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Autore: Kanda_90    05/07/2012    2 recensioni
Il mondo di D.Gray-man...la sua storia...i suoi personaggi...
Ma come si sarebbero svolti gli avvenimenti, come sarebbero cambiati gli equilibri tra i membri dell'Ordine, se fin dall'inizio ci fosse stata un'esorcista in più?
Tutto ha inizio in una calda e limpida mattina, alla alba. Una ragazza e il suo cavallo nero si concedono una lunga cavalcata...
Sostano sulle rive di un piccolo specchio d'acqua....
Lei non ricorda il suo passato...non pensa al suo futuro...ma sta per fare un incontro che le cambierà drasticamente la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto, prima di introdurre il capitolo, grazie a tutti coloro che mi seguono, anche senza recensire.
Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!! =D

Tornando al capitolo, inizio dicendo che originariamente doveva essere un tutto unico col prossimo, ma arrivata a metà avevo già scritto 7/8 pagine ed ho deciso di dividerli. in questo modo resta tutto più equilibrato, no?
Ammetto che questo capitolo non è avvincente come i precedenti, ma purtroppo esistono anche i capitoli di passaggio, e questo è uno di quelli ^^ Kris entra all'Ordine, si scontra con le routine iniziali e fa la conoscenza di qualche membro.
Parlo sempre troppo, quindi.....Buona lettura!!! (e recensione, se volete XD)

Hikari

5th Night: Nuovi incontri

Credevo sarei morta prima di giungere in cima. Quel pinnacolo roccioso era pazzesco a vedersi, ma ancora di più da scalare. Quando, finalmente, mi accorsi di essere arrivata alla fine, mi sollevai sui gomiti, portando la testa oltre la soglia del precipizio. Di fronte a me, un sottile sentiero conduceva verso la torre. Più mi avvicinavo, più quella costruzione mi pareva imponente e minacciosa...come avrei fatto ad abituarmi a quel luogo, tanto da poterlo considerare, un giorno, casa mia, ancora non riuscivo ad immaginarlo.
Mi issai oltre il bordo, appoggiandomi alle ginocchia per riprendere fiato. Durante la salita mi ero abrasa parecchio i palmi delle mani, ma le piccole escoriazioni stavano già scomparendo. Richiusi i palmi, sottraendoli alla mia vista. Non avrei mai smesso di detestare quella parte di me stessa.
Alzando gli occhi verso la torre, ebbi l’impressione di vedere dei bagliori, alla sua base, ma probabilmente era la stanchezza a far danzare quelle luci davanti alle mie pupille. Intorno a me svolazzavano miriadi golem, piccoli esserini romboidali neri, con ali da pipistrello. Sapevo cosa fossero, dato che ne avevo visto utilizzare uno identico dal Generale Cloud, durante il viaggio. Il loro funzionamento e scopo, tuttavia, mi erano sconosciuti. L’Esorcista che mi aveva guidata lì, se n’era servita per telefonare, ma immaginai dovessero avere molte altre capacità. In un certo senso, mi sentivo osservata...
Decisi di prendermi qualche minuto, considerato che oramai ero giunta a destinazione. Avevo bisogno di riordinare le idee in tutta calma, dato che avevo la netta impressione che, una volta varcata quella soglia, non ne avrei avuto più il tempo. Mi sedetti per terra, col viso tra le mani, creando quel poco di oscurità che i palmi potevano darmi...non volevo vedere, né sentire nulla...chiusa per un attimo in quella mia piccola bolla di pace, dicevo addio alla mia vita. Ciò che avrei fatto, i luoghi che avrei visitato, le persone che avrei incontrato, non sarebbero più dipese da me...era una sensazione di prigionia e liberazione. Non avrei più potuto decidere ogni singolo istante della mia esistenza, ma non mi sarei nemmeno più dovuta accollare l’interezza delle decisioni che la riguardavano...perdersi in simili pensieri contrastanti non mi aiutò quanto sperato. Ero ansiosa, naturalmente, ma non nel senso positivo della sensazione. Non era paura ciò che stavo provando, piuttosto il sentore di non avere il controllo di ciò che mi attendeva...il mistero dell’ignoto. Il mio cuore batteva all’impazzata e ci misi qualche attimo per ricondurlo al suo passo normale, anche se forse impiegai più tempo. Quando uscii dal mio misero rifugio oscuro, la luna piena non era più nel brandello di cielo ove l’avevo lasciata. Anche le ginocchia, addormentate ed insensibili, me ne diedero la certezza.
