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Autore: MrEvilside    09/07/2012    8 recensioni
[ CONCLUSA ]
Dopo la cattura di Loki, il suo scettro è stato affidato a Tony Stark, l'unico che abbia resistito alla sua magia soggiogatrice, e Loki consegnato ad Asgard, dove viene detenuto in attesa di giudizio. Quando fugge, i Vendicatori si preparano ad affrontarlo, convinti che il suo primo obiettivo sarà senza dubbio riappropriarsi dello scettro sconfiggendo Tony, ma quest'ultimo scoprirà che per una volta è Loki ad aver bisogno d'aiuto. Il semidio lo porrà di fronte a più di una scelta: vita o morte, verità o menzogna, amore o qualcos'altro, sullo sfondo di una guerra per garantire la pace sulla Terra.
Non sempre è tutto bianco o nero.
[ IronFrost ]
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aggiorno di nuovo! *__* E di nuovo a tempo di record, ma non abituatevi XD No, sul serio, non abituatevi °-°, anche perché domani mattina parto per una vacanza-studio di due settimane in Inghilterra (vicino Manchester <3) e temo proprio che non mi rivedrete prima della fine di luglio, ispirazione e impegni permettendo. Ciò detto, devo confessare che in questo capitolo non c'è tutto ciò che avevo promesso nelle scorse anticipazioni, perché stava venendo troppo lungo (questa volta dodici pagine XD) e ho deciso di tagliare un po', altrimenti la trama sarebbe venuta a mancare nel giro di due capitoli... Non mi era mai capitato di essere così prolissa, anche se non sono mai stata esattamente maestra nell'arte del riassunto. LFMAO
Ehi, voi mi avete detto che non vi annoiate, ora vi beccate gli aggiornamenti infiniti X'D Seriamente parlando, mi auguro che la storia non vi venga a noia e che abbiate la pazienza di rimanere con me fino alla fine, dopotutto è il vostro supporto che mi dà tanta energia per continuare questa fanfiction - però, devo ammetterlo, io stessa mi ci sono affezionata da morire e sono determinata a portarla avanti!
Bene, adesso smetto di tediare e vi lascio <3 Buon FrostIron a tutti e a fine luglio! *__*

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#03: That man called “brother”
 
So go and tell all your friends
That I’m a failure underneath
If it makes you feel like a bigger man
But it’s my, my heart, my life
That you’re calling a lie
I’ve played this game before
And I can’t take anymore
-New Way To Bleed, Evanescence
 
Quando la porta dell’attico di Tony si chiuse in silenzio alle loro spalle, l’uomo notò qualcosa di cui non si era reso conto: Loki era molto più rilassato.
Le spalle, prima contratte, erano soltanto tese. In qualsiasi altra persona un cambiamento così insignificante non avrebbe meritato la perifrasi “molto più rilassato”, ma quello era Loki, il nemico, il semidio, colui che non abbassava mai la guardia.
Tony si sorprese ad aver individuato un’alterazione dovuta al nervosismo, quando, per quanto in ansia, Loki non permetteva a nessuno di vedere attraverso la sua maschera di fiducia in se stesso, e aggrottò la fronte – da quando lo osservava con tanta attenzione?
Di colpo si accorse che il semidio aveva intercettato il suo sguardo su di lui – sulla sua schiena, sulle spalle non più irrigidite – e si affrettò ad alzare gli occhi. «Luci».
Jarvis obbedì e un secondo più tardi il loft splendeva di energia ecosostenibile. Il fulgore soffuso del sole calante, ormai quasi del tutto scomparso, e quello più penetrante degli altri palazzi della città che piovevano dalle pareti a vetrata apparivano candele in confronto alla luce generata dal reattore arc che dava elettricità alla torre e Tony non poté fare a meno di sorridere, compiaciuto dalla sua ennesima ottima invenzione.
Era già sul punto di dirigersi verso il frigobar – al diavolo i suoi buoni propositi, un bicchiere di scotch non poteva fare nulla di male – quando Loki lo afferrò per un polso, un movimento repentino, agile, e lo strinse in una morsa più salda di quanto Tony si sarebbe aspettato dal suo fisico snello.
«Mi servi sobrio, Stark» sibilò il semidio in tono derisorio, ma per un secondo le sue unghie affondarono nella carne prima che lo liberasse dalla sua presa. Un avvertimento. «Hai fornito la tua tecnologia di localizzazione anche alla vostra insulsa organizzazione di difesa?»
Tony inarcò le sopracciglia, si sforzò di decifrare le sue parole dal vengo-da-un-pianeta-dove-la-parlata-è-a-livelli-medievali all’inglese. “La vostra insulsa organizzazione di difesa” doveva essere il simpatico soprannome che Loki aveva affibbiato allo S.H.I.E.L.D., ma gli mancava l’elemento fondamentale della domanda. «La mia tecnologia di localizzazione?»
Il semidio stava scandagliando la stanza con lo sguardo di quella mattina, quel misto di ammirazione e curiosità e meraviglia che in un certo senso inquietava Tony.
Loki distruggeva ciò che riteneva banale e plasmava quanto invece attirava la sua attenzione nella forma che era più congeniale alla sua mente instabile – e Tony non era sicuro di quale fosse la cosa peggiore.
«Quando ho attraversato il portale e sono arrivato qui, la mia prossimità ha attivato gli allarmi a guardia dello scettro» spiegò il semidio, voltandosi di scatto a incrociare i suoi occhi. «Allarmi in grado di captare la mia magia». Non sembrava arrabbiato; sorrideva e il luccichio verdeazzurro delle sue iridi, che spiccava contro la carnagione pallida e i capelli neri, fece scorrere un brivido lungo la schiena di Tony. Era quella la cosa peggiore. «Li hai forniti anche a loro?»
Mentre affrontava quello sguardo che gli dava l’impressione di voler leggere ogni più recondita verità scritta dentro di lui, Tony ricordò dove avesse già visto quell’espressione.
Era quella che assumeva lui stesso quando scopriva qualcosa che valeva la pena d’essere sezionato e studiato in ogni sua parte fino a che non fosse riuscito a carpirne tutti i segreti e a farne suo il funzionamento.
Dopo averla vagliata con cura, scartò l’opzione di tentare una menzogna e decise che la sincerità era il male minore. D’altra parte, fin quando lui non gli avesse accordato un minimo di fiducia, il semidio non avrebbe avuto alcuna ragione di essere onesto. E Tony non voleva rischiare di trovarsi un coltello piantato nello stomaco durante la notte.
«Non sono pronti per essere messo in vendita. Sono solo prototipi» minimizzò con apparente noncuranza, ma in un intimo angolo della sua mente si stava complimentando con se stesso per il nuovo successo. «Ricordi quando hai cercato di arruolarmi nel tuo esercito di zombie dagli occhi blu?» Picchiettò un indice sul reattore arc e Loki seguì il suo movimento con un guizzo fulmineo degli occhi assetati di conoscenza. «È stato questo a bloccare l’incantesimo, perciò ho pensato di usare la sua energia per creare un congegno che individuasse la presenza della magia».
