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Autore: nals    05/07/2012    2 recensioni
Loro sorridono; le dita puntate in alto a contare – schiacciare – le stelle.
Non lo vedrai mai un cielo così in città, mi dicono. Ed io penso che dovrei sentirmi fortunata, ma non ci riesco.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stelle.
 
 
 
 
 
È troppo caldo oggi. Jack è stravaccato in fin di vita, la lingua a penzoloni, gli occhioni dolci sul punto di chiudersi del tutto. Il buio non è riuscito a raffreddare il sole, non ci riesce quasi mai.
Forse ho sonno, forse no.
Qui fuori è così scuro che camminare è diventato arrancare a tentoni. Io sono l’elefante in costume ad oscillare sul succinto filo sospeso nel vuoto.
Forse ho sonno, forse no.
Loro, invece, sembrano non stancarsi mai. Sorridono; le dita puntate in alto a contare – schiacciare – le stelle.
Non lo vedrai mai un cielo così in città, mi dicono. Ed io penso che dovrei sentirmi fortunata, ma non ci riesco. 
A cosa serve avercelo se non si ha nessuno con cui guardarlo; a cosa serve correre dietro casa e riempirsene gli occhi se non hai la possibilità di affogarci dentro, sapendo che quelle dita – nelle tue – sapranno come fare per riportarti indietro?
Ci ho provato davvero a capirlo una sera, il cielo. Mi son messa alla finestra, la gambe nude accavallate sul davanzale, il cuscino in braccio, i miei occhi nei suoi occhi.
Sono corsa sotto le coperte dieci minuti dopo, pregando che la mia ombra  conoscesse la giusta manovra di primo soccorso per liberarmi la trachea. Sono ancora viva, quindi suppongo ci sia riuscita.
Ho paura del bianco – il bianco niente – e del cielo infarinato di diamanti a braccarmi dall’alto. Non sono le stelle a darmi fastidio, nemmeno il buio – lui mi fa sognare pensare.
Ho paura di quella profondità, di quella mutante perfezione. Ho paura che il cielo m’ingoi senza che nessuno se ne accorga, ho paura di affogarci senza saper nuotare. Ho paura di non sentirlo dentro.
Vorrei riuscire a perdermici, con qualcuno che mi tenga al guinzaglio o che si perda con me.
Forse ho sonno, forse no.
Le lucciole ci svolazzano sotto il naso, si burlano di noi giocherellando con quel loro strano interruttore. Penso alla sveglia che batte in pancia al coccodrillo di Peter Pan e distrattamente mi chiedo se quelle lampadine si fulmineranno mai.
Da bambina le raccoglievo in un vasetto di vetro e le portavo a spasso, sicura di esser riuscita in una grande grande impresa. Due minuti dopo mi sentivo in colpa e lasciavo che volassero via. Mio fratello mi rimproverava ogni volta.
Preferisco le lucciole al labirinto luminoso che ci sovrasta. Le lucciole puoi catturarle, il cielo...è lui che cattura te.
La ventiduesima si spegne tra l’erba verde dipinta d’ombra e i borbottii di disappunto mi solleticano le orecchie.
La stella polare non si trova. Si sarà spostata, forse. O sarà andata a dormire – in pensione. Sarebbe anche l’ora, penseranno le altre stelle. Non può brillare così tanto solamente lei.
La luna, intanto, sogna, coperta per metà.
Io vorrei riuscire a spegnere tanto facilmente i miei pensieri – e me – tra le lenzuola.
Forse ho sonno, forse no.
Non lo vedrai mai un cielo così in città, mi dicono e io sorrido. Domani proverò a perdermici dentro da sola – niente dita a stringere le mie, non ne ho bisogno –, mi legherò al cuscino con due giri di fune.
   
 
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