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Autore: ary91    07/07/2012    2 recensioni
Storia breve incentrata su alcune fasi delle vita di una spia della Regina Maria Antonietta, Georgette Corot, sottoposta ai duri sacrifici in nome di una vita degna d'esser chiamata tale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Lui, il étais mien. Et moi, je etais sienne.

 

Montmartre,  Paris

4 aprile 1768

 

 

«Non ho molto da darvi, ma se questo potrà placare il vostro dolore allora ve lo dono in nome della bestiola che avete perduto, Mademoiselle», affermò il ragazzo, mostrandomi un anello.   

«C’est ridicule! Rimontate a cavallo, ché siamo già in ritardo!» lo rimproverò l’austero uomo, rigido nella sua giacca blu scuro. «Non privatevi di ciò che v’appartiene per questa pezzente.»

            «Ehi! Io ho danzato per le Duc de Beaufort in persona!» affermai pomposa, asciugando col polso le lacrime dal viso inzaccherato.

            L’uomo, stringendo la briglia, sorrise mestamente. «Le Duc de Beaufort, eh?»

            Tirai su col naso, facendo un’ultima carezza al povero beagle, adagiandolo sul ciglio del ponte; poi mossi qualche passetto deciso e poggiai fiera una mano sul muso morbido e setoso del bellissimo Merens purosangue. «Vi assicuro Monsieur che mi ha persino applaudito.»

            «Mi state dicendo che avete più di sessant’anni?» commentò l’uomo, impendendosi di cedere a un sorriso divertito. «So per certo che Monsieur le Duc è morto nel 1712, anno in cui persino mio padre ancora non era nato…»

            Imbarazzata mi guardai i piedi, nudi e impiastricciati di sangue e terriccio. «Forse mi sono confusa… voi nobili avete tutti nomi così simili…»

            «E il tuo, di nome?» s’interessò lui, scendendo a terra.

            «Georgette Giulie Corot, Monsieur», mi presentai, tentando una riverenza con quei pochi stracci che avevo addosso.

            Prima che il nobile potesse dire altro, il ragazzino si presentò con il nome di Bastian e mi infilò all’anulare l’anello di ottone lucido e caldo che fino ad allora aveva tenuto stretto. «Georgette, in nome della perdita che vi abbiamo arrecato, presto io vi sposerò. Lo giuro sulla tomba di mia madre.»

            «Mio figlio fa giuramenti affrettati…» riverberò l’uomo, sistemandosi la parrucca sul capo. «La notte è fredda e voi siete troppo piccola per sopportarla senza la compagnia del vostro amico pulcioso, salite a cavallo: vi porto con noi.»

            «Oh, no! No! Alla taverna», accennai alla strada steccata, «lavora mia sorella, non posso andarmene!»

            «La strada è rischiosa. Vi prometto che rivedrete la vostra parente, ma consentitemi di darvi un posto caldo in cui dormire.»

           

 

 

 

 

 

Le Petit Trianon, Versaille

1 settembre 1778

 

 

«Mademoiselle Corot, sedetemi accanto», cinguettò la reine, sistemandosi le graziose perline che incorniciavano l’elaborata – e colossale – chioma incipriata da Monsier Léonard in persona.

            Piegai le ginocchia in un delizioso inchino, infine con aria innocente obbedii.

            «Yolande, vi dispiacerebbe lasciarci?»

            «Come desidera sua maestà», asserì Madame Polignac con i suoi modi raffinati. «Ricordatevi, Marie Antoinette, che Monsieur le Comte vi attende…»

            «Una donna sa che un uomo deve struggersi in sua attesa. Meglio farlo aspettare, n’est-ce pas?» rispose la regina al che l’altra si fece sfuggire un risolino civettuolo, battendo le mani rosee per ordinare che dame da compagnia e ancelle uscissero; fece una riverenza e seguì le altre, chiudendosi alle spalle la porta doppia di frassino verniciato di bianco.

            Chinai appena la testa in segno di rispetto e poi sorrisi forzatamente. Tutte le volte che la Reine de France voleva discutere in privato, ciò non portava a nulla di buono.

