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Autore: Blackbird_    09/07/2012    5 recensioni
Liverpool, 1961. Quattro giovani Beatles sono di ritorno dalla loro avventura tedesca. Ad attenderli non solo i loro vecchi amici, ma anche un turbine di novità. L'enorme successo sorprende tutti quanti, anche Ray e Sun, le due piccole "mascottes" della comitiva liverpooliana.
Dal Secondo Capitolo:
“Magari così trovate un nuovo manager che vi farà fare qualche provino per le etichette discografiche, no?” aggiunse Sun. George annuì sorridente e tornò a guardare gli altri. “Non sarebbe affatto male un provino, magari è la volta buona che sfondiamo sul serio” ammise. Come se fosse stato il cucciolo di un qualsiasi animale iniziai a carezzarlo sulla testa. “Sfonderete sicuramente e magari diventerete famosi in tutto il mondo e cambierete la storia della musica e…” “Frena, frena Ray!” mi interruppe lui ridendo “non starai correndo un po’ troppo?”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La gente presente al Cavern, quella sera, era anche maggiore della serata precedente. Continuando di questo passo prima o poi non saremmo più entrati lì dentro. Feci letteralmente a gomitate con ragazzi ubriachi e sgualdrinelle di bassa lega per riuscire a scendere la gradinata che mi portava verso il cuore del locale. L’odore nauseabondo mi provocò un improvviso e momentaneo capogiro. La musica era assordante; lanciai un’occhiata sul palco: i ragazzi erano già su a suonare. Per quanto cercassi non riuscii a trovare gli altri della comitiva fra il pubblico. Non che sperassi davvero di trovarli, considerando la piccola statura di Sun e Richard in confronto ai colossi liverpooliani che in quel momento animavano il locale. Ted era il più alto, ma anche cercare di scorgere lui si dimostrò un’impresa ardua.
Mi arresi pressoché immediatamente e presi la via verso il bancone del bar, da dove grossi boccali di birra urlavano il mio nome e mi pregavano di raggiungerli e svuotarli. Non potevo dir loro di no, le loro grida erano troppo disperate anche per una col cuore di ghiaccio come me. Mi sedetti su uno sgabello ordinando da bere e mi misi a seguire il concerto. Quella sera sembravano molto più sciolti della sera precedente, probabilmente ci avevano preso gusto.
Appena il barista mi fece passare sotto il naso la mia profumatissima birra abbandonai la mia ammirazione momentanea verso i quattro sul palco e diedi il via alla mia degustazione.
“Dling dlong, annuncio di servizio. La signorina Ray Knowall è pregata di smettere di fare la camionista bevendo birra e di raggiungerci immediatamente sul palco, grazie” per tutto il Cavern si levò una grossa risata. Cercando di evitare di soffocare a causa di una sorsata andata pericolosamente di traverso, fulminai i ragazzi sul palco che mi guardavano ridendo. Mi fecero all’unisono segno di avvicinarmi ed io declinai con un secco no con la testa. “Ray hai portato i panini? Ho una fame da lupo, ti prego vieni a portarmene uno” mi supplicò George al microfono. Alcune ragazze scoppiarono a ridere, anche se non riuscivo a cogliere il lato divertente di quella frase. Sbuffando abbandonai la mia povera birra al suo triste destino e raggiunsi il palco, sgattaiolando fra la folla che mi guardava incuriosita. Non conoscevo quasi nessuno lì in mezzo ed ora, grazie ai Beatles, la mia dignità era andata a farsi friggere prima ancora di essersi creata.