Mi alzai, recuperando le mie capacità motorie, e mi avviai per il sentiero di fronte a me, un sottile lembo di terra sospeso sul vuoto.
“Che razza di fantasia costruire un edificio in un posto simile...”
Sicuramente era parecchio difendibile, nonché difficilmente localizzabile, dato anche il tempo che la sottoscritta stessa aveva impiegato per raggiungerlo, ma restava comunque un delirio riuscire ad arrivarci. Sperai di non dover ripetere la scalata precedente ogni volta che vi fossi dovuta ritornare.
Dinanzi a me si avvicinava l’ingresso. Dire che fosse maestoso, sarebbe stato un eufemismo: era immenso! Enormi pilastri reggevano quelle che a prima vista identificai come grandi porte metalliche, tra di esse uno spazio ospitava un grande volto scolpito ed inespressivo, che mi mise una certa soggezione. Di certo, un’entrata del genere non era un invito a varcare la soglia...per un attimo ebbi quasi l’idea di girare i tacchi ed eclissarmi da quel luogo assurdo, ma la determinazione ebbe la meglio. Ormai ero lì e sarei andata fino in fondo.
Ero li da qualche minuto, guardandomi intorno, ma, eccezion fatta per quegli strani oggetti neri e svolazzanti, non c’era nessuno venuto ad accogliermi. Eppure ero certa che l’Esorcista avesse avvisato le alte sfere dell’arrivo della sottoscritta. Ma allora perché ero ancora fuori?
Avrei preso in mano, anzi, in voce, la situazione.
Mi schiarii la gola.
“Salve. C’è nessuno?”
Silenzio. Quel luogo pareva davvero abbandonato.
Era già abbastanza complesso sopportare quello che mi stava accadendo, ma stare fuori dall’imponenza inquietante che mi sovrastava, non aiutava di certo i miei nervi, già messi a dura prova! Cominciavo leggermente a spazientirmi.
All’improvviso, da uno dei golem che mi vagavano attorno, provenne una voce. Dunque fungevano anche da trasmittenti? Al momento la cosa non era tra le mie priorità.
“Identificarsi prego.”
“Kris Hikari. Sono stata mandata dal Generale Nyne...dovrebbe aver avvisato circa il mio arrivo...” Ero leggermente titubante...non avevo idea di cosa fare, men che meno dire.
Attesi per un attimo che parve interminabile che il golem, o chi per lui, mi rispondesse. Il nervosismo era alle stelle. Mi trovavo in uno di quei classici momenti di liminalità...né fuori, né dentro...non avevo ancora abbandonato la mia precedente vita, ma nemmeno avevo abbracciato quella nuova e sconosciuta.
Finalmente, una risposta.
“Si, ci risulta. Fatti ispezionare dal custode e poi dovresti poter entrare.”
Dovresti?
Il che significava che, dopo tutto quello che mi avevano fatto passare, avrebbero anche potuto rifiutare di accogliermi?! Assurdo! Inoltre, mi trovai a pensare, io oramai conoscevo il luogo in cui si trovava l’Ordine, quindi...mi avrebbero davvero lasciata andare senza conseguenze? Questa possibilità mi inquietava.
Mi guardai intorno, cercando il custode di cui la voce parlava, ma non vidi anima viva...
Poi, improvvisamente, l’enorme viso scolpito nell’ingresso, si avvicino in un battito di ciglia, tanto che mi prese un colpo!
“Ma che...!”
