Trecentodiciannove
If I trust
in you, would you let me down?
Would you laugh at me, if I
said I care for you?
Could you feel the same way too?
Quando il cuore
stordì, e ora no, non ricordo se fu troppo sgomento o troppo
felice
Questa volta, se per
caso fosse amore, me lo voglio meritare
(2/2)
Parte
Seconda - Hajnalka
The day before you came
Ci voleva lei, ci voleva lei, ci
voleva lei
Che ti portasse fino a qui, perché
fossi come sei, perché fossi così
Ci voleva, sì
Ci voleva lui, ci voleva lui, ci voleva lui
Perché ritrovassi me, perché forse in
fondo è vero che per essere capaci di vedere cosa siamo
Dobbiamo allontanarci e
poi guardarci da lontano
(Il Viaggio, Daniele Silvestri)
[...]
Fatalità
Ha il tuo destino in mano
Fatalità
La trovi sulla tua via
Fatalità
Tu sei nessuno o sei un dio
Fatalità
Tu sei puttana o sei re
Fatalità
La vita la devi a lei
(Fatalità, Notre Dame de Paris)
Suo padre e i suoi
fratelli l'avevano sempre difesa da tutti, anche da loro stessi.
Lei non aveva conosciuto
Zsófike, non abbastanza.
Lei non era stata ad Omsk,
e la pelle del suo polso destro era candida e liscia.
Lei non era mai stata in
prigione, perché suo padre e i suoi fratelli l'avevano impedito.
La sua migliore amica, la
biondissima e sregolata Natal'ja, era l'eroina del quartiere.
La figlia adottiva di suo
padre e la sorella acquisita dei suoi fratelli.
Hajnalka adorava quella
ragazzina, e la cosa era reciproca.
Aveva solo un mese in più
di lei, un mese esatto, poiché Alja era nata il 27 Febbraio 1825 e lei il 27
Marzo dello stesso anno, ma Alja dimostrava quasi l'età di Feri, sei anni di
più.
Lys invidiava l'innocenza
di Hajnal, quell'innocenza che lei non si poteva più permettere da troppo
tempo, e Hajnal invidiava il coraggio di Lys, quel coraggio che per suo padre e
i suoi fratelli era naturale e a lei era proibito.
Che poi, nel loro caso,
"invidia" era sinonimo di "ammirazione".
Si volevano troppo bene.
Hajnalka era l'unica
femmina di cinque fratelli, nonché l'ultima nata.
Fin qui, non c'era proprio
niente di strano.
Anzi, per molti era una
vera fortuna: le femmine, si sapeva, erano sempre state le più difficili da
sistemare, specialmente nelle famiglie povere come la loro.
In mancanza di una dote
quantomeno accettabile, l'unica soluzione possibile era la prostituzione.
I maschi, invece, potevano
fare qualsiasi cosa.
Rubare, arruolarsi.
Partire e reinventarsi una
storia, una famiglia, un destino.
Cercare fortuna in un
Paese lontanissimo trovato per caso sull'Atlante e mantenere i genitori, i
fratelli, i figli e i nipoti con una nuova, incredibile ricchezza.
Questo potevano farlo solo
gli uomini.
Le donne, in quel mondo,
non avevano futuro.
Non era sempre così,
ovviamente, anzi, piuttosto spesso, ma queste frequenti e scomode eccezioni non
erano mai state tenute nella giusta considerazione.
La Società Ottocentesca
amava gli stereotipi.
Viveva di luoghi comuni
che quel caro, geniale ragazzo di Akakij Ul'janov definiva "tanto pingui
da far venire i brividi".
Le donne, semplicemente, non esistevano.
Acconciature troppo
elaborate, poco credibili.
Come se fossero state
credibili le parrucche del Re Sole.
Vestiti troppo lunghi e
ingombranti, corsetti che sbriciolavano le ossa in una morsa soffocante.
Come se l'avessero scelto
loro, di andarsi a rinchiudere in quelle armature deliziosamente ricamate, e
per questo oltremodo ingannevoli, ingannevoli come un bel ragazzo povero a
Corte che fingeva l'amore per la più nobile e la meno carina, ed era così
evidente che tutti lo capivano e la compativano molto, ma era così che andava
il mondo, il Bel Mondo traditore che nessuno aveva mai il coraggio di tradire.
I corsetti vendevano la
bellezza in cambio di sofferenze atroci, ma la bellezza in fondo era un regalo
della sorte, della nascita, della natura, e se eri bella potevi fare come Lys:
annodare la sottoveste in vita, sciogliere i capelli, girare scalza e
fregartene degli sguardi di chi aveva un insulto già sulla lingua e una
velenosa invidia in fondo al cuore.
