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Autore: allegretto    07/07/2012    5 recensioni
Progetto nato nel giro di una notte grazie ad un sogno, e che coinvolge persone reali come in una specie di gioco di ruolo. In uno scenario apocalittico i ragazzi devono imparare a cavarsela da soli e a mettere in pratica le loro qualità e capacità, mentre fatti inspiegabili accadono intorno a loro.
Trama: In una notte spariscono tutti gli adulti o quasi. Rimangono solo bambini, ragazzi, giovani e qualche adulto, come la sottoscritta. L'ambientazione è Genova, principalmente Sampierdarena, ma non è detto. Il nemico non è ben identificato, all'inizio. E' successo qualcosa di irreparabile e si dovrà capire come e cosa è accaduto.
Storia scritta da me, ma con l' ausilio di DarkAngel90, MaikoxMilo e Michywinchester e con il betaggio delle stesse.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo capitolo

 

Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre”

Gandhi

 

I punti di raccolta sono alla Foce, presso l'entrata della Fiera. A Bolzaneto, presso il mercato ortofrutticolo all'ingrosso. A Sampierdarena, nei giardini della Fiumara. A Voltri e a Nervi dai caselli autostradali. Ripetiamo, ci sono state due esplosioni a Roma e a Napoli. Non si hanno notizie sul numero di morti e feriti. E' stato decretata l'emergenza nazionale e si crede che altre città possano subire la stessa sorte. Per questo motivo tutta la popolazione di Genova deve essere evacuata in zone più tranquille”, ripeteva senza sosta la radio e io rimasi a bocca aperta a osservare l'apparecchio come se, da un momento all'altro, avesse potuto esplodermi tra le mani.

Non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse successo. Continuavo a ripetermi che era impossibile. Mentre tentavo di trovare un senso a quanto udito e a cercare di delineare un futuro così pieno di incertezze, soprattutto carente di punti di riferimento come la mia casa, i miei libri e la mia carriera, pensai ai miei studenti ai quali avevo dedicato anni di lavoro e dedizione. Ero stata ricambiata ampiamente, visto che anche quelli che avevano terminato gli studi regolari, continuavano a frequentare la mia casa, ma cosa ne sarebbe stato di loro? Se ci fossero stati campi di raccolta, sicuramente ci saremmo persi e quel pensiero mi intristì profondamente.

Alle sei decisi di svegliare i ragazzi. Preparai loro un po' di caffè e diedi loro un paio di biscotti a testa. Nessuno si lamentò, né del fatto che il latte fosse poco né della qualità dei frollini. Mentre albeggiava, decisi di far ascoltare loro il messaggio che continuava a essere divulgato da una radio locale, ma non di getto. Non erano più bambini, era vero. La più piccola era Michela, 17 anni, carattere esuberante, chiacchierona all'inverosimile, un po' sbadata ma in grado di far fronte alle difficoltà con arguzia, molto paziente con i bambini; Marta, 18 anni, seria, sensibile e riflessiva, perennemente con un libro in mano, sempre pronta a citare massime filosofiche e amante degli animali; Francesca, 20 anni, studentessa di scienze naturali e appassionata di zoologia, dallo spirito straordinario, consolatrice, un po' testarda ma con un raffinato senso dell'umorismo;
Daniele, 20 anni, il MacGyver del gruppo, soprattutto in informatica, studente di legge, intelligente, buon osservatore, altruista e anche lui dotato di ottimo senso dell'umorismo. Erano ragazzi maturi per la loro età e io ne ero fiera.
In quella notte, però, la loro vita era cambiata, forse per sempre ed era giusto dar loro il tempo di piombare nell'età adulta con gradualità.

Ho captato con la radio un messaggio che va avanti da tutta la notte. Spiega un po' cosa è successo. E' abbastanza sconvolgente. Ora ve lo faccio sentire. Poi, quando lo avrete assimilato, vi accompagno a casa. Prima Marta, poi Francesca e poi Daniele. Ok?”, spiegai, mentre bevevo l'ultimo sorso di caffè.

Sconvolgente? Cosa vuol dire?!”, chiese Marta, con pallore crescente.

E' avvenuta una cosa che non avrei mai pensato accadesse....la nostra vita è cambiata stanotte e non so se sarà più la stessa d'ora in poi...”, provai a spiegare, cercando di stare calma ma mi si era formato un nodo alla gola che mi impediva di parlare chiaramente.

