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Autore: ermete    04/07/2012    11 recensioni
"Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.
In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson."

Note: AU!School, con John!tutor e Sherlock!matricola all'Università
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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***Ciao ragazze! Ahhh! Come sono contenta che non abbiate capito a cosa mi stessi referendo così scoprirete la sorpresa nello stesso momento in cui la scopre John! Ma da brava scema stavo per intitolare il capitolo in modo che si capisse, ma per fortuna me ne sono resa conto così è uscito fuori questo "spirito di vino" che insomma... l'altro titolo ci stava meglio ahahahah XD ma vabbè, l'importante è il contenuto no? Ringrazio ancora una volta le mie betE e vi lascio alla lettura! Grazie a chi continua a seguirmi *_* BACIO!!!***

Spirito di vino
John si incamminò nel cortile posteriore dell’edificio universitario cinque minuti prima rispetto all’orario concordato: quando oltrepassò il campo da calcio, si vide arrivare incontro un sorridente Sherlock avvolto nel proprio cappotto scuro, slacciato, e, differentemente dal solito, non indossava i guanti di pelle nera.

“Beh? Non c’è niente qui.” borbottò John prima di fermarglisi davanti: alzò una busta di plastica contenente due bottiglie di vino economico e qualche snack “Io la mia parte l’ho fatta.”
“E’ un po’ più avanti, malfidato.” lo rimproverò Sherlock, per poi togliersi la cravatta dal collo “Posso bendarti?”
In principio John inarcò un sopracciglio a quella bizzarra richiesta, ma la curiosità viscerale che lo stava divorando vinse qualsiasi altro istinto: annuì quindi, sorridendo divertito e provando ad immaginare cosa si fosse inventato la giovane matricola “La curiosità mi sta divorando, Sherlock. Devo aspettare ancora molto?”
Sherlock alzò la propria cravatta coprendo così gli occhi di John, stringendo un nodo dietro la nuca del tutor “Mezzanotte, ovviamente.” passò i pollici sopra l’improvvisata benda, assicurandosi che aderisse alla pelle dell’altro “Ci vedi? Sii sincero.”
“Sherlock fa un buio pesto e ho la tua cravatta sugli occhi, come pensi possa riuscire a vedere?” alzò le mani in avanti, fermandole sul torace dell’altro quando lo trovò “Mi guidi tu?”
Sherlock prese la mano destra di John, guidandolo lentamente nello spiazzo in cui aveva organizzato il proprio spettacolo: lo aiutò a sedersi su una delle due sdraio che aveva portato lì, coprendolo fino alle gambe con un plaid “Sei comodo?”
“Sì, ma...” John annusò l’aria e storse il naso quando percepì un accenno di odore sgradevole “Cos’è questo odore? Uova marce? Non è che mi hai bendato e ora mi fai uno stupido scherzo da confraternita, vero?”
“Ti ho detto che è una bella sorpresa.” sbuffò Sherlock prima di togliersi il cappotto “Non ti riesce proprio fidarti di me.” disse fintamente offeso, prima di chinarsi e controllare che fosse tutto a posto.
“Mh, scusa.” mugugnò John per poi recuperare a tastoni una delle due bottiglie dentro al sacchetto “Quando manca a mezzanotte Sherlock?” sussurrò poi.
“Poco. Ma non c’è bisogno di sussurrare, siamo soli qui.” rise, per poi controllare l’orologio e tirarsi sù le maniche.
“Ah, vero, hai ragione!” sussurrò ancora, dandosi poi dell’idiota da solo “L’ho fatto di nuovo.” rise nuovamente, emozionato dalla situazione, curioso per la sorpresa che Sherlock andava perpetrandogli.
“John, hai già bevuto prima di arrivare qui?” Sherlock gli si avvicinò, aiutandolo con la bottiglia che, tra risate e vista privata, sembrava più difficile da aprire che una cassaforte di sicurezza “Cin-cin, mon amì.” gliela lasciò tra le mani, ben attento a non sporcarsi d’alcool, prima di tornare sulla piattaforma di cemento sulla quale aveva sistemato il tutto, diversi metri più avanti.
John bevve qualche sorso di vino e, pensando di non essere visto dall’altro, sbirciò l’ora sul cellulare “Sherlooock! Ci siamo quasi!” urlò affinchè la voce lo potesse raggiungere.