Porsi un panino al povero ragazzo affamato che, in tutta risposta, anziché prendere il suo spuntino ringraziandomi, mi afferrò per un braccio e mi fece salire a forza. “Facciamo tutti un applauso a Ray che ci ha portato la cena” urlò John. Per mia grande sfortuna il suo carisma lì sul palco era assoluto, e tutti fecero ciò che lui aveva richiesto. Sentivo il sangue ribollire nella faccia, probabilmente ero diventata paonazza in pochi istanti. Mi portai le mani sul viso, per coprire i segni del mio imbarazzo. In quel momento l’unica cosa che desiderassi era scendere da quel palco infernale e tornare a farmi gli affari miei, aspettando la fine della performance per poterli strangolare con le mie stesse mani. “Voi siete pazzi” sussurrai scuotendo la testa, senza ricevere risposta da nessuno. George prese il sandwich che gli stavo porgendo poco prima, lo scartò e gli diede un morso, affamatissimo. Per loro era una cosa normale rendere il palco la loro ‘casa’: passandoci gran parte delle loro giornate erano abituati a non avere limiti e fare sempre di testa loro. “Posso scendere, ora?” domandai, liberandomi dalla mia stessa presa, smaniando come una ragazzina che vuole essere presa in braccio. “Questo è il panino più buono che abbia mai mangiato in vita mia, grazie Ray!” commentò George, senza nemmeno degnarsi di darmi una risposta. Si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia, che rimbombò per tutto il locale a causa della nostra vicinanza al microfono. Le ragazzi sotto al palco non sembrarono particolarmente felici di quella mossa azzardata ed io, più imbarazzata che mai, abbandonai il palco senza aspettare il permesso per farlo.
Paul si accertò che l’amico avesse terminato di cibarsi e diede il via alla canzone successiva con un abile virtuosismo col suo basso. Lo amai improvvisamente, per un attimo, per avermi tolto l’attenzione di tutti da dosso ed essersela prepotentemente ripresa. Le smanie di protagonismo del giovane McCartney non avevano sempre risvolti negativi. Lo ringraziai lanciandogli un’occhiata fugace che captò immediatamente, rispondendomi con un occhiolino che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi ragazza. Effettivamente mi fece un certo effetto, ma non potevo starmene a gongolare sotto al palco: dovevo dare un senso a quella serata.
Cercai disperatamente di tornare alla mia birra, al bar, ma ero quasi paralizzata dai troppi sguardi addosso e dall’eccessivo numero di persone fra me e la mia meta. Urtai più di una persona, senza mai fermarmi a chiedere scusa, finché non venni bloccata da un ragazzo alto e muscoloso. “Hey bella, come va la vita?” domandò, sfacciato. Era un classico teddy boy, col ciuffo impomatato, la giacca di pelle e il cervello grosso quanto una noce. Cercai di evitare il contatto visivo, sviando dalla conversazione fingendo di non averlo ascoltato. “Oh, dai, stammi a sentire, voglio solo sapere come ti chiami” mi urlava contro, seguendomi, non notando i miei disperati tentativi di ignorarlo. Chiusi gli occhi e continuai ad annaspare fra la gente, sperando di arrivare al bar il prima possibile, seminando il disturbatore. “Senti, bella moretta, è inutile che fai la difficile. Non sono mica un pervertito, voglio solo sapere il tuo nome” continuò, afferrandomi per un braccio e ponendo fine alla mia disperata fuga. Mi voltai a fissarlo, indispettita da quel gesto insolente. Più che altro ero assolutamente terrorizzata di lui. Il mio sguardo si posò per un attimo sui suoi occhi: erano azzurri, cristallini. Erano talmente belli che mi spaventarono ancora di più. “Mi chiamo Ray” mi arresi. L’altro, finalmente soddisfatto, mi porse la mano libera e strinse la mia destra. “Bill, piacere” sorrise. “Ora scusami, ma ho una certa fretta” sostenni, cercando di dimenarmi dalla sua presa, senza risultati. “Non sono il tuo tipo, eh? Senti, dimmi un po’, con quale di quei quattro te la fai? Ti ho vista sul palco, poco fa” “Ma che…” “Ray!”riconobbi immediatamente la voce preoccupata che mi chiamava. “Senti tu, coso, lasciala in pace o ti ritroverai presto il mio pugno giù per la gola” urlò Ted, annullando la forte presa di Bill sul mio braccio con un abile gesto. Appena mi sentii finalmente libera corsi fra le braccia del mio salvatore che mi cinse con le sue braccia, continuando a guardare in modo crudo lo sconosciuto. “Calma bello, stavamo solamente scambiando due chiacchiere” lo intimò quest’ultimo, fingendosi un angelo. “Ciao, ciao Ray, ci si vede in giro” continuò, con un cenno della mano, e si dileguò fra la folla.
