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Autore: AntoThunderbolted_    09/07/2012    1 recensioni
Talvolta la vita ci riserva delle sorprese che ci aiutano a rafforzare la nostra corazza, o meglio, non dicendo stronzate, ad indebolirci.
Poi, c'è chi riesce a superare quel baratro che cerca di travolgerlo, chi no.
Loro sono giovani e disperati. E' un dolore struggente, veemente, impetuoso, che sorride beffardo alla vista dei loro visi distorti dal dolore.
Il peggio avrà mai fine? E l'amore vince sempre, come dicono tutti? Tutto da vedere.
Dal nono capitolo:
[...]"Un urlo simile a quello che ho appena sentito aveva irrotto tutta l'aria circostante.
Era strozzato, soffocato, glaciale.
Era un lamento, contrito, angosciante.
Era la voce della disperazione.
Robert e io ci eravamo alzati di fretta, e varcata la soglia di casa, l'immagine era spasmodica e talmente violenta che avevo sentito la terra venirmi a mancare sotto i piedi, e tutto si era fatto buio." [...]
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti. :)
Eccomi con il nuovo capitolo. Non vi anticipo niente e stavolta non ho molto da dire. E' stato difficile scrivere questo capitolo, sul serio. 
Non odiatemi, lol.
Buona lettura. -Anto.


POV Kristen.

 

Quando vedo un dottore venirmi in contro, i passi che ci dividono sembrano i più lunghi e i più lenti della mia vita.

Il suo viso è apatico, e mi piacerebbe scorgere quel barlume di speranza che servirebbe a non farmi sprofondare del tutto.

C'è quella sensazione, però, è attaccata allo stomaco e non vuole saperne di lasciarmi andare, di farmi prendere aria, di farmi respirare come una normale persona.

Di mia madre, dopo quell'urlo, nemmeno l'ombra.

Io, in fondo, non vivo da un po'. Se non fosse per Robert, probabilmente adesso sarei già morta.

Mi tiene la mano, stando in silenzio, sa anche lui di non potersi permettere di promettermi che andrà tutto bene. Un silenzio straziato.

Quando il dottore e davanti a me e Robert al mio fianco, bastano due maledette parole a darmi la conferma di quello che fino adesso è stato solo un brutto presentimento.

Mi dispiace..”

La terra sotto di me non viene a mancare.

Non piango.

No, non urlo.

Non voglio un abbraccio.

Non voglio sentirmi dire che qualcuno si dispiace davvero per una persona che ha conosciuto nei momenti fatali della sua vita. Non è vero.

Perché dovrebbe farlo?
Prova solo un moto di solidarietà nei confronti dei famigliari, lui, adesso, si girerà e nella sua vita non sarà cambiato niente.

Nella mia, invece, io sto per finire.

La mia voglia di vivere sta per finire, o forse, è già finita.

La mia vita sta per finire.

Quanti, nella mia vita, sono davvero restati? Nessuno.

Mi hanno abbandonato senza nemmeno pensarci, tutti.

Non un saluto, non un ultimo sorriso, non un abbraccio. E forse, è proprio meglio, almeno non rimpiangerò di volermene andare anch'io senza guardare negli occhi, per l'ultima volta, la persona che più amo al mondo, adesso.

Dov'è la stanza dove c'è il suo corpo e mia madre?” chiedo al dottore.

Sento la mia voce, è diversa. E' piatta, vuota, cruda.

Il medico mi fa un cenno con la mano, indicandomi la seconda stanza di un lungo corridoio. Bianco, anch'esso. Come tutto il resto. Come me.

Mi dirigo verso il luogo dove, per l'ultima volta, manderò a quel paese mio fratello.

Anche lui, come gli altri, non ha pensato a me. Ognuno pensa a se stesso.
Oh, che narcisista, pure lui.

Dovrei diventarlo anch'io, sarebbe proprio meglio.

Quando entro, mia madre fissa il vuoto, e per un attimo mi sfiora l'idea che anche lei possa finalmente vedere quello che ogni sera vedo io: il niente.

