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Autore: _Selene13    05/07/2012    3 recensioni
Dalla storia: “Che cosa stavi dicendo, prima? Riguardo ad un concerto..?”, le chiese, cambiando argomento.
“Oh, giusto! Lo stupido concerto degli stupidi One Direction a cui devo andare con la mia stupida cugina… Ti prego, uccidimi subito, così non sarò costretta ad andarci!”, lo pregò, tirando la manica del suo cappotto e facendolo scoppiare a ridere… di nuovo.
“Ma tu ridi sempre, assassino in incognito di cui non conosco il nome?”, borbottò, leggermente infastidita. //
A 18 anni, Sophie è totalmente fuori dalla fase "boy band", non come sua cugina Georgina, che ha speso una fortuna per i biglietti del concerto dei One Direction a cui anche Sophie è costretta ad andare. Il viaggio in metro per arrivare sul posto all'alba e prendere i posti migliori, però, si rivelerà più interessante del previsto.
-A Nevaeh, per aver sopportato pazientemente tutti i miei scleri da maturanda.-
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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glad you came

GLAD YOU CAME

 

 

 

Sophie scivolò all’ultimo secondo tra le porte scorrevoli del metrò, maledicendo per l’ennesima volta sua cugina, sua madre e la band di idioti che faceva impazzire le ragazzine di tutto il mondo (sua cugina faceva appunto parte di questa categoria, anche se poi tanto ragazzina non era, dal momento che aveva 17 anni) e che non solo la tediava con delle canzoni che a stento potevano definirsi tali, tanto erano commerciali e ridicole, ma faceva addirittura dei concerti. E lei, sotto ricatto di sua madre, avrebbe dovuto accompagnare la sua amata sopracitata cugina al concerto di quella sera.

“Il concerto inizia alle nove di stasera, per quale motivo devo arrivare lì alle cinque del mattino, cazzo?”, si lamentò ad alta voce, per poi lasciarsi cadere su uno degli scomodissimi sedili, mentre continuava a lamentarsi. Una risata cristallina interruppe il suo monologo, facendole realizzare solo in quel momento di non essere sola: avvolto in un enorme cappotto, nell’angolo opposto a quello in cui era seduta lei, c’era un ragazzo. O almeno credeva fosse un ragazzo, anche se non era facile dirlo, dato che aveva il volto quasi interamente nascosto da una sciarpa.

“Oddio, sto per essere violentata e uccisa. Mia madre mi avrà sulla coscienza, è colpa sua se mi trovo in questa situazione, tornerò sotto forma di fantasma a tormentarla per il resto dei suoi giorni! Anzi no, a giorni alterni, voglio dare il tormento anche a Georgina.”, fu tutto quello che pensò mentre fissava gli occhi azzurri –i più azzurri che avesse mai visto- del ragazzo, che si stava avvicinando a lei.

“Qualche problema?”, le chiese lui senza nascondere una nota di divertimento nella voce, sedendosi proprio accanto a lei.

Ecco, ci siamo, adesso cercherà di distrarmi per poi attaccarmi. Calma Sophie, non fargli vedere che hai paura, fingi che vada tutto bene, tienilo occupato per un po’, magari salirà qualcun altro e lui ti lascerà stare.”

“Ti sembra forse che mi vada tutto bene?”, gli rispose, molto più acidamente di quanto non fosse sua intenzione. “Sono in metropolitana alle quattro del mattino –io non sapevo nemmeno che esistessero, le quattro de mattino!- perché mia madre ha minacciato di non pagarmi più l’università se non avessi accompagnato la mia stupida cugina allo stupido concerto di quegli stupidi One Direction e lei ha ben deciso di andare a fare la fila prima dell’alba per assicurarsi un posto in prima fila. Evviva!”, si interruppe per riprendere fiato. “E poi c’è il trascurabile dettaglio che c’è un tizio inquietante che probabilmente mi violenterà e ucciderà seduto accanto a me.”, aggiunse, e tanti cari saluti al “non fargli vedere che hai paura”.

Dopo quest’ultima affermazione il ragazzo scoppiò a ridere così forte da farla sussultare spaventata.

“Scusa, non volevo spaventarti, mi dispiace!”, disse quando si fu calmato.

“Ti sei guardato allo specchio prima di uscire di casa?”, la risposta le sfuggì senza che potesse connettere il cervello alla bocca e rendersi conto che il suo sarcasmo non le sarebbe stato particolarmente utile davanti ad un potenziale assassino.

“Sì, effettivamente il mio abbigliamento potrebbe risultare un po’ inquietante.”, rispose con una risata –ma rideva sempre?- prima di appoggiare la testa al vetro e chiudere per un attimo gli occhi, come sopraffatto da una stanchezza immane. “Ma non sono un maniaco né tantomeno un assassino, giuro!”, aggiunse poi, girandosi nuovamente verso di lei.

