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Autore: Taku731    06/07/2012    1 recensioni
Cosa fareste se, incarcerati giustamente, vi rimanesse poco da vivere? Beh, c'è chi ha voluto condividere le sue "gesta" con tutti voi.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve; non c'è bisogno che vi dica il mio nome, mi rimane davvero poco da vivere e le mie gesta hanno fatto conoscere il mio nome in tutto il mondo. Vi starete domandando chi sono. Ok ecco chi sono. Sono un carcerato accusato di omicidio; "che palle, sarà la solita storia di un prigioniero che non ha colpe" mi sembra già di sentire le vostre voci dire questo. Invece no, il crimine l'ho commesso proprio io. Allora, vi chiederete, se lo hanno catturato sapranno già come è accaduto. Vedete, il fatto è questo: domani sarò messo sulla sedia elettrica e nessuno ancora lo sa. I poliziotti, quegli idioti, mi hanno accusato giustamente per un crimine che ho commesso; solo che .... gliene sono sfuggiti altri 14. Sì altri 14 omicidi, staranno ancora cercando i cadaveri, anche quello di quel bambino. Penserete che io sia pazzo, magari che sono solo malvagio o ancora che abbia solo bisogno di qualcuno che mi ami. Beh, non è così. Quella che sto per raccontarvi, sugli spazi vuoti del libro che ho preso in prestito dalla biblioteca, è la storia di come tutto si è evoluto, di come è nato in me questa voglia di morte e di come, in seguito, ha operato su 14 persone.

Penso che tutto iniziò a 10 anni, può darsi che avessi già i miei ideali dalla nascita ma inizierò a parlarvi di me da quell'età.
La mia famiglia era veramente normale, anche troppo. Mia mamma era una casalinga, faceva i mestieri tutto il giorno e la sera era stanchissima; ricordo che era anche un'ottima cuoca, pranzo e cena erano i miei momenti preferiti della giornata. La sera tornava a casa mio padre dal lavoro. A quell'età non capivo bene cosa facesse ma adesso so che si occupava di una ricerca per la cura di una strana malattia incurabile; forse non sorrideva mai proprio perchè dal suo lavoro dipendevano qualche migliaio di vite. Ricordo di non averlo mai visto sorridere, arrivava a casa e si metteva sulla poltrona a guardare la tele, mia madre riscaldava la cena e gliela portava sorridendo per non far capire a suo marito che era troppo stanca anche per fare quei pochi passi. Mio padre gentilmente rigraziava ma non ricambiava il sorriso, anzi, distoglieva subito lo sguardo e tornava a posarlo sulla nostra televisione. Su una poltrona adiacente ero seduto io, che osservavo un po' la tele e un po' mio padre. Qualche capello bianco sembrava ornare i suoi capelli neri, un ciuffo scendeva lungo la fronte comprendone buona parte, era sempre pettinato ma quel ciuffo probabilmente non rientrava nel suo dominio e non riusciva mai a domarlo. I profondi occhi marroni osservavano attentamente la tele senza mai perdere l'attenzione dal programma a volte si giravano come per osservare la porta d'ingresso. Le labbra sottili erano occupate a masticare, raramente la sera ricordo di averlo mai sentito parlare. La camicia ricopriva le sue ampie spalle, toglieva la cravatta e sbottonava il primo bottone, come per far respirare il collo. La sua postura era sempre spigolosa, sembrava che non si rilassasse mai. Mia madre invece aveva i capelli castani raccolti in una coda dal solito legaccio rosso. Ogni tanto la potevo vedere sporgersi dalla porta della cucina per vedere se il pasto fosse stato consumato: attendeva di lavare quell'ultimo piatto per poi andare a letto. io la seguivo, mio padre invece rimaneva sveglio fino a tardi, a volte alcuni rumori metallici raggiungevano le mie orecchie nel cuore della notte, probabilmente lavorava fino a tardi, o questa era l'idea che mi ero fatto. Pur sforzandomi non ricordo che i miei genitori avessero mai litigato, non ricordo neppure se abbiano mai avuto una vera conversazione. Forse la mia famiglia non era poi così normale oppure i miei ricordi sono un po' annebbiati. Perchè raccontarvi ciò? Beh, abbiate un po' di pazienza, in fondo sono io a non avere molto tempo restante, vedo già la morte con la sua falce salutarmi dall'altra parte della cella.