Daniele dava segni di insofferenza. Voleva andare a casa. Di certo non lo biasimavo affatto. Anche io avrei voluto sapere come stavano i miei cari. Francesca non tradiva alcuna emozione. Era impassibile ma sapevo che dentro di sé era tutta un tremito e agitazione. L'unica tranquilla era Michela. Lei, i suoi genitori, li aveva visti la notte prima. Marta voleva risposte e mi incitò a prendere la radio e a far sentire loro questa notizia così incredibile. Quasi come se io avessi ingigantito la notizia per far torto a loro.

Il messaggio era identico. Lo ascoltarono più volte con crescente ansia e inquietudine. Alcuni con la bocca spalancata dalla sorpresa e dal terrore crescente. Altri con gli occhi inondati di lacrime e il respiro affannoso. Erano stati aggiunti alcuni particolari. “E' obbligatorio recarsi ai punti di raccolta. Chi verrà sorpreso a vagare in città, sarà portato via con la forza. Gli sciacalli saranno passati per le armi non appena sorpresi a rubare. E' stato decretata la legge marziale. Chi vi parla è un funzionario dello stato maggiore”

Ci guardammo tutti in faccia senza parlare. Incapaci di reagire. La parola che girava nelle nostre teste era una sola: 'è un incubo! Qualcuno mi svegli!'

Poi come se qualcuno avesse dato il via, tutti iniziammo a parlare, a fare domande e a disperarci.

Roma? Napoli? Esplosioni?”, chiese Daniele, concitato, iniziando ad andare su e giù per la cucina.

Punti di raccolta? Ma allora dobbiamo andare perché saranno tutti là”, esclamò Marta, pratica.

Dani, cosa è la legge marziale?”, chiese Michela, ad un tratto, mentre si asciugava le lacrime che le scivolavano giù lungo le guance.

Il governo della città e forse del paese è passato in mano militare. Sono loro che decidono!”, spiegò lui, fresco di esame universitario in diritto alla facoltà di legge.

Sciacalli? Passati per le armi?”, chiese Francesca, rivolta sia a me che al suo amico.

Chi ruba nelle case e nei negozi abbandonati viene fucilato!”, risposi io.

Cosa facciamo?”, chiese poi Francesca, alzandosi in piedi, lasciando trasparire una certa agitazione.

Mettiamo in atto quanto detto prima. Magari i vostri genitori vi hanno aspettato o stanno venendo qui. Proviamo ad andare loro incontro. Tanto poi andremo tutti al punto di raccolta”, esclamai. In quel momento sentii passare vicino alle mie gambe il mio gatto e mi resi conto che non sarei mai potuta andare al centro di raccolta senza di lui. Non lo avrei mai lasciato in casa da solo. Piuttosto sarei morta!

Decisi così che dopo aver accompagnato i ragazzi dai loro rispettivi genitori, sarei tornata a casa dal mio micio e aspettato lì il mio destino.

Michela, vai a casa e chiedi ai tuoi cosa hanno intenzione di fare. Semmai potete vedervi tutti alla Fiumara. Ti aspettiamo nel portone. Vai!”, la incitai, dopo essermi ricomposta un attimo.

Lei annuì ed uscì di casa. Gli altri raccolsero i loro effetti personali e iniziarono a mettersi le giacche. Controllammo ancora una volta se il telefono di casa, i vari cellulari e il portatile funzionassero. Nulla. Erano morti.

L'unica cosa che causa il non utilizzo di strumenti elettronici è il contraccolpo di un'esplosione nucleare!”, disse Marta ad un certo punto.

Solo tu potevi saperlo, vero, enciclopedia ambulante!”, esclamò Francesca, prorompendo in una risatina isterica.

Credo lo sapesse anche Claudia ma si è guardata bene dal dircelo. Forse se fossi stata zitta, sarebbe stato meglio!”, replicò Marta, guardandomi, contrita.

Prima o poi dovevamo dirlo. Hai fatto bene!”, la incoraggiai, con un buffetto sulla guancia.

Stavo per aprire la porta di casa, quando udii bussare con veemenza.

Era Michela. “In casa non c'era nessuno. Mi hanno lasciato un biglietto. Sono andati a prendere mia sorella”, disse con difficoltà, visto il fiatone dopo le scale percorse in salita di corsa,

In braccio aveva Artù, il suo cane. “Posso lasciarlo qui?”, chiese Michela.