Poi, mi rendo conto, che tutto ciò è un dolore talmente mio, che di suo non ci potrebbe essere nemmeno l'idea.

Cameron, lui è così.. morto.

E' bianco, intonato al resto della stanza, penso amaramente. E un sorriso dolorante spunta sulle mie labbra.

Mi avvicino e un fiume di parole esce dalla mia bocca: “Ti odio, sai? Ti odio! Mi hai lasciato sola, pensavo che almeno tu mi amassi. Mi sono sbagliata, ancora una volta. Come sempre del resto, no? Mi dicevi di non fidarmi di nessuno! Un altro di cui non mi sarei mai dovuta fidare sei tu! Porca troia, Cameron, mi stai distruggendo anche tu, adesso, e a proteggermi non ci sei più. Ti odio, perché non riesco ad odiarti sul serio! Merda. Ti voglio bene, fratello mio.”

Quando sono proprio davanti a lui, lo accarezzo per l'ultima volta in viso, gli sorrido. Mi volto e scappo via. Avrei voluto abbracciarlo, ma avrebbe fatto troppo male.

Vorrei andarmene sul serio, vorrei correre lontano e sentirmi libera come non lo sono mai stata, vorrei lasciare tutto e prendere in mano la mia vita, ma sarei ancora sola, e forse, non sono ancora pronta ad accettarlo del tutto.

Vado verso casa mia, per un po' corro, poi avanzo a passo sostenuto, perché l'unica cosa che voglio, adesso, è odiarmi in santa pace.

Sento in lontananza qualcuno che mi chiama, mi volto ed è Robert. Sta correndo verso di me, e no, non voglio vedere nemmeno lui.

Voglio soffrire, da sola.

Non voglio smettere di piangere per non far star male la persona accanto a me.

Voglio essere libera di sentirmi male.

Voglio permettermi di spezzarmi da sola.

Voglio crogiolarmi, voglio ricavare altro dolore dal mio.

Ricomincio a correre a più non posso, arrivo a casa mia. Apro la porta, la richiudo e salgo le scale di corsa, entro nella mia stanza e questa volta la porta la chiudo a chiave, le mani tremano, spasmi mi attraversano lungo tutto il corpo.

Vado verso la scrivania e comincio a lanciare tutto ciò che c'è lì sopra.

Il portapenne, la lampada, dei libri ammucchiati, bracciali, una t-shirt, un bicchiere di vetro e altri oggetti che non mi soffermo nemmeno ad osservare vanno a sbattere, a rompersi contro il muro, l'armadio, contro il vuoto.

E si distruggono, proprio come me.

Noto sulla scrivania che è rimasto solo il mio diario personale. Non ricordo l'ultima volta che l'ho usato, ma so per certo che non è recentemente.

Lo apro, lo sfoglio, leggo tratti di penna impressa sul bianco, ma non riesco a concentrarmi sulla parole. Nella penultima pagina c'è una scritta in corsivo, grande, graffiante.

 

 

 

Perdonami, Kristen.

Con amore, Cameron.

 

Ti voglio bene.”

 

Sento il campanello suonare, non ho bisogno di conferme, è Robert.

Non voglio far del male anche a lui, così non rispondo, so che insisterà, ma spero per lui si stanchi presto.

Ogni tanto mi permetto di osservarlo da lontano, fa tanto male, è un dolore che si aggiunge agli altri. Sta diventando tutto troppo insostenibile. Lo vedo andarsene, disperarsi, piangere. Lo sento chiamarmi, amarmi, aspettami. Vedo nel suo sguardo il riflesso del mio vuoto, la nostalgia del nostro amore, la lontananza dei nostri cuori e la persistenza dei nostri dolori.

Ma ha già sofferto tanto nella vita, cosa posso dargli io se non altro dolore? Non posso legarlo a me, per quanto male faccia, merita una vita normale.

 

 

POV Robert.