“Perché, nel caso tu lo fossi, suppongo che me lo diresti, giusto?”

“Beh, praticamente qui ci siamo solo noi due, se fossi estremamente sadico potrebbe piacermi vedere il terrore nei tuoi occhi mentre cerchi di scappare o mi supplichi di non ucciderti, giusto?”

Sorprendendo anche se stessa, Sophie scoppiò a ridere.

“Credo di essere rimasta senza parole per la prima volta in vita mia, niente male per un assassino in incognito sulla metropolitana.”, commentò, una volta deciso che non voleva passare gli ultimi istanti della sua vita nel panico.

“Che cosa stavi dicendo, prima? Riguardo ad un concerto..?”, le chiese, cambiando argomento.

“Oh, giusto! Lo stupido concerto degli stupidi One Direction a cui devo andare con la mia stupida cugina… Ti prego, uccidimi subito, così non sarò costretta ad andarci!”, lo pregò, tirando la manica del suo cappotto e facendolo scoppiare a ridere… di nuovo.

“Ma tu ridi sempre, assassino in incognito di cui non conosco il nome?”, borbottò, leggermente infastidita.

“Solo quando incontro delle belle ragazze acide e scontrose in metropolitana alle quattro del mattino.”

“Oh Gesù, assassino, maniaco, squallido e irritante… non troverai mai moglie, caro mio!”

“Sì, me lo dice sempre anche mia nonna… Sai, lei ha ottant’anni.”, ghignò lui.

“Maleducato. Dobbiamo aggiungere anche qualche altro difetto alla lista?”, la discussione stava decisamente degenerando.

“James, comunque. Il mio nome: è James.”, specificò, dopo aver ricevuto un’occhiata perplessa dalla ragazza.

“Sophie. Vorrei dire che è un piacere conoscerti, ma sai… C’è sempre quella storia del maniaco assassino.”

Il ragazzo scosse la testa, indeciso se essere divertito o desolato a causa della testardaggine di Sophie. “Allora, questi One Direction sono davvero così terribili?”, cambiò nuovamente argomento, curioso dell’opinione della ragazza.

Terribili non rende l’idea. Sono una band di ragazzini…”

“Disse la donna vissuta.”, la interruppe subito lui, inarcando un sopracciglio.

“E’ risaputo che le ragazze maturano prima, in confronto a me, quei cinque hanno la mentalità di un poppante! Dicevo… Sono una band di ragazzini che canta canzoni orribili, ma questa non è la cosa peggiore, anche perché devo ammettere che hanno delle belle voci. La cosa peggiore sono le loro fan. Pazze, esaltate, ninfomani di età compresa tra i dieci e i dodici anni, che amano le carote, hanno paura dei cucchiai e vorrebbero far accasare il ricciolino con le loro nonne. Nemmeno nei tuoi incubi peggiori potresti mai immaginare una cosa del genere.”, concluse Sophie, annuendo per avvalorare la veridicità delle proprie parole.

 “Beh, io durate gli incubi vengo perseguitato dalle miei vittime, dici che è peggio di così?”, le chiese, fintamente terrorizzato.

“Molto, molto peggio. Ma basta parlare di me e di ciò che mi attende più tardi a meno che tu non mi uccida. Che mi dici di te? Che ci fa un maniaco assassino, alla quattro del mattino, in metropolitana?”

“Vado in cerca della mia prossima vittima, no?”, ammiccò lui, senza trattenere -l’ennesima- risata.

Sophie roteò gli occhi, spazientita. “Dai, fai il serio!”, lo rimbeccò.

“Guarda che sei tu che hai deciso che sono un maniaco assassino! Va bene, ve bene…”, si arrese poi, dopo che la ragazza lo ebbe spintonato con la spalla. “Mi sono preso una… Diciamo pausa non autorizzata di qualche giorno dalla mia vita e adesso sto tornando indietro perché il dovere mi chiama, anche se temo che mi uccideranno, una volta tornato.”

“Io invece credo che ti accoglieranno a braccia aperte. Insomma, sarai come il figliol prodigo! Però se hai fratelli o sorelli sappi che loro si arrabbieranno molto perché nessuno penserà a loro mentre tu sarai ricoperto di attenzioni. Come mai hai deciso di prenderti questa pausa, comunque?”, il lato da psicologa-pettegola di Sophie prese subito il sopravvento, impedendole di chiedersi se fosse una domanda lecita oppure no.

“Perché… Ti è mai capitato di non sentirti per nulla all’altezza delle aspettative degli altri? Dei tuoi genitori, dei tuoi amici, dei tuoi faaamigliari? “, le chiese, strascicando la “a” nel tentativo di evitare di dire “fans”.

