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Autore: Trick    05/07/2012    7 recensioni
Spoiler di Mockingjay.
«Che diavolo stai facendo?» si ribellò ancora una volta Johanna, strattonando con decisione e liberandosi da lui. Gli rivolse un'occhiata rancorosa. «Che vuoi da me, Haymitch?».
«Puzzi, dolcezza. È ora di farti un bagno».

Ambientata nel Distretto 13 dopo la fuga dei prigionieri di Capitol City.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haymitch Abernathy, Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Non vi dirò che è la mia prima fan fiction su Hunger Games, tanto non importa. Però vi dirò che Hunger Games non mi è piaciuto quanto avrei voluto, ma tant'è che ci sono personaggi fighi come Haymitch e Johanna e me li faccio bastare.
Non sono sicura di ricordare esattamente il punto del terzo libro dove Finnick Odair racconta delle violenze subite dai Vincitori, ma sono piuttosto sicura che fossero state citate anche Johanna e Cashmere. Se così non è, pazienza, prendete tutto come licenza poetica amatoriale.

*

Lavata dall'acqua


Il fatto che non le avesse lasciato nemmeno il tempo di reagire fu probabilmente il solo motivo per il quale non se ne era uscito con un occhio nero e qualche buco fra i denti. Aveva fatto irruzione nella stanza che Johanna divideva con Katniss e l'aveva afferrata con brutale decisione per il colletto della camicia da notte. Lei aveva cercato di divincolarsi come un piccolo gatto, artigliandogli il dorso delle mani e imprecando con la stessa ferocia con cui era stata abituata ad abbattere gli alberi.
«Haymitch...» la sentì ringhiare qualche secondo dopo, mentre ancora cercava di liberarsi dalla sua stretta d'acciaio e le punte dei suoi piedi scalzi sfioravano appena il pavimento. «Ti ammazzo, Haymitch, ti ammazzo».
«Non vedo l'ora di vederti fare un tentativo, dolcezza» la schernì con un sogghigno, trascinandola nel bagno senza il minimo sforzo.
Qualunque cosa avesse dovuto subire a Capitol City l'aveva trasformata nell'ombra macilenta della donna famelica e indistruttibile che era stata un tempo. Haymitch era riuscito ad annebbiare il ricordo della maggio parte degli Hunger Games ai quali era stato costretto a fare da mentore, ma ricordava con limpida chiarezza la loro Sessantesima Edizione: Johanna aveva tredici anni, piangeva in continuazione e nessuno aveva osato scommettere su di lei. Poi lei aveva trovato un'ascia e aveva iniziato a fare a pezzi tutti gli altri Tributi non appena le voltavano le spalle.
Era stata dichiarata la più giovane Vincitrice dacché erano iniziati gli Hunger Games ed era stata probabilmente anche la più subdola. Haymitch non avrebbe mai dimenticato le moine e le lacrime con cui era riuscita a convincere buona parte degli altri Tributi di quanto fosse una preda facile – né la violenza con cui la sua ascia si abbatteva su di loro, cinque, dieci, venti volte. Li faceva a pezzi, letteralmente, e il sangue le volava sul visino delicato e le inzaccherava i capelli biondi e il vestitino bianco con cui il suo stilista l'aveva infiocchettata. Sembrava una bambolina fuori controllo e non appena aveva staccato la testa al Tributo del Distretto 11 con un unico tremendo colpo, la sua popolarità era salita alle stelle.
Dopo di lei, il Distretto 7 non ebbe più alcun Vincitore e Haymitch sapeva che i Tributi ai quali spettava Johanna come mentore ricevevano meno aiuti di quanti lui non fosse solito offrire a quelli del Distretto 12.
«Dimenticatevi della Cornucopia, trovate l'acqua e restate in vita» aveva ripetuto ad ognuno di loro. Johanna si limitava a salutarli con una risata – lo sapevano tutti, la sentivano tutti – e gridava: «Fateli a pezzi!».
Ed ora, eccola lì: una delle più temibili Vincitrici degli Hunger Games, la donna più minuta e pericolosa che Haymitch avesse mai incontrato, rinchiusa da qualche parte in quel corpicino sporco e ossuto.
«Bada, Haymitch, che devi tirare fuori anche me da quello schifo» le aveva detto la sera prima di entrare nell'arena per la Settantacinquesima Edizione degli Hunger Games. «Io rischio la pelle per salvare quella dannata ragazzina, ma se mi lasci nell'arena, ti ammazzo».