Una forte luce, proveniente dagli occhi di quella creatura, mi investì, abbagliandomi. Non vedevo altro che quei due grandi occhi, dalle pupille indagatrici.
“Costei può entrare.” Sentenziò il vocione del guardiano, ritraendosi.
Le due grandi saracinesche a lato del volto si innalzarono, rivelando un ampio spazio al di là.
“Sei autorizzata ad accedere al Quartier Generale dell’Ordine Oscuro, Kris Hikari.”
La voce dal golem mi invitava a fare il mio ingresso in quel mondo...non avrei potuto tornare indietro, una volta varcata quella soglia, ma sentivo, ormai, di non avere più scelta. Io avevo deciso di seguire l’Esorcista, io mi ero spontaneamente presentata lì. Era inutile tergiversare di fronte ad una scelta già inconsciamente decisa.
Con passo deciso, ma misurato, varcai l’entrata, che si richiuse con un boato, inghiottendomi, subito dopo il mio passaggio.
Vista da sotto, la torre sembrava ancora più imponente. La pietra nera rifletteva i bianchi raggi lunari, colorandosi di tenui sfumature, che tuttavia non riuscivano del tutto a smorzare la spigolosità dei suoi alti contrafforti, terminanti in affusolate guglie, in cima. Scorgevo numerosi ordini di arcate e balconate, miriadi di finestre, alcune decorate, altre illuminate, altre ancora crepate dall’usura del tempo. Un gigante addormentato, che attendeva solo che la sua prossima preda si introducesse spontaneamente tra le sue fauci.
E quella preda ero io.
Varcai l’ampia arcata voltata a botte, che immetteva nella torre, e le sue doppie saracinesche in stile medievale...vedendole, pensai ai denti aguzzi di una belva carnivora. La mia autosuggestione stava davvero dando fondo alle sue possibilità, nel rendermi la vita più difficile.
Ero dentro.
L’atrio era davvero enorme. Grandi volte a crociera, sorrette da pilastri, reggevano dei lavorati candelieri metallici, che pendevano dalle loro chiavi di volta. I muri erano spogli, eccezion fatta per poche lucerne e qualche sporadico dipinto, dal soggetto a volte ambiguo, a volte inquietante. Sull’attenti, lungo le pareti, quelle che identificai come guardie svizzere, mi osservavano con attenzione. Forse troppa.
Scesi i pochi scalini dell’ingresso, portandomi verso il cento della sala. Dal portone all’altro capo del salone, vidi comparire un uomo sulla trentina, con folti capelli castani, dalla pettinatura poco curata, e un camice bianco. Si avvicinò e mi porse la mano presentandosi.
“Sono Reever, della Sezione Scientifica del Quartier Generale. Sei Hikari, giusto?”
Ricambiai con decisione la stretta di mano dell’uomo che, notai, ora che era più vicino, aveva due occhiaie paurose. Doveva davvero essere un gran lavoratore, immaginai.
“Si.”
Non fui in grado di articolare nient’altro. La loquacità tendeva sempre a venirmi meno quando non mi sentivo a mio agio. Il che non era raro...
“Benvenuta all’Ordine. Seguimi, ti porto dal Supervisore.”
Mi accodai all’uomo. Come benvenuto, mi parve piuttosto freddo...non mi diede adito a credere che mi sarei potuta trovar bene. Sperai che l’atmosfera glaciale che mi stava avvolgendo, non mi avrebbe accompagnata per il resto dei miei giorni, lì dentro. Osservando meglio l’uomo, però, pensai che fosse la stanchezza ad avergli frenato la lingua. Più che pensarlo, lo speravo. Non ero il tipo di ragazza che sentiva il morboso bisogno di circondarsi di amici cinguettanti, ma nemmeno un’asociale.
Cercai, perlomeno, di informarmi su ciò che mi aspettava.
“Supervisore?”
Fu una mia impressione o l’uomo assunse un espressione...nauseata? La cosa non prometteva nulla di buono.
