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Autore: Riseha    08/07/2012    0 recensioni
« Se toccassi una candela, non mi brucerei.
Il ghiaccio e il sole li confonderei. »
In Giappone, da qualche parte nei dintorni di Kyoto, una società segreta tiene sotto controllo e, principalmente, stermina gli youkai, mostri della mitologia giapponese.
Squadre composte da agenti speciali, persone che vanno oltre l'essere umano, si occupano di essi.
Arianne, Boris e Dorian sono tre agenti di classe A, ognuno di loro con un mistero che si portano dietro, un segreto sulle spalle e nel cuore.
Questo è l'episodio pilota, e pensavo di farne anche una serie, in futuro.
Mi ha ispirato particolarmente 'La sposa cadavere' di Tim Burton, per questo episodio e per la figura dalla youkai, e anche per la sua ultima frase.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Katawari, dintorni di Kyoto.
Ore 2.17.

 
Buio.
L’unica fonte di luce nel raggio di quattro metri, dal punto in cui le tre figure erano ferme, era un lampione.
Uno di quelli malandati, che sembrano dover cadere a pezzi da un momento all’altro, magari con uno di quegl’orrendi rumori di ferraglia arrugginita che fa molto Silent Hill.
Lo stesso paesaggio che i tre avevano davanti ai loro occhi poteva benissimo passare per un fondale di videogioco horror: Un palazzo perfettamente nei canoni mainstream del genere horror, vernice scrostata dalla facciata e persiane quasi scardinate. Da una delle finestre del terzo piano, una tenda bianca sventolava al dì fuori, protraendosi nel vuoto, il suo candore quasi in contrasto con il beige delle vecchie parenti.
Tranquillo, tutto tranquillo.

 
«Dobbiamo seriamente entrare in questa catapecchia? »

 La mano del primo a sinistra del terzetto si spostò dalla tasca dei pantaloni neri al tornare lungo il fianco, contraendosi in un rapido movimento involontario.

«Non avrai mica strizza, Boris? Questo dovrebbe essere un paradiso, per un gattaccio come te. »

La voce dal tono cristallino e palesemente femminile che si levò dalla figura centrale, la più bassa del gruppo, conteneva della pura ironia.
Fece lentamente un giro su se stessa, viso rivolto verso l’alto, osservando ciò che aveva attorno.
Il bordo della sua gonna nera frusciò, lambendo le sottili cosce appena sopra le calze.

«Non ho detto di aver paura. »

Boris, palesemente a disagio, allargò di poco il nodo della propria cravatta con un dito, puntando altrove lo sguardo.
L’espressione di divertimento, deviato divertimento, dipinta nell’occhio della ragazza, quello non coperto da una benda di cuoio nero, lasciava intendere che la situazione non le era estranea, non almeno quanto lo sia per un comune umano andare nel Luna Park dei suoi sogni.
Sognante era, infatti, uno dei termini più giusti per definire la sua voce, una volta che riprese a parlare.

« Un livello B riesce a spaventare uno dei migliori agenti della SK7?
La tua squadra è caduta in basso, Larsen. »


La risatina chioccia dell’altra fece scattare i nervi, già a fior di pelle di loro, del ragazzo: Se il terzo membro della combriccola non l’avesse fermato, frapponendosi fra loro, molto probabilmente avrebbero dato inizio all’ennesimo scontro.
E non era il loro obiettivo, quello di far fuggire ciò per il quale si trovavano davanti a quel fatiscente edificio.

« Arianne. Boris. Non siamo qui per dar via all’ennesima fuga dello Youkai. »

Il tono austero di Dorian non permise all’irruente Agente della settima squadra Keisatsu alcuna possibilità di controbattere.
Le lunghe code castano chiaro di Arianne frullarono nell’aria per un istante, seguendo la camminata sicura della ragazzina verso il cancello, prima di posarsi dietro le sue spalle esili.
L’occhiata che gli occhi azzurro ghiaccio rivolsero al compagno più giovane fu abbastanza per far muovere anche Boris, ancora bollente di rabbia per l’affronto dell’altra Agente; Essere messo in ridicolo da una ragazzina di sì e no quattordici anni con un solo occhio buono lo mandava in bestia.
E anche l’essere trattato come un moccioso lui stesso non gli andava giù.
Lui, uno dei migliori agenti della settima squadra della Keisatsu, la società segreta che si occupava dello sterminio degli youkai.
 