Aveva evitato di farle notare che non avrebbe avuto modo di ammazzarlo e aveva alzato le mani in un gesto di resa.
«Non ti lascerò là dentro» l'aveva rassicurata, e si era reso improvvisamente conto di quanto fosse profondamente sincero. «Ti tirerò fuori a qualunque costo. Tu resta in vita, nel frattempo».
«Li farò a pezzi. Uno dopo l'altro».
Quando l'aveva guardata piantare l'ascia nel petto di Cashmire come se non avesse mai fatto altro nella vita, aveva sentito una fitta di speranza montargli dentro. Era forte, Johanna, era dannatamente forte, e c'era qualcosa di dannatamente intrigante perfino nello sguardo aggressivo con cui ripuliva l'ascia dal sangue. Non avrebbe mai potuto lasciarla nell'arena – non lei, non la tredicenne più abbandonata che avesse mai conosciuto.
Non si era mai reso conto di quanto si fosse attaccato a lei nel corso degli anni trascorsi a fare da mentore a dei ragazzini spediti al macello. Capitava che sedessero insieme a guardare la televisione e a volte si erano distratti l'uno con l'altra cercando di capire quale Tributo sarebbe uscito dall'arena sulle sue gambe. E l'unico motivo per cui lo facevano era che entrambi avevano bisogno di evadere da ciò che erano costretti a rivivere ogni anno ed entrambi sapevano che quando uno dei loro protetti veniva ammazzato, la leggerezza che ne seguiva non era che un cerotto misero su una ferita ben più profonda. Ricordavano i nomi di tutti i Tributi a cui avevano fatto da mentori: nessuno dei due era mai riuscito a dimenticarne uno.
Forse era per quello che erano sempre andati d'accordo – per quanto due persone come loro potessero andare d'accordo. Erano più simili di quanto potessero apparire, lui con la sua bottiglia e l'alito saturo di vodka e lei con i suoi fianchi provocanti, i suoi capelli alla maschietta e la sua lingua serpentina.
E poi Finnick aveva raccontato quella storia del giro di favori attorno al quale ruotavano i Tributi Vincitori e quando Haymitch lo aveva sentito fare il nome di Johanna era raggelato di colpo.
Era la ragazzina col vestito bianco degli Hunger Games e nessuno della sua famiglia era stato risparmiato alla follia di Capitol City; era la ragazzina con l'ascia e il visino sporco di sangue e non c'era più nessuno che potesse proteggerla, e proprio quando Haymitch si era convinto che l'unica cosa che potesse evitare loro altro dolore fosse rimanere soli, Snow ritornava a ricordargli che non era affatto così, che lui e il suo mondo avrebbero potuto prendere qualunque cosa avessero desiderato del loro. E aveva preso Johanna, alla fine, che aveva tredici anni e nessuno del Distretto 7 che potesse sentire la sua mancanza.
«Che diavolo stai facendo?» si ribellò ancora una volta Johanna, strattonando con decisione e liberandosi da lui. Gli rivolse un'occhiata rancorosa. «Che vuoi da me, Haymitch?».
«Puzzi, dolcezza. È ora di farti un bagno».
Negli occhi di Johanna passò qualcosa di simile al terrore puro. Haymitch la vide deglutire a fatica e fare un impercettibile movimento verso la parete alle sue spalle. Quando lui si abbassò per afferrare il tubo dell'acqua arrotolato nella vasca, lei cacciò un grido acuto che lo fece sobbalzare e cercò di lanciarsi fuori dalla porta, dibattendosi contro la maniglia chiusa. Haymitch la afferrò per i fianchi, la sollevò come se fosse stata fatta di piume e tentò di fermare quell'improvvisa crisi di panico.
Lo avevano avvisato che Johanna avrebbe potuto causare qualche difficoltà e lui non se ne era curato. Conosceva da una vita i segni che Capitol City poteva lasciare su una persona e qualcuno avrebbe potuto perfino dire che era l'unico ad aver conosciuto Johanna prima che Panem la vedesse con un'ascia insanguinata stretta fra le piccole mani. Dubitava che avrebbe potuto aiutarla, ma si era comunque arrogato il diritto di fare almeno un tentativo.