 

Due settimane dopo.

 

Passano i giorni e Kristen sta morendo.

Io sto morendo.

Noi lo stiamo facendo.

Ogni giorno è una nuova sofferenza.

Alzarmi e sapere che anche oggi lei non ci sarà è morire.

Addormentarmi sapendo che domani sarà maledettamente uguale, anzi peggio, è morire.

Non sentire la sua voce, non vedere le sue lacrime, non regalarsi quei pochi momenti di gioia, è morire.

Sopravvivere è peggio di morire.

Lei non c'è. Il resto è andato vita. Insieme Cameron lei è sparita. Dalla mia vita, dalla sua, da quella di tutti noi.

Ogni giorno provarci, sperare che qualcosa cambi e accorgersi che è solo un'illusione, è morire.

Io la chiamo, lei non risponde.

Io vado a casa sua, lei è come se non ci fosse.

Ho provato a scriverle decine di lettere, con la speranza di prendere il mio cuore e provare a farne una descrizione.

Ho provato a fare centinai di tele, con la speranza di disegnare il suo sorriso e vederlo sul serio.

Ho provato a suonare migliaia di note, con la speranza si sentirne uscire la sua voce.

Ho provato a catturare miliardi di stelle, con la speranza di prenderle tutte per lasciare a Kristen il posto per brillare senza fermarsi, dove tutto il mondo sarebbe ai suoi piedi e potrebbe amarla, com'è giusto che sia.

Niente è bastato, niente è esistito, io sono fermo.

Fermo in un tempo che non vuole passare, in un tempo che non vuole essermi amico, in un tempo che scorre lento solo per vedermi contorcere sotto di esso stesso.

Cameron è andato via, non un perché, non un come, non un quando, ma si è portato anche sua sorella.

Vorrei dirle che insieme possiamo affrontare anche questa, che in fondo, anch'io ci sono passato.

Vorrei dirle che troveremo una spiegazione a tutto questo.

Lei, però, non me ne dà la possibilità.

Adesso, guardando il cielo, non mi resta più niente da fare se non aspettarla.

Sono seduto sul prato del vialetto di casa sua. Lei sa che sono qui. Ogni tanto vedo la sua figura spiarmi, come tutti i pomeriggi.

Invece che studiare, dopo scuola, vengo qui e fisso il cielo, con la speranza che lei scenda e venga ad aprirmi.

So che anche oggi non lo farà, e sarà di nuovo come morire.

Mi giro verso la sua finestra, la tenda è chiusa.

Sono ormai le otto di sera, a pranzo non mangio più, così mi alzo per dirigermi verso casa mia e mangiare qualcosa di cui non sentirò nemmeno il sapore.

Mi strofino i pantaloni per far cadere tutta l'erbetta del prato, e comincio a camminare.

Un rumore, un passo, una parola: “Robert!”.

So cos'ha prodotto quel rumore, so di chi è quel passo, so chi ha parlato.

E' la voce che mi ha tenuto in vita per quattordici giorni, con la speranza di risentirla davvero, di nuovo.

E adesso eccola, è esile, è debole e scarna.

Mi giro, e lei è davvero di nuovo davanti a me, a pochi metri, che mi fissa.

Non piange, è ridotta davvero male, probabilmente la ricovereranno presto, ma è viva, ed è di fronte a me.

Faccio pochi passi verso di lei, ma prima che possa avvicinarmi del tutto, alza una mano e m'immobilizzo.

Stai fermo, Robert. Non avvicinarti, non provare a toccarmi...”, “non voglio”, aggiunge dopo pochi istanti.

Questo è addirittura peggio di non riuscire a vederla, a sentirla mia. Mi ferisce e non so che dirle, ma è lei a continuare impetuosa.