L’intera, brutale verità era che aveva cominciato a lavorare a un progetto per respingere la magia, oltre che localizzarla, ma ritenne più saggio tenere per sé quel particolare, anche perché fino a quel momento non aveva avuto molta fortuna.
Era convinto che il semidio gli avrebbe chiesto altre informazioni, se non una dimostrazione pratica, ma d’un tratto il suo viso s’indurì, come se di colpo avesse perso interesse per l’argomento, e, paradossalmente, il suo corpo si rilassò al punto che chiunque avrebbe potuto notare il cambiamento. Ciononostante, rimaneva impossibile associare al suo aspetto la parola “vulnerabile”, sebbene all’apparenza non avesse alcuna arma.
C’era qualcosa, in lui, qualcosa d’indefinibile, di antico e potente e minaccioso e incomprensibile per lui, Tony, che era solo un uomo, un genio, ma solo un uomo. Qualcosa di animalesco e divino insieme che scintillava nel suo sguardo, nel suo sorriso.
«In questo caso, non devo preoccuparmi che si accorgano della mia presenza se faccio uso del mio potere» commentò Loki, palesemente sollevato.
Fu allora che Tony registrò, capì, mise insieme i pezzi.
Perché il semidio non avesse ovviato con la magia nemmeno ai compiti più banali, come preparare il caffè, perché si fosse comportato in modo tanto umano, quel giorno, perché a livello fisico avesse abbassato la guardia non appena aveva saputo che lo S.H.I.E.L.D. non poteva determinare quando faceva un incantesimo.
Rendersi conto che Loki si era davvero sentito indifeso, sebbene a lui sembrasse tutto meno che quello, lo lasciò interdetto.
Dopotutto, anche se privato dei propri poteri, il semidio era pur sempre alto quasi due metri e forte come due uomini robusti, eppure, per quanto assurdo potesse apparire, aveva provato la sensazione di essere esposto, di poter morire, la stessa che avrebbe potuto provare un qualsiasi essere umano – e “iniziare a considerare Loki umano” era uno dei primi punti nella sua personale lista delle cose da non fare per alcuna ragione al mondo, dopo “sostituire la benda di Fury con un fiocco rosa” e “rubare le ciambelle a Hulk”.
La magia doveva rappresentare la vita, per lui, come la tecnologia lo era per Tony. Letteralmente.
Per un istante, un unico, terrificante istante, si guardarono negli occhi e l’uomo vi scorse qualcosa che non apparteneva al pericoloso semidio che aveva massacrato ottanta persone in due giorni, ma all’uomo che Thor si ostinava a chiamare “fratello”.
Poi l’istante passò e Loki fu di nuovo se stesso, potente e intoccabile, e Tony respirò e disse: «Pare che sia il tuo giorno fortunato, allora». Non era sicuro che suonasse sarcastico quanto avrebbe dovuto. Aggrottò la fronte, colpito da un’inaspettata folgorazione. «Ma perché non me l’hai domandato subito? Perché solo adesso?»
Il semidio tacque, inespressivo, e Tony sollevò le sopracciglia.
«Ora è il mio turno di fare le domande, giusto? E, in cambio della calorosa accoglienza che ti ho offerto dall’alto della mia infinita generosità, ne va del tuo onore asgardiano o quello che è essere onesto». Il semidio esitò ancora e lui insistette: «Capisco che non volessi fidarti di me come se fossimo migliori amici, quando mi hai proposto l’accordo, ma ora l’hai accettato, e gli accordi prevedono fiducia, che ti piaccia o meno. Io la do a te, tu a me. Altrimenti non può funzionare, sai?»
Era assolutamente illogico e inutile considerare che, messa così, sembrava quasi che dovessero sposarsi, ma in fondo Tony Stark era famoso per le sue considerazioni illogiche e inutili e persino lui non vi dava troppo peso.
Loki non rispose subito, finse di ponderare la sua affermazione, ma non aveva molta scelta e capitolò come Tony si aspettava. «Come vuoi, Stark. Mi chiedi fiducia nei tuoi confronti e sarà quello che avrai, ma ricorda sempre che, fin dall’inizio, ti avevo detto che non mi interessava che tu me ne dessi».
Pur non del tutto certo se dovesse prenderla come una minaccia, Tony avvertì uno sgradevole tremito serpeggiare lungo la sua spina dorsale.
Un giorno si sarebbe pentito di aver commerciato fiducia con lui?
«Comunque sia, per soddisfare la tua curiosità,» riprese il semidio «avevo intuito che gli agenti non avessero il tuo ingegnoso apparecchio quando nessun manipolo di soldati ha devastato la tua torre per arrestarmi, dopo che mi sono materializzato nella tua dimora. Mi serviva soltanto una conferma».
Quella però era una risposta troppo comune perché Loki avesse indugiato tanto prima di propinargliela e persino un mortale impotente come lui era capace di vedere attraverso il velo di menzogne che il semidio aveva intessuto così malamente. E, oltre quel velo, c’erano la consapevolezza di entrambi che quel giorno Loki non aveva avuto il coraggio di usare un solo incantesimo e la vulnerabilità di cui aveva dato prova poco prima.
Se però in quel momento Tony era stato troppo stupito per approfittarne, scelse di farlo adesso. «Avevi paura» fece notare, senza dubbi nella voce, ma nemmeno ostilità. «Paura che la tua più grande arma potesse essere anche la tua più grande debolezza. Puoi ammetterlo, sai? Fino a nuovo ordine, siamo alleati, non andrò a raccontare a tua madre che il suo valoroso figlioletto ha paura del buio perché ne possa ridere con le sue amiche dell’ora del the».
Mentre lo diceva, lui per primo si accorse che era vero, perché, per quanto stuzzicare il semidio fosse divertente e corroborante, specie quando riusciva a seccarlo, non aveva intenzione di sfruttare quella minuscola breccia nell’autocontrollo Loki per il proprio tornaconto, almeno finché i loro tornaconti avessero continuato a coincidere.
Il problema era che, se anche quel concetto avesse potuto convincere il semidio a essere meno guardingo nei suoi confronti, come al solito non aveva operato la migliore scelta di parole possibile.
Merda. Come aveva potuto dimenticare? Mai nominare la famiglia di Loki in presenza di Loki.
Era piuttosto elementare, persino Hulk avrebbe potuto arrivarci – e significava tanto.
Ora il semidio lo stava scarnificando con gli occhi, come se fosse indeciso se tranciargli di netto la testa oppure farlo divorare dalle formiche carnivore, ma alla fine scosse il capo – più a se stesso che a lui, intuizione che lo preoccupò circa la sua sanità mentale e la possibilità che parlasse da solo – e incrociò le braccia al petto.