“Sei un imbroglione, John.” lo redarguì scherzosamente per poi chinarsi sopra a quelli che sembravano cinque piccoli crogiuoli “Vai col conto alla rovescia e allo zero togliti la cravatta dagli occhi.”
John si morse le labbra come quando da bambino veniva beccato con le mani nella marmellata, ma si rilassò subito alle parole di Sherlock, quindi iniziò ad eseguire le sue istruzioni “...tre... due... uno...”
Nel momento stesso in cui pronunciò lo zero, sentì un sibilo fischiare nell’aria poco davanti a sè: John si tolse subito la benda per assistere alla luce che schizzava verso l’alto fino a scoppiare in un cerchio perfetto di colore verde che via via si smontava come la corolla di un fiore fino a sparire del tutto. Non poteva crederci, Sherlock gli aveva improvvisato dei fuochi d’artificio fatti in casa! Si alzò in fretta per andargli incontro saltandogli addosso per la foga, tanto che finirono quasi per terra.
“Sherlock! I fuochi d’artificio! Ho sempre desiderato vederli per l’ultimo dell’anno e non ce l’avevo mai fatta!” lo strattonò per le braccia prima di piegarsi ad osservare i crogiuoli, quattro dei quali ancora carichi, mentre uno fumava emettendo lo stesso odore che John annusò prima e che in quel momento riuscì a collegare allo zolfo “Spiegami!”
Sherlock si liberò in una risata che mai era stata così forte nei suoi anni di vita: era davvero riuscito a stupirlo e a regalargli qualcosa che desiderasse ardentemente. Lo osservò prima di accucciarsi al suo fianco, godendo della luce dei occhi di John di fronte alla sua sorpresa, emozionato e soddisfatto “L’arte della pirotecnica è molto antica, John: ti ho appena fatto vedere come facevano i fuochi i cari vecchi Alchimisti.”
“Gli Alchimisti? Pensavo li avessero inventati i Cinesi.” commentò John, tentato di toccare tutto quello che aveva di fronte.
“Sì, la pirotecnica nasce in Cina, ma io sto riproducendo i metodi degli Alchimisti.” sorrise Sherlock, prendendo in mano uno dei sacchetti ancora inesplosi “Prendevano un sacchetto come questo e vi mettevano dentro la polvere pirica che era formata da nistrato di potassio, ovvero il salnistro, poi carbone vegetale polverizzato e infine una piccola parte di zolfo. Poi, a seconda del colore desiderato, mettevano una parte di bario per il verde, di stronzio per il rosso, di rame per il blu, e poi li mischiavano tra di loro per avere altri colori. Infine, prima di chiudere il sacchetto mettevano una miccia abbastanza lunga, tipo questa.” dopo avergliela indicata gli fece cenno di alzarsi “Poi davano fuoco alla miccia e... scappavano!” dopo aver dato fuoco alla miccia con un fiammifero, prese John per un braccio ed indietreggiò di qualche metro assieme a lui.
John si girò in tempo per vedere la scia di luce partire dal crogiuolo e volare in alto fino ad esplodere in una deflagrazione blu che con l’atmosfera bianca sfumava fino a diventare un azzurro pallido e a tratti opaco.
“Questo era quasi del colore dei tuoi occhi.” commentò John, seguendo le ultime scie che si spegnevano nella caduta.
Sherlock si voltò di scatto verso John: cosa aveva detto? Sentì il cuore galoppare di una fanciullesca speranza: Sherlock conosceva lo stranissimo colore degli occhi di John perchè non faceva altro che pensare a lui e fu facile memorizzare le sfumature più chiare che dipingevano l’iride verso l’interno e le strane e minuscole striature grigie che si insinuavano verso l’esterno come raggi di un magnifico sole, certo, ma non si immaginava che anche John si fosse soffermato sul colore dei suoi occhi. Lo osservò di sottecchi, quindi, con un angolo della bocca che si alzava biricchino in una domanda puramente retorica “Tu sai di che colore sono i miei occhi?”
“A dire il vero no.” si corresse John, rendendosi conto dell’importanza che poteva assumere la propria affermazione solo quando la matricola glielo fece notare: non la ritirò, tuttavia, non ne trovò il motivo, nè tantomeno la ritenne troppo scomoda o sconveniente. Anzi, finì con l’aggiungere “Quel colore non ha nome, Sherlock.”
