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Autore: Shanimalrules    05/07/2012    1 recensioni
Questa storia non l'ho solo scritta, la vivo ogni anno.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, questa è la prima storia originale che scrivo.
Fin'ora ho scritto solo fan fictions e mi sono voluta cimentare in quest'avventura. 

Tuttavia questa storia non è completamente inventata, una parte di essa è personale. 
Spero vi piaccia, gradirei una recensione.
Bene ho già detto abbastanza, buona lettura a tutti!



Summer Hell




Agosto 2005.

Serata piovosa.  Oh altroché se era un bel temporale.
E  Valentina,  Alessia  e il nonno di quest’ultima avevano proprio un bel problema. Erano usciti a fare una passeggiata dopo cena, come di consueto.
Le due bambine si conoscevano da pochi giorni, un po’ per noia, un po’ per curiosità…ma si erano piaciute da subito.
Dopotutto a quell’età non ci vuole tanto per fare amicizia. Basta un ‘ciao bimba, come ti chiami?’ ed è fatta.
Comunque dopo un bel pomeriggio passato all’area pic-nic vicino l’albergo a raccogliere e mangiare i pinoli e un paio di mattinate trascorse a giocare a ‘mamma e figlia’, le due bambine erano diventate amiche.
Amiche per pochi giorni, certo, perché dopo quel breve periodo passato in quel paesino immerso nell’Appennino dove tutto era più verde e l’aria sembrava più pulita, le due bambine di 10 e 8 anni si sarebbero separate e ognuna sarebbe tornata nella proprio città natale a vivere la propria vita.
Ad ogni modo, in quel momento serviva un bell’ombrello. Anzi, un ombrello grande per il nonno e due ombrellini, per Valentina e Alessia.
I tre, fradici ormai sotto l’acqua, fecero la cosa più logica possibile: si ripararono. Trovarono riparo sotto la pensilina di un negozio, insieme ad altre persone.
Rimasero ad aspettare un quarto d’ora minimo, perché la pioggia proprio non voleva cessare. A loro piaceva passeggiare sotto la pioggia, lo ripetevano in continuazione ma il nonno non voleva e così, loro malgrado,  furono costrette a seguirlo.
Si guardavano intorno impazienti, perché non volevano perdere neanche un nano secondo a far niente, consapevoli del fatto che avevano poco tempo per stare insieme. E cosa fa la gente in situazioni del genere? Guarda l’altra gente. O meglio, fa l’autopsia ad altra gente. E Valentina e Alessia fecero esattamente questo. Valentina notò la stravaganza dei vestiti di un uomo, il naso che “partiva direttamente dalla fronte” di un altro; Alessia notò lo strano accento di un'altra coppia di uomini.
Osservavano gente che passava, che si riparava sotto la pensilina, che impaziente guardava l’orologio e poi ripartiva correndo di nuovo sotto il temporale.
 Niente di fin troppo esilarante per carità, ma si sa, i bambini si accontentano di poco.
Alla fine rimasero solo loro tre e due ragazzi che, dopo essere stati tutto il tempo a ridere, scherzare e maledire il tempo che gli stava rovinando la serata, andarono via.
Osservarono con cura anche loro. Quello più basso, ma non basso, aveva i capelli a spina con ciuffi biondi sulle punte, gli occhi verdi e un brillantino al naso. L’altro, era alto, davvero alto (almeno agli occhi delle due bambine, alte circa 1.50), era moro, tutto moro: occhi, capelli, maglietta e jeans. Ed era bello, bello davvero.
Valentina e Alessia si guardarono. -Il ragazzo alto!- Esclamarono, con un sorriso della serie ‘ho già capito tutto dalla vita’.

 
 
 
Agosto 2012.