            «Vi trovo in salute, vostra maestà, a quando il lieto evento? Se mi è permesso domandare…»

            La donna si rabbuiò per un secondo e carezzò il ventre. «Se Dio mi sarà clemente entro Natale ci benedirà con la venuta di un primogenito. Sempre se non strozzerò prima con le mie mani l’abate Vermond!»

            «Vostra Maestà non siate blasfema…» la redarguii con un ghigno. «A meno che non mi abbiate convocata per…»

            «Oh, non per lui. No, non per lui, Georgette… quell’imbecille pieno di sé…»

            «Temo, ma reine, che se continuerete a inveire contro un uomo di Chiesa, Dio vi sarà tanto ostile da donarvi un parto lungo e doloroso. Come farete a scartare i regali se sarete impegnata a dare alla luce il figlio di Louis?» mi permisi di ironizzare, in fondo ero al suo fianco da secoli, fin dal suo arrivo alla Reggia.

            «Avete ragione, sarà meglio non commentare i modi barbari di questi francesi… Oh, pardon, mademoiselle: non volevo essere irrispettosa.»

            «Nessun problema: mia madre era danese e mio padre belga», ammiccai.

            «Bien, non perdiamo tempo in chiacchiere, ho importanti ospiti che non possono attendere oltre», si alzò, sistemandosi la lunghissima gonna ricamata d’oro e pietre preziose.

            «Credevo aveste detto che ritardare avrebbe indotto le Comte Fersen a un…»

            «Non un’altra parola. Georgette vi affiderei la mia stessa vita, ma non vi permetto una tale confidenza.»

            Umettai le labbra, nervosa. «Non era mia intenzione recarvi offesa.»

            La Regina prese a camminare lungo la stanza, riflettendo e guardandosi intorno come ad assicurarsi che nessuno fosse in procinto di ascoltarci.

Una volta assicurata di essere del tutto sole, si servì in un bicchierino di cristallo del Calvados che mandò giù a piccoli sorsi; il liquore le accese il viso di porcellina di un colorito bello accesso.

            «Mi è giunta voce che i Rivoluzionari progettano di far saltare l’École du Sacré-Coeur. Amélie e Paulette hanno saputo dai loro amanti che l’attacco sarà sferrato lunedì a mezzogiorno…»

            «Mon Dieu! Colpire una scuola è da codardi, è come trucidare il nostro stesso futuro!»

            «Oui, il nostro futuro. I figli del popolo non sono certo iscritti alla più prestigiosa scuola cattolica d’Europa, Georgette.»

            «… ed eliminando i giovani nobili, non rimarranno che gli altri…» riflettei, portando una mano alle labbra, sconcertata.

            Oui, effettivamente il piano dei Ribelli aveva senso, ma non lo aveva il colpire degli innocenti. No, quali che fossero le convinzioni di Aristocrazia e Popolo, non poteva certo essere giustificata la scelta di mettere fine alla vita di centinaia di bambini.

            «Cosa volete che faccia?»

            «Si dice che l’assassino alloggia al “Trois Moulins”, camera dodici. Va’ questa notte e fallo fuori, non possiamo permettere che les énfants muoiano per colpa di ragioni politiche… La Rivoluzione è vicina, non iniziamola ora.»

            «E se fallissi?»

            «Non mi hai mai delusa, Georgette, confido che anche questa volta sarai efficiente come le altre» replicò, offrendomi un bicchierino di liquore distillato. «Salva i bimbi de l’École e io parlerò con Louis, e ti sarà concesso il matrimonio con il bastardo del Marchese di Lafayette.»

            Non potei impedirmi di sorridere radiosamente, una vita in cambio di un’altra. La vita di un delinquente in cambio della mia con Bastian du Motier, il ragazzo che mi aveva tolta dalla strada, dove sin dall’età di cinque anni danzavo per i passanti in cambio di una moneta.

            «Se posso osare, ma reine, avrei un’altra richiesta…»

            Marie mi volse lo sguardo, aguzzando gli occhi chiari con un mezzo sorriso per ascoltare quale sfrontatezza stessi per domandarle.

            «Vorrei che mia sorella fosse accolta a Corte.»