Come misero piede sul polveroso pavimento del palazzo, un lungo lamento risuonò attraverso i corridoi.
Ma anziché esserne spaventati, sui volti dei tre agenti della Keisatsu traspariva la tranquillità più assoluta.
A giudicare dalla quantità spropositata di ragnatele e polvere che avevano fatto degli angoli fra muro e pavimento la loro ‘casa dolce casa’, il posto doveva essere disabitato da molto più di quanto si pensasse nel vicinato.
Probabilmente, i proprietari di quella che un tempo era una rigogliosa villa dovevano essere stati il delizioso pasto del mostro.

« Per una volta, la Sezione Locazioni non ha fatto un fail pazzesco. »

La testa dai capelli neri di Dorian assentì all’osservazione dell’altro, già concentrato nel suo compito;
Come immaginava, la percepiva.
La presenza di uno youkai, un essere sovrannaturale tipico della cultura giapponese, in quel luogo era un dato di fatto.
Proseguirono lungo il corridoio, evitando di soffermarsi troppo a pensare agli scricchiolii dei mobili in legno massiccio, o agli sguardi penetranti dei ritratti appesi alle pareti.
Chi ebbe più difficoltà ad ignorarli, ovviamente, fu il più basso dei due maschi.
Dopo i primi cinque gradini dell’alta scalinata di marmo udirono distintamente il rumore di stoffa strappata, come se qualcuno avesse appena squarciato un lenzuolo con violenza.
Una lunga nota sibillina nell’aria, e dal fodero di Boris fu già sguainata la katana.
Il lieve rumore di una pistola sbloccata fece intuire che anche il serio Dorian era pronto all’inchiodare rapidamente la creatura.

« Misurate ogni passo.
La cautela è la nostra più preziosa alleat--»


La massima di saggezza dell’Agente Dorian Barnes venne interrotta dal ‘BAAANZAAAI!’ di Arianne, che subito si lanciò in una corsa verso la stanza da letto dove l’essere sovrannaturale li aspettava.

« Dicevi, Barnes? »

In un’altra situazione, il ventenne dagli occhi azzurri non avrebbe perso tempo a redarguirlo, ma non aveva il tempo di star dietro a scemi battibecchi;
Perciò ignorò la questione, gettandosi all’inseguimento dell’imprudente compagna, subito seguito da Boris.
Ciò che si trovarono davanti, non appena furono sulla soglia della stanza, fu una donna affacciata alla finestra.
Il logoro vestito da sposa che indossava si adagiava a terra, strusciando sul pavimento e sporcandosi ulteriormente di polvere; La coroncina di fiori secchi e prossimi alla putrefazione che sostituiva il suo velo doveva essere stata una gran decorazione, ai suoi bei tempi, come lo stesso vestito, che un tempo doveva essere stato candidamente bianco.
Lo spettro girò lentamente la testa verso di loro, piegandola delicatamente su una spalla. Il viso, solcato da cicatrici confuse, appariva ancora bello, nonostante la sfiguratezza.
I suoi occhi non riflettevano altro che rassegnatezza.

« Hai mai pensato a come debba apparire il sole agli occhi di chi non può vedere la sua luce? »

Persino la sua voce ne sembrava pregna.
Solo quando uno dei fiochi raggi di luna di quella notte raggiunse il viso della youkai, i tre si accorsero che nel suo viso qualcosa mancava.
La vista.
Gli occhi, infatti, sembravano mancare completamente di colore, opachi.
Arianne trattenne il respiro, tutta la sua sfrontatezza scivolata via nel momento stesso in cui aveva visto il volto della donna; La sua mano dalle dita sottili si portò con un gesto automatico a sfiorare la benda di cuoio che copriva uno dei suoi due occhi castani.
Brutti ricordi che si affacciarono alla sua mente, confusi pezzi di memoria circondati da fuoco ancora vivido, nonostante gli anni trascorsi.
Fuoco, il suo peggior nemico.
Intanto, la donna si era fatta più vicina, a lenti passi.
Troppo tardi Arianne si accorse di essere sola, nella stanza.
Né Boris, né Dorian le erano accanto, svaniti nel giro di un attimo.
La mano della youkai si allungò verso il suo viso, la sua pelle secca fastidiosa contro quella pallida della ragazza.