Annuii, pensando che appena i genitori di Michela fossero tornati, lo avrebbero ripreso.

Uscimmo poco dopo. Michela con noi. Aveva paura a stare da sola. In fila indiana sul marciapiede, nonostante l'assenza di traffico, percorremmo la strada fino a casa di Marta. Non incontrammo nessuno. Il silenzio era assordante. Alcune macchine erano abbandonate sulla carreggiata. Guardai dentro. Tutte con le chiavi inserite nel quadro accensione. Nonostante non fosse freddo per quella mattina di inizio maggio, avevo la pelle d'oca. Giunti al suo portone, dissi alla ragazza di andare su e poi dalla finestra di casa avrebbe dovuto comunicarci quando e dove vederci al punto di raccolta.

Passarono alcuni minuti. Eravamo tutti sotto il suo poggiolo, ognuno perso nei propri pensieri, quando, improvvisamente, la vidi spuntare fuori dal portone. Marta, uno scricciolo di ragazza, magra ma non filiforme, in grado di scalare una montagna e mangiarsi una pentola intera di pasta, era, se possibile, ancora più minuta ed emaciata.

Non c'è nessuno in casa. Ho trovato la porta aperta. Non sembra sia stato toccato nulla ma non è normale che la porta non sia stata chiusa. I miei non lo farebbero mai. Cosa sarà successo?”, chiese con le lacrime agli occhi e il labbro inferiore tremante.

Ok, Marta. Facciamo così. Adesso andiamo su insieme, ti aiuto a prendere un ricambio di abiti e poi torniamo a casa mia. Lasciamo un biglietto ai tuoi così sanno dove trovarti. Ok?”, le dissi, cercando di non far trasparire l'inquietudine che mi stava avvolgendo come un sudario. Lei scoppiò in singhiozzi e io non potei far altro che stringerla fra le mie braccia.

Daniele, per favore, accompagna Francesca a casa. Se non trovate nessuno neanche voi, fatevi una sacca con vestiti comodi e caldi e tornate da me. Lasciate un biglietto con su scritto dove siete. Ok?”, spiegai loro, cercando di essere positiva.

Il giovane annuì. Le ragazze si abbracciarono fra di loro prima di separarsi. Mentre Marta, Michela ed io entravamo nel portone, salutai con un gesto della mano i due che si allontanavano.

La casa era in ordine. Tutto era al suo posto. Mentre Marta riempiva una sacca con delle tute, scarpe da ginnastica e biancheria intima, controllai se la radio in cucina avesse le batterie, poi la accesi e iniziai a cercare la stazione che avevo captato la notte precedente.

C'era sempre lo stesso messaggio. La lasciai accesa, mentre cercavo nei cassetti della credenza batterie, candele e torce.

Posso anche io prendere Asia e portarla da te?”, chiese Marta, in tono supplichevole, mentre teneva in braccio la sua micia.

'Come avrei potuto dirle di no. Come?', pensai, prima di risponderle.

Certo, Marta. Non possiamo certo lasciarla qui, no? Prendi anche la sua lettiera e se ci sono delle scatolette per darle da mangiare!”, esclamai, cercando di essere positiva.

Michela, cerca dei sacchetti, e metti dentro delle coperte e anche dei cuscini”, istruii la ragazza. “Dovremo fare una sorta di accampamento...”, mormorai, poi.

All'improvviso sentii un rumore in strada. Un motore. Potente. Una frenata brusca.

Afferrai al volo Michela che stava andando verso il poggiolo della cucina: “Aspetta, Michela! Possono prenderci per sciacalli!”, riuscii a dirle nell'orecchio. “Continua a cercare le coperte e aiuta Marta. Non fate rumore!”, le dissi concitata, riuscendo anche a spegnere la radio.

Andai dalla finestra del bagno e sbirciai giù di sotto da una fessura della tapparella. Vidi un camion militare. Dei soldati erano scesi giù dal cassone di dietro. Imbracciavano dei mitra. Si aggiravano sospetti come se si aspettassero un'imboscata. In via dei Landi. Certo!

Ad un tratto una donna andò verso di loro. Diceva qualcosa del marito che stava male e per quello che non era ancora andata al punto di raccolta. Un soldato le chiese dove fosse il marito. Lei indicò un palazzo di fronte a quello dove eravamo noi. E poi gli disse l'interno. Il militare le ordinò di salire sul camion e che sarebbe andato lui e un compagno a prendere l'uomo. La donna non parve essere convinta ma il comando perentorio del soldato non le lasciò altra strada che obbedire.