Sophie si limitò ad annuire e aspettare che fosse lui a continuare a parlare.

“Era diventato troppo. Avevo bisogno di staccare un attimo e capire che cosa davvero abbia importanza per me, perché ultimamente mi ero limitato a fare tutto in funzione degli altri. All’inizio pensavo di non tornare più indietro, di nascondermi e scappare via per sempre.”, i suoi occhi, notò Sophie, erano pieni di tormento e angoscia mentre parlava, tanto che l’azzurro limpido che li aveva caratterizzati poco prima sembrava quasi essersi tramutato nel blu scuro del mare in tempesta. Appoggiargli una mano sul braccio, per confortarlo, le venne naturale. “Ma non l’hai fatto, giusto? Alla fine hai deciso di tornare, è questo che conta.”, mormorò. Come fossero passati dalle accuse all’ironia e infine ai racconti personali era un mistero.

“Parli come se ti fosse successa la stessa cosa.”, sussurrò lui, temendo che un tono di voce troppo elevato potesse mandare in frantumi quel momento.

“L’anno scorso litigai con i miei genitori molto pesantemente, ci dicemmo cose che mi feriscono immensamente solo a pensarci. Quella notte, mentre tutti dormivano, preparai una valigia e uscii di casa. Tornai indietro quasi subito e il giorno dopo chiarii tutto con i miei, spiegandogli il motivo per cui mi sentivo così oppressa da voler quasi scappare di casa. Non dico che da quel momento tutto sia stato rose e fiori perché litighiamo tanto quanto prima, però loro cercano di essere più comprensivi con me e io cerco di esserlo con loro.”, raccontò lentamente, soppesando bene le parole.

“Anche se poi ti ricattano per andare allo stupido concerto degli stupidi One Direction?”, le chiese, perché sostenere una conversazione del genere senza qualche battuta non sarebbe stato possibile.

“Troverò il modo di vendicarmi per questa tortura, credimi”, rispose Sophie con un sorriso.

“Pensi ancora che io sia un maniaco assassino?”, il sorriso della ragazza si trasformò in una vera e propria risata. “No, sei solo un tipo un po’ strano che è scappato di casa e che si trova in metro alle quattro del mattino. Peccato, così hai perso il fascino del cattivo!”, lo prese in giro, dandogli una leggera spallata.

“Tanto sono sempre stato quello dolce e carino, quindi non penso che sentirò la mancanza di questa fascino.”, commentò laconico.

“Forse è ora che tu la smetta di pensare a quello che gli altri vogliono vedere in te e cominci ad essere te stesso.”, gli suggerì.

“E come dovrei fare, di grazia?”, come se lui non ci avesse mai provato.

“E che ne so, io? Fai qualcosa di assurdo e azzardato, qualcosa che nessuno si aspetterebbe mai che potresti fare! Vivi! Di vita ne hai una sola, non sprecarla stando dietro a quel che scelgono gli altri.”, batté il pugno sul palmo dell’altra mano per enfatizzare il discorso.

“D’accordo, ci proverò. Non so bene cosa farò, ma qualcosa mi inventerò.”, disse risoluto, parlando più con se stesso che con Sophie, che lo guardò con orgoglio.

“Bravo, poi fammi sapere come va a finire!”, gli occhi del ragazzo si riempirono di divertimento e malizia.

“E’ un modo carino per chiedere il mio numero?”, in risposta ottenne un pugno su un braccio e un insulto.

“Ehi!”, protestò. “Che male ci sarebbe? A me piacerebbe avere il tuo numero.”, ammise poi, mentre si massaggiava la spalla colpita.

“Come scusa? Ci siamo appena conosciuti!”

“Hey, I just met you and this is crazy, but here’s my number, so call me maybe!”, canticchiò, scrivendole poi effettivamente il suo numero su una mano, con un pennarello che aveva preso chissà dove.

“Tu sei tutto matto!”, Sophie scosse la testa divertita.

Mentre ancora rideva, una veloce occhiata fuori dal finestrino la informò che era quasi arrivata a destinazione… purtroppo.

“Io… Io scendo alla prossima.”, informò il suo compagno di viaggio, cercando di non far trasparire quanto ciò le dispiacesse.

“Oh… Anche io, ora che ci penso.”, disse lui, alzandosi e avvicinandosi alle porte scorrevoli seguito da Sophie.

Non appena uscirono dalla metropolitana, lui si limitò a mormorare un “grazie per avermi fatto compagnia” e lei a rispondere con un altrettanto semplice “grazie a te”, conscia del fatto che avere il suo numero non avrebbe implicato alcuna conoscenza più approfondita, probabilmente era anche un numero inventato, pensò, mentre a passo svelto raggiugeva sua cugina, che si trovava in fila con almeno un altro centinaio di pazze scatenate.