            «Se i bambini saranno salvi, forse potremmo trovare a Charlotte un posto in cucina. Ho sentito che Madame Clarisse ha bisogno di aiuto, la servetta che ci ha donato la Princesse de Lamballe pare non sia buona ad altro che a far divertire il garzone…» annotò lei maliziosa, facendosi aria col ventaglio ricamato.

            Mi inginocchiai in una profonda riverenza e la ringraziai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

École du Sacré-Coeur, Paris

4 settembre 1778

 

 

Scrutai con un pizzico d’invidia i calzoni alla zuava del rettore Lacroix: lui non aveva bisogno di reggersi le gonne per camminare e sicuramente non doveva rifugiarsi dietro ogni angolo nel tentativo di allentare i laccetti del corsetto.

            Sarà stata l’elevata temperatura, sarà stata colpa di tutte quelle persone lì dentro o sarà stato che invece ero consapevole che un terrorista rivoluzionario da qualche parte là fuori avesse sotto tiro la scuola, armato di mortaio a mano, ma io mi sentivo soffocare.

Con un sorriso forzato mi ordinai di smetterla di lamentarmi, perché o trovavo un modo per evacuare tutti alla svelta o saremmo saltati in aria.

            Sarebbero.     

            Per quanto cercassi di portare avanti nobili cause, non potevo certo impedire al mio io egoista di avere la meglio. Non avrei mai rinunciato alla mia stessa vita in onore di un sacrificio inutile come l’ideale di una Rivoluzione che forse non ci sarebbe mai stata.

            Augurai a quell’idiota in procinto di sparare su suore e bambini che la bomba facesse cilecca e gli esplodesse nel tubo.

            Avevo ispezionato tutta l’École ma da ogni finestra guardassi non mi parve di captare nulla di strano o sospetto, fuori non c’era altro che campagna aperta. Non credetti possibile pensare che un potenziale pluriomicida avesse potuto nascondere il peso di un mortaio tra i rami di un alberello.

            «Mademoiselle Corot, mi è sembrato di sentire da Suor Geneviève che alloggiate al “Trois Moulins”», mi pizzicò Monsieur Lacroix, facendosi aria con il cappello a tre punte.

            «Oui, monsieur, l’oste serve una zuppa deliziosa, dicono l’ingrediente segreto sia la maggiorana…» cianciai infastidita, tenendo d’occhio il portone d’ingresso e a portata d’orecchio qualunque suono proveniente dall’esterno.

            «Se me lo permettete avrei il piacere di ospitarvi all’interno della scuola, al piano di sopra abbiamo i confortevoli alloggi delle insegnanti… non si addice a una fanciulla di buona famiglia albergare in una sudicia locanda per la plebe», commentò altezzoso.

            Non riuscivo a smettere di fissargli il sontuoso neo – visibilmente finto – sulla guancia sinistra, colorata dalla cipria rossa.

            Sorrisi garbatamente e unii le mani all’altezza del basso ventre. «Non credo sia una buona idea dividere la stanza con una suora, potrebbe essere corrotta dalla cattiva influenza di coloro che non hanno abbracciato la causa delle Spose del Signore», confabulai, cercando di mantenere un tono cortese. Se c’è qualcosa che odio sono coloro che si impicciano degli affari altrui. «Con permesso…» mi congedai in fretta, dopo aver visto un uomo in camicia, aggirarsi tra i faggi della campagna là fuori.

            Tenendo alzate le gonne di broccato, feci ben attenzione a non incastrare i tacchi delle scarpette di velluto nel terreno, reso molliccio dal temporale di due giorni addietro.

            Mi guardai allarmata intorno, poi tastai la coscia in cerca del pugnale che tenevo incastrato sotto la sottana, preparandomi a tirarlo fuori nel caso se ne fosse presentata l’occasione.

Il sole mi abbagliava la vista e mi sentivo accaldata e delusa per l’aver perso le tracce del possibile assassino.

            Assassino… e io, allora?

Io cos’altro ero se non un’assassina al soldo della regina Marie-Antoinette? Addestrata sin da ragazzina a togliere di mezzo tutti coloro che si opponevano alla dinastia reale. La mia anima non era certo più candida di coloro che agivano in nome di un ideale puro come la “libertà”.