A quest'argomento Akakij
aveva dedicato l'ultimo numero della Prospettiva
Nevskij, e come da copione l'avevano arrestato.
Ormai ci aveva fatto il
callo, e, ridendo di cuore, aveva sfidato il suo secondino con una frase che
gli era costata un pasto saltato: "Che
noiosa, questa Società!".
Tanto ormai il giornale
era uscito, e il ventisettenne Ul'janov si era riaffermato l'idolo dei
cosiddetti "Rivoluzionari della carta".
Digressioni a parte,
Hajnalka era l'unica femmina di cinque fratelli, ma non era questo, il punto.
Hajnalka era la prima figlia
femmina di un Desztor dopo secoli.
I Desztor non erano
affatto maschilisti, anzi, tenevano le donne in gran considerazione, ma
finivano sempre per sbagliare qualcosa, e le loro donne finivano molto male.
Non bisognava fargliene
una colpa.
Neanche quando erano
innamorati persi, neanche quando erano disposti a dare la vita, riuscivano a
salvare la donna che amavano.
Era come una maledizione.
Hajnalka aveva fatto
sorridere Zsófike e piangere di gioia Kolnay.
Era un Desztor fortunato.
La nascita di sua figlia,
e gli sembrava quasi incredibile poter dire "sua
figlia", era stata la sua prima Rivoluzione.
Ad Hajnalka, però, non
doveva succedere niente.
E, com'era caratteristico
dei Desztor, lui e i quattro scapestrati ch'erano nati prima di Hajnal, perché
non le succedesse niente, avevano
esagerato.
Capitano che risolvi con l’astuzia
ogni avventura
Ti ricordi di un soldato che ogni
volta ha più paura?
(Itaca, Lucio Dalla)
Ferenc Dmitrievič Novakovič era
nato a Prešporok, antica capitale del Regno d’Ungheria e
futura Bratislava slovacca, alle prime luci del 16 Aprile 1825.
Era un bel ragazzo, dai
folti capelli neri e i limpidi occhi azzurri, un po’ come Lörinc.
Abitava a Shtorm, proprio
di fronte a Farkas Dragan, ma, come il suo migliore amico Péter Bolkonskij, il
pittore, non era mai stato abbastanza coraggioso per entrare nella banda del
biondino rumeno.
Nonostante questo, era
sempre riuscito a mantenere con lui e gli altri Shtormiani un rapporto
relativamente civile, anche perché era fin troppo consapevole che dopo un loro
pestaggio non si sarebbe rialzato più.
Non era esattamente un
eroe, Ferenc.
Sognava di arruolarsi
nell’Esercito Russo o Ungherese, un giorno, ma probabilmente l’avrebbero
riformato per il fisico gracile e la tendenza alla codardia.
Era quest’ultima, più che
altro, la sua rovina.
E se incontrava per strada
Pál e Csák Desztor, gli eroi del momento, e probabilmente dell’intero secolo,
si sentiva morire.
Zingari, figli di un
criminale leggendario, Kolnay, evasi dopo quasi tre anni di lavori forzati ad
Omsk, pelle ed ossa per l’estrema povertà e pelle nivea solcata da innumerevoli
cicatrici.
Pál ad Omsk aveva addirittura perso due dita, ma teneva ugualmente il fucile nella mano destra, con le
tre rimaste.
Belli e spavaldi come
pochi, li invidiava con un’intensità quasi dolorosa.
Avrebbero sicuramente riso
di lui, come facevano sempre Farkas Dragan e i suoi amici.
E avrebbe riso di lui
anche la loro adorabile sorellina.
Inevitabilmente.
Hajnalka era la migliore
amica di Natal’ja, e quella biondina l’aveva quasi fatto impazzire, nei suoi
primi anni in Russia, e non solo.
Era la reginetta di
Forradalom, e lo prendeva in giro molto più di quanto potesse permettersi.
Oh, se solo avesse avuto il destro di Farkas
Dragan...
Gliel’avrebbe fatta pagare, a quella maledetta.
Alja, in questo, era
dannatamente identica a Jànos.
Era la migliore amica di
un bastardo, un infame che si credeva il re del mondo, il dio zigano della
periferia di Krasnojarsk, ed era la sua migliore amica perché era come lui.
Natal’ja Zirovskaja e
Jànos Desztor erano il suo incubo, il suo incubo personale.
Anche senza parlare lo
facevano sentire una nullità.
E come dargli torto, poi?
Loro sì che avevano un
posto nel mondo, e i loro nomi e i loro sorrisi dipinti erano sempre sui
volantini dei teppisti di strada più ricercati.