Cinque minuti dopo una raffica di mitra mi fece sobbalzare. Le ragazze accorsero in bagno, spaventate. Feci segno loro di non parlare. Rivolsi la mia attenzione alla strada e al portone davanti al nostro. Vidi uscire i due soldati. Erano impassibili. In quel momento mi resi conto che la situazione era compromessa. La mia vocina interna continuava, imperterrita, a sussurrarmi: 'Non è quello che ci vogliono far credere...'

Che diavolo sta succedendo?”, esclamarono all'unisono le due ragazze, di nuovo sull'orlo delle lacrime.

Non parlate! Finite quello che stavate facendo....”, risposi loro. “Dobbiamo aspettare che se ne vadano”, aggiunsi, poi, sottovoce.

Quando il camion si allontanò con il sottofondo delle urla della donna che non si capacitava della morte del marito in quel modo così violento, decidemmo di uscire. Marta riuscì a trovare il suo paio di chiavi e chiuse così la porta, dopo essersi accertata che le giacche e i documenti dei genitori fossero assenti dalla casa. Segno che loro due fossero usciti dalla casa di loro spontanea volontà. Nel trasportino, perfino, Asia, era tranquilla. Come se avesse compreso che il miagolare sarebbe potuto essere pericoloso.

Rifacemmo la strada velocemente, nonostante i sacchetti pesanti che avevamo con noi. Nel passare accanto a una latteria, fui tentata di entrare e prendere del latte e altri biscotti. Non avevo tante scorte alimentari in casa. Se i ragazzi si fossero fermati per un po' a casa mia, cosa avrei dato loro da mangiare?

Marta, Michela, state qui e osservate la strada ma soprattutto non parlate e ascoltate in modo da sentire se dovesse arrivare il camion di prima. Vado dentro a prendere del latte. Ok?”, spiegai loro, mentre posavo una borsa di tela in terra.

La vetrina era già stata sfondata da qualcuno che aveva avuto la mia stessa idea. Trovai del latte a lunga conservazione. C'era del latte fresco ma sicuramente era già andato a male, visto già le dodici ore di black-out passate. Presi dei biscotti, delle fette biscottate, della marmellata e dei barattoli di verdura sotto olio. Misi tutto dentro a una borsa che trovai dietro al bancone e tornai fuori.

Le ragazze erano terrorizzate. Non volevano stare da sole. Era comprensibile. Ci incamminammo alla svelta e ben presto arrivammo dal mio portone. Avrei voluto andare incontro a Francesca e Daniele ma sapevo che se la sarebbero cavati anche da soli. Dovevo, solo, avere pazienza e attendere fiduciosa.

Troppo abituati all'uso dell'ascensore, arrivare al quinto piano, tramite le scale, fu un'impresa ardua ma alla fine riuscimmo a farcela con un po' di fatica.

Artù si era acciambellato sul divano mentre Mr Churchill (ebbene sì, il mio gatto dal nome altisonante) dormiva accanto a lui. Mi venne improvvisa la voglia di far loro una foto ma poi mi ricordai che il mio cellulare era inservibile!

Decidemmo di trasformare la mia camera da letto in un immenso accampamento, fatto di coperte distese per terra e cuscini messi alla meno peggio. Lo studio doveva rimanere intatto per permettere un certo senso di libertà a coloro che volessero leggere, scrivere o comunque rilassarsi un attimo. La cucina e il bagno con la loro funzione originaria. Impiegammo più di due ore a mettere a posto e mentre ci rilassavamo, sorseggiando una tazza di tè, sentimmo bussare alla porta.

Aprii la porta, trovandomi davanti Daniele e Francesca. Erano sconvolti. Dai loro bagagli, compresi che non avevano trovato nessuno nelle loro case. Non dissi nulla. Li feci sedere in cucina, diedi loro un po' di quella bevanda fumante che stavamo bevendo noi con tanto zucchero e aspettai che mi raccontassero cosa avevano visto. Sperai, in cuor mio, che non fossero stati testimoni di quello che era accaduto a noi ma dalle loro espressioni, avrei giurato che avessero assistito ad eventi ben peggiori dei nostri!

  
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