Poi sorrise.
E Tony ancora non capiva perché sorridesse, così angelico, così innocuo, quando fino a un momento prima era stato sul punto di dare sfogo al suo istinto omicida. Non capiva che cosa pensasse, non capiva che cosa sapesse, che cosa gli desse quell’incrollabile convinzione di essere in vantaggio, quella capacità di farlo credere anche agli altri. Avrebbe voluto aprirgli il cervello con un cacciavite per poter guardare dentro.
«Hai ragione, Stark» ammise, e doveva essere quanto di più folle Tony gli avesse mai sentito commentare. Loki fece un passo avanti, verso di lui, e premette un indice contro il suo petto, vicino al reattore arc. «A ogni modo, la vera domanda è: ti ho concesso la fiducia che volevi, ma tu sarai in grado di concederla a me
Dannazione. Ogni volta che si compiaceva di essere in vantaggio, il semidio finiva irrimediabilmente col portarsi un passo avanti a lui. Invulnerabile.
«Scommettiamo, Dio dell’Inganno» lo sfidò Tony con un sorriso smagliante, molto più a proprio agio con lo scontro verbale che con un Loki umano o che gli concedeva di avere ragione. «Spiegami come si deve questa storia della tua fuga dalle impenetrabili prigioni di Asgard – non così impenetrabili come si vanta Thor, in ogni caso – e vediamo se posso crederti sulla parola».
Il semidio doveva aspettarselo, perché la richiesta non lo mise particolarmente a disagio. «Bene» accettò, inclinando la testa da un lato. «Ma, prima, ho bisogno di placare l’appetito».
Quando Loki lo disse ad alta voce, Tony ricordò di aver messo nello stomaco solo un panino durante la pausa pranzo e quattro tazze di caffè a intervalli nel pomeriggio. In realtà aveva riposto ogni speranza di consumare un lauto pasto nella cena con Pepper, ma qualcuno gliel’aveva rovinata – non riuscì a non scoccare un’occhiata torva al semidio mentre ordinava una pizza.
«Pizza» gli fece eco Loki, senza badare al suo sguardo inceneritore, e, come la prima volta che era apparso nell’attico, si teletrasportò dall’altra parte della stanza, su uno degli sgabelli che circondavano il tavolo da pranzo, un bancone lungo e stretto che somigliava più a quello di un bar che di una casa. Un tocco di classe a cui non aveva voluto rinunciare e a cui Pepper aveva dovuto acconsentire per arredare il loft con i suoi quadri in cambio. «Devo aver letto qualcosa a riguardo. Uno dei cibi che preferite voi midgardiani, giusto?»
Tony si chiese che razza di memoria avesse per ricordare tante informazioni disparate e lo corresse in tono professorale: «Uno dei migliori cibi di ogni galassia, dimensione o quello che vuoi. E tu avrai l’onore di assaggiarlo grazie a me».
Il semidio levò gli occhi al cielo, ma la sua curiosità era palese quando Jarvis comunicò che la consegna era arrivata.
Prima di assaggiare la fetta che Tony gli porse, però, se la rigirò più volte tra le mani e studiò ogni singola goccia di pomodoro con la cautela di chi stia cercando di capire come funzioni una bomba.
Tony stava per rassicurarlo che la pizza non avrebbe cercato di sfondargli la gola dall’interno, tentato dall’espressione furiosa che Loki avrebbe potuto esibire, ma era ancora più tentato dallo spettacolo del semidio alle prese con il suo primo trancio.
Alla fine si decise a mordere e Tony quasi si soffocò con un boccone, colto dalle risate a metà della masticazione: Loki aveva affondato i denti nella punta della fetta, ma, quando fece per strapparne un pezzo, la mozzarella rimase saldamente ancorata al resto del trancio e il semidio esitò, incerto sul da farsi, i filamenti bianchicci della mozzarella sospesi tra il boccone che aveva staccato e la fetta che ancora stringeva tra le dita, l’estremità del trancio seminascosta tra le labbra e il rischio che la mozzarella cedesse, si spezzasse e gli macchiasse gli abiti.
Tony dovette riporre la propria fetta nel contenitore di cartone per serrarsi il ventre con le braccia nello sforzo vano di arginare il riso che lo faceva tremare da capo a piedi.
Se un giornalista gli avesse scattato una foto in quel momento, il giorno dopo sarebbe apparso sulle prime pagine di ogni giornale degli Stati Uniti e il titolo non sarebbe stato lusinghiero, ma era troppo, troppo, era ridicolo, insensato, allucinante, e non rideva così da tanti anni.
O forse non aveva mai riso così e la ragione più probabile ad averlo indotto in simili condizioni doveva essere lo stress dovuto alla presenza di Loki nella torre e all’inganno che stava perpetrando ai danni dei suoi compagni e della Terra. Qualsiasi fossero i motivi, non aveva mai riso di una risata tanto spontanea, di cuore, perché suo padre non l’aveva mai amato e un giorno il suo mentore lo aveva venduto a dei mercenari che glielo avevano strappato dal petto, il cuore.
E, malgrado il primo reattore arc che troneggiava nel suo laboratorio, a Malibu, sopra l’insegna “La prova che Tony Stark ha un cuore”, Tony non era mai stato sicuro di possederne ancora uno per ridere.
Quando riuscì a quietare quello scoppio d’ilarità, si affrettò a ricomporre il consueto contegno da sono-figo-e-consapevole-di-esserlo-adoratemi-comuni-mortali e si raddrizzò sul suo sgabello, rassettandosi con disinvoltura la camicia. Durante il suo eccesso di risa, il semidio aveva trovato il modo di separare la mozzarella senza danni e si stava ripulendo la bocca con il tovagliolo nel momento in cui Tony alzò la testa.
I loro sguardi si incontrarono, e l’uomo fu certo che, se fosse stato possibile, quello di Loki l’avrebbe trucidato.
E c’era sempre la possibilità che lo trasformasse in un porcellino d’India.
«Ti sei divertito, Tony Stark?» domandò con gentilezza il semidio, quella gentilezza che non poteva che essere il preludio a una vendetta sanguinosa.
Per una volta, Tony ritenne saggio tacere e si limitò a imitare Loki, che aveva ripreso a mangiare con molta più confidenza di prima. Dopo i primi, goffi tentativi, ogni suo gesto stillava grazia ed eleganza e non aveva nulla da invidiare a chi mangiava pizza fin da neonato, nulla che l’uomo potesse schernire.
Oh, beh, è stato divertente finché è durato.
Il semidio non intavolò una conversazione e Tony preferì fare lo stesso, anche se il silenzio era molto più inquietante di qualunque minaccia di una morte atroce.