“E’ il capo della Sezione Scientifica, anche se, in realtà , è molto di più. È lui che decide le missioni e organizza le mansioni di Finder ed Esorcisti. In un certo senso, è la mente e il punto focale di questo posto e dell’Ordine, in generale...vecchio pazzo...”
Di nuovo quell’espressione nauseata. Quell’uomo, da come ne parlava, non pareva avere una gran simpatia per il suo capo, anche se avevo avvertito comunque una certa stima nelle sue parole. Doveva essere un soggetto difficile da trattare.
Fantastico...
Improvvisamente, mi ricordai di avere ancora con me l’Innocence. Come avevo fatto a dimenticarmene?! Ero già così abituata alla sua presenza, da sentirla come una parte di me stessa? La cosa fece crescere in me una sottile ma decisa punta di irritazione.
Aprii il primo bottone della mia accollata camicia orientale, estraendo dalla tasca interna il cubetto, luminescente ed attraente tra le mie mani.
“Questa” chiesi all’uomo, porgendogli il cristallo “devo darla a lei?”
Sentivo il bisogno di liberarmene, ma al tempo stesso ero sicura di non poterne più fare a meno. Forse era per questo motivo che la mia mano restava sospesa tra me e l’uomo...incapace di decidere se avanzare o tornare sui propri passi.
Reever mi guardò, leggermente sorpreso. Probabilmente non era il tipo di domanda che si sarebbe aspettato da una Compatibile.
“No...”
Rimasi lì, dietro di lui, camminando nell’apatia di chi non è cosciente di sé stesso, di cosa c’è intorno...camminavo e guardavo l’Innocence, come a sperare che fosse lei a darmi le risposte di cui avevo bisogno.
Persi il conto della quantità di scale e corridoi che attraversai, ma, alla fine, giunsi a quella che, immaginai, fosse la Scientifica. Pannelli luminosi, superfici lucide in cui quasi si poteva specchiarsi, schermi che elaboravano migliaia di informazioni, uomini in camice bianco che lavoravano alacremente...non ero più in una cadente torre gotica del diciannovesimo secolo, ero avvolta da un’atmosfera fantascientifica, catapultata secoli avanti.
“Reever!”
Una voce argentina e allegra ruppe l’imbarazzante silenzio in cui io ed il mio accompagnatore ci eravamo venuti a trovare, ed una ragazza, di certo più giovane della sottoscritta, ci venne incontro. Sussultai, non appena vidi la croce argentea brillare sulla sua corta divisa nera. L’angoscia che l’ultimo “sogno” mi aveva lasciato, alla vista di quello stemma, ancora non accennava a scomparire.
I suoi lunghi capelli neri e lisci, raccolti in due folti codini, ondeggiavano, tingendosi di delicati riflessi verde scuro, quando la forte luce di quel luogo li intercettava. Aveva lineamenti delicati ed ancora, in parte, infantili, anche se nel corpo già si vedeva la donna slanciata e longilinea che tentava di sbocciare. Un sorriso sincero e privo di malizia incorniciava due occhi tendenti al verde bosco, ma con innumerevoli sfumature. Dall’aspetto, pensai fosse orientale, forse proprio una mia connazionale.
“Beh, ti lascio nelle sue mani, devo tornare al lavoro.” Mi disse l’uomo, volgendosi verso di me. “Benvenuta all’Ordine.”
Il lieve sorriso con cui mi lasciò, mi riscaldò, anche se minimamente. In fondo, non sembrava poi così terribile quel luogo. Tra tutte le persona che avevo visto di sfuggita, non ne avevo ancora scorta una che potesse mettermi a disagio, anche solo con lo sguardo. Tutti parevano immersi nel loro lavoro, che era la loro vita...ma non c’era infelicità. Certo, ancora non avevo incontrato nessun Esorcista e ben sapevo, da quanto il Generale mi aveva accennato, che la maggioranza della categoria, me compresa, non aveva scelto consapevolmente quella strada. Era l’Innocence a decidere per noi...e la possibilità di scelta non era contemplata.