«Johanna...» la chiamò piano all'orecchio, serrandola con più forza fra le braccia e impedendole di dibattersi. Era forte, sì, ma in quel bagno non c'erano asce che potesse brandirgli contro. «Johanna... Johanna».
Sentire il proprio nome ripetuto come un mantra parve placarla un poco: sollevò entrambe le mani e le strinse attorno ai polsi di Haymitch con aria disperata. Rimase immobile, tremando appena sulle gambe instabili.
«Siediti, dolcezza» le disse con tono gentile lui, aiutandola a scivolare lungo le piastrelle della parete.
Johanna si accucciò su stessa, stringendo le gambe al petto e appoggiando la fronte alle ginocchia. Haymitch rimase a fissarla qualche istante, prima di afferrare un piccolo catino trasparente nascosto sotto il lavandino.
«Sto per aprire il rubinetto» la informò.
Lei si piantò le unghie delle cosce fin quando il catino non fu pieno quasi fino all'orlo e l'acqua non smise di scrosciare. Haymitch lo sollevò e lo posò a qualche centimetro dai suoi piedi, poi si sporse nella vasca e recuperò una spugna e una delle comuni saponette bianche del Distretto 13.
«Se solo sapessi che hai un po' di pudore, ti chiederei il permesso di spogliarti» scherzò, mentre iniziava a sbottonarle i bottoni sul retro della sua camicia da notte. «Ma tu sei una pazza svergognata che si leva gli abiti negli ascensori, quindi non penso faccia molta differenza. Dammi un braccio, dolcezza».
Johanna non rispose, ma non si ribellò quando lui iniziò a sfilarle la manica sinistra e parve perfino collaborare un po' quando arrivò a sfilargli la destra. Haymitch le fece passare la camicia da notte sotto le gambe, lasciandola nuda e sporca sul pavimento. Johanna alzò la testa solo quando lo sentì immergere la spugna nell'acqua e sembrava davvero più spaventata all'idea che lui volesse lavarla che non imbarazzata per il fatto che la potesse vedere senza niente addosso.
Haymitch le sollevò un piede e appoggiò la spugna sulla sua caviglia. Johanna cercò di dibattersi ancora una volta, e lui si bloccò, guardando l'acqua scivolare sulla sua pelle e dandole il tempo di abituarsi alla sensazione. Lei continuava a tenere gli occhi chiusi e le unghie piantate nei palmi, scuotendo la testa e muovendo impercettibilmente le labbra.
«Ci sono dei boschi, quassù» le raccontò tutto d'un tratto, mentre riprendeva a pulirle con lentezza una gamba. «Se farai la brava bambina e farai il bagnetto, chiederò alla Coin di farti fare un giro in superficie... sennò ci andrò per conto mio, farò un sacco pieno di pigne e te le tirerò tutte in testa fin quando non ti saranno ripartite le rotelle, dolcezza».
Johanna lo scrutò per un paio di interminabili secondi con espressione vaga e distante. Poi inclinò il capo e fece uno sbuffo divertito.
«Non ti farebbero mai portare qui dentro delle pigne. È tutto troppo... pulito».
«No, sei tu ad essere troppo sporca. Fidati».
«E tu sei ubriaco».
«Purtroppo no, quei bastardi mi vogliono disintossicare».
«Gli hai detto che la loro disintossicazione se la possono infilare nel culo?».
Haymitch le rivolse uno sguardo severo che riaprì per qualche istante il divario fra le loro età.
«Non ti procurerò altra morfamina, Johanna».
L'indignazione sulla sua faccia fu più che evidente.
«Che vuol dire? Che tu puoi sbronzarti fino a crepare nel tuo vomito mentre io sono costretta a...» s'interruppe di colpo, abbassando lo sguardo selvaggio e incrociando le braccia al petto. «Lascia perdere e va' al diavolo, Haymitch».
Non sapeva perfettamente quale parola Johanna avesse tenuto per sé, ma per Haymitch non era affatto difficile immaginare quale potesse essere. Nella coscienza l'unico vero motivo di dolore erano i ricordi che tutti e due si trascinavano dietro. Lui aveva imparato ad affogarli nel fondo di una bottiglia; Johanna non aveva avuto questa possibilità ed era stata costretta a fare tutto da sola, come aveva sempre fatto, chiudendosi in un mondo fatto di tormenti e dal quale se ne usciva solo per sputare insulti e accuse.