Sherlock dovette distogliere lo sguardo a quel punto, poichè arrossì imbarazzato e potè solamente ringraziare il buio per non palesare il suo attuale temperamento lusingato ed al tempo stesso impacciato “Penso che dovrei ritenerlo un complimento. Giusto?” farfugliò mentre, avvicinandosi ai crogiuoli, gli porse la scatola dei fiammiferi “Vuoi accenderlo tu il prossimo?”
“Sì.” John recuperò in mano l’accendino che Sherlock gli stava porgendo “Ad entrambe le domande.” e dopo aver acceso la miccia del terzo sacchettino, schizzò indietro assieme alla matricola.
Accesero gli altri due sacchettini a turno e John urlò al fischio dell’ultimo, salutando il vecchio anno con un’energia che Sherlock reputò inutile sprecare per una cosa del genere, sebbene si guardò bene dal farglielo notare: si rimise il cappotto, osservando ancora una volta il viso di John illuminarsi sotto le luci di quell’improvvisato spettacolo pirotecnico.
Quando tornarono alle sdraio, le avvicinarono per potersi coprire entrambi con il plaid, passandosi la bottiglia di vino per scaldare ulteriormente i muscoli infreddoliti.
“Meno male che ha smesso di nevicare, altrimenti non avresti potuto regalarmi questo spettacolo.” John mandò giù l’ennesima sorsata di vino e quando, dopo averla proposta a Sherlock si vide rifiutare l’offerta, fece spallucce, bevendone ancora “Noioso, non bevi neanche un sorso.”
“L’importante era che i sacchetti e le miccette restassero asciutte.” osservò la bottiglia vuota per tre quarti e venne colto da un lampo: prese l’altra dal sacchetto ed iniziò ad aprirla “Oh, lo sai, non bevo molto. Ma penso che ne berrò un po’ da questa.”
“Bravo!” si congratulò John, rosso in volto, sia per il caldo che l’ebrezza portata dal vino “Sai, sei un bravo ragazzo. Devi solo mettere un filtro tra cervello e bocca e dosare tutte le cose che ti vengono da dire.”
“E a te piacciono i bravi ragazzi?” Sherlock si morse il labbro subito dopo aver posto quella domanda dettata dall’impazienza: era troppo presto, serviva più vino.
Fortunatamente per Sherlock, John aveva appena finito la prima bottiglia scolandola fino alla brodaglia del fondo che sputò poco lontano dalla sdraio “I bravi ragazzi cosa? Tu? Sì, bravo ragazzo.” annuì ripetendo il concetto senza neanche accorgersene: non aveva cenato e a stomaco vuoto il vino appena ingerito ballava la samba tra le pareti del suo stomaco.
“I bravi ragazzi festeggiano l’ultimo dell’anno. E tu sei un bravo ragazzo.” Sherlock consegnò la seconda bottiglia a John, esortandolo a bere “Com’è che era la tua canzoncina? Bevilo, bevilo, bevilo!” intonò finchè il tutor non mandò giù un buon sorso di vino “Bravo... ah, John, mi chiedevo... che ne pensi di me?”
John soffiò fuori dalla bocca un’alitata così calda che gli si formò una nuvoletta densa davanti alle labbra “Uh, che caldo, mai visto un ultimo dell’anno così caldo.” riportò poi lo sguardo su Sherlock, aprendo e chiudendo la bocca impastata dal sapore agre del vino rosso “Che sei un bravo ragazzo! Te l’ho detto!”
Sherlock sbuffò e decise che era decisamente arrivato il momento di cambiare quel disco rotto e metterne un altro: gli accompagnò la bottiglia alle labbra e lo fece bere ancora “No, ma dico, ti piaccio? Almeno un po’?”
“Sì, certo che mi piaci.” John scoppiò a ridere, alzando il braccio libero indicando un punto nel buio che seguì per qualche istante, come se avesse individuato chissà quale creatura “Ah, no, non era niente.” e rise ancora.
“Ok, è bello che andato...” ridacchiò Sherlock e quando fece per avvicinarsi a John, ricacciò subito la testa all’indietro “Dio, che fiato!” tossicchiò appena, quindi riprese a parlare al tutor “Cioè? Stai dicendo che... ti piace un ragazzo? Un maschio?” chiese per conferma.
“No, chi, io?” domandò John a sua volta, ormai arrivato a metà della seconda bottiglia “I maschi? No che non mi piacciono.” si fermò, poi, guardando Sherlock “Non mi piacciono vero? Ho i ricordi un po’ appannati.” iniziò a contare fino a cinque toccando con la punta dell’indice sinistro le dita della mano destra, come per cercare di raccapezzarsi.