Questa cosa andava avanti già da troppo tempo. E Valentina non sapeva come risolvere la situazione.
La situazione che in realtà non esisteva.
La situazione era tutta e solo nella sua testa.
La sua testa che immaginava sempre quello che era impossibile;
 la sua testa che non voleva attenersi alla realtà;
 La sua testa che non poteva e voleva togliersi la sua immagine.
L’immagine di un bel ragazzo moro, con gli occhi mori.
L’immagine di un bel ragazzo alto con le spalle più sexi che avesse visto.
L’immagine di un bel ragazzo con la camminata lenta e le immancabili mani nelle tasche dei jeans.
Lo guardava seduta su una panchina insieme ai suoi amici che in quel momento stavano sparando un mucchio di cazzate e lei rideva di cuore. Perché quella vacanza l’aspettava tutto l’anno. Perché era cresciuta in quel posto con i suoi amici delle diverse parti d’Italia.
Alessia, beh era praticamente la sua migliore amica dell’estate. D’inverno non si sentivano più di tanto, come se volessero dividere le loro vite per poi farle combaciare di nuovo nelle due settimane di vacanza. A volte a Valentina dava fastidio, ma lei sapeva perché.
 Poi c’era Andrea che era il fratello di Alessia, quello a cui piaceva festeggiare sempre e trovava sempre nuove idee su come passare il tempo in maniera divertente in quel paesino dove non c’era nulla per gli adolescenti. Infine c’era Alessandro, quello a cui si sentiva più legata. Lo reputava più come un fratello, d’altronde la loro ‘storia’ era un pochino strana e particolare; il fatto di essere nati entrambi lo stesso giorno e lo stesso anno li aveva un po’ uniti, come due fratelli.
-Ohi arriva!- le aveva detto Alessia all’orecchio e Valentina aveva annuito soltanto, perché era già troppo impegnata a guardarlo.
Si sentiva una stupida perché dovevano essere i maschi a fissare e spogliare le ragazze con lo sguardo non il contrario.
Da piccola l’unica parte implicata erano gli occhi. Lo guardava, lo trovava bello e basta, finiva tutto lì.
Ma a diciassette anni e mezzo avrebbe mentito a se stessa se avesse anche solo pensato che era bello. No, perché lei e soltanto lei sapeva cosa le si scatenava dentro  quando anche solo lo vedeva da lontano o lo pensava nei noiosi pomeriggi di studio durante l’inverno, mentre attendeva ardentemente le due settimane di agosto per rivederlo.
A diciassette anni e mezzo erano tutti gli organi del suo corpo ad essere ‘tirati in ballo’: c’era il cervello con il quale immaginava un futuro accanto a lui; a lui che le parlava, che la stringeva, che la faceva ridere. Chissà se avevano lo stesso carattere o gli stessi gusti musicali o se la materia in cui andavano peggio a scuola era matematica, piuttosto che la chimica.
Poi c’erano gli occhi con i quali ammirava il suo fisico perfetto e la sua bellezza. Ma la sua, di bellezza, non era una di quelle che stanca, no; era una bellezza che ti toglieva il fiato ogni volta. Non riusciva mai ad abituarsi a quegli occhi neri e a quello sguardo così profondo e penetrante, ma nel contempo sempre impassibile. Non riusciva mai ad abituarsi a quella t-shirt bianca che metteva in evidenza il suo torace muscoloso, ma non troppo, e quelle spalle così larghe e possenti paragonabili a quelle di un nuotatore.
Poi c’era il cuore che le batteva fortissimo ogni volta, come se da un momento all’altro dovesse schizzare fuori dalla gabbia toracica.
E ancora, lo stomaco invaso dalle cosiddette ‘farfalle’ che svolazzavano liberamente dentro di lei come se fossero su una immensa distesa di prato e fiori.
Eh beh, a diciassette anni e mezzo doveva metterci dentro anche il fattore ‘attrazione’. Oh certo, perché solo Valentina sapeva com’era terribile e frustrante reprimere quell’impulso quasi irrefrenabile di corrergli incontro baciarlo con foga e spogliarlo. E invece no, era costretta a tenere il culo attaccato a quella maledetta panchina.
Senza contare, infine, le ghiandole che le procuravano la sudorazione immediata alle mani e il rossore sulle gote.

