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Autore: LadyDam    06/07/2012    4 recensioni
Sherlock gli mancava terribilmente.
Da quel giorno di quasi tre anni prima John non si era mai ripreso completamente.
Mostrava sempre una facciata tranquilla, ordinaria, quasi rassegnata, mentre in realtà era tutto l'opposto.
Non aveva più fatto una notte decente di sonno, mangiava solo quando se lo ricordava e aveva smesso di andare dalla terapista da più di un anno.
Invece di andare agli appuntamenti della dottoressa, andava a trovare Sherlock: tutti i giorni, con qualsiasi tempo, lui alle cinque del pomeriggio era lì.
A fissare quella lapide nera lucida che sembrava fare un ghigno beffardo, prendendolo in giro continuamente per lo stato in cui continuava a versare.
La verità era che da novecentosettantasei giorni lui non respirava.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Respira, John.
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Sherlock gli mancava terribilmente.
Da quel giorno di quasi tre anni prima John non si era mai ripreso completamente.
Mostrava sempre una facciata tranquilla, ordinaria, quasi rassegnata, mentre in realtà era tutto l'opposto.
Non aveva più fatto una notte decente di sonno, mangiava solo quando se lo ricordava e aveva smesso di andare dalla terapista da più di un anno.
Invece di andare agli appuntamenti della dottoressa, andava a trovare Sherlock: tutti i giorni, con qualsiasi tempo, lui alle cinque del pomeriggio era lì.
A fissare quella lapide nera lucida che sembrava fare un ghigno beffardo, prendendolo in giro continuamente per lo stato in cui continuava a versare.
La verità era che da novecentosettantasei giorni lui non respirava.
Tratteneva sempre il respiro, in attesa dell'unica persona che voleva davvero vedere, l'amico che fingeva di stare sotto cumuli di terra per chissà quale delle sue stranezze.
Perchè era così, doveva essere così. Il mondo non poteva aver perso un uomo come Sherlock Holmes e continuare indisturbato il suo corso: era logicamente impossibile, almeno per lui.
Sherlock era troppo Sherlock per essere morto così, cadendo banalmente da un palazzo: doveva aver avuto un piano, un piano di cui lui non era a conoscenza.
Di questa cosa era davvero infastidito, Sherlock sapeva praticamente tutto di lui, mentre John non sapeva cosa vorticava nella testa razionale del moro.
Se aveva agito così aveva di sicuro avuto i suoi buoni motivi, ma faticava ad accettare di essere stato messo da parte così facilmente dal suo migliore amico.
In tutto quel tempo il moro non si era mai fatto vivo, mai, neanche una volta.
Odiava la mente razionale di Sherlock ogni giorno di più: una persona normale avrebbe mandato qualche segnale, mentre lui nulla.
Sebbene John l'avesse visto buttarsi, avesse visto il suo corpo sfracellato sull'asfalto, era convinto che fosse vivo.
Irrazionalmente, contro qualsiasi logica, lui sentiva che il suo Sherlock stava continuando a respirare, a differenza sua.
Fece una smorfia puntando gli occhi sulla lapide. Sherlock avrebbe riso di lui, ne era sicuro.
Si sentiva leggermente patetico, ma non gli importava.
Voleva solo incrociare di nuovo quegli occhi chiari colmi del brillio tipico di un ingegno innato.
Per alcuni giorni aveva persino pensato di odiarlo per avergli fatto un torto simile, ma erano solo i giorni in cui sentiva la sua assenza come una pugnalata in pieno petto.
Ogni tanto aveva incontrato per caso Lestrade, che gli chiedeva come stava.
Di merda, che domande. Non riusciva più a respirare.
E invece rispondeva con le solite espressioni "Bene", "Come al solito".
Bugie: era diventato così facile mentire, perchè lui diceva a tutti quello che volevano sentire.
L'unica che lo capiva davvero e non faceva domande era Mrs. Hudson, che lo controllava peggio di un falco con il cucciolo ferito.
Aveva visto anche Mycroft un giorno, davanti alla tomba di Sherlock.