Guardai la giovane di fronte a me, che con un ampio sorriso mi tese la mano, la quale mi affrettai a stringere, cercando di non mostrare il mio nervosismo.
“Benvenuta all’Ordine, Kris...posso chiamarti per nome?”
Certo non era una domanda che mi aspettassi.
“...Si, non c’è problema.” Istintivamente, mi venne spontaneo ricambiare il sorriso...il primo, da settimane...
“Io sono Linalee, l’assistente del Supervisore. Vieni, ti porto da lui.”
Senza ulteriore indugio, mi affiancai alla giovane e la seguii. Quella ragazza era un toccasana, una “medicina” per la mia anima tormentata. Dal momento in cui mi aveva sorriso, un senso di calore mi aveva riempita, quasi una sensazione di...casa. senza difficoltà, cominciammo a chiacchierare.
“Sei un’Esorcista?” le chiesi.
“Si, da parecchio ormai.”
Il sorriso che accompagno la risposta mancava di gioia. Come me, doveva aver sofferto molto quella decisione.
“Credo che non mi abituerò mai a questo...” riflettei ad alta voce, fissando il cristallo, ancora tra le mie mani.
“All’inizio odiavo questo posto.” Cercò di confortarmi, guardandomi con comprensione. “Tentai di scappare in ogni modo, ero profondamente infelice...Ma da quando mio fratello è venuto qui, come Supervisore, ho cominciato a considerare questo luogo come una famiglia. Sai, molti Esorcisti chiamano il Quartier generale “home”.”
Home...sarei mai riuscita a considerare davvero come una casa quel luogo? Al momento, era quanto di più impossibile ero in grado di pensare. Casa mia era lontana, tropo lontana, distrutta e ridotta ad un misero cumulo di macerie. Non avrei mai avuto altra casa oltre a quella, men che meno questo posto. Abbassai gli occhi di nuovo sull’Innocence, detestandola.
Ero molto colpita dal carattere di quella ragazza. Ci conoscevamo solo da qualche attimo, eppure non si era sentita per nulla in imbarazzo nell’aprirsi totalmente, confessando i suoi pensieri e le sue vecchie paure. Mi dispiaceva, ma io non avrei mai agito allo stesso modo. La mia esistenza serbava troppi segreti, perché potessi estrarli liberamente di fronte ad una persona che conoscevo da pochi attimi. In futuro, forse, se avessi approfondito la conoscenza, mi sarei sentita più tranquilla nel rivelare le parti più nascoste di me stessa...ma fino ad allora sarei stata il più possibile impenetrabile, una fortezza. Troppe volte mi ero fidata e confessata, per poi risultare tradita, o peggio, esclusa, proprio a causa di ciò che avevo rivelato.
“Eccoci.”
Eravamo giunte di fronte ad una porta, che Linalee mi fece cenno di aprire.
“Mentre incontri mio fratello andrò a preparare un po’ di caffè per la Scientifica. Non so come mai, questa volta, non mi vuole con lui. Di solito lo assisto con tutti i nuovo Esorcisti...” ammise, pensierosa.
Io, invece, immaginai con chiarezza e senza ombra di dubbio il motivo. “Quella cosa”, a quanto pareva, voleva essere tenuta segreta. Per la sottoscritta si rivelava solamente un vantaggio, sarebbe stato più agevole mantenere il riserbo sulle mie tanto odiate particolarità, se anche l’Ordine la pensava allo stesso modo.
La ragazza si riscosse dalle sue riflessioni.
“Passo a prenderti più tardi, così ti mostrerò la tua stanza.”
Detto ciò trotterellò via, salutandomi con un gesto della mano, che ricambiai. Dove trovasse tutta quell’energia, lo ignoravo. Presi un bel respiro e girai la maniglia.

Un incubo.
Questo era quanto avevo appena passato.
La nottata peggiore della mia esistenza, e ancora non ero andata a dormire...