Gabriele, così si chiamava. Era riuscita a scoprire il suo nome grazie a Elena, cameriera dell’hotel. Ed era stata un gran bella botta di culo perchè Elena le aveva raccontato che lei e Gabriele avevano frequentato insieme la scuola elementare e media e per un po’ avevano iniziato anche a uscire insieme, ma non aveva funzionato.
Quindi considerando che Elena aveva ventitré anni ed erano andati nella stessa classe, anche Gabriele aveva ventitré anni e facendo un po’ i conti, tra loro c’erano su per giù ben sei anni di differenza. Non erano pochi e nemmeno tanti, ma lei sapeva di essere una bambina per lui.
Tuttavia in tutta questa storia, meglio chiamata come casino o semplicemente fantasia, c’era una cosa che la faceva davvero, ma davvero incazzare. Lei, in qualche modo, non sapeva né come né perché, era convinta che tra loro due ci fosse qualcosa. Qualcosa, seppur di molto acerbo, c’era.
Lo capiva dai loro sguardi. Eccome se c’erano degli sguardi. Si guardavano proprio dritti negli occhi, come a sfidarsi per vedere chi dei due resisteva di più, mentre Valentina sentiva il suo cuore battere sempre di più, le mani sudare sempre di più e, anche se non poteva vederlo, sapeva che il suo volto in quel momento era di un bel bordeaux.
Gabriele, al contrario, rimaneva impassibile…era come una macchina programmata. Ma lei si accorgeva di quanto lui si irrigidisse e provasse imbarazzo. O forse no ed era tutta una sua immaginazione.
La seconda cosa che la faceva incazzare, infatti, era proprio il suo atteggiamento. Sì, perché lei nel profondo sapeva che si stava illudendo, che si stava comportando solo come una stupida ragazzina in preda ad una tempesta ormonale
E così lui, per l’ennesima volta, le passò davanti senza che succedesse niente e lei sospirò ancora una volta rassegnata.
Guardare ma non (poter)toccare, era ormai il suo motto.
Lo guardò allontanarsi; quella mattina indossava una camicia jeans a maniche corte, dei pantaloni beige e scarpe da ginnastica nere. Sportivo, semplice eppure divino come sempre.
-Ma tu guarda che spalle…- aveva commentato Alessia e Valentina rise ma non replicò.
La prima volta c’era anche Alessia insieme a lei, la ricordavano spesso insieme quella serata di pioggia. Ad Alessia però era in passata la cotta per Gabriele perché il ragazzo ce l’aveva, a dire il vero ne aveva una fila che facevano a pugni per lei. Si limitava solo a fare apprezzamenti.
La ‘’sfigata di turno’’ era Valentina, che scosse la testa per riprendersi da tutte quelle emozioni appena provate e per scacciare tutti i pensieri che le balenavano in testa.
Abitavano lontano, se lo doveva togliere dalla testa una volta per tutte.
Avevano sei anni di differenza, se lo doveva togliere dalla testa una volta per tutte.
Ai suoi occhi (ne era sicura) appariva una bambina, se lo doveva togliere una volta per tutte.
Tutte le amiche che conoscevano la situazione, compresa Alessia, le dicevano di farsi avanti, di provarci perché così non avrebbe risolto niente…e se fosse andata male, beh, almeno poteva avere la coscienza pulita di averci provato, perché per l’amore bisogna lottare.
Ma cosa ne sapeva lei dell’amore? La realtà era molto chiara: con i ragazzi non ci sapeva fare. Non aveva mai avuto un ragazzo perché Valentina non era quel tipo di ragazza che faceva impazzire i ragazzi.
Tuttavia, quella sottospecie di storia andava avanti da troppo avanti. Si era persino scocciata, ma davvero non c’era un modo per far cambiare le cose.
Si sentiva di definirlo un amore platonico, paragonabile a quello di una fan per il suo idolo.
E’ vero, non traeva molto da quel tipo di situazione, ma se non poteva avere ciò che voleva si faceva bastare quel turbine di emozioni indescrivibili, consapevole che (forse) sarebbero arrivati tempi migliori. Magari un giorno lui si sarebbe accorto di lei; magari un giorno lui si sarebbe fatto coraggio e sarebbe andato da lei o viceversa; o magari a lei sarebbe passato, un giorno. Un po’ improbabile come ipotesi, ma mai dire mai.
E così, in attesa di qualche cambiamento, lei sarebbe rimasta sempre lì sulla stessa panchina, ogni estate ad aspettare lui









P.S: questa storia la dedico a Giorgia, lei sa perchè. Ti voglio bene Giò!
   
 
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