Erano, insieme a Feri, il
fratello maggiore di Jànos ed Hajnal, i fondatori di un quartiere.
Il quartiere dei sogni, Forradalom.
Il suo amico Péter, pur
non avendo un gran coraggio, dipingeva divinamente, e glielo riconoscevano
tutti.
Per Ferenc era difficile,
troppo difficile, guadagnarsi il rispetto degli altri.
Hajnalka era diversa da
Lys e dai suoi fratelli.
Hajnalka era la ragazza dei suoi sogni.
Natal’ja l’aveva capito, e
senza aspettare neanche un secondo era corsa a raccontarlo a Jàn.
Se Jànos fosse stato un
ragazzo qualsiasi, un normale fratello che veniva a sapere dalla sua migliore
amica il nome dell’aspirante pretendente di sua sorella, ci sarebbero state un
paio di raccomandazioni, un’occhiataccia, forse qualche minaccia, ma niente di
più.
Non c’era niente di così
sconvolgente: Hajnalka era una bella ragazza e Ferenc si era innamorato di lei.
Ma Jànos non era un
ragazzo qualsiasi né un normale fratello -gli aggettivi “qualsiasi” e “normale”
erano quanto di più lontano dai Desztor e dai Forradalmi potesse esistere-, e il
fatto che lui lo sapesse non lo faceva stare affatto tranquillo.
Così, quando il 3 Marzo
1838, circa alle nove e un quarto del mattino, aveva sentito bussare e s’era
trovato davanti Pál, Csák, Feri e Jànos, con le fiamme negli occhi e un’aria
spaventosamente cupa, la sua inquietudine aveva sfiorato le stelle.
Aveva chiuso loro precipitosamente
la porta in faccia e, con il cuore in gola, s’era rifugiato in camera.
Era passato un attimo, non
di più.
Uno schianto gli aveva
annunciato ch’erano entrati dalla finestra.
Quale finestra, poi, non
voleva saperlo.
Aveva dato quattro giri di
chiave alla porta della sua stanza e s’era seduto in un angolo, sul pavimento, con un
terribile vuoto allo stomaco, una voragine di brividi e vertigini che lo
inchiodava al muro, facendolo tremare come mai nella sua vita.
Erano stati attimi di
terrore, e quando Feri aveva sfondato la porta era quasi svenuto dalla paura.
Jànos l’aveva afferrato
per il colletto della camicia, bruciandolo con i suoi occhi nerissimi e
luminosi.
-Stai lontano da Hajnalka.
Dimenticala. Finché vivremo, nessuno deve
avvicinarsi a nostra sorella. Mai, per nessun motivo al mondo. Nessuno-
Le aveva sibilate, queste
parole, e per di più in ungherese, ma nel 1825 come nel 1838 quella che un
giorno si sarebbe chiamata Slovacchia era parte dell’Ungheria, e Ferenc
conosceva bene la lingua.
Con le lacrime agli occhi,
non aveva potuto fare altro che annuire.
-Deve ancora nascere,
l’uomo che si avvicinerà ad Hajnal senza essere massacrato come una bestia-
aveva sputato Pál, tra i denti.
-La nostra Hajnal, eh? Vola basso, Novakovič! Non avresti nemmeno
il diritto di guardarla- aveva riso
Csák, sarcastico.
Feri s’era limitato a
guardarlo...
Ma il primo pugno gliel’aveva tirato lui.
Il resto, semplicemente, non voleva ricordarlo.
Non sapeva quanto tempo
fosse passato.
Non sapeva quando se
n’erano andati.
Era svenuto davvero, per
tutte le botte che gli avevano dato.
Aveva riaperto gli occhi a
fatica, solo sentendo le grida di sua madre che, appena rincasata, l’aveva
trovato in condizioni che dire “pietose” era un eufemismo.
Era vivo per miracolo.
Farkas Dragan, quando
aveva saputo cos’era successo, era scoppiato a ridere.
Invece di andare su tutte
le furie perché i Desztor avevano invaso il suo territorio, il suo quartiere, senza permesso,
oltrepassando il confine tra Forradalom e Shtorm, aveva riso.
Da quel giorno, Ferenc
aveva visto Hajnalka rarissime volte, e solo di sfuggita.
Che poi, neanche prima che
i fratelli Desztor gli “facessero visita”, le aveva mai rivolto la parola.
Solo una volta, quando, il
1 Marzo 1838, due giorni prima del pestaggio, al ballo allestito ogni anno a
Palazzo Dolokov, il Fiore d’Inverno,
aveva provato ad attirare la sua attenzione, prontamente smontato da Natal’ja.
Lei conosceva a malapena il suo nome.
I Desztor erano il terrore
del quartiere, della città e dell’intero Paese.