Quando Loki non parlava, l’uomo non aveva alcun mezzo per sforzarsi di penetrare la sua mente e aveva l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, a quel giorno in cui il convoglio militare con cui viaggiava era stato attaccato da missili targati Stark e lui aveva dovuto trovare riparo dietro una roccia, protetto da nient’altro che uno smoking stropicciato e sporco di fuliggine. Nudo, disarmato, indifeso.
Di conseguenza, dovette tentare un approccio, dopo aver svuotato il contenitore della pizza e una bottiglia di soda.
«Il vostro stomaco è sazio a sufficienza, o Sommo Signore del Male?»
Non era esattamente il genere di approccio da mettere in atto per non essere arrostito vivo, ma “rinomata” non era l’aggettivo più di frequente associato alla diplomazia di Tony Stark. Sempre che esistesse.
«Tu vuoi sapere come sono fuggito da Asgard». Il semidio girò intorno alla domanda con deliberata calma. «Perché? Perché non concentrarsi sui chitauri? Sono loro la minaccia, non io».
«Tu sei sempre una minaccia» ribatté Tony, all’improvviso serio e deciso, più coinvolto di quanto volesse apparire. Loki non lo contraddisse, sorrise. «A parte questo, mi serve una prova, te l’ho già detto. Noi umani sfigati non abbiamo più avuto notizie di te, Thor e del Tesseract dopo il vostro ritorno a casa. Siamo un tantino stanchi di essere sempre gli ultimi arrivati».
Voglio anche sapere perché non ne vuoi parlare.
Il semidio non sorrideva più, ma non si tirò indietro. «Così sia» cedette con un cenno della testa, il mento sollevato, la schiena diritta, il braccio steso sul ripiano del bancone. Ogni cosa, in lui, suggeriva fierezza. «Ebbene, mi trovavo in carcere, in attesa della mia sentenza. Sapevo che presto i chitauri sarebbero venuti per me e non potevo più aspettare: ho dovuto usare un piccolo trucco, ma sono riuscito ad andarmene». Poiché l’uomo rimaneva in attesa, insoddisfatto, Loki aggiunse con un sospiro: «Mi sono sdoppiato, Stark, e ho reso invisibile il vero me stesso. Non ho dovuto far altro che lasciare la cella quando mi è stato portato il pranzo».
Dal momento che il silenzio si protraeva tra loro interminabile, Tony capì che il semidio non aveva altro da dire. E che forse la sua mascella si era slogata, tanto l’aveva spalancata. «Tutto qui?»
Loki si strinse nelle spalle. «Tutto qui».
L’uomo non riusciva a crederci, sebbene il semidio non avesse alcuna ragione valida per mentirgli e negarsi il suo supporto: era troppo semplice, troppo lineare, troppo perfetto. Se c’era qualcosa di cui aveva imparato a diffidare, era la perfezione apparente.
Sapeva altrettanto bene, tuttavia, che non avrebbe strappato a Loki una sola parola sui sentimenti che aveva provato o sui dubbi che lui stesso poteva aver avuto sulla brillante riuscita del suo piano. Il semidio non era uno sciocco, Tony non dubitava che si fosse perlomeno domandato perché diavolo le guardie si arrischiassero ad aprire la porta della prigione di un carcerato famigerato per i suoi incantesimi.
A che conclusione fosse arrivato, non aveva intenzione di rivelarglielo. Perché avrebbe potuto essere una debolezza, intuì Tony.
Di lì la conclusione fu immediata: Loki non poteva aver eluso le misure di sicurezza contro la magia degli asgardiani, della sua famiglia, che lo conosceva meglio di chiunque altro, a meno che qualcuno non l’avesse lasciato andare. Thor.
Prima che il semidio potesse anche soltanto sospettare cosa si celasse dietro la sua espressione incredula, l’uomo si schiarì la voce con un colpo di tosse e disse: «Oh, beh… wow. Davvero niente male. Okay, amico, mi fido, sul serio».
Anche se Loki aveva raccontato una storia scarnificata all’osso.
Anche se Sua Maestà si ostina a concedermi solo mezze verità.
«Vogliamo passare ai chitauri, allora?» Il semidio esalò un sospiro esasperato, poi qualcosa nel suo sguardo si alterò e sul suo volto scesero le tenebre. «Avremo bisogno di armi, armi che siano in grado di riconoscere la magia, di difendersi e opporsi a essa. Avremo bisogno della tua tecnologia, Stark, e di una ancora migliore che soltanto tu puoi costruire».
«È questo che intendevi quando hai detto che sono l’unico con cui valesse la pena stringere un accordo?» ribatté Tony. «Ti serve il mio genio?»
«In parte è così» annuì bruscamente Loki. Un gesto da soldato, che gli ricordò che, prima che un supercattivo, il semidio era uno stratega straordinario del calibro di Steve. Un immortale, che aveva assistito a cose che lui non aveva alcuna speranza di riuscire a immaginare.
Era una consapevolezza annichilente, così come era terrificante quella che fosse venuto a chiedere aiuto a lui, un mortale, perché esisteva qualcosa di ancora peggiore.
«Ma non è l’unico motivo» proseguì Loki, sibillino, senza specificare oltre. «Comunque sia, dobbiamo lavorare su quei tuoi allarmi. Mi fa piacere che, dopo la mia cattura, tu non sia rimasto con le mani in mano». Era quanto di più vicino a un complimento avesse mai ricevuto da lui, considerò tra sé Tony, indeciso tra l’irritazione e l’autocompiacimento. «Più tempo risparmieremo, meglio sarà per entrambi».
C’era un unico difetto, che sarebbe stato evidente anche a un bambino, ma il semidio non ne aveva ancora fatto parola.
«In effetti sarebbe un’idea geniale, progettare le armi e tutto…» L’uomo scosse la testa e allargò le braccia, sorpreso che il semidio sembrasse non rendersene conto affatto. «Ma manca l’elemento fondamentale: chi le userà? Non ti aspetterai di sconfiggere un intero esercito incazzato da solo, vero? Cioè, non possiamo mentire allo S.H.I.E.L.D., agli Avengers e al mondo fino alla fine di questa storia, penso che qualcuno si accorgerà se un esercito alieno tenta di invaderci di nuovo, no?»
Loki lo guardò come si potrebbe guardare qualcuno estremamente ottuso, oppure qualcuno a cui sfugga qualcosa. Tony aggrottò la fronte, il semidio scrollò le spalle.
«Credevo fosse ovvio che mi sarei servito anche dei loro poteri, quando fosse giunto il momento».
Beh, sì, certo. Perché lui era Loki l’Infallibile, Loki I-miei-piani-sono-perfetti, Loki Io-non-dico-mai-un-cazzo-a-Tony-anche-se-in-teoria-siamo-alleati.
L’uomo si grattò la nuca per sopprimere l’urgenza di attivare il Mark VII. «E, di preciso, quando progettavi di dirmelo? Non ti è venuto in mente che io potessi, che so, essere un po’ in difficoltà qui con, ehi, la storia di nascondere uno dei criminali più ricercati di tutte le galassie?»