Balbettai con difficoltà numerosi grazie, tremando come una foglia. Non mi era mai capitato di vivere un’esperienza simile, ma sapevo di per certo di non volerne più vivere alcuna. Insieme a Ted, che continuava a brontolare maledizioni contro il tipo, raggiunsi Sun e Ringo, che ci aspettavano al bar. “Cosa è successo, perché ci avete messo tanto?” chiese Sun, dimenando la mano che stringeva il suo bicchiere di succo di frutta. Senza dare una risposta alla sorella, Ted si voltò verso di me, con sguardo serio. “Cosa ti è venuto in mente? Potevi avvertirci che saresti venuta da sola, ti saremmo venuti a prendere a casa. Vedi cosa succede in posti come questo se non sei in compagnia?” mi sentivo una sciocca, una perfetta idiota. “Hai ragione Ted, scusami. Pensavo di potermela cavare a venire qui sola e farvi una sorpresa, ma evidentemente mi sbagliavo” “Ma cosa è successo?” chiese Richard, cadendo letteralmente dalle nuvole. “Niente Rich, un cretino stava infastidendo Ray. La sorpresa l’avrebbe avuta lei, presto, se non fossi arrivato in tempo”. Sun, sentendo il mini racconto del fratello, aprì le braccia per abbracciarmi, ed io mi tuffai su di lei. Non sarei stata nulla senza l’aiuto dei miei amici. Ringo, con un dolce sorriso stampato sulle labbra, mi porse il suo boccale di birra. Accettai la sua tenera offerta e diedi una sorsata avida.
“Ti ho vista sul palco” commentò Sun dopo aver slegato l’abbraccio. Sorrideva, anche se dal suo sguardo si leggeva nitidamente che sarebbe tanto voluta salire lei, al mio posto. “E’ stata una mossa a tradimento, io non volevo salire” replicai, incrociando le braccia. “Ma perché sei completamente vestita di nero?” le domandai, cercando di cambiare discorso. “Ero in lutto per la tua assenza” scoppiò a ridere. La seguii a ruota e, dopo una pacca sulla spalla, l’abbracciai nuovamente.
 


Appena il concerto fu finito i ragazzi proposero di spostarci ad un altro locale, poco lontano dal Cavern. Lì, per quella sera, era in programma una serata di alcool no stop a poche sterline e noi non ci saremmo mai potuti perdere una serata simile. Sun era l’unica astemia, ma Ringo le teneva compagnia con la scusa del dover guidare e riaccompagnare tutti a casa. Immaginai, più che altro, che quella fosse una scusa per non fare cose stupide da ubriaco: tutti conoscevamo l’impulsività di Richard Starkey quando alzava troppo il gomito. Prima o poi avrebbe combinato qualche guaio, ma non quella sera: via impulsività, via figuracce con la ragazza che ti piace, matematico.
Quella sera si beveva per festeggiare: i Beatles avevano deciso di accettare la proposta di Brian Epstein di diventare il loro manager. L’indomani sarebbero andati nel suo negozio di dischi per annunciargli la loro decisione. Quale motivazione migliore per poter passare una nottata allegra in compagnia dei propri amici?