Da lontano John aveva perlustrato il suo profilo, notando che era dimagrito e che sembrava stanco. Non emanava più quell'autorità che l'aveva colpito al loro primo incontro.
Sembrava solo un uomo a pezzi, proprio come lui.
Si era messo accanto a Mycroft e non avevano spiccicato una sola parola per più di un'ora.
Avevano mutamente cercato di sostenersi l'un l'altro senza ammetterlo apertamente. Per orgoglio, o molto più probabilmente perchè erano stupidi.

E poi Mycroft pronunciò una sola frase, solo dieci parole prima di voltarsi ed andarsene.
"E' un idiota e noi siamo più idioti di lui".
Aveva maledettamente ragione Mycroft, quell'uomo che delle volte faceva impallidire da tanto era arido di sentimenti più del fratello.
In quel momento invece con una sola frase era arrivato al nocciolo della questione, aveva messo tutto in piazza nell'arco di quattro secondi. Per una volta aveva ammesso una debolezza e questo non potè trattenere un'espressione stupita che fece capolino sul viso di John.
Dopo aver seguito il passo deciso di Mycroft che si allontanava, si era voltato di nuovo verso la lapide ed era scoppiato a ridere.
Una donna che stava passando di lì l'aveva guardato male, ma a lui non importava nulla.
Sherlock stava vivendo e loro vivevano dei suoi ricordi. Era assurdo e dolceamaro insieme.
Sherlock, che catturava i criminali, era diventato il loro carnefice: aveva rubato qualcosa a tutti, qualcosa di vitale importanza.

Il respiro.
Erano tutti in attesa del suo ritorno.
Sperare che lui li degnasse di tale onore non era male, perchè John era sicuro che anche l'illustre consulente investigativo tenesse a loro, tenesse a lui.

Quando avesse potuto sarebbe tornato, John ne era fermamente e ciecamente convinto.
Da un paio di mesi era riuscito a dimostrare e a riabilitare l'immagine del suo amico: aveva comprovato l'esistenza di James Moriarty e della sua banda criminale.
Ci aveva messo un po' a trovare del materiale valido, ma aveva lavorato senza sosta e alla fine ci era riuscito. Aveva indagato da solo, chiuso a Baker Street o in giro per il Paese, e poi aveva consegnato tutto quello che aveva trovato ad un sollevato Lestrade, mentre con stizza aveva fissato i volti stupiti e colpevoli di Anderson e Donovan.
Sherlock era sempre stato vero, punto.
Il moro ne era uscito quasi come un Santo, quando fino al giorno prima gli avevano spalato merda addosso: aveva ragione Sherlock quando diceva che il comportamento umano era prevedibile.
A quel punto aveva sperato in una comparsa del suo amico, invece era continuato tutto nella sua immobilità.
Quel giorno era un giovedì e pioveva. Alle cinque era andato come al solito a trovare Sherlock e ci era rimasto per un'oretta come sempre.
E come sempre alle sei aprì la porta del 221B.
Salì le scale con lentezza, la gamba aveva iniziato a dolergli leggermente da più di un anno: era come se Sherlock fosse la sua medicina ed ora che non c'era più era malato, ritornato indietro a quando era tornato dall'Afghanistan con uno shock post-traumatico psicosomatico.
Ora lo shock era post-perdita, post-caduta, come la definiva lui.
Fece una smorfia e aprì tranquillamente la porta, entrando in salotto.
Venne letteralmente investito dall'aroma di tè che proveniva dalla cucina e sorrise, chiudendo gli occhi e pregustando ogni minima particella con aspettativa.
"Mrs. Hudson, non doveva disturbarsi" disse, senza smettere di sniffare l'aria.
In quel momento però una consapevolezza gli annodò lo stomaco: Mrs. Hudson non c'era, era partita per due settimane da sua nipote nel Kent e non sarebbe ritornata che fra dieci giorni.
A quel punto sentì un rumore di passi, che poi si arrestò. Un profumo famigliare di reagenti chimici, legno, erba e sapone gli entrò nelle sinapsi, mandando forte e chiaro un segnale a tutto il corpo: Sherlock Holmes.