Fu più uno sfogo che un commento pungente di quanto non volesse e Loki batté le palpebre, sorpreso e interessato.
Troppo senso di colpa, Tony Stark non si sentiva in colpa e specialmente non in presenza di Loki Odinson, imprecò tra sé Tony, in attesa che il semidio facesse la sua mossa, sconfitto, esasperato, perché ormai non poteva incasinarsi più di così.
Era vicino al punto di rottura, sapeva che, a un commento un po’ troppo sagace e un po’ troppo mirato da parte di Loki, avrebbe potuto commettere un errore, arrabbiarsi, lasciare scoperto un fianco perché il semidio potesse affondarvi il suo pugnale di parole mordaci. Sapeva anche, tuttavia, di essere in grado di resistere, di essere in grado di rialzarsi.
Non era altrettanto preparato, al contrario, a come d’improvviso nello sguardo di Loki si spensero le braci ardenti del desiderio di trarre vantaggio da quella sua debolezza. E non era sicuro che sarebbe stato preparato a quando il fuoco sarebbe stato riattizzato.
«Tu non mi ascolti con attenzione, Stark» lo rimproverò il semidio con il fare di un genitore paziente. «Ti avevo detto che non volevo che i tuoi compagni fossero informati della mia presenza e che tu sei l’unico con cui ritenga utile stipulare un accordo, ma non ho mai specificato che sarei rimasto di questa opinione per l’intera durata del patto». Tacque, forse per apprestarsi a spiegare, forse per godersi l’espressione sgomenta di Tony. «Mi rivelerò ai tuoi amici Avengers quando lo riterrò più opportuno, quando si renderanno conto che il loro adorato pianeta è in pericolo e che dovranno darmi ascolto per preservarlo, non ridurmi in catene».
L’uomo alzò le sopracciglia in un’espressione scettica. «E come la vinceremo, la tua guerra, se non avranno il tempo di prepararsi?»
Non era un’argomentazione valida, la verità era che desiderava solo trovare un espediente per poter interrompere quella recita; Loki lo sapeva bene e gli scoccò un’occhiata annoiata. «Sono gli Avengers, Stark. Rogers è stato costruito per combattere, Barton e la Romanoff sono assassini professionisti, Banner- suvvia, devo davvero spiegartelo? E Thor…» Aggrottò la fronte, come faceva d’istinto quando si trovava a parlare del fratello. «… Thor è stato destinato alla grandezza in battaglia sin dalla giovinezza. Non credo che nessuno di loro abbia bisogno di ulteriore addestramento». Incrociò le braccia al petto e concluse in tono secco: «Vogliamo metterci all’opera, oppure devi farmi perdere molto altro tempo?»
«Okay, okay». Tony mostrò i palmi aperti in segno di resa, sconfitto. «Andiamo».
Troppo vicino al punto di rottura, al baratro, in procinto di cadere giù.
Stanco di combattere quando nessuna delle due parti era disposta a cedere terreno, stanco di aspettarsi il gesto che l’avrebbe fatto precipitare e che non arrivava mai, stanco che Loki riuscisse sempre a scavare dentro di lui, talvolta persino senza accorgersene, come se fosse un libro aperto, come se gli sforzi che aveva fatto per costruire la sua maschera di genio, milionario, playboy, filantropo fossero del tutto privi di significato.
E ora era sul punto di dare al semidio libero accesso al suo laboratorio, al suo cuore, alla sua anima.
Si trovava nel sotterraneo, dove le condizioni ambientali garantivano agli strumenti un basso livello di umidità e una temperatura mai superiore ai diciotto gradi. La sala era immersa nell’oscurità quando vi fecero il loro ingresso, ma a un suo ordine Jarvis accese le luci e il laboratorio sfolgorò di tecnologia, di elettricità, di vita.
Gran parte dell’ambiente era occupata da tavoli di varie dimensioni, disseminati in ordine sparso, dov’erano affastellati i suoi progetti. In un angolo ammucchiava le cianfrusaglie che non gli servivano più ma che preferiva non buttare, presso un altro si trovava una piattaforma per il collaudo delle invenzioni e in particolare delle nuove armature, l’ultimo, infine, era impiegato come piccolo garage e vi erano parcheggiate due delle sue auto da corsa. Al centro troneggiava la centrale di comando, una decina di computer di ultima generazione disposti a semicerchio, spenti.
Se non altro, ebbe la soddisfazione di vedere Loki, un dio o quasi, senza fiato per la meraviglia.
Mentre Tony raggiungeva il tavolo che aveva adibito al Progetto Winx – doveva essere stato piuttosto ubriaco, la notte in cui l’aveva battezzato in quel modo, persino lui era costretto a riconoscerlo –, fingeva di non notare il suo stupore e vi si crogiolava con noncuranza, il semidio lo seguiva, a tratti fermandosi presso qualcosa che lo interessava più del resto, a tratti aggirandosi più lontano per posare lo sguardo affamato dovunque fosse in grado di giungere.
«Vuoi fare un giro turistico?» si informò Tony, divertito, si accomodò sulla sedia girevole e la fece ruotare su se stessa per fronteggiare Loki, che si limitò a sorridere appena.
Un serpente che permette alla sua preda di dibattersi, di cercare di fuggire, di avere ancora una speranza di vivere, quando in realtà sa bene che gli basterebbe un piccolo morso per ucciderlo senza nemmeno dargli il tempo di rendersene conto, pensò Tony.
Perché ormai il semidio aveva visto troppo di lui.
Perché aveva visto il punto di rottura e prima o dopo gli avrebbe dato una spinta, e non si sarebbe fatto sfuggire quell’occasione, qualsiasi frecciata l’uomo avesse tentato.
Quando Loki fu al suo fianco, lo sguardo che scandagliava ogni oggetto presente sul tavolo, una scarica di pura eccitazione discese la schiena di Tony, facendolo rabbrividire. Di qualunque vantaggio il semidio potesse fregiarsi, adesso si trovavano nel suo laboratorio.
Non soltanto la sua anima, non soltanto il suo cuore: la sua arma, il suo regno.
Entro quelle quattro mura c’era un piccolo universo che Loki non conosceva, se non a livello basilare, e su cui non aveva alcun potere. In quel luogo, Tony aveva le sue stesse possibilità di spingerlo al punto di rottura – ma chi sarebbe stato il primo a cadere?
«Bene». L’uomo accese i computer della consolle centrale con un semplice schiocco di dita e fece un cenno in direzione del semidio, che seguiva i suoi movimenti con un misto d’incomprensione e feroce curiosità. «Ora, se il Re del Male potesse farmi la cortesia di spogliarsi…»
Loki si irrigidì a quella richiesta, la sua espressione si incupì. «Di che cosa stai parlando?»