In una manciata di minuti erano tutti partiti: Ted stava dando il meglio di sé imitando in maniera pessima Elvis Presley e il suo movimento pelvico in Jailhouse Rock, Pete, caduto a terra dalle troppe risate, continuava a sbellicarsi rotolando su e giù per il pavimento lurido della bettola in cui ci trovavamo, George fissava il vuoto come se avesse appena avuto una mistica apparizione, John e Paul discutevano su chi dei due fosse il più figo del gruppo e io mi limitavo ad osservare tutto e tutti. Ogni sensazione era amplificata, sentivo il battito del cuore rimbombarmi in testa, e tutto intorno a me si muoveva in modo vorticoso. Sembrava di stare su una giostra che gira velocissima. Forse avevo esagerato. Continuai a guardarmi intorno; forse avevamo esagerato tutti quanti.
Sun continuava a parlarmi ininterrottamente credendo e pretendendo che io la stessi a sentire. Evidentemente non le era ben chiara la mia situazione. Continuavo ad annuire ad ogni cosa che dicesse, senza capire davvero i suoi discorsi.
Avevo dimenticato quanti bicchieri avevo bevuto. Avevo già dimenticato persino cosa avevo bevuto. Continuavo a pensarci, evitando che le parole della mia amica facessero presa sui pochi neuroni ancora attivi del mio cervello.
“Senti, Sun, tutto questo è davvero molto interessante ma non è che potresti spegnerti anche solo per un attimo? Mi stai facendo venire il mal di testa” la supplicai, infine. Da astemia non poteva certo capire la mia situazione, tant’è che, apparentemente offesa, incrociò le braccia e cominciò a parlare con Richard, evitandomi totalmente. In un altro momento mi sarebbero venuti i sensi di colpa, ma nelle condizioni in cui mi trovavo non avevo nemmeno la forza per chiederle scusa.
Senza badare troppo alla reazione di Sun mi alzai e raggiunsi Ted. Terminata la sua esibizione impeccabile di poco prima, era ora impegnato a cantare teatralmente Love Me Tender alla cameriera più giovane. La biondina, in tutta risposta, non capendo quanto fosse ubriaco il ragazzo, si era fermata ad ascoltarlo rapita. Forse era così stupida da credere che quello fosse davvero un imitatore qualificato di Elvis , o che so io. “Ray, non vedi che sono occupato?”mi rimproverò non appena mi sedetti al suo fianco. La tipa fece un cenno della mano per farsi notare, sorridente. “Anzi, non è che potresti dire alla cameriera bionda che è davvero il mio tipo?” mi domandò. Il mio sguardo e quello della ragazza si incrociarono per un attimo. “Ted, questo puoi anche dirglielo tu, guarda che ci sente” dissi, dandogli una pacca sulla spalla. “No, non mi sente. E poi se glielo dico sembra che ci sto provando. Certo, ci sto provando, ma non voglio che se ne accorga” ammise. Il suo sguardo perso metteva quasi paura. “Ted dice che sei il suo tipo” dissi, una volta in piedi, alla cameriera, dandole delle pacche affettuose sulla spalla. Quella mi sorrise e me ne andai.
Mi recai, barcollando, verso il bancone del bar. Ero io a dare i numeri o la Terra si era improvvisamente inclinata pericolosamente? Durante quel viaggio che mi sembrava sempre più interminabile ad ogni passo che facevo, cercai di contare mentalmente il numero di bicchieri di birra, di whiskey e di gin che avevo bevuto fino a quel momento. Quattro, cinque? Oppure erano sette, otto?
“Georgie, tutto ok?” gli chiesi passandogli vicino, poggiando una mano sulla sua spalla. Pete, al tavolo con lui, era letteralmente crollato dal troppo ridere e ora se ne stava a dormire come un sasso, stringendo con una mano un bicchiere mezzo vuoto di non so cosa e sbavicchiando sul tavolo di legno. “Buon appetito!” rispose Harrison, continuando a guardare il vuoto avanti a sé. Posò poi improvvisamente le sue iridi nocciola su di me. “Ray, ti ho già ringraziata per tutti i panini che mi hai fatto?” domandò sorridendo. Ridacchiando e annuendo gli diedi un bacio sulla fronte e me ne tornai a percorrere il mio infinito viaggio verso il bar.