Sentì la salivazione venire meno, le mani iniziarono a tremare, la gamba tornò ad ignorarlo proprio come aveva fatto quando aveva conosciuto il padrone di quell'essenza particolare.
Non poteva essere un sogno, una suggestione, non l'avrebbe sopportato. Non era pazzo...o forse sì?
"John".
John aprì finalmente gli occhi, da cui scesero due lacrime cariche di sofferenza, sollievo e amore.
La voce di Sherlock era sempre la stessa voce profonda, anche se meno meccanica del solito, piuttosto simile alla voce che aveva sul tetto il giorno della caduta.
Si passò freneticamente una mano sul viso per togliere quelle due scie salate, non riuscendo più a trattenersi dal guardarlo.
John si voltò di scatto e trattenne il respiro, incrociando la figura alta e slanciata del moro. Era vero, lui era lì, era tornato.
Puntò gli occhi sul suo viso: era più magro, anche leggermente più pallido se era possibile.
I ricci scuri erano leggermente più lunghi di come ricordava, ma la cosa che lo spiazzò completamente, furono i suoi occhi chiari.
Li aveva sempre paragonati al ghiaccio, sia per la colorazione, sia perchè erano freddi di sentimenti proprio come il loro proprietario.
Invece in quel momento sembravano acqua marina talmente erano pieni e carichi di emozioni. Acqua marina bollente.
Lo vide fare un leggerissimo sorriso. "Respira, John".
E John lo fece, buttandosi addosso a lui e stringendolo come se avesse raggiunto l'aria dopo un'apnea troppo lunga.
Respirò veloce il profumo del moro, cercando di calmare lo sconquassamento interiore che aveva avuto.
Sherlock chiuse gli occhi, abbracciandolo a sua volta e piegando la testa in modo da appoggiare il mento sulla spalla del biondo.
"Sherlock" mormorò John con dolcezza.
A quel punto il biondo percepì chiaramente delle lacrime bagnare la sua spalla e sorrise, passando una mano su e giù lungo la schiena di Sherlock per tranquillizzarlo.
Pensava che sarebbe dovuto essere il contrario, invece il moro sembrava sconvolto.
John non l'aveva mai visto così denso e pieno di emozioni neanche il giorno della caduta, e lì l'aveva sorpreso per il suo tono di voce, i suoi gesti verso di lui, le sue parole, le lacrime che immaginava rigassero il suo volto.
Ma averlo tra le braccia in quel momento, così fragile, lo portò a stringerlo ancora di più.
Dopo qualche minuto in cui sentì il respiro di Sherlock tornare normale, fece per dire qualcosa, ma il moro lo sorprese parlando per primo.
"Mi sei mancato, John. Perdonami se puoi".
Il tono serio e teso non sfuggì all'orecchio acuto del dottore, che sorrise di nuovo, piacevolmente stupito.
Sherlock non si lasciava mai andare a dichiarazioni del genere, doveva essere ancora parecchio turbato.
"Ti ho già perdonato" rispose John sicuro. Era vero, l'aveva perdonato da subito, sapeva che se aveva fatto un gesto del genere le motivazioni erano gravi e il moro gliele avrebbe spiegate tutte con calma.
Sherlock sospirò. "Dopo puoi darmi un pugno".
"Cosa?!" domandò John confuso, allentando leggermente la presa per riuscire a guardarlo in faccia.
"Vuoi che ti provochi come l'ultima volta?" chiese Sherlock con un sorrisetto nostalgico.
"Ma io non voglio picchiarti" controbattè John ridacchiando.
"Era così anche quella volta e sappiamo com'è finita" replicò Sherlock con ovvietà.
A quel punto scoppiarono entrambi a ridere e si strinsero di nuovo.
John, approfittando del buonumore del moro, decise di strappargli qualcosa.
"Prometti che resterai, Sherlock".
Il moro si rilassò ulteriormente, voltando leggermente il volto per guardarlo dritto negli occhi azzurri.
E la sua risposta fu spontanea e decisa e così giusta, che John sentì un calore avvolgerlo, come una coperta di linus: sicurezza, fiducia, amore.
"Sempre, John".




  
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