“Non lo so, dimmelo tu.” rise Sherlock, che sembrava ormai più occupato a divertirsi ascoltando le bizzarrie del tutor ubriaco, che non intento a scoprire qualcosa di intimo che riguardasse John “Dai, basta bere o ti sentirai male.”
“Mia bottiglia!” ringhiò John.
“Ok. Tua bottiglia, tua la diarrea domani. Anzi, oggi.”
“Oh capista! No, catispa? CASPITA!” John gettò la bottiglia di lato, voltandosi verso Sherlock “Tutto ‘sto casino e non ci siamo fatti gli auguri.”
“Come si fanno gli auguri, John?” Sherlock aveva il profilo destro poggiato alla sdraio, costantemente voltato verso il tutor.
“Ci si dà un bacio.” ridacchiò John, completamente perso sotto l’effetto dell’alcool.
Sherlock deglutì, lasciando vagare la mano destra sotto la coperta alla ricerca della mancina di John “Vuoi darmi un bacio?”
“Non credo, o magari sì, non lo so, tanto domani non me lo ricorderò.” sembrava più una filastrocca che una risposta: John infatti, come avrebbe potuto tranquillamente affermare Sherlock, lo stava guardando ma non osservando. Lo sguardo era torbido ed inumidito dal calore dell’alcool e i gli stessi riflessi di John erano rallentati anche solo per le semplici azioni di ascoltare le proprie stesse parole che uscivano dalla bocca senza alcun filtro o controllo.
“Non voglio che il mio primo bacio sappia di vino scadente.” sospirò Sherlock, dopo aver preso la mano di John nella propria “E non voglio che tu mi baci in queste condizioni, col rischio che te ne dimentichi.” fece ad alta voce quel ragionamento che normalmente avrebbe tenuto per sè, ed era vero: voleva che, se davvero doveva succedere, fosse voluto e consapevole anche da parte dell’altro. Era l’unica persona a cui teneva e non gli andava di ingannarlo. “Eppure vorrei così tanto baciarti.”
John si mise sul fianco sinistro, mimando inconsapevolmente la posa di Sherlock la cui mano strinse nella propria “Davvero? Quindi tu sei gay?” non era certo che gli importasse saperlo, ma senza ombra di dubbio, anche da ubriaco, non avrebbe avuto alcun problema d’omofobia: di questo era istintivamente sicuro.
“Gay?” domandò Sherlock a sua volta, rendendosi conto solo in quel momento che le convenzioni sociali impongono ad una persona di mettersi in una determinata categoria riguardante il proprio orientamento sessuale. Sorrise divertito al pensiero di un eventuale segno visivo e peculiare che segnalasse chiaramente ogni preferenza ed orientamento, religioso, sessuale o politico che fosse. Sorrise al pensiero dello scompiglio che comporterebbe qualsiasi scomoda verità portata a galla “Se proprio devo inserirmi in una categoria...”
“Eh? Inserirti dove?” l’alcool non aiutò John a cogliere quell’espressione.
“Sì, John. Sono gay.” sospirò Sherlock, rassegnato: ecco che era stato pesato, giudicato, categorizzato dal suo tutor ubriaco che avrebbe comunque dimenticato tutto non appena avesse chiuso gli occhi.
“Ah. E ti piaccio?” chiese John ingenuamente: se non fosse stato così tremendamente ubriaco non gli avrebbe mai chiesto qualcosa di così intimo in maniera così semplicistica.
Sherlock non potè fare a meno di chiedersi se il tutor gli avrebbe risposto nello stesso modo anche da lucido “Sì, John. Non lo avevi capito?”
John lasciò roteare lo sguardo per un qualche secondo, quindi rispose genuinamente “No.”
“Cambierà qualcosa tra di noi, ora che lo sai?” Sherlock tirò la mano di John verso di sè, posando sul braccio del tutor anche la mano sinistra: il nonsenso di quel discorso lo rassicurava almeno in parte. Si era scoperto completamente con John e, in fondo, anche con se stesso, ma l’idea che solo lui si sarebbe ricordato di quella conversazione lo faceva sentire in vantaggio, in qualche modo, sull’altro. Il controllo che aveva perso nel momento stesso in cui si rese conto di provare dei sentimenti nei confronti di John, fu riacciuffato miracolosamente con quelle informazioni rubate senza neanche troppa fatica.