George ubriaco era davvero di una dolcezza unica. Tirava fuori quel lato adorabilissimo di sé che, di solito, teneva nascosto con l’aria da ragazzo tenebroso e misterioso che indossava ogni giorno.
“Hey Ray, vieni un po’ qui” urlò Lennon appena passai affianco al loro tavolo. Mi afferrò per un braccio e mi fece sedere a forza tra lui e Paul. L’effetto dell’alcool mi impose di non ribellarmi. Puzzavano entrambi di birra. In uno dei loro tipici slanci di competitività reciproca si erano sfidati a berne il più possibile ma, dall’odore che emanavano, la loro gara era terminata con un pareggio. “Noi ora ti facciamo una domanda, ma tu promettici che sarai sincera” mi spiegò Paul, cingendomi le spalle con un braccio. “D’accordo. A cosa dovrei rispondere?” replicai, mentre John, apparentemente infastidito, cercava di togliermi il braccio dell’amico di dosso. Nelle loro sfide era assolutamente vietato barare e, più che mai, era vietato cercare di comprare il giudice con mezzucci da quattro soldi. “Chi di noi due è più utile alla band, secondo te?” continuò il McCartney. “Siete tutti e due fondamentali” risposi senza pensarci troppo su. Non sembrarono affatto soddisfatti della mia risposta.
“Ray, vuoi un’altra birra? Te la vado a prendere?” il Macca avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sentirsi dire che era lui il più utile della band, anche offrirmi da bere. “Paolino non scomodarti, vado io” insistette John, parlandogli sopra. Senza badare all’improvvisa galanteria dei due ragazzi mi alzai. “Posso cavarmela anche da sola ragazzi, grazie”.
Arrivai al bar con qualche difficoltà ed ordinai un altro bicchiere di rossa. Fissavo incantata quella bevanda degli dei che lentamente colava nel bicchiere. Appena ricevetti la mia scorta di alcool tornai al tavolo di John e Paul. Poggiai la mia birra sul tavolo. “Guai a voi se ne prendete anche solo un goccio” li rimproverai ridendo. Feci per sedermi ma una mano sulla spalla mi trattenne. Mi voltai. “Ciao Ray”. Nonostante avessi visto quegli occhi una sola volta, li riconobbi subito. Erano paurosamente meravigliosi. “Bill?”
“Che coincidenza vederci anche qui, eh?” sostenne, con un sorriso beffardo stampato in faccia. “Ci hai seguiti?” domandai, terrorizzata. “No, non vi ho seguiti. Ti ho seguito” il suo sorriso era sempre più fastidioso.
“Tu saresti?” asserì John con tono minaccioso, alzandosi in piedi e posizionandomi al mio fianco. “Cosa vuoi da Ray?” continuò Paul imitando l’amico.
“Ma quante guardie del corpo hai?” chiese Bill, infastidito da quelle due presenze inaspettate. “Non sono affari tuoi, lasciami in pace” lo sfidai, incrociando le braccia. Con i miei due angeli custodi intorno mi sentivo improvvisamente invincibile. Mi scansai e mi liberai della presa del mio molestatore.