Non sono fatta per te, lo capisci? Ti faccio solo del male, e te lo continuerò a fare, Robert. Io.. io ti amo, capisci? E' proprio per questo che non riesco a starti lontana, ma devo. Te lo devo. Perché sinceramente, questi pochi mesi passati con te sono stati i migliori di tutta una vita, ma devono restare tali, e non voglio rischiare di dimenticarli perché sommersi da altri, terribili, non voglio distruggerli, voglio tenerli per me.” Si poggia una mano sul cuore, mentre dice tutto ciò, e mi fissa, aspettando, forse, una mia reazione, che non arriva.

Mi lascia dicendomi che mi ama. Mi ama. Ed è la cosa più bella che mi possa dire vicino alla sensazione più spasmodica e violenta che io possa provare.

Si, l'amo anch'io.
“Ti amo, Kristen.” e quando lo dico realizzo che è terribilmente vero, che è ciò che ho incominciato a fare dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incatenati tra loro.

Vedo il suo viso atteggiarsi in una smorfia di dolore, e le lacrime, quelle che ha trattenuto fino adesso, sgorgano senza contegno e pena per questa ragazza così fragile.

Non devi” mormora così piano che credo quasi di essermelo immaginato.

Ti aiuterò, Kristen. Scopriremo cos'è successo a tuo fratello, capiremo perché Cameron ha fatto quella cazzata, m'impegnerò, ma ho bisogno che tu sia al mio fianco. Io ti ho promesso il mondo, Stewart, e le promesse io le mantengo, a dispetto di tutte le persone che troppe volte ti hanno promesso qualcosa e poi solo ferito.”
I suoi occhi sono spalancati, e in essi la guerra inferiore che sta vivendo è riflessa alla perfezione.

Non posso strapparti via dalla tua vita, non posso trascinarti giù con me.”

Non sei tu a strapparmi, Kristen. Sono io a non appartenere più ad essa.”

Non lo capisci, Robert? Non ne hai idea, vero? Io non posso stare più con te. Vattene, okay? Devi.andartene.ora.” e nel suo viso una rabbia inespressa. Quasi sibila.

Perché mi stai facendo questo, dimmelo. Kristen.” Mi volto e vado verso casa mia.

Lasciandola lì, sola, proprio come vuole lei, come desidera. Non mi giro per controllare cosa sta facendo, ma se ho imparato a conoscerla, penso si stia accasciando contro lo stipite della porta, sommersa dalla propria agonia.

 

-

 

Sono le dieci di sera, sono steso sul divano di casa mia e sono ubriaco.

Ho scolato le tre bottiglie che ho trovato nel salone: brandy, rum e vodka.

Mentre scolo le ultime gocce di rum, di dentro brucio vivo.

Mi viene da rimettere, così mi alzo e mi dirigo verso il bagno. Alzo il coperchio del wc e vomito sentimenti amari che si sono impadroniti di me.

Vomito l'anima e dolore d'argento come un proiettile conficcato nel cuore.

Passo una mano tra i capelli: mi ha lasciato.

Adesso non è solo lei sola, lo sono anch'io.

E l'ha voluto lei. Non ne aveva il diritto, non mi ha lasciato scegliere, la fatto lei per me.

Ritorno in salotto e prendo le bottiglie vicino al divano, le scaravento contro la finestra, quest'ultima si rompe e le bottiglie sono già a pezzi, a terra.

Mi accascio sul pavimento, con le spalle appoggiate allo schienale del divano, le ginocchia piegate e prendo la testa tra le mani.

E' così la disperazione? E' questo il sentimento che tutti hanno paura di provare e di cui tanto parlano? E' questa l'unica conseguenza di un amore malato?
Come si combatte? C'è un antidoto a questo veleno? Si muore di esso? Ho paura.

Ha deciso lei cosa fare della mia vita, e no, non riesco a perdonarla.

Non può avermi lasciato così, senza pensare un istante, che forse, la sua lontananza sarebbe stata peggio della sua vicinanza.

Non riesco a sopportare tutto questo.

Mi alzo e prendo il telefonino da sopra il camino, lo metto in tasca, insieme alle sigarette e al portafogli, ed esco.