« Puoi darmi i tuoi occhi per vedere l’alba? »

Come se sentisse su di sé il peso del suo passato, l’Agente Keisatsu non riuscì a sottrarsi.
Che fosse quello, il potere dell’essere che aveva davanti?
Manipolazione dei sensi.
Ora che il volto dello spettro era davanti al suo, il suo occhio poteva osservare ancora più attentamente le cicatrici che deturpavano i suoi lineamenti una volta delicati.
Si ritrovò a guardare dritto nei suoi occhi spenti, e non poté fermare i ricordi che tornavano a galla.
Il giorno dell’incendio alla villa, il tentativo di rapimento,il dolore nel perdere l’occhio.
La youkai si fermò.

« Non sei nuova al dolore. Nemmeno tu. »

Arianne lo sentì.
Sentì il tono materno che impregnava  la sua voce, la malinconia.
Accadde tutto senza che l’Agente ebbe bisogno di muovere un muscolo.
Fin troppo in fretta, incomprensibilmente.

La mano fredda che lambiva il suo viso si ritrasse, allungandosi verso i lunghi spilloni d’argento che erano le armi della ragazza.

« Il dolore sa di fiele, quando si è come me. »

In fretta, senza che Arianne potesse capire.
Lo spillone che la youkai teneva in mano trapassò l’inconsistente pelle del petto una volta umano, dove una volta il petto di quella donna.
Mentre il corpo dell’essere si sgretolava davanti alla ragazza, Arianne riprese possesso del suo.
E le parve di vedere un ultimo, triste sorriso sul volto di lei.
Per poi diventare polvere.
 
« Cioè. Si è suicidata? »

« Senza che facessi nulla. »

« Forse gli è bastato vederti in faccia. »


Dorian non ebbe il tempo di fermare il turbinio di gonna di Arianne che già Boris era stato stampato, con un calcio, contro il più vicino muro.
L’uomo si limitò quindi ad un sospiro, passandosi una mano fra i lunghi capelli neri.

« Torniamo a casa.
E cerchiamo di farlo interi. »


Attese il borbottio di conferma da parte di entrambi, prima di dirigersi verso il cancello.
Ma la ragazza si fermò, attirata da qualcosa.
Una lapide, in mezzo al giardino stepposo e abbandonato al suo destino.
Si avvicinò piano, misurando ogni passo, come per rispetto.
Sapeva di chi fosse quell’iscrizione tombale ancor prima di leggerla, e la foto racchiusa dietro una piccola lastra di vetro su di essa confermò i suoi pensieri.
 

‘‘Aileen Watson,

 

amata madre, sposa e figlia.

 

Lasciasti il mondo nella fiamma cremisi,

 

Senza vedere l’alba.’’

 
Ancora una volta, un incendio che incappava nella sua vita.
Rimase a guardare il piccolo mazzolino raggrinzito e prossimo alla polvere appoggiato lì vicino per un po’, finché la mano di Boris non le scosse una spalla.

« Stasera ti lascio scegliere la cena. »

Si girò, guardandolo.
Uno dei massimi gesti di affetto che sapeva di poter ricevere da un tipo come il suo compagno di lavoro.
Scrollò via la sua mano, tornando ad avere l’aria arrogante di prima.

« Hai lo stomaco chiuso per i fantasmi, Larson? »

« Era un gesto gentile. GENTILE. »

« Risparmiate i battibecchi per dopo, e sbrigatevi! »


Ripresi ancora una volta da Dorian, si affrettarono a tornare verso il cancello.
E appena prima di uscire, Arianne si voltò un’ultima volta.
E le parve di vedere una giovane mamma con un vestito da sposa, per mano ad un bimbo.
   
 
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