“Spiegami perché non vuoi venire con me a farti un giro” fece quello, alzando le spalle. Il suo tono innocente non la diede a bere né a me né ai miei due amici. “Si dia il caso che io sia…” “fidanzata!” m’interruppero in coro i miei due bodyguard improvvisati. "E quale fra voi due..." li squadrò dalla testa ai piedi con faccia schifata "...scarafaggi... Sarebbe il suo fidanzato?" accentuò con tono strafottente quest'ultima parola. Era chiaro che non ci credesse nemmeno un po'. "Io" urlarono all'unisono sia Paul che John. Guardai quest'ultimo arrossendo improvvisamente; i nostri sguardi imbarazzati si incrociarono per un attimo. "Lui" si corresse Lennon indicando il Macca, mentre questi continuava ad indicare sè stesso. La gaffe era chiara, ma evidentemente Bill era troppo ubriaco per accorgersene. "Bene" commentò dopo qualche secondo di silenzio. Paul, continuando a recitare, mi strinse al suo fianco cingendomi la vita con un braccio. Trassi un sospiro di sollievo: il pericolo era scampato, tutto grazie alla bizzarra idea dei miei due bodyguard improvvisati.
"E l'anello?" insistette il teddy boy. Cavolo. "Nessun anello, ancora non abbiamo ufficializzato nulla" replicò il mio 'fidanzato' senza mostrare alcun tipo di titubanza. "E io come faccio a sapere che state insieme veramente?" domandò impudente. Ci fece un cenno con una mano e si allontanò, alla ricerca di una sedia. Non si teneva più in piedi e voleva godersi la scena del nostro smascheramento seduto comodamente.
"Che cazzo faccio adesso?" chiese nervoso Paul a John. Ci eravamo invischiati in un bel guaio, altro che idea geniale. "Che ne so io, sei tu il fidanzato" rispose quello, fingendo disinteresse. Si sedette nuovamente al suo posto ed iniziò a sorseggiare la mia birra, pensieroso.
Bill si stava avvicinando. In uno slancio di teatralità e di disperazione abbracciai Paul. "Amore mio, ti prego, andiamo via. Quel tipo m'infastidisce" urlai, appurando che il disturbatore mi avesse sentito. Ci guardava incuriosito mentre sistemava lo sgabello di legno che aveva rimediato e vi ci sedeva su. "Amore, stai tranquilla. Quel tipo non deve nemmeno azzardarsi ad avvicinarsi a te" continuò la recita il mio complice.
"Ray, sei poi credibile" mi sussurrò Paulie all'orecchio, continuando ad abbracciarmi. "Cosa dovrei fare?" chiesi disperata, sottovoce. "Lascia fare a me”.
Non feci nemmeno in tempo a realizzare cosa mi avesse detto che sentii la presa del suo abbraccio svanire. Le sue mani raggiunsero velocemente il mio volto e lo avvicinarono prepotentemente al suo, fino a che le nostre labbra non s'incontrarono. Non potei fare a meno di chiudere gli occhi, sperando con tutta me stessa che ne fosse valsa la pena.
Dopo un tempo indefinito, ma che mi parve spaventosamente lungo, ci dividemmo. La prima cosa che andai a controllare, non appena riaprii gli occhi, fu la faccia di John. Non dovrebbe essere stato lui il mio primo pensiero, ma l'istinto prevalse. Sembrava sorpreso, sicuramente non si sarebbe mai aspettato un esito simile. Aveva posato il bicchiere di birra e mi fissava con gli occhi sgranati, incapace di dire qualsiasi cosa.
"Hai capito che non c'è trippa per gatti, mio caro? Lei è la mia ragazza e non ti devi più permettere di infastidirla, chiaro?" urlò Paul. Distolsi finalmente lo sguardo da Lennon e tornai a preoccuparmi di Bill. "Bè, Ray, peggio per te. Io sarei stato molto meglio di questo scarafaggio qui" disse alzandosi in piedi. "Ci becchiamo in giro" continuò, andandosene.
D'istinto abbracciai nuovamente Paul, ringraziandolo. Quando notammo entrambi che la nostra eccessiva vicinanza era nuovamente divenuta fuori luogo ci lasciammo, evitando ogni tipo di contatto visivo. Fissai il bicchiere sul tavolo: ora era vuoto.
