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Autore: yaiba    06/07/2012    1 recensioni
"Questo vuoto era così schiacciante, opprimente, che mi spaventava". Una ragazza che ha bisogno d'amore e lo nega perfino a se stessa..
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era mezzanotte passata ed ero sdraiata sul mio letto. Cercai di svuotare la mente da pensieri e preoccupazioni. Il buio mi circondava, mi avvolgeva e questo avrebbe dovuto aiutarmi a cadere tra le braccia di Morfeo, però io e il dio non abbiamo mai avuto un buon rapporto. Infatti non riuscii a prendere sonno e così mi misi a fissare il soffitto. Il buio avvolgeva tutto ed io ero soffocata da un'oppressione, un vuoto all'altezza del cuore. Era già qualche sera che percepivo questa costante e angosciante presenza. Il problema era che non riuscivo a capire cosa fosse. Era amore? No, ultimamente stavo cercando di evitare di avere problemi legati all'amore. Preoccupazione? Forse, però non mi convinceva molto come risposta. Continuai per un po' a interrogarmi su che tipo di sentimento mi assalisse, ma non riuscivo a trovare una soluzione al problema.

Questo vuoto era così schiacciante, opprimente, che mi spaventava. E' come se qualcuno avesse posto un peso sulla mia cassa toracica e mi sbeffeggiasse, perché non riuscivo a rimuoverlo. Era ridicola come situazione. Scacciai quei pensieri e mi alzai. Vagai scalza in giro per casa lentamente, così che i miei piedi aderissero al marmo e potessi goderne il fresco. Entrai in cucina, presi un bicchiere d'acqua e cominciai a fissare fuori dalla finestra. La notte è oggettivamente più affascinante del giorno. “Probabilmente sono un vampiro.” pensai “Odio dormire di notte, ma adoro sonnecchiare di giorno”. Risi della stupidità di quel pensiero. Uscii fuori in balcone e mi affacciai. La vista non era niente di particolare, riuscivo a scorgere solo palazzi e balconi. Alzai per questo gli occhi alla luna. Era praticamente invisibile. Sbuffai scocciata, avrei voluto vedere la luna piena. Andai a prendere il mio pacchetto di sigarette e, seduta in balcone, cominciai a fumare. La sigaretta accesa era una delle poche luci che mi circondavano. La fissai incantata e cominciai a fare dei cerchi col fumo. Buttai la testa indietro contro il muro e chiusi chi occhi. Lunghi tiri e lunghe pause, mi stavo godendo la nicotina che scorreva nel mio corpo. Con la pressione un più bassa mi sentivo un po' più rilassata. Cominciai a canticchiare, ma dopo una folata di vento più forte decisi di rientrare, visto che non volevo certamente ammalarmi.

Delusa per la luna, ma un po' più rilassata, rientrai e provai a rimettermi a letto sperando che il vuoto non tornasse e mi facesse dormire. Niente. Era sempre lì, nemmeno la passeggiata e la sigaretta erano servite a qualcosa. Guardai scocciata l'orologio: erano le due passate. Strabuzzai gli occhi, il tempo era volato.

Consapevole che quella sarebbe stata una nottata passata in bianco riprovai a cercare una risposta a quell'oppressione che non voleva abbandonarmi. Inconsciamente alzai gli occhi verso la libreria, puntando lo sguardo su un libro in particolare; anche se non lo vedevo, sapevo perfettamente dove fosse. “Quel dannato libro” sussurrai. Erano passati almeno due anni da quando avevo finito di leggerlo e ancora continuava a tormentarmi. Nel leggerlo ci avevo messo l'anima: lo avevo odiato, amato, era diventato un compagno di viaggio piacevole e detestato fino a farmi piangere. Avevo pianto leggendo uno stupido libro. Distolsi lo sguardo perché non volevo deprimermi più di quanto già non fossi. Mentre continuavo a sbuffare sempre più irritata, misi il braccio destro sopra i miei occhi. Ormai era diventata un'abitudine, lo facevo ogni volta che ero afflitta. Passai un po' di tempo così, finché non sentii uno zampettare. Sapevo perfettamente cosa fosse: era il mio gatto. Kuro saltò sulla mia pancia e cominciò a leccarmi il braccio, cercando di darmi conforto. Io e il quel gatto ci capivamo fin troppo bene. Da quando lo avevo salvato dalla strada, qualche anno fa, ci sentivamo legati l'uno all'altra. Sapevo quando aveva bisogno di qualcosa e anche lui sapeva quando venire a farmi compagnia. Kuro continuava a leccarmi il braccio, con calma lo avvolsi tra le mie braccia mentre una lacrima solitaria scese lungo il mio volto. Accarezzando Kuro crollai in un sonno senza sogni.

 

La mattina dopo mi alzai comunque molto presto. “Alla fine avrò dormito non più di tre ore” dissi sospirando. Kuro si era volatilizzato, probabilmente era andato a nascondersi da qualche parte al fresco. Andai in bagno per sciacquarmi il viso. Andai in cucina e pensai a quanto fosse piccolo il mio appartamento. “Beh è solo per me e per quella palla di pelo nera” sussurrai sorridendo.

Continuai a sorridere preparando la colazione per me e per Kuro. Misi l'iPod nelle casse e premetti su riproduzione casuale.

 

Io di risposte non ne ho, mai avute, mai ne avrò,

di domande ne ho quante ne vuoi.

 

“Quanto è dannatamente vero” pensai bevendo il mio caffè “questa notte ne è stata la prova”.