Komui, il Supervisore, era un pazzo scriteriato, non c’era altro modo per poterlo definire. Catapultata senza preavviso tra le braccia di una creatura bianca e luminescente, piena di propaggini che si erano insinuate a scansionare la mia intera essenza. Pazzesco!
Se la stanchezza e il mio self-control non mi avessero trattenuta, avrei sicuramente spaccato la faccia a quel dannato!
Come se non bastasse, la strada che Linalee mi aveva mostrato, per giungere alla mia camera, era quasi più intricata di quella che avevo percorso per raggiungere l’Ordine. Corridoi, scale, passaggi male illuminati...quel luogo era un vero labirinto ed, inoltre, le porte delle stanze, avevo purtroppo scoperto, erano tutte completamente identiche! Ero certa che, almeno una volta nella mia permanenza, avrei commesso l’errore di infilarmi nella stanza di qualcun altro. Sperai che, quando mai fosse successo, e sperai che mai fosse potuto accadere, l’interessato non fosse presente e, nel caso, non fosse un uomo.
Espirai, lasciando che la tensione della giornata evaporasse insieme al mio respiro.
Seduta sul mio letto, appoggiai la testa contro il muro, guardando di sott’in su il quadro che vi era appeso. La sorte beffarda aveva voluto che vi campeggiasse un nero destriero rampante.
“Seishin...”
Una lacrima superstite disegnò una linea di dolore sul mio volto. Non la cancellai, lasciando che si imprimesse con forza, mentre rivolgevo il capo alla finestra, da cui potevo vedere il cielo terso e trapunto di stelle, vagando in pensieri più miti.
Komui non aveva fatto altro che confermare quanto già sapessi per esperienza, ovvero le mie capacità fisiche fuori dal comune, aggiungendo anche, come precedentemente anche Nyne aveva fatto, che non ero l’unica. Sull’identità dell’individuo, tuttavia, era rimasto ben muto, dicendomi, con un’espressione raggelata che non compresi, ma che non aveva promesso nulla di buono, che avrei avuto occasione di fare presto la sua conoscenza.
Era un bambino che giocava agli indovinelli. Quanto mi irritava.
Sospirai.
Ce n’era di gente bizzarra in quel posto.
Pensai subito ad Hebraska, la creatura che tanto mi aveva spaventata e che, alla fine, si era rivelata gentile e “materna”. Avevo appreso come anche lei fosse un’Esorcista, malgrado ciò paresse assurdo. Era la custode dell’Innocence ancora priva di un compatibile...parecchi cubi giacevano in lei, desiderosi ed impazienti di rovinare l’esistenza a qualcuno. Quello in questione che apparteneva alla sottoscritta, comunque, ora era tra le mani della scientifica, per essere trasformata in arma, secondo quanto la sua natura suggeriva. Da ciò che mi aveva accennato Komui, mi sarei quasi certamente trovata tra le mani un’arma bianca, il che mi confortava. Maneggiare spade, era l’unica cosa che avevo imparato nella mia inutile esistenza, oltre a cavalcare, forgiare armi e tenermi a distanza dalle persone. Me ne sarei preoccupata il giorno dopo, comunque. Me l’avrebbero consegnata assieme all’uniforme, confezionata su misura. La quantità di domande che un piccoletto con gli occhiali di nome Johnny, mi aveva rivolto circa la divisa, mi aveva spaesata, perciò mi ero limitata a lasciargli carta bianca. L’importante era che mi proteggesse e che mi trovassi a mio agio indossandola, no? Perdere tempo con inutili fronzoli non era necessario.
Morfeo stava cominciando a cullarmi tra le sue braccia, così levai la camicia, lanciandola scompostamente sulla testata inferiore del morbido letto. Non ebbi nemmeno la forza di pettinare i miei lunghi capelli, nonostante prevedessi l’esercito di nodi che avrei dovuto districare la mattina dopo. Mi ficcai sotto le coperte, rannicchiandomi ad abbracciare il cuscino, mentre le lacrime ancora inespresse mi rigavano gli zigomi, trascinandomi nell’incoscienza beata del sonno.
   
 
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