            «Merde, questo corsetto… mi ammazzerà…» sussurrai, prima di svenire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Locanda Trois Moulins, Paris

4 settembre 1778

           

 

Seduta sul bordo della finestra, carezzai lievemente l’anello d’ottone che portavo all’anulare e custodivo gelosamente sin da quand’avevo nove anni. La sera in cui il mio dolce cagnolino Arabesque venne schiacciato dagli zoccoli del cavallo del Marchese di Lafayette, piansi talmente tanto da far smontare di sella il dodicenne Bastian. Per dar fine alla mia disperazione ignorò i rimproveri del padre e mi sorrise tanto radiosamente da farmi scordare il motivo per cui stessi frignando e, smosso persino il cuore più duro dell’uomo, avevano fatto sì che fossi accettata nella sfarzosa Reggia di Versailles, dove col tempo le mie abilità di strada si dimostrarono utili a fini ben più importanti delle mansioni di una lavandaia.

            Temevo che questa volta non ce l’avrei fatta, mi sentivo una brutta, bruttissima sensazione addosso e se è vero che mia madre fosse conosciuta col nome di Clairvoyant, veggente in danese, forse avrei dovuto dare ascolto al subbuglio di emozioni negative che mi si stavano aggrovigliando nelle viscere.

            «O forse è solo il passato di coniglio, peperoni e fagioli…» sdrammatizzai, sorniona.

            La camera numero dodici si trovava accanto alla mia e sapevo che avrei dovuto recarmici in fretta prima che il proprietario rientrasse, per poterlo cogliere di sorpresa. Stando a quello che Marie Antoinette mi aveva spifferato avrei dovuto portare a letto il potenziale terrorista per succhiare informazioni preziose riguardo i Rivoluzionari, tuttavia eseguire l’ordine mi avrebbe fatta sentire per l’ennesima volta una persona sporca, nera. I continui tradimenti a cui ero spinta, non facevano altro che macchiare l’amore sincero che provavo per Bastian e se lui avesse saputo non credo sarebbe stato ancora dell’idea di portarmi all’altare.

            Baciai il rosario che portavo al collo, poi tramite le finestre mi inoltrai nella stanza.         

Un lume era acceso sul comò accanto alla porta, illuminando un ambiente spartano; di fianco al lettone a baldacchino, coperto da un lenzuolo di cotone bianco, c’era un semplice comodino di legno chiaro e fui attirata da un cumulo di carta poggiatavi sopra.

            Afferrai la candela e diedi un’occhiata alle carte. Su alcune vi erano scarabocchi disegnati per noia, altre mi accorsi che trattavano di documenti il cui sigillo era stato fortunatamente già spezzato. Avvicinai la fiammella alla grafia sottile di cui la carta giallina era provvista e lessi di informazioni confuse riguardanti una certa Jeanne-Louise che aveva preso accordi segreti con Suor Margot dell’ordine delle Clarisse parigine.

            Mi grattai il mento, poi misi a confronto le scritture delle lettere, constatando che si trattava sempre dello stesso mittente, sebbene si firmasse semplicemente con la lettera C.

            Nel momento in cui vidi lo schizzo di un mortaio che fa fuoco, mi feci il Segno della Croce e non ebbi più un solo dubbio: le suore in questione dovevano essere per forza appartenenti all’École du Sacré-Coeur in complotto contro il loro stesso Ordine… e l’arma quella che avrebbe fatto fuoco contro i bambini.

            In quell’istante sentii dei passi in corridoio avvicinarsi ed era troppo tardi perché potessi nascondermi, così, soffocando il senso di colpa per Bastian, mi stesi a gambe accavallate al bordo del letto che ingombrava gran parte della stanzetta, reggendo il lume di candela.

            La serratura scattò lentamente e fece capolino la sagoma ingobbita di chi è stato in piedi tutto il giorno. Socchiusi gli occhi per mettere a fuoco la figura, ma non riuscii a captarne i lineamenti.

            «Monsieur, la locandiera mi ha mandato a farvi compagnia per questa notte», azzardai, prima che l’uomo potesse credere di aver a che fare con un ladro o un malfattore.