Tony finse di stupirsi per la sua reazione. Uno a zero. «Non era ovvio» si premurò di calcare adeguatamente il termine «che, se ti avessi concesso di entrare nel mio laboratorio, in cambio avresti dovuto permettermi di farti degli esami? Se devo costruire delle armi che respingano la magia, mi serve capire come funziona la tua, dolcezza».
Il semidio strinse le labbra in una linea sottile, in parte – così sperava Tony – anche per il soprannome affibbiatogli. «Non ho mai acconsentito a farmi studiare, Stark. Per aiutarti, accetto di mostrare, ma non ho alcuna intenzione di consentirti di analizzarmi come un ratto».
«Mostrare non basta» ribatté l’uomo, calmo e posato, un leggero sorriso a insaporire la sua espressione placida. «Queste sono le mie condizioni. Se vuoi il mio aiuto, questo è il prezzo».
«È un prezzo troppo alto».
Come se Tony non ne fosse ben conscio. Come se non lo stesse ricattando, sfruttando come merce di scambio proprio ciò che aveva di più caro. Come se non lo sapessero entrambi, che era un prezzo troppo alto.
«Sono le mie condizioni».
Fu allora che Loki colpì, con la precisione di una belva famelica, e Tony rovinò nella gola che lo attendeva con pazienza.
Ma era pronto all’impatto, e il semidio era precipitato nel buio prima di lui.
«Tony Stark, l’unico uomo al mondo abbastanza meschino da porre delle condizioni, da mettere a rischio la salvezza della Terra per- per cosa, in fondo? Soddisfare la tua curiosità? Provare che la tua scienza è migliore della magia? Provare che tu sei migliore?» Loki scoprì i denti in un ghigno e non esitò a rigirare con violenza il coltello nella ferita aperta e sanguinante. «Ti crogioli nell’ammirazione del mondo, perché per una volta hai fatto la scelta giusta, ma questo soltanto perché era anche la migliore per il tuo tornaconto. Non esiste una singola occasione in cui tu non abbia agito solo e unicamente per te stesso, non è forse vero? Tu non sei mai cambiato».
Se lo aspettava, ma fece male lo stesso.
Fece male e Tony serrò la mascella in un ibrido tra un sorriso e una smorfia sofferente. Fece male e Tony lo sentì tutto, il peso della propria inadeguatezza.
Il peso dell’essere Anthony Edward Stark, che aveva tutto e non aveva niente, che non aveva principi e neppure un padre, che non avrebbe mai puntato un’arma se non fosse stato certo di essere coperto dall’armatura o dai suoi compagni.
Lui che non era un eroe, che non era un soldato e non aveva mai chiesto di diventarlo.
Neppure Coulson, però, l’aveva mai chiesto, eppure aveva deciso di sua sponte di sollevare un fucile contro un nemico che avrebbe potuto annientarlo con uno schiocco di dita.
L’unica cosa per cui combatti è te stesso”.
Fece male e Tony sapeva di non essere Steve, sapeva di non essere perfetto come lui, sapeva di sbagliare, sapeva di non essere all’altezza delle aspettative.
Non lo era stato da bambino per suo padre, non lo era da adulto per il mondo.
Fece male, ma si rialzò, perché non era peggiore di tutti gli altri dirupi.
Si rialzò, incrociò lo sguardo del semidio senza tentennare e ricambiò il suo sorriso con un sogghigno altrettanto selvatico, altrettanto ferino. «Forse hai ragione tu,» ammise, sardonico «ma questo non cambia le cose. Se non ti sta bene, la porta è quella».
Loki non rispose per un lungo momento, i pugni stretti, il corpo teso, gli occhi brucianti. «Pagherai per questo».
E d’un tratto Tony era ancora più stanco di prima e non aveva più la forza di giocare a un gioco che, a lungo andare, avrebbe portato alla loro reciproca distruzione. Scrollò le spalle, senza curarsi che il semidio notasse la sua spossatezza, e il sorriso spietato fu spodestato da un’espressione insolita per lui. Arrendevole, quasi solenne. «Lo so. Tutto ha un prezzo, ma non sono disposto a pagare con la salvezza della Terra a causa delle nostre dispute. Tu sì? Sei disposto a pagare con la tua vita, solo per vedere chi è più forte?»
Tregua, chiedeva Tony. Dammi la mano.
Loki esitò, poi si afferrarono le mani a vicenda e tornarono in piedi in contemporanea, insieme. Solo per questa volta.
«Sei diverso dagli altri mortali, Stark» ammise. L’uomo non seppe se interpretarlo come un complimento o come un insulto. «Singolare». Il semidio sorrise, in netto contrasto con l’atteggiamento iroso di poco prima. Il Dio dell’Inganno, ricordò Tony. «Talvolta, lo confesso, persino io mi domando come prenderti. Non posso dire che mi piaccia, ma per certi versi non mi dispiace».
L’uomo ostentò un sorriso. Il precipizio non sembrava più così profondo, forse potevano persino risalirlo, insieme. Solo per questa volta. «Devi lavorare sui complimenti. Non ti riescono troppo bene».
«Hai ragione». Loki aveva riacquistato il consueto contegno elegante e non smise il suo sorriso, ma esso assunse una piega cupa quando il suo sguardo saettò verso la centrale, i computer che vibravano, gli ologrammi touch-screen dei monitor sospesi sopra il complesso elettronico semicircolare. «Dimmi cosa devo fare».
Tony gli indicò lo spazio attorno al quale la consolle si chiudeva sin quasi a creare un cerchio perfetto. «Togli la camicia. Dovrebbe essere sufficiente».
Il semidio si limitò ad annuire; raggiunta la postazione, si sfilò la cravatta e sbottonò la camicia con gesti svelti e precisi. Quando ebbe lasciato scivolare la camicia lungo le braccia con una scrollata di spalle e la cravatta giacque inerte intorno al suo collo, piegò con cura entrambi gli indumenti e li depositò sulla centrale, in mancanza d’appendiabiti.
Sottoposti allo sfolgorare azzurrino degli ologrammi dei desktop, gli occhi ricordavano il mare di notte, mentre la sua pelle translucida assumeva una particolare sfumatura bluastra che metteva in risalto le vene, tralci di un blu più scuro che lo percorrevano da capo a piedi in una sorta di tatuaggio tribale.
Era bello, dovette confessare Tony, se non altro a se stesso, in un modo in cui nessun essere umano avrebbe mai potuto esserlo, in un modo che nessun essere umano avrebbe mai potuto negare.
Loki lo trafisse con il suo sguardo penetrante. «E ora?»
L’uomo si affrettò dall’altra parte della consolle, selezionò una serie di opzioni sullo schermo a mezz’aria e il computer sibilò prontamente una risposta. Il semidio fissava le finestre che si aprivano nell’atmosfera tra lui e Tony, quando quest’ultimo disse: «Okay, si parte. Cominciamo con gli incantesimi più semplici, va bene? Niente che faccia saltare in aria le cose, siamo intesi?»