«Voglio venire anch'io a Capitol City».
La richiesta di Johanna sarebbe stata inaspettata per chiunque, ma non per Haymitch. Era debole, era provata, era praticamente tornata indietro prima dall'inferno e poi dalla morte da poche settimane e ora già parlava di far vorticare un'ascia su e giù per le strade di Capitol City. Haymitch glielo leggeva nello sguardo, acceso da un bagliore sanguinario e ferito. Reclamava la sua vendetta e ne aveva probabilmente più diritto di tutti i galoppini della Coin messi insieme.
«Non riuscirai ad arrivare a Snow» la informò con voce piatta, facendo scivolare la spugna sul suo ginocchio. «Troppe persone hanno già preteso la tua testa».
Lei parve capire immediatamente il sottinteso.
«Oh, la povera Katniss! La disgraziata, indispensabile, sciocca Ghiandaia Imitatrice!» sibilò sprezzante. «La triste martire di una rivoluzione fatta di porci e cretini. Cosa mai ha patito lei che non ho patito io? Cosa mai hanno fatto a lei che non hanno fatto a me?».
Aveva ragione e Haymitch lo sapeva perfettamente, ma sperò ugualmente di poterla rabbonire per il tempo ancora necessario a lavarla.
«È vero. Ma Capitol City ha raso al suolo il nostro Distretto e Katniss si è inflitta la colpa di quanto è accaduto. Credo che uccidere Snow sia il suo personale modo di espiarsi la coscienza».
Johanna fremette di stizza sotto il suo tocco.
«Odio quando la dipingete come un'eroina».
«Io non l'ho mai fatto. Io ho sempre pensato che fosse un'idiota».
«E allora per quale dannato motivo--?».
«Perché, dolcezza, è così che è andata» tagliò corto Haymitch, lievemente seccato. «Piantala di vedere congiure alla tua persona ovunque. Ci è toccata lei, fine della storia. Pensi forse che non avremmo preferito tutti che quel ruolo fosse andato a Peeta Mellark? Se fossi stata te, il Tributo che si è ribellato agli Hunger Games, avremmo preso te. Ma tu non l'hai fatto, eri troppo impegnata a sopravvivere con la tua ascia».
«E se fossi stato tu, Haymitch?».
«Se fossi stato io, sarebbe stato un gran cazzo di casino per tutti!».
Un attimo dopo, Johanna stava già ridendo con il viso coperto per metà dalla mano. Haymitch si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e iniziò a ridacchiare insieme a lei senza nemmeno interessarsi del motivo.
«Cretina» le disse.
«Sciocchino, mi farai arrossire».
Haymitch si era avvicinato a lei e aveva iniziato a passarle lentamente la spugna sulla pancia. Ricordava chiaramente le linee rigide e muscolose del suo addome e ancora stentava a credere che quelle costole sporgenti appartenessero davvero a Johanna. Era scoppiata in quella risata un po' folle tutta sua e lo aveva mandato al diavolo come aveva sempre fatto, ma continuava ancora a ricordarle uno spettro: le occhiaie profonde, i capelli rasati, il volto emaciato e il corpo ancora denutrito. Diceva sempre di avere fame e Haymitch non stentava a crederlo: l'aveva vista mangiare più di quanto si potesse immaginare da un affarino come lei, senza il bisogno di andare a vomitare tutto in bagno come quei damerini di Capitol City. Aveva un appetito insanabile, Johanna, e le modeste porzioni del Distretto 13 probabilmente non stavano sortendo l'effetto desiderato.
«Guardi sempre così tutte le degenti che incontri?» gli chiese divertita.
Lui fece un respiro profondo e le rivolse una seconda occhiata seria. In un'altra occasione, e lo sapevano entrambi, lui le avrebbe assicurato che guardava così solo le donne che trovava particolarmente intriganti, e forse lei non si aspettava una risposta differente.
«Mi dispiace, Johanna» mormorò sinceramente, e un'espressione di completo stupore le attraversò il volto. «Avevo promesso che non ti avrei lasciato nell'arena. E invece...».
«E invece ero l'ultima da salvare» completò per lui con un sorriso rassegnato. «La più inutile per la causa».
«Se tu non avessi aiutato Katniss, nessuno qui avrebbe potuto fare qualcosa».
«Ma il mio aiuto si è fermato lì, no? Una volta che la Ghiandaia Imitatrice era salva, il resto non aveva più importanza».