            L’altro non disse una parola, ma lo vidi chiaramente guardare insistente in mia direzione.

            Col respiro rotto, strinsi fino a farmi male la corda che avrei presto utilizzato per metter fine all’esistenza dell’individuo che per onorare la causa della sua gente avrebbe massacrato tanti fanciulli. In fondo, grazie a quei documenti che aveva imprudentemente lasciato incustoditi, non avevo bisogno di altre informazioni.

            Entrato nella luce soffusa, rimasi impietrita.

            «Tu…?» mi sfuggì in un rantolo confuso.

            «Credevo avessi detto fossi qui per farmi felice», commentò l’altro, sedendo al mio fianco e togliendosi gli stivali di pelle e le calze. «Come sapevi che sono tornato in città? Ho pregato tua sorella di non fartene parola… Doveva essere una sorpresa…»

            Il mio cuore… il mio cuore smise di battere , non seppi spiegarmi in che modo però potessi essere ancora viva. Un dolore lancinante mi aveva tolto il respiro e dovetti chinarmi con la testa tra le ginocchia per riempire d’aria i polmoni.

Scossi i riccioli castani qua e là, incapace di poter ammettere a me stessa la verità, e se ciò avesse fatto sì che le cose non stessero così me li sarei volentieri strappati.

            «Ti senti bene?» s’informò, poggiandomi una mano tiepida sulla guancia. «Sei bollente… Vado a prenderti dell’acqua?»

            «No!» strillai con un filo di voce. «No!» ripetei incredula. «No…» terminai impotente. «Che diavolo ti è saltato in mente, Bastian? Dei bambini? E per cosa? Per la causa persa in partenza del popolo, eh?» gemetti, lasciando andare la corda.

            Lui non disse una parola, si sporse in avanti e diede un’occhiata alle lettere sul comodino, poi lo sentii chiaramente deglutire e sospirare. «Sono cose che non avresti dovuto sapere.»

            «Sono cose orribili! E rappresentano pensieri che non avrebbero dovuto sfiorarti nemmeno per scherzo», pigolai, senza riuscire a guardarlo.

            «Georgie, la Riv…»

            «Sì, sì lo so: la Rivoluzione è vicina e “rivoluzionerà” tutto! Non fate altro che ripeterlo tutti! È un pensiero assurdo! È questo che fai quando sei lontano da Parigi? Trami alle spalle di Luois e Antoinette? Trami alle mie spalle?»

            «Non farne un problema personale.»

            «Oh, sai bene che lavoro al soldo della regina… sai bene qual è il mio mestiere. Perché Bastian? Perché? Proprio tu, tra tutti…» sussurrai.

            Le lacrime gocciolarono sulla gonna di broccato verde, macchiandolo di rabbia, paura e rassegnazione.

            «Non sei qui per il tuo fidanzato, vero?» domandò Bastian, fissando su di me gli occhi verde smeraldo che alla luce della candela parevano liquide pozze nere. «Sei qui per togliere dalla circolazione il “rivoluzionario”…»

            Non c’era spazio per i sentimenti.

            Lo schiaffeggiai prepotentemente. Mi alzai di scatto e mi inginocchiai su di lui, stringendo con forza la corda pesante di feltro. Sentivo il suo corpo pronto sotto al mio, e mi schiacciai leggiadra sul suo petto, inebriandomi del suo profumo misto a erba tagliata e cognac.

            Sfiorai il suo collo con la corda, poi lo strinsi tra le dita della mano libera, senza fargli davvero del male.

            «Je t’aime, Bastian», bisbigliai, «ma non avresti dovuto tradirmi.»

            «Ti hanno mandata ad uccidermi», sentenziò, invertendo le posizioni e facendosi strada sotto la mia gonna. Premette il collo ancor più forte contro la corda. «Allora fallo.»

            «Dovevi aspettarti che il piano di far saltare in aria l’École non sarebbe certo stato segreto alle orecchie della Corte, non sai che tra i ribelli ci sono gli amanti delle spie de la Rein?» gli rinfacciai, slacciandogli i calzoni e lasciando che mi scostasse dalle spalle l’abito.