 

 

***

 

Niall entrò in albergo a testa bassa, continuando a nascondere il volto nella sciarpa, così come aveva fatto durante tutto il viaggio in metropolitana. Sophie non lo aveva riconosciuto, non che la cosa lo sorprendesse, dal momento che aveva dichiarato più volte quanto detestasse lui e la sua band. L’unica cosa positiva che aveva detto era che avevano delle belle voci e almeno questo lo rincuorava.

“Niall? Brutto imbecille, si può sapere dove cavolo sei stato? Ci hai fatti preoccupare!”, lo accolse amorevolmente Louis, saltandogli addosso e dandogli un pugno.

“Avevo…Avevo bisogno di riflettere.”, si giustificò una volta svegliati anche gli altri componenti della band, che lo assalirono con domande e insulti. Più insulti per averli fatti preoccupare che domande, effettivamente.

“E non potevi avvisarci prima di sparire per tre giorni? Si può sapere dove sei stato? Imbecille!”, lo rimbeccò Zayn, prima di avvicinarsi e abbracciarlo, felice che fosse tornato e stesse bene.

Dopo un piccolo resoconto dei tre giorni precedenti, una doccia veloce, una spiegazione ai manager dei motivi che lo avevano spinto a cercare la solitudine per qualche giorno e un’abbondante colazione, il ragazzo si recò allo stadio dove si sarebbe tenuto il concerto per il sound check. Moltissime fan erano già in fila, m i suoi occhi cercarono una ragazza in particolare: Sophie. La individuò quasi subito, era appoggiata al muro, gli occhi chiusi e una smorfia di disappunto sul viso, mentre vicino a lei le altre ragazze parlavano concitatamente, gesticolando e ridendo felici. Il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso a metà tra il divertito e l’intenerito, che venne intercettata da Harry, che non mancò di dargli il tormento per sapere chi fosse la ragazza. Alla fine, stremato per l’insistenza dell’amico, Niall fu costretto a raccontargli tutto.

“Quindi lei ha il tuo numero ma tu non hai il suo? Che cosa c’è che non va in te, Horan?”, sospirò il riccio sconsolato.

“Che cosa avrei dovuto fare, scusa?”

“Baciarla?”, replicò Harry con tono ovvio.

“Non sono proprio il tipo che bacia le ragazze così…”, protestò, per poi ignorare i lamenti del suo compagno di avventura.

Non appena il concerto iniziò, Niall si accorse che Sophie era in prima fila accanto ad una ragazza che suppose fosse sua cugina, che saltellava –per quanto il resto della folla glielo permettesse- entusiasta.

Fu mentre cantavano “Stole my heart” che gli tornarono in mente le parole della ragazza: “Fai qualcosa di assurdo e azzardato, qualcosa che nessuno si aspetterebbe mai che potresti fare!” E fu allora che decise che, per una volta, avrebbe agito senza preoccuparsi delle conseguenze o di quello che gli altri avrebbero detto e pensato. Scese dal palco e si avvicinò velocemente alle ragazze della prima fila, che impazzirono e si allungarono verso di lui nel tentativo anche solo di sfiorarlo. Solo in quel momento Sophie si girò a guardarlo e lui vide il guizzo di consapevolezza che attraversò i suoi occhi quando riconobbe in lui il ragazzo della metropolitana, un attimo prima che lui prendesse il suo volto tra le mani e la baciasse.

“Ho una sola vita, giusto?”, le mormorò all’orecchio.

“Tu sei tutto matto!”, replicò Sophie, senza però nascondere un sorriso di compiacimento.
“Sì, me lo dicono spesso ultimamente. Ah, e comunque sono contento che tu sia venuta al concerto, stasera.”

 

 

 

Selene’s corner

Non chiedetemi perché questa one shot sia così demenziale, perché giuro che non lo so. Quando ho iniziato a scriverla doveva essere completamente diversa, ma tanto “oramai il romanticismo è sopravvalutato”, per citare Nevaeh. Ecco, a proposito di Nevaeh, questa one shot è dedicata a lei, che mi ha sopportata in tutti i miei scleri causati dalla maturità e non si è mai lamentata per ogni sms che diceva “non ce la farò mai, mi bocceranno”, ma mi ha sempre sostenuta. Ti voglio bene, Pia, davvero.

Bene, detto questo, sulla shot non c’è molto da dire, i nome con il quale Niall si presenta è il suo secondo nome, per timore di essere riconosciuto, ovviamente.

Ah, giusto. Niall Horan e il resto dei One Direction non mi appartengono, questa storia non è stata scritta a fini di lucro e bla bla bla.

Invece Sophie, essendo un personaggio partorito dalla mia mente malata, mi appartiene.

Ho detto tutto, quindi smetto di rompervi le scatole. Addio.
   
 
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