I Desztor non scherzavano mai.
E, sicuramente, la loro
intimidazione aveva funzionato.
Solo un pazzo avrebbe
potuto perseverare la corte ad una ragazza che aveva fratelli del genere, e
Ferenc Dmitrievič Novakovič, codardo nato, aveva già pagato
abbastanza per una dichiarazione che non aveva mai avuto il coraggio di fare.
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue
(La Guerra di Piero, Fabrizio De
André)
Loro volevano difendere
Hajnalka, e lo facevano nel modo sbagliato.
Loro non potevano permettersi di perdere la loro
piccola Hajnal.
Theodorakis, in quei
giorni in Russia, era diventato amico di Feri e Jànos, o qualcosa del genere.
Sarebbe bastato?
Hajnal, ogni volta che lo
guardava, sentiva come dei capogiri, un batticuore che la spaventava.
Era troppo bello, Theo,
troppo bello e troppo grande.
Aveva quasi ventotto anni,
e un modo di sfidare tutto e tutti che lei nemmeno si sognava.
I suoi fratelli non le
avrebbero mai permesso di rischiare i suoi diciassette anni, la sua dolcezza e
la sua fragilità per quello sfrontato e strafottente biondino greco.
Anzi, per nessuno.
Innamorarsi era troppo
pericoloso, per Hajnal.
Saperla innamorata era
quasi come perdere.
Vederla innamorata li
avrebbe fatti solo piangere.
E infuriare come non mai.
Quanto a suo padre,
avrebbe preferito morire.
Kolnay era sempre stato chiaro, su questo: per
impedire che Hajnalka avesse la sorte di tutte le altre donne dei Desztor,
avrebbero dovuto cambiare il destino.
Sia lei che Theo avevano
una sorte già scritta, letta e imparata a memoria da anni, ma non ancora
accettata.
E nessuno aveva mai detto che dovevano accettarla.
Come nei desideri
impossibili di Theo, come nei sogni proibiti di Hajnal, sui palmi delle
rispettive mano destre, il 21 Febbraio 1843, si era aperta una ferita.
Una nuova linea mai letta prima, la promessa che
anche quanto era già stato scritto si poteva cambiare, perché, finché non lo
vivevano, niente era così sicuro.
Coming
through a cloud you're looking at me from above
And
I'm a revelation spreading out before your eyes
And
you find me beautiful and irresistible
A
giant creature that forever seems to grow in size
And
you feel a strange attraction
The
air is vibrant and electrified
Welcome
to me, here I am, my arms are open wide
Arrivi da una nube e mi guardi
dall’alto
Io sono una rivelazione che si
diffonde davanti ai tuoi occhi
E tu mi trovi bella e irresistibile
Una creatura gigante che sembra
sempre crescere di dimensione
E tu senti una strana attrazione
L’aria è vibrante ed elettrica
Benvenuto nella mia città, io sono
qui, le mie braccia sono spalancate
(I
Am The City, Abba)
Note
Prešporok (slovacco): Presburgo, attuale Bratislava.
If I trust in you, would you let me down? Would you laugh at me, if I
said I care for you? Could you feel
the same way too? - Se mi fido di te, mi farai cadere? Rideresti di me, se dicessi che tengo a te? Senti la
stessa cosa anche tu? - The Name of the Game, Abba.
Quando il cuore stordì, e
ora no, non ricordo se fu troppo sgomento o troppo felice: Un malato di cuore,
Fabrizio De André.
Questa volta, se per caso
fosse amore, me lo voglio meritare: Il Viaggio, Daniele Silvestri.
The day before you came:
Il giorno prima che tu arrivassi, Abba.
Ed ecco la Parte Seconda,
Hajnalka.
La prima figlia femmina di
un Desztor dopo secoli, generazioni e generazioni, e la protetta indiscussa di
suo padre e dei suoi fratelli.
Dal 4 Settembre 1840, però, con la nascita di Malin, non è più l'unica, e questo rende ancora più chiaro che questa generazione di Desztor cambierà il destino.
Anche perché con Malin e Niko, nel '55, Jàn non ha fatto poi tante storie, anzi...
Poi, Ferenc
Novakovič, che avevamo già conosciuto nel Capitolo 30 -e adesso che lo
conosciamo meglio sono curiosa di sapere cosa ne pensate ;)-, il primo
pretendente di Hajnal, con cui i Desztor sono stati davvero terribili...
A Theo succederà lo
stesso?
Jàn e co non sanno ancora
niente, ma se Alja si fa sfuggire qualcosa...
O forse ce la faranno, a
cambiare il destino, a ingannare le Moire/Parche? ;)
A presto!
Marty