sviluppata, servirà a spalancare le porte della mia, facendola risorgere in tutta la sua completezza. Ed allora sarete liberi, fratelli miei, e la Fonte potrà rivelarci come uccidere il titano.»
«E se ciò non fosse vero? Se lo Spirito si sbagliasse?» disse Kay’den di getto, afferrando senza realmente volerlo uno degli esili avambracci di Alysa, che sussultò scossa dal dolore improvviso.
«Loro vivono al di fuori del tempo e dello spazio, pur tuttavia vi sono immersi. Lui sa cosa ci aspetta, non lo indovina come noi. Non può sbagliare. Il momento arriverà e noi dovremo essere vivi per approfittarne.» lo Shalafi volse la schiena d’improvviso – un gesto fluido ed elegante che era la chiara testimonianza del suo essere – e, quasi nello stesso istante, Alysa seppe della sofferenza che questa scelta provocava in lui. Allora chiuse gli occhi del suo rispetto e, sfuggita alla presa dell’Illusionista, annullò la distanza che la separava dallo Shalafi e gli prese una mano esile fra le sue, pallide e magre.
«Vi riconosceremo. Non importa quanto vorrete cambiarvi, quanto vorrete scordare. Noi vi riconosceremo. E voi farete lo stesso con noi. Sarà un attimo, il tempo di un battito di ciglia e tornerete a guidarci come avete sempre fatto. Noi vi attenderemo. E voi attenderete noi, lo so.» disse Alysa di getto, la passione che le alterava i lineamenti del volto, solitamente serafici. Lo Shalafi le sorrise gentilmente e lei avvertì il fiotto di gratitudine e amore. Allora lo lasciò andare e si dispose attorno a Thoke, assieme ai suoi fratelli.
«Vieni, è ora di andare.» disse il Signore della Torre, e il Suggello lo seguì. Nessuno dei due si volse indietro, nessuno donò un ultimo sguardo ai compagni che lasciavano in quel luogo sacro.
Quando la porta di pietra e rune si chiuse alle sue spalle, Fereoh attese il tempo che sapeva necessario all’incanto di Rifugio e, quando fu sicuro che la cavità li avesse avvolti tutti, cominciò a recitare la lunga, difficoltosa magia di Sigillo, che lo lasciò privo di gran parte delle energie magiche, legate a quel luogo finché egli stesso non vi avesse fatto ritorno.
Spossato, lo Shalafi trattenne l’Arte ancora in sé, sospingendone parte nel terreno ai loro piedi e dirigendo l’ultima verso coloro i quali sarebbero divenuti due Suggelli.
E mentre la magia li trasformava, alterandone natura, mente e fisicità, Fereoh sussurrò nel suo orecchio “Arthes. Ricordalo.”.
Poi la magia abbandonò le lo due figure e l’ultimo tranello li sospinse via da lì, lontani e ignari di ogni cosa.

  
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