Con i piedi scalciai giù dal letto l’obsoleta arma del delitto.

            Necessitavamo entrambi di un nostro momento, prima… prima della fine.

            «Oui?» borbottò, attanagliandomi le mani e inchiodandole alle lenzuola. «Sono anch’io lo squallido amante di una Dama di Corte?»

            «Mi hai lasciato credere di lavorare per Monsieur Jacques Turgot!» annaspai, sull’orlo di un ringhio violento. Gli battei i pugni contro il petto nudo e puntai le unghie nelle sue spalle.

            Fece scorrere le braccia sotto la mia schiena e mi strinse al suo corpo caldo, baciandomi intensamente e con passione feroce. Mi morse il lobo dell’orecchio, facendo tintinnare l’orecchino di smeraldo che me l’adornava.

«Je t’aime, Georgie», fremé, «ma non ho chiesto io che Dio ci donasse queste vite.»

            Inarcai la spina dorsale e ferita nel profondo dall’assoluta verità delle sue parole, conficcai ancor più le unghie nella sua carne, decisa a punirlo per non esser stato sincero con me. Per non aver scelto di stare dalla mia parte.

            Eliminato quel che restava dei nostri abiti, e senza attendere che fossi pronta ad accoglierlo, entrò con aggressività, impossessandosi della mia bocca e di ogni centimetro della mia pelle, reclamando la sua proprietà.

            Lui era mio. Ed io sua.

            «Non sarebbe dovuta andare così» ansimò.

            «Non era previsto», gemetti, attirandolo per i capelli chiari contro di me con uno strattone.

            Io ero sua. E lui mio.

            Ogni colpo, pura passione trasformata in un attimo di rabbia che ci urlava quanto fossimo sfortunati a ricoprire il ruolo che il Destino ci aveva imposto senza che ce ne fossimo mai accorti. Infine ci eravamo ritrovati ad essere le due metà di una realtà in cui Bene e Male si confondevano, in cui ognuna delle due fazioni credeva di detenere lo scettro della ragione senza accorgersi di essere invece ben peggio di un virus che a lungo andare avrebbe distrutto il Paese.

            «Bastian, abbandona questa follia», boccheggiai, coprendogli di baci il viso. «Lascia stare, ti scongiuro…»

            «Non posso cambiare quel che sono, Georgie, come tu non puoi cambiare quel che sei».

            Se fossimo stati altre persone, in un’altra vita, sarebbe stato semplice fuggire e lasciarsi tutto alle spalle, pensai amareggiata e la mente fredda e calcolatrice che negli anni aveva rimpiazzato la fanciulla innocente che fui lo sapeva molto bene.

Bastian aveva commesso il fatale errore di non disarmarmi. Frattanto che i nostri bacini danzavano in sincronia, gli strinsi le anche tra le mie cosce e feci scorrere le dita bianche lungo la mia gamba destra, sfilando silenziosamente il pugnale che tenevo fissato nella giarrettiera.

            All’apice del nostro amore, gememmo all’unisono, parendomi di poter toccare la punta delle stelle di quella notte senza luna. Quando tornai lucida, premetti la lama contro la gola di Bastian, incapace a credere che davvero avrei trovato il coraggio di esaudire la richiesta di sua maestà.

            «Per l’ultima volta: rinuncia, Bastian», lo supplicai con voce stridula. «Non mettere la Rivoluzione davanti a noi due. Se impedirò la strage de les énfants, le Roi farà sì che l’abate ci sposi à Notre Dame

            «A quale prezzo, Georgie?»

            «A quale prezzo?» ripetei. «Migliaia di vite innocenti preservate non lo ritieni un buon compromesso per la celebrazione della nostra unione davanti a Dio?»

            Bastian si sfilò da me, elevandosi di qualche centimetro più in alto. Attanagliò le mie mani e compresse ancor più il collo contro al pugnale. «Ammazzami, Georgie, non voglio esserti nemico. Preferisco morire ora tra le tue braccia finché non sono costretto a esserti ostile», bisbigliò, carezzandomi dolcemente l’avambraccio.  «Ammazzami, Georgie.»