Ritornando al mio racconto, ricordo che quella volta era notte fonda, i rumori si interruppero tutti d'un colpo, finalmente potevo addormentarmi. La mattina seguente mia madre mi svegliò. Come al solito mi alzai e salutai mia madre che usciva dalla mia stanza. Lei sentendomi si voltò e ricambiò il saluto, il problema era che io non mi ero sentito. Svelai subito il problema a mia mamma e lei si preoccupò subito, quel giorno non andai a scuola mi portarono in un edificio chiamato "ospedale", scusate se lo cito in questo modo ma mi ricordo che fu la prima volta che andavo in quel posto. Appena un dottore finì di visitarmi l'udito mi ritornò. Il rumore che sentì era come quello del tappo dello spumante, dopo quel rumore tornai a sentire ogni suono. Feci subito presente l'accaduto al dottore e vidi mia mamma piangere, pensavo che fosse felicità ma non era così. La realtà era che sapeva benissimo cosa io avessi, fu lei a dirlo al dottore, dopo che il dottore apprese il nome della malattia la sua faccia era stupita, come se non conoscesse quella malattia. Mia madre mi prese per mano e disse: "mi spiace dirglielo, dottore, ma lei è piuttosto inutile in questa situazione." Scendemmo dalle scale e salimmo subito in macchina, ma mia madre non mi stava portando a casa, avrei riconosciuto la strada, durante il viaggio sapevo solo che quello sarebbe stata la prima volta che percorrevo quella strada. Mia madre non parlò per tutto il viaggio, non rispondeva neanche alle mie domande sul luogo che avremmo raggiunto. Nonso quante ore passarono, la noia mi aveva raggiunto e non mi permetteva di calcolare con precisione il tempo, a me sembrò che fossero passati anni durante quel viaggio. Finalmente la velocità della macchina si era ridotta. Mia madre si voltò ed indicò un luogo che senza che me ne accorgessi era comparso all'orizzonte: "lo vedi quello? Quello è l'edificio dove lavora tuo padre, è lì che stiamo andando!" Ricorderò per sempre quelle parole, le aveva dette con un misto di tristezza e dispiacere.
Conobbi solo in seguito il motivo di quei sentimenti. Abbandonammo la nostra auto blu nel parcheggio e ci inoltrammo nell'edificio; mia madre mi mise ad aspettare su una sedia, ricodo che una gentile signora mi offì alcune caramelle, accettai con piacere. Quando mia madre tornò era in compagnia di mio papà, lui mi chiamò e io subito lo raggiunsi, fece allontanare mia madre e mi chiuse in una stanza con lui. "Prego, siediti." Mi sedetti. Dall'espressione che aveva in volto sembrava stesse iniziando un lunghissimo discorso. Iniziò: "ecco, vorrei essere il più breve possibile, quindi ti dirò subito quello che tu devi sapere. I sintomi di questa mattina purtroppo indicano che tu hai una grave malattia non porta alla morte, ma ha gravi ripercussioni sull'individuo. - i vocabili che usava erano, a volte, qualcosa di nuovo per me ed ogni tanto si fermava a spiegarmi il loro significato. - La malattia in questione colpisce casualmente uno dei tuoi cinque sensi. Lo inibisce per un breve periodo e quando sembra che tutto sia passato, colpisce un altro senso e il ciclo si ripete all'infinito. La cosa peggiore è che non c'è una cura, o almeno non l'ho ancora trovata." Fu in quell'occasione che venni a conoscenza del lavoro di mio padre, avrei preferito farlo in un'altra circostanza. Pensavo fosse il peggio del peggio, ma la giornata poteva solo peggiorare. Durante il viaggio di ritorno mia madre si ricordò di mia sorella, non ve ne avevo ancora parlato? Rimedio subito. Mia sorella è piccola a quell'età faticavo a tenere a mente la sua età quindi sapevo che era piccola; ora so che aveva tre anni. C'è ben poco da dire su di lei, piangeva, mangiava, aveva bisogno di attenzioni e poi di nuovo piangeva. Mia madre ricordandosi di lei, spinse il pedale dell'acceleratore, arrivammo a casa, quello che trovammo fu davvero spiacevole.