"Ray?" la voce di Sun mi riportò alla realtà. Mi voltai verso il luogo da dove proveniva quella voce. La mia amica sembrava scossa. "Ehm, andiamo? Richie è stanco e vorrebbe tornare a casa". La sua voce era stranamente spenta. Annuii silenziosamente e la raggiunsi. I due ragazzi ci seguirono fuori.
Erano tutti all'esterno del locale ad aspettarci. "Cos'ha Pete?" chiese John appena fummo fuori. Notai che Best si teneva malamente in piedi, appoggiato con entrambe le mani sulla parete, con la testa china. "L'abbiamo svegliato bruscamente" replicò George, atono. Il suo sguardo era ancora terribilmente perso. "Ci sta dando giù pesante" continuò Ted, mentre Pete dava di nuovo di stomaco sull'asfalto già bagnato.
Sentii i conati di vomito salirmi addosso con la stessa velocità dell'odore acre proveniente dal mio amico. "Ragazzi davvero, non è per cattiveria, ma preferisco non salire in auto con lui" proferii con molto poco tatto. "Vado a piedi, tanto casa mia non dista molto da qui" conclusi, portandomi entrambe le mani davanti al naso e alla bocca.
"Da sola? Sei sicura?" mi domandò Richard, preoccupato. La sua indole paterna e protettiva era alle stelle. "Tanto qualcuno doveva andare a piedi, non entravamo tutti in macchina" lo zittì Sun. "Ma non mi fido a lasciarla andare sola, ha bevuto parecchio, si tiene a malapena in piedi!" la ammonì Ringo. "Richie, davvero, posso cavarmela benissimo da sola..." "La accompagno io" prese la parola Paul. John, Sun e Richard lo sguardarono stupefatti. Persino Ted smise per un attimo di dare man forte all'amico dallo stomaco debole, incredulo di ciò che aveva appena sentito. "Casa mia e quella di Ray non sono molto distanti, non vi preoccupate" continuò il Macca. "D'accordo allora, andiamo?" troncò fredda Sun.
“Stavolta nel bagagliaio ci va Geo!” “Ma perché sempre io nel bagagliaio?” “Fate i bravi e mettetevi a fare la conta”.
Le voci di tutti quanti divennero inudibili non appena svanirono al primo angolo. Silenziosamente io e Paul ci incamminammo verso casa. Il silenzio che inondava ogni nostro passo era talmente imbarazzante che mi pentii di aver accettato di essere accompagnata da lui. L’improvviso rumore di un barattolo che rotolava lungo la strada mi spaventò. Un cucciolo di cane corse incontro alla lattina che ancora si muoveva, giocandoci tranquillamente.
“Paulie… ehm… senti” “Dot non saprà niente, tranquilla” mi precedette. “Siamo tutti talmente ubriachi che domani non ricorderemo niente” mi rassicurò. Mi morsi le labbra, non ero completamente certa di quello che stesse sostenendo. “Sei stato davvero gentile a proteggermi, comunque” sussurrai, fissandomi le mani che si contorcevano vorticosamente. Calò nuovamente il silenzio.
“Mi dispiace di averti presa alla sprovvista, è stata la prima cosa d’effetto che mi sia venuta in mente” si scusò. Avevamo appena passato Sefton Park, mancava poco a casa. “Era il tuo primo bacio?” mi domandò. Strabuzzai gli occhi e lo guardai, per la prima volta da quando eravamo usciti dal locale. “Sì” ammisi in un sospiro, tornando a fissarmi le mani che, nonostante il freddo, stavano sudando copiosamente. “Immagino te l’immaginassi più romantico, credo di aver distrutto i tuoi sogni di ragazza perbene” sembrava si sentisse davvero in colpa. “Oh, tranquillo, non importa” tagliai corto. Quello decisamente non era un buon argomento di conversazione. Lo capì, e il silenzio si impossessò nuovamente di entrambi.
Arrivammo a casa pochi minuti dopo. Mi