            La Rivoluzione incombente era più grande di noi due messi insieme, persino della Francia stessa. Lasciai scivolarmi una lacrima lungo la guancia, poi strizzando gli occhi con un colpo secco tagliai la gola del mio unico amore, in nome di un ideale che non mi sarebbe mai appartenuto.

            Strinsi forte a me il corpo esanime di Bastian, piangendo senza emettere un solo gemito. Lasciai che il suo sangue caldo mi sporcasse tutta, che tutta ero già sporca fino al midollo.

            Gli baciai il volto e restai immobile nel buio, in attesa di un nuovo giorno.

Perlomeno la vita di centinaia di poveri bambini era salva, consapevole che finché le rivolte fossero tenute sotto scacco, nessun’anima innocente avrebbe pagato con la vita il caro prezzo della vita stessa.

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cimitière du Père-Lachaise, Paris

14 luglio 1789

 

 

            Inginocchiata sul soffice prato, tenni stretta la mano di Blanche, che con i suoi occhioni verde smeraldo osservava in religioso silenzio la lapide di suo padre.

            Sciolse la manina dalla mia e si allontanò per un istante, andando a cogliere dall’aiuola più in là un mazzetto di margherite che poggiò con un sorriso a ridosso del marmo.

            «Maman, a papà piacevano i fiori?»

            «Oui, adorava passare il tempo libero all’aria aperta… profumava sempre di erba appena tagliata e…»

            «… di cognac, sì lo so, maman: lo dici sempre.»

            Volsi lo sguardo argentato sulla chioma biondo scuro della mia bambina e le sorrisi, sinceramente commossa da quanto avesse preso da Bastian sia fisicamente che caratterialmente, era la sua copia precisa e non potevo che essere orgogliosa di questo.

            Dare alla figlia dell’unico uomo che avessi mai amato la vita che gli avevo tolto, contribuiva un poco ad alleggerirmi il macigno di sensi di colpa che quotidianamente mi prosciugava la forza di andare avanti.

Dopo aver assassinato il mio futuro sposo, per tre interi mesi non dissi una parola, finché non mi resi conto di portare in grembo il suo erede, allora la gioia fu talmente grande da farmi esplodere in una risata gioiosa e quel giorno ripresi l’uso della voce, ma abbandonai definitivamente Versailles, troppo satura di intrighi insostenibili.

            L’eco di un’esplosione vicina ci fece sussultare entrambe. Mi alzai velocemente e notai a ovest del fumo nero e la luce di scoppi di cannone. La voce dei soldati giunse fino a noi.

Come preannunciato da Monsieur Jacques di rue Fernassent, la Bastiglia era stata attaccata… come predetto da Bastian, la Rivoluzione era cominciata…

            «Presto, Blanche, dobbiamo andarcene di qui!»

            «Quando salpa la nave, maman?» s’informò, tremando al suono della guerra che dilagava al di là delle mura di Père-Lachaise.

            «Al calar del sole, chérie; non penso attenderanno oltre, ora che la Bastiglia è sotto attacco!»

            La bambina annuì, poi unì le mani davanti le labbra. «Abbiamo almeno il tempo di dire una preghiera per papà?»

            Osservai intenerita sia lei che la tomba, poi le carezzai dolcemente il capo e sì, le confermai che il tempo per intonare una preghiera alla Madonna per Bastian ci sarebbe sempre stato.

Prima di spiegare le vele alla volta dell’Inghilterra, pregammo per lui e sperammo che la guerra ci avrebbe salvati tutti dal mondo corrotto, macchiato dalla crudeltà e dalla superbia dell’uomo.

 

Fin.

 

 

 

 

NOTE

 

* Temo di essermi accorta troppo tardi che il presunto padre di Bastian, il Marchese di Lafayette, nel 1768 fosse fin troppo giovane per poter avere di già un figlio di 12 anni.

** Il cimitero di Père-Lachaise fu inaugurato nel 1803, ma necessitando del nome di un cimitero parigino, mi sono presa la libertà che durante la Rivoluzione Francese esistesse già.

*** Il nome della scuola e la sua ubicazione sono puramente immaginarie.

  
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