Malgrado il nervosismo quasi palpabile, Loki sogghignò e rivolse i palmi aperti contro di lui, le braccia stese lungo i fianchi. «Siamo intesi, Stark».
Fu uno degli eventi più straordinari cui Tony avesse mai preso parte.
Il semidio accondiscese a ogni sua richiesta, gli permise di raccogliere informazioni su quasi ogni genere di magia di cui era capace – “Ci sono cose che so fare che potrebbero far saltare in aria tutto il laboratorio, Stark” – e l’uomo non aveva mai visto nulla del genere, nulla di così potente e illogico eppure, allo stesso tempo, così vicino alla scienza. Quanto avrebbe potuto fare con quei dati, non era nemmeno in grado di immaginarlo, ma era impaziente di provare.
Impaziente di sapere di più, di elaborare, di creare.
Per la prima volta nella sua vita di genio abituato a stupire gli altri, stava sperimentando sulla propria pelle quella sensazione di devastata meraviglia, di trovarsi di fronte qualcosa che poteva osservare ma non afferrare. Proprio come Loki quando aveva scoperto Jarvis, così adesso Tony contemplava le scintille di energia magica che danzavano lungo il corpo del semidio, tra le lunghe dita, sulle guance, sul petto, sul cuore, negli occhi splendenti.
Visibilmente compiaciuto, Loki allargò le braccia per farsi ammirare. «Tu, Tony Stark, devi considerarti l’uomo più fortunato al mondo».
Tony ricordò se stesso in quella medesima posizione, una serie di testate esplosive che detonavano alle sue spalle, terribili e affascinanti, letali e bellissime. Come la magia del semidio. Tony Stark riflesso nello sguardo di ghiaccio di Loki.
Sì, sono l’uomo più fortunato al mondo.
Quando l’uomo ritenne di aver immagazzinato informazioni sufficienti per iniziare a lavorare su un prototipo, il semidio non appariva affatto stanco. Al contrario, usare la magia sembrava rinvigorirlo, sebbene lui stesso avesse spiegato che, a lungo andare, sfruttare il suo potere lo sfiniva. Doveva essere il piacere di avere una tale potenza per le mani – e non tanto il farne uso di per sé – a corroborarlo, concluse Tony.
La magia, la più grande arma e più grande debolezza di Loki. Tutto ciò che aveva.
«È abbastanza, Stark?» volle sapere il semidio, rendendosi conto che il ronzio dei computer era diminuito d’intensità. Cercò gli occhi di Tony per avere conferma e, nel preciso istante in cui l’uomo assentì, il manto di potere che lo avvolgeva si dissolse.
Colto alla sprovvista, Tony indietreggiò di un passo, quasi fosse stato colpito da un’onda d’urto. Loki sorrideva, sornione. Il Dio del Trucco.
Non appena fosse arrivato sulla Terra, avrebbe dovuto chiedere a Thor che genere di dispetti prediligesse il fratello, perché aveva lo spiacevole presentimento che “dispetto”, su Asgard, non avesse lo stesso, innocuo significato che aveva sul suo pianeta. Non si sarebbe sorpreso se il senso dell’umorismo tendente alla schizofrenia dimostrato dal semidio fosse considerato la norma, nel Reame Eterno.
Per associazione d’idee, da “Thor”, “dispetto” e “spiacevole” arrivò a ricordare che non aveva ancora telefonato a Bruce e che Fury doveva essere – nomen omen – furioso. E quello sarebbe stato altamente spiacevole.
Gettò un’occhiata disperata agli ologrammi dei desktop, occupati da decine di progetti e dati accumulati nelle ultime- perché erano già le undici e mezzo?
Ah, cazzo.
Loki lo scrutava, disorientato, afferrare una dopo l’altra le finestre aperte sui monitor virtuali e spostarle, di malavoglia ma con un’improvvisa frettolosità, nella cartella denominata “Progetto Winx”. «Qualcosa non va?»
«Beh, è stato tutto molto bello e mi piacerebbe rifarlo, ogni tanto, volentieri, sul serio, ma Fury mi caverà l’intestino con un cucchiaio se non chiamo subito Doc e, sai com’è, non ho voglia di testare la sua pazienza, però ho già un progetto in mente e non vedo l’ora di lavorarci su, solo, non stasera, perché, te l’ho detto…»
«Doc» lo interruppe il semidio, due dita premute sulla tempia. Non era una domanda e Tony sospettò che fosse intervenuto soltanto per metterlo a tacere. «Banner?»
«Esatto». L’uomo ammiccò ai desktop in fase di spegnimento a indici spianati, bellamente incurante del sopracciglio inarcato con cui reagì Loki. «Adesso, se non ti spiace, dovrei fare una telefonata. Va’ a dormire, che domani c’è scuola. Ti raggiungo dopo. ‘Notte».
Dapprima immobilizzato dallo spaesamento, il semidio prese sottobraccio gli abiti ancora appoggiati sulla consolle e si diresse verso l’uscio.
Prima che si voltasse, Tony aveva avuto l’impressione di scorgere un’espressione di disappunto, ma Loki se ne andò senza che potesse interrogarlo o anche solo riflettere con più attenzione a riguardo. Per la verità era anche la prima volta che il semidio obbediva senza protestare e non voleva rovinare quel momento di gloria e immenso gaudio.
Mentre scorreva la rubrica in cerca del numero di Bruce, meditò che, se non altro, avrebbe potuto giustificarsi con Fury che tra Calcutta e New York c’erano nove ore e mezzo di differenza e che non aveva chiamato, quel giorno, per evitare di svegliare Bruce nel cuore della notte e rischiare che si trasformasse in Hulk. Soffermandosi a pensare seriamente a quell’eventualità, calcolò che in India dovessero essere più o meno le dieci del mattino, un orario sicuro, a meno che Bruce non fosse un dormiglione.
Era un’idea strana e alla fine Tony lasciò perdere e si concentrò sulla telefonata.
«Signor Stark?»
Non era la voce di Hulk. Da qualche parte dentro di sé, dove aveva davvero temuto d’incorrere nelle sue ire, l’uomo sospirò di sollievo. «Come va, Doc?»
«Il solito» replicò Bruce, ragionevole. Più gentile di “Comunque possa andare a uno che si trasforma in un mostro verde ogni volta che si arrabbia”, in ogni caso. «A che cosa devo il piacere?»
Da parte di chiunque altro la domanda sarebbe suonata sarcastica, ma il dottore era sincero. Tony accettava senza fare una piega i suoi “momenti Hulk”, come li aveva ribattezzati lui stesso, e non esitava a fare battute a riguardo; Bruce, sebbene di tanto in tanto le trovasse fin troppo di cattivo gusto, lo apprezzava proprio per quella ragione: perché Tony lo prendeva in giro come avrebbe fatto con chiunque altro, senza messe misure.
