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Autore: _Nica89_    08/07/2012    2 recensioni
Julian, giovane avvocato in ascesa con fama da Don Giovanni, attende la sua nuova fiamma, ma il suo passato torna improvviso, come uno scroscio d'acqua impossibile da evitare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’attesa

L’uomo si strinse nel pesante cappotto invernale, prima di scendere dall’auto.
A passo svelto si diresse sotto la pensilina del prestigioso ristorante nel quale aveva prenotato per sé e per la sua ultima fiamma. 
 Prima di entrare, fissò il cielo coperto da cupe nuvole che minacciavano pioggia.
Il freddo pungente di metà Dicembre lo convinse a entrare. Subito, un cameriere dalla livrea impeccabile lo condusse al piccolo tavolo, riservato per due persone, vicino all’ampia vetrata che dava sulla strada.        
“Un posto perfetto” pensò Julian, sistemandosi in modo da poter tenere d’occhio l’ingresso, e non essere sorpreso dall’arrivo della donna attesa.
Un cameriere si avvicinò, porgendogli il menù con la lista dei vini. Il giovane lo ringraziò, chiedendo un Martini, rimandando l’ordinazione vera e propria.       
Dopo che il cameriere se ne fu andato, Julian si concesse di osservare l’orologio da polso: erano le otto e ventitré.       
“Non è da lei essere in ritardo” pensò, con lo sguardo rivolto verso la strada, nella speranza di vedere l’elegante figura di Sophia scendere da qualche macchina. Bevve un sorso del drink che il cameriere gli aveva lasciato sul tavolo.
Fuori, le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere prima lente e rarefatte, poi, sempre più veloci e ravvicinate.       
Gli vennero in mente le parole che suo padre pronunciò una volta, per cercare di scuoterlo dal suo stato di assoluta apatia nel quale era caduto: “Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?” ed era proprio così che si sentiva in quel momento: ossessionato dal tempo. Logorato da quell’attesa, che poco sembrava spartire con un ritardo calcolato, volto ad aumentare il piacere del riunirsi. Sophia era un’abile calcolatrice, e ben sapeva quanto lui odiasse aspettare. Senza dubbio, questo ritardo era una gran caduta di stile.       
Julian svuotò completamente il suo bicchiere, e chiese al cameriere un altro drink, che gli fu subito servito.         
Guardò ancora una volta fuori dalla vetrata. La pioggia adesso cadeva incessante:
“ Brutto segno” pensò lui. Il ticchettio delle gocce sui vetri lo riportò indietro nel tempo, a dieci anni prima, quando altra acqua segnava il tempo di un’attesa diversa, ancora più carica di dubbi e paure. Era estate, e il temporale lo aveva sorpreso mentre correva in moto verso l’ospedale, dove avevano portato la sua amata. Quando era arrivato, Edith stava lottando tra la vita e la morte, all’interno di una sala operatoria. Ascoltando i discorsi dei genitori della ragazza, aveva scoperto che servivano delle trasfusioni; senza indugiare, si era subito proposto, ma dopo alcune analisi un’infermiera lo informò che non erano compatibili. Da quel momento aveva passato le lunghe ore d’attesa, in piedi alla finestra, a osservare le scie che le gocce d’acqua lasciavano sul vetro, ripensando alle parole dell’infermiera, così simili a quelle che continuava a ripetergli - per ben altri motivi- suo padre. Si era riscosso da quel suo isolamento solo quando dalla porta della sala operatoria era uscito il medico. Lui rimase immobile, a osservare la figura di quell’uomo avvicinarsi con aria affranta alla coppia di genitori che attendevano con ansia. Fu un attimo, ma tutto sembrò svolgersi a rallentatore: la donna, sorretta dalle braccia del marito, era scoppiata in singhiozzi, e lui aveva capito. La sua Edith non c’era più. Dovette sostenersi al muro per non cadere. Gli occhi dei genitori di lei, puntati su di lui gli erano sembrati un peso troppo grande da sopportare, ed era scappato. Era corso in strada, sotto la pioggia che continuava a cadere incessante. Non aveva più avuto il coraggio di presentarsi dai genitori di Edith, si erano rivisti solo al funerale della ragazza, ma lui aveva preferito chiudersi nel suo dolore piuttosto che condividerlo con quelli che erano gradualmente diventati la sua seconda famiglia.    