Cammino mentre la gente mi passa accanto, senza vedermi, senza accorgersi che sto andando a distruggermi ancora di più.

Quando arrivo a casa di Kate suono e lei mi fa salire subito.

Biascico parole senza senso, e lei mi guarda perplessa, preoccupata per me.

Non so cosa ci faccio qui, forse voglio solo scopare. Infliggerle quel dolore che non riesco a condividere con nessuno.

La prendo dai capelli, le alzo il viso e comincio a baciarla, odiandola.

La trascino verso camera sua, e la getto sul letto.

Lei sta già ansimando, troia.

Mi avvento su di lei, senza passione, solo brutalità. Le mordo il collo, i suoi capelli ancora tra le mie mani, di colpo mi alzo.

Sbottono i pantaloni, cerco nella tasca dei miei jeans il mio portafogli e dentro vi trovo ciò che cerco: un preservativo.

Dopo essermelo messo entro dentro di lei.

Geme, grida, urla il mio nome ed io non la sopporto. Voglio farle del male, deve capire il mio dolore, almeno un po'.

Spingo forte, e quando finisco esco velocemente da lei, schifandola e schifandomi.

Mi abbottono di nuovo i jeans, ed esco velocemente dalla sua camera, senza guardala in viso.

Quando si è ripresa lei mi segue in cucina, e aspetta che le dica qualcosa.

Io.. io non ti voglio, avevo solo bisogno di scoparti.” Le dico, e la cattiveria nella mia voce è palpabile.

Lei contrae il viso: “sei ubriaco, Robert.”

Non abbastanza da non capire ciò che ho fatto e non pentirmene subito. Ma mi serviva questo. Vaffanculo, Kate.” Mi giro e scappo anche da lei.

Non voglio tornare a casa mia, così comincio a vagare per la città, sperduto. Passo più volte le mai tra i capelli, mi stropiccio gli occhi e cerco di capire se ciò che sto vivendo sia solo opera della mia immaginazione, evidentemente è un brutto incubo. La disperazione di un uomo malato d'amore.

All'improvviso il telefonino squilla da dentro la mia tasca. Mi ridesta dai miei pensieri. E' Kristen.

Passo entrambe le mani tra i capelli, prima di rispondere.

Si” mormora lei, avvilita. E non ho bisogno di capire a cosa si riferisca. So già tutto.

E' la risposta alla mia proposta di aiutarla.

E' la concessione di amarla.

E' la vita che mi sta regalando.

E' ciò che desidera e vuole darmi, facendosi male, per me.

Capisco ancora una volta di amarla, e so di odiarmi come non ho mai fatto.

Il mio respiro accelera e delle lacrime scendono impetuose sul mio viso, senza avermi chiesto il permesso.

Che gran bastardo. Ho imparato a camminare, per lei, per saperle correre accanto e adesso, sono caduto di nuovo, e alzarmi sarà aspro.

Non riesco a dire niente, sono immobile. La sento sospirare e continua a parlare, sta piangendo anche lei, adesso.

Prometti una cosa, però.”

Tutto” dico, riuscendo ad emettere un lamento. Una brutta sensazione, però, mi prende alla sprovvista, inaspettata, all'improvviso.

Mi aiuterai a costo di non amarmi più. Non saremo più una coppia, non siamo niente, non più. Faremo le indagini, ti ricompenserò in qualche modo, ma non ti permetterò di amarli, farmi stare bene. Io non devo. Non lo merito...” e la sua voce sfuma, o forse sono semplicemente io a non sentire più niente intorno a me.

Il sangue mi si gela nelle vene.

I suoi sospiri diventano singhiozzi.

Sono stanco, vita. 


Piaciuto? E' un po' duro, mh. Non so, mi piacerebbe sapere che ne pensate in qualche recensione, fa sempre piacere. :)
Grazie, come sempre, a tutti quelli che leggono e seguono questa ff. 
Alla prossima. xoxo -Anto.

P.s: scusatemi per eventuali errori, l'ho ricorretto velocemente. 
  
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