«Pare che gli Avengers debbano unirsi di nuovo» tagliò corto Tony. «Ordini di Fury. Loki è scappato e dobbiamo proteggere la Terra, e blablabla…»
«Scappato?» gli fece eco il dottore, stupito.
«Così mi si dice dalla regia» scherzò Tony. «Fury vuole che torni a New York per una felice rimpatriata. Verrai?»
Nell’ultima frase – Verrai? – non c’era sarcasmo. Dall’altra parte del filo vi fu un lungo silenzio, interrotto soltanto dal crepitare del respiro di Bruce nella cornetta. Tony si massaggiò la barba, un gesto abitudinario per scacciare l’inquietudine.
«Parto appena posso. Cerco di essere lì staser- cioè, domani, secondo il fuso orario americano».
Tony sorrise, anche se il dottore non poteva vederlo. «Ti adoro».
«Ah, no grazie» rifiutò Bruce nel suo tono più educato e Tony seppe che anche lui stava sorridendo. «Io non- non con gli uomini».
«Oh, ma sai che io potrei farti cambiare idea» obiettò. Quando il dottore si limitò a ridere di rimando – ridere come non l’aveva mai sentito ridere con nessun altro, ridere come, all’inizio della loro amicizia, Tony aveva temuto non fosse più capace di fare –, l’uomo finse di indignarsi e pretese di congedarlo con un freddo “Ti si possa schiantare l’aereo, dottor Banner”.
Dopo aver terminato la telefonata, guardò il display del cellulare senza vederlo, perso nei propri pensieri, e si riscoprì felice dell’arrivo imminente di Bruce, così come avrebbe potuto essere felice di tornare a casa dopo tanto tempo. Non aveva smesso di sorridere.
«Signore?»
Tony si riscosse e aggrottò la fronte. Di solito Jarvis non prendeva la parola di propria spontanea volontà, a meno che non si trattasse di un’emergenza. Loki. «Sì?»
«Scusi il disturbo. Vorrei solo avvertirla che-».
Al diavolo l’AI, i suoi convenevoli zuccherosi e la sua tempistica del tutto inutile. Nel momento in cui le luci si spensero e la temperatura nella sala scese di almeno cinque gradi, se non di più, nel giro di un secondo, Tony lo interruppe, seccato: «Grazie, Jarvis, di essere sempre così puntuale nell’aggiornarmi».
Jarvis suonò quasi offeso. Urgeva una riprogrammazione, stabilì con decisione Tony. «Scusi, signore».
«Uhm, non avevo detto che domani c’è scuola?»
Loki esalò una di quelle sue risatine basse e controllate che inevitabilmente provocavano la discesa di un fremito lungo la schiena di Tony. L’uomo si strinse nelle spalle nel tentativo di scrollarsi di dosso quella sensazione. «Non mi piace che non si presti adeguata attenzione alla mia persona, Stark».
A Tony quasi cadde la mascella. Di nuovo.
La sua bocca si mosse, ma non ne uscì alcun suono, sebbene il suo cervello strabordasse di parole, da “È una dannata diva” a “Devo assolutamente parlarne con Thor” a “È per questo che è qui?”.
«Non ci credo che hai ideato quest’apparizione terrificante solo perché avevo qualcosa di più importante da fare che non fosse prestarti attenzione» riuscì a farfugliare alla fine, onestamente sgomento. «No, perché, davvero, è preoccupante. La tua salute mentale, intendo».
«Ma come sei premuroso». Tony non poteva vederlo, ma riusciva ad avvertire il suo sopracciglio inarcato. «Che tu voglia crederci o meno, mi aspetto un certo rispetto da una creatura inferiore e cacciarmi dal tuo laboratorio dopo avermi propinato una blanda giustificazione non è ciò che io chiamo “rispetto”».
L’uomo percepì un movimento, ma i passi del semidio erano troppo felpati perché fosse in grado di localizzarlo. Era vicino, però.
«Okay, primo: non ti ho “propinato una blanda giustificazione” – che poi, a quando risale questo gergo, mio signore? Fury mi avrebbe davvero fatto a pezzi se non avessi avvertito Doc, quell’uomo non scherza, non ricordi la volta in cui ti ha minacciato che un giorno ti saresti pentito d’averlo reso disperato e- e, beh,» esitò, rendendosi conto troppo tardi dell’errore «non hai conquistato la Terra. Sì, ecco».
Alle sue spalle, Loki non replicò, ma si spostò di nuovo nell’ombra, ancora più vicino. Il silenzio sbocciò tra loro, un fiore carnivoro dai petali rossi come il sangue.
Tony era teso, ma non aveva idea di come scusarsi per aver ricordato al semidio che non era divenuto il padrone del mondo. Non era nemmeno convinto di doversi scusare, sarebbe stato piuttosto paradossale. “Mi dispiace di averti impedito di mettere in ginocchio la razza umana”. Disturbante.
«Rispondi a una domanda, Stark». La voce di Loki era bassa e suadente, il suo respiro una brezza calda sulla nuca di Tony, il suo petto – ancora nudo, registrò un lato di lui di cui avrebbe preferito rimanere ignaro –, una presenza improvvisa e possente contro la sua schiena. «Sii sincero con me e forse ti lascerò in vita».
Mi sembra un ottimo compromesso, commentò tra sé Tony, ma si morse un labbro per non pronunciare quelle stesse parole ad alta voce e attese, immobile, congelato sul posto. Non metteva in dubbio che il semidio avrebbe potuto tagliargli la gola con un solo gesto; non che prima lo sottovalutasse, ma era molto più semplice sentirsi minacciato, dopo che l’aveva sorpreso alle spalle senza che se ne accorgesse.
«Non ti ricordi proprio nulla di ieri sera?»
In un qualche angolo malato della sua mente, l’uomo si aspettava quella domanda. Quale fosse quell’angolo, non gli era dato saperlo e probabilmente era meglio così. Salute mentale.
A livello inconscio soppesò l’idea di mentire, ma, se avesse tentato, Loki avrebbe saputo di avere ragione e ne avrebbe approfittato per schernire il suo inutile tentativo di raggirare il Dio dell’Inganno.
Infine esalò una risposta sottile come un sospiro, come un filo di fumo. «Mi ricordo».
Contrariamente a ogni sua previsione – ognuna delle quali coinvolgeva una tortura differente –, il semidio soffocò una risata e lo abbandonò nell’oscurità del laboratorio vuoto e spento con un’unica parola, che poteva essere una promessa come una minaccia, ma senza dubbio non una spiegazione. «Ottimo».
L’uomo rilasciò il fiato in un respiro greve e appoggiò d’istinto il palmo della mano sul reattore arc. Era ancora al suo posto, lui era ancora vivo. Andava ancora tutto bene.
«Grazie della tempestività, eh, Jarvis» sibilò in tono amaro. L’AI scelse saggiamente di tacere.

  
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