Un piccolo ed indifeso corpicino si trovava alla fine delle scale della nostra casa; era mia sorella. Mio padre, che era tornato a casa con noi per monitorarmi più a lungo, si avvicinò al corpo e si girò piangendo; due semplici parole trasferirono quello stato d'animo anche a mia madre: "è morta!" Mia mamma si mise a piangere e mio padre continuò a farlo; io no, in me si era scatenato un'altro sentimento, forse era felicità, senza sapere il perchè mi misi a ridere e pensai: "un rompiscatole in meno!" Qualche ora dopo arrivarono gli sbirri, con le loro inutili uniformi, pensando di poter risolvere la situazione. Mi trattenevo da ridere, mia mamma diventò ancora più cupa quando seppe che qualcuno aveva tagliato la corda che formava la rete di protezione del lettino di mia sorella; insomma, era, in un certo senso, un'omicidio. Interrogarono tutti i presenti, me compreso e dopo aver finito se ne andarono. Le giornate passavano come sempre, si evitava di parlare dell'accaduto. Mio padre entrando a casa, ogni giorno mi chiedeva scusa, mi chiedeva scusa perchè non aveva ancora trovato una cura. A volte perdevo l'uso del gusto e mia madre sfruttava quei momenti per farmi mangiare i cibi salutari che odiavo tanto, tanto era come mangiare qualsiasi altro alimento, non sentivo alcun sapore. Un giorno mia madre morì. Non ricordo per quale malattia, comunque fu una morte naturale e fortunatamente fu indolore: morì durante il sonno, nessuno si accorse di nulla, probabilmente neanche lei. Da quel giorno mio padre cambiò, non tornava quasi mai a casa, mi dissero che stava lavorando fino allo sfinimento per trovare una cura per me. In qualche modo riuscì a crescere senza l'aiuto di nessuno, imparai ad adattarmi alle problematica della vita. Senza annoiarvi troppo passerò subito al pezzo che vi interessa. A sedici anni mio padre iniziò ad avere problemi di cuore, i medici dissero che erano dovuti alla troppa fatica a cui si era sottoposto negli ultimi anni. Mi accusai subito per questo, se non avessi quella stupida malattia ora mio padre non sarebbe in queste condizioni. Mi sentivo inutile, anzi d'intralcio. Ero io la causa della sofferenza di mio padre. forse è questa la vera motivazione per cui iniziai ad uccidere, ho sempre cercato persone inutili per il mondo e persone che facevano soffrire i loro cari. Comunque, quando ebbi diciassette anni mio padre iniziò a soffrire veramente, attacchi cardiaci erano all'ordine del giorno. Come se il fato lo volesse lui rimaneva sempre in vita, forse doveva soffrire così. Dopo il primo vero attacco io lasciai la scuola, e dopo che gli attacchi si ripetevano in continuazione scappai da casa e iniziai a fare quello che ho fatto fino a quando non mi hanno arrestato, scoprii che quella cosa mi riusciva abbastanza bene. Quella cosa era uccidere.
Camminando per strada, se trovavo un'animale con qualche problema mi divertivo ad ucciderlo; era inutile, non meritava di sopravvivere. Anche io dovevo subire la stessa sorte, ma non ora; avevo una missione da compiere: dovevo liberare l'umanità dalle sanguisughe che senza avere un vero motivo per esistere, vivevano inutilmente facendo soffrire chi era vicino a lui. Dovevo farlo, tanto essendo anche la mia vita inutile, non c'era motivo per non rischiarla. E ora mi trovo qui, in questo carcere a descrivere quattordici dei miei omicidi per far conoscere al mondo quanto siano inutili certe persone.
   
 
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