 

Non so se è soltanto fantasia o se è solo una follia
quella stella lontana laggiù
Però io la seguo e anche se so che non la raggiungerò potrò dire
ci sono anch'io

 

...

 

Io la raggiungerò perché al mondo ci sono anch'io

perché al mondo ci sono anch'io
ci sono anch'io
ci sono anch'io

 

Continuai distrattamente ad ascoltare quella canzone che conoscevo a memoria, ma quando finì spensi le casse: le poche ore di sonno mi avevano fatto venire mal di testa. Decisi così di farmi una doccia. Sotto il getto d'acqua ebbi un'illuminazione. Il vuoto che mi tormentava da qualche tempo a quella parte era dovuto alla mancanza di una persona con cui trascorrere la mia vita. Romanticamente parlando avevo bisogno della mia anima gemella. Questa considerazione mi sconvolse e mi diede anche un po' fastidio. Sin da piccola mi ero abituata a vivere in pace con me stessa, ad amarmi, perché con me avrei passato il resto della mia vita. E il pensiero che non mi bastavo più, che avevo bisogno di qualcun altro per vivere bene mi destabilizzava. Inoltre non ero innamorata, quindi com'era possibile che il mio subconscio dicesse che avevo bisogno di qualcuno al mio fianco? Con tutte queste domande e interrogativi mi vestii e uscii per andare a prendere un caffè con un'amica. Erano mesi che rimandavamo per via dei vari impegni personali, soprattutto per i miei universitari e lavorativi.

Arrivai in anticipo e aspettando mi accesi una sigaretta. Conoscevo Valeria dalle superiori. Dal primo giorno di liceo ci siamo subito prese in simpatia e dopo dieci anni da nostro incontro siamo ancora molto amiche. Quando la vidi arrivare di corsa per il ritardo sorrisi un poco, era sempre la solita ritardataria.

Ci salutammo abbracciandoci.

“Quanto tempo!” esordii

“E' colpa tua se ci è voluto tanto! Sei reale o sei una visione?”

“Smettila di fare la stupida”.

Ci sfottemmo un po' a vicenda ed entrammo dentro al bar dove ci eravamo date l'appuntamento e dopo aver ordinato iniziammo a parlare del più e del meno, aggiornandoci sugli ultimi avvenimenti.

Ma quando lei mi disse che si era fidanzata il mese scorso con un certo Lorenzo, le considerazioni che mi avevano tenuta sveglia stanotte tornarono a fare capolino nella testa. Mi fidavo di Vale e per questo le raccontai quello che stavo passando in quel periodo e alla conclusone a cui ero arrivata.

Le parole che mi disse mi lasciarono a bocca aperta.

Dopo varie ore di chiacchiere e risate si congedò dicendo che si era fatto tardi e doveva tornare da Lorenzo.

Percorrendo la via di casa ripensai a quella frase che mi aveva detto “Finalmente te ne sei accorta”. Aveva così tante implicazioni quella frase che mi spaventava l'idea di doverle valutare tutte.

Continuando a camminare e fumando, arrivai sotto casa. C'erano delle panchine nel cortile del palazzo, così persi un po' di tempo per pensare.

Quindi Valeria sosteneva che quanto stavo provando in questo momento lo avevo invece sempre provato? Che lo stare bene con me stessa fosse solo un'illusione non adatta a me? Queste e altre simili domande mi ronzavano in testa. In un raptus nervoso salii 7 piani di corsa per raggiungere il mio appartamento, afferrai al volo le chiavi della mia moto e mi precipitai in garage. Avevo bisogno di velocità, di sentire il vento tra i capelli, dell'adrenalina che mi scorrere nelle vene: volevo smettere di pensare.

Accesi la mia amata Yamaha r6 e cominciai a dirigermi verso il mare. Le strade fortunatamente non erano molto trafficate e così uscii dalla città in meno di una ventina di minuti. Correvo libera, il contatore segnava 140 km/h, ma non mi bastava. Accelerai ancora e nemmeno dieci minuti dopo ero arrivata. Risi al pensiero che solitamente ci voleva quasi il triplo del tempo per raggiungere il mare. Scacciai il pensiero e parcheggiai la moto. Ero andata al mare perché volevo sentire sotto i piedi la sabbia calda e la freschezza dell'acqua salmastra. Scalza cominciai a passeggiare sulla riva, con un'immancabile sigaretta in bocca. Mi venne un desiderio compulsivo di fare un bagno, ma il pensiero dell'acqua fredda e del viaggio di ritorno in moto mi fecero cambiare idea. Così continuai a camminare e, man mano che avanzavo, il vuoto che opprimeva il mio petto si affievoliva: cominciavo a distendere la mente. Le parole di Valeria mi erano entrate dentro, avevano messo radici nel mio cuore. Ora mi capivo meglio e scoppiai a ridere al pensiero che lei avesse ragione; se qualcuno mi avesse visto mi avrebbe presa per pazza, ma poco importava. Finalmente avevo capito. Continuai a percorrere la riva del mare in silenzio con questa nuova consapevolezza che alleggeriva quel peso. Sorrisi inconsciamente e mi allontanai verso il tramonto.


La canzone citata è “Ci sono anch'io” degli 883.
Questa è la prima storia che ho scritto. Vi prego di recensire o comunque di farmi sapere che ne pensate cosicché possa migliorare.
Un grande ringraziamento alla mia cara Yumi per le correzioni degli errori di battitura.
Grazie per la lettura.

  
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