Edith: da quanto tempo non si permetteva di pensare a lei? Si domandò Julian, sorpreso dai suoi stessi pensieri. In un primo periodo, andava spesso a trovarla al cimitero, poi qualcosa in lui era cambiato. Le visite si erano fatte sempre più rare, e lui, spronato dalle insistenze dei genitori, si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza. Si era gettato a capofitto nello studio, e presto aveva iniziato la sua carriera da avvocato. Durante gli anni dell’università aveva lasciato dietro di sé una scia di ragazze dal cuore infranto. Col tempo iniziò a cercare la compagnia di giovani donne, senza però intraprendere un rapporto serio. Ed era stato così fino all’arrivo di Sophia. Era stata una dei suoi primi assistiti, e sin da subito tra loro due era nata una certa intesa. Julian l’aveva rivista spesso durante alcune feste organizzate dalla sua famiglia: la sua bellezza, algida e sofisticata, lo aveva folgorato. L’elettricità tra loro era innegabile, tutti lo avevano notato. Lui era stato subito molto chiaro: niente storie serie, e lei lo aveva accettato senza problemi. Accettava di accompagnarlo ai vari pranzi di lavoro, ma non aveva mai preteso nessuna relazione stabile.
Julian si chiese come avesse fatto a innamorarsi di una persona così diversa dalla sua Edith. Lei così semplice e dolce, Sophia ricercata e in grado di adattarsi alle diverse occasioni dell’alta società. Edith, di umili origini, senza conoscenze importanti, con il sogno di poter diventare medico. Sophia, ricca ereditiera con i migliori agganci per la sua ascesa forense.  Julian ammirava la sua indipendenza, sapientemente mimetizzata dalla figura di signorina per bene che l’aveva resa subito benvoluta dalla sua famiglia.  Se avesse dovuto paragonarla a un animale, Julian non avrebbe esitato a definirla un camaleonte: intrigante e al contempo fatale. 
Julian svuotò il secondo bicchiere tutto d’un fiato, lasciando che il liquido gli bruciasse la gola e gli impedisse di rimuginare sui suoi pensieri. Osservò nuovamente l’orologio: le nove e mezza.    
Era chiaro che non sarebbe più arrivata. Tirò fuori dalla tasca interna della giacca una sottile scatola di velluto, l’aprì ed osservò il bracciale in oro bianco che aveva comprato quella mattina: doveva essere il suo modo per chiederle di iniziare una relazione stabile. Era strano pensare che la richiesta arrivasse proprio da lui, ma forse era veramente riuscito a elaborare il dolore che lo aveva sempre accompagnato da quella notte in ospedale, o forse, le amicizie di Sophia erano risultate più convincenti delle promesse di altre giovani rampolle che avevano, nel tempo, ingrossato la lista delle sue conquiste.
Un cameriere gli porse un piccolo biglietto. Julian lesse più volte le poche righe lasciategli da Sophia e scoppiò a ridere: si sarebbe sposata in primavera, e lo ringraziava per averla aiutata a convincere il suo futuro marito a dichiararsi.    
In quel momento, Julian capì i comportamenti della donna, e la sua disinvoltura in pubblico: l’aveva usato per ottenere i suoi scopi. Nulla di diverso dal suo solito comportamento. Passò le dita sul bracciale, prima di chiudere la confezione: lo avrebbe regalato a sua figlia, per il suo diciottesimo compleanno, sempre che, un giorno, ne avesse avuta una. 
Pagò il conto al cameriere e uscì per le strade di Berlino, ancora una volta compagne delle sue disillusioni.

Note dell'autore
Storia partecipante al contest "I quattro elementi" di Sweet96, giudicato da ro-chan.
Nel testo è evidenziata in corsivo la citazione (da inserire obbligatoriamente)
“Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?” (Il cielo sopra Berlino)
elemento scelto: acqua
  
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