“Ora lo so, tra uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci ore chi lo sa cosa saprò?” John rise per il tono canzonatorio della propria stessa risposta, senza protestare alla presa di Sherlock sul proprio braccio, non trovandolo strano o equivoco in quella situazione, colto dall’ebrezza e, anzi, mosse un poco le dita della mano sinistra, solleticandogli il naso con la punta dell’indice.
Sherlock si unì a quella risata, divertito anche dal dito di John che andò poi a mordere appena, ma non per farlo smettere, bensì per portare avanti quel gioco, quei contatti che si facevano sempre più ricercati: trasalì qualche istante nel sentire all’improvviso il proprio giovane cuore galoppare come un puledro impaziente di unirsi alla mandria per avventurarsi in terre selvagge ed inesplorate. Guardò dritto negli occhi la causa di quel batticuore e, come gli era già capitato pensando a lui, constatò quanto fosse sottile la linea che divideva la gioia dal dolore: era già gennaio, e il pensiero che nel giro di pochi mesi il tutor avrebbe concluso l’università lo fece intristire inevitabilmente “Non mi lasciare mai, John.”
John si divertì a stuzzicare il viso di Sherlock col proprio dito finchè non lo vide mutare espressione: l’ebrezza non lo aiutò di certo, infatti impiegò diversi secondi prima di intuire a cosa si stesse riferendo “Devo farlo, partirò prima o poi.”
Sherlock gli tirò il braccio, stringendolo al proprio petto, scuotendo vigorosamente il capo “Non farlo, promettimelo.”
John scrollò il capo affidandosi all’istinto per rispondere, poichè l’ubriacatura non poteva aiutarlo dal punto di vista razionale “Non posso mantenere questa promessa.” John sentì come se il proprio cervello viaggiasse contemporaneamente su due binari diversi: da un lato transitava il vagone del raziocinio che conteneva tutte le risposte, mentre dall’altro lato, il treno era guidato dall’Io più nascosto e latente di John che sceglieva quali parole fargli pronunciare, senza alcun riguardo per la censura che una mente sobria e sveglia si curerebbe normalmente di applicare.
A Sherlock sembrava quasi di poter discernere quei due binari nella mente di John, vedeva l’esitazione nel suo sguardo, percepiva la sua paura di ferirlo: tuttavia scosse il capo ed insistette, poichè per la prima volta in vita sua sentì il bisogno di essere confortato “Tu dimmela, tanto non te la ricorderai, e quindi non varrà.” intrecciò le dita della propria mano con quelle di John, portandole sopra le proprie labbra, quindi sulla fronte.
John smise di concentrarsi sui due treni che gli viaggiavano sui binari del proprio cervello poichè riuscì a cogliere la malinconia e la tristezza nel tono di Sherlock: alzò dunque la mano libera sul volto della giovane matricola, accarezzandolo con una delicatezza che voleva essere protettiva e rassicurante “Allora a cosa serve?”
Sherlock chiuse gli occhi sotto quella carezza, scontrando insistentemente la propria guancia sotto la calda mano di John “Tu dilla. Almeno ora, per qualche minuto, starò bene.” riportò lo sguardo sul tutor, perdendosi in quelle sfumature grigie che sembravano piccole vie d’accesso per l’anima di quel fantastico ragazzo.
John non era sicuro di cosa sarebbe stato giusto fare, ma alla fine andò contro alla propria ragione, decidendo di assecondare quel pensiero totalmente illusorio, pur di non sentire quel tono di voce incrinato dalla tristezza “Ok.”
“Non mi lasciare mai.” chiese nuovamente Sherlock, con un fil di voce, intrufolandosi inconsapevolmente dentro l’anima di John.
“Mai, te lo prometto.” John sentiva che non era giusto dirlo, ma la voce gli uscì spontaneamente: paradossalmente, pur sapendo di essere ubriaco fradicio, si ritrovò a sperare invano di ricordare quel preciso istante in cui Sherlock gli entrò dentro, facendo deragliare i due treni che governavano la sua mente.
“Grazie.” Sherlock, stranamente inconsapevole di ciò che era riuscito a fare, strofinò gli occhi lucidi sulla mano di John e, continuando a stringere il suo braccio, si addormentò insieme a lui sulle sdraio, coperti dal plaid che odorava di vino, zolfo e polvere pirica.
Se solo i pensieri avessero un odore proprio e l’amore fosse un profumo, l’aria circostante saprebbe di carbone consumato dalla passione.
   
 
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