«Non è così. Avevamo solo poco tempo».
«E avete dovuto fare una scelta. Lo capisco, Haymitch, non--».
«Io avevo scelto te».
Johanna sollevò lo sguardo con aria incredula.
«Avevo davvero scelto te. Ho cercato in tutti i modi di convincere Plutarch a tirarti fuori subito dopo Katniss. Prima di Odair. Perfino prima di Beetee».
«Perché?» domandò con interesse, inclinando appena il capo.
«Perché quando uscisti dall'arena quindici anni fa e iniziasti il tuo cavolo di Tour della Vittoria, ti diedi un consiglio che avrei dovuto tenere per me».
Johanna lo guardò con profonda concentrazione: era evidente che stava cercando di scavare fra i suoi ricordi di ragazzina ed era altrettanto evidente che quel giorno si stava dipanando nella sua testa come un gomitolo. I silenziosi abitanti del Distretto 12, il dannato vestito verde nel quale il suo stilista l'aveva infilata, il treno e il giovane mentore con gli occhi rossi e il fiato che sapeva di roba stantia che le aveva strizzato l'occhio.
Fa' sempre ciò che ti dicono, gli aveva suggerito.
«Fa' sempre ciò che ti dicono» ripeté a voce bassa Johanna, aggrottando la fronte. Poi, d'un tratto, le sue labbra si inclinarono in un sorriso derisorio. «Tutto qui, Haymitch? Credi davvero che ti abbia dato ascolto?».
Haymitch chiuse gli occhi con muto dolore.
«Johanna...».
«Sul serio, Haymitch, credi ti abbia dato ascolto? Credi davvero che quando Snow mi ha fatto portare nelle sue stanze io ti abbia dato ascolto? Credi davvero che mi sia lasciata fare...» fece un gesto stizzito con la mano sinistra e distolse lo sguardo per celare lo sguardo umido. «Non l'ho fatto, Haymitch. Non ho fatto quello che mi diceva» aggiunse con un tremore nella voce. «Non l'ho mai fatto fin quando non ha fatto ammazzare mio padre... e da allora non c'è più stato nessuno nel Distretto 7 che potesse riportarmi a casa. Fine della storia, niente lieto fine, non deve fregare niente a nessuno».
«Johanna...».
«No, vaffanculo!» strepitò improvvisamente, scacciando la sua mano. «Vaffanculo, Haymitch, non hai il diritto di sentirti in colpa! Non hai il diritto di dirmi quanto ti senti dispiaciuto all'idea che Snow mi abbia...» si bloccò di colpo e gli lanciò un'occhiata penetrante. «Chi diavolo te l'ha detto?».
«Lo sapevo già» rispose. «Ma non sapevo che ci fossi in mezzo anche tu».
«Beh, grand'uomo, avresti potuto immaginarlo».
«Non l'ho mai voluto pensare. Non ho mai sopportato nemmeno l'idea che avessero fatto qualcosa anche a te».
Johanna si morse appena il labbro inferiore e non si mosse per qualche istante. Poi allungò di nuovo il braccio verso di lui e lo invitò silenziosamente a continuare. L'espressione scura di Haymitch si illuminò appena.
«Non è che ci stai prendendo gusto?».
Il sorriso genuino che gli regalò sembrava fuori posto sulle labbra di Johanna. Si avvicinò a lui e gli si rannicchiò davanti, sprofondando il viso nella sua camicia e afferrandosi appena al colletto. Per un attimo sembrò che Haymitch non avesse la più pallida idea di cosa fare.
«Stai fermo, idiota» gli disse. «Voglio starmene qui e basta».
Lui soffiò divertito e si azzardò a passarle un braccio attorno alle spalle nude e una mano sulla testa rasata, carezzandola in maniera impercettibile. Dopo qualche minuto, Johanna alzò gli occhi, incapace di camuffare oltre l'espressione fragile del suo viso.
«Sei il primo uomo che mi abbraccia» sussurrò con un sogghigno. «Sai, intendo... beh, sul serio».
«Vuol dire che sono probabilmente più fortunato di quanto pensassi quando ho iniziato a spogliarti, dolcezza».
Haymitch non aveva capito esattamente cosa avesse biascicato Johanna nella sua camicia, ma era quasi certo che lo avesse appena definito un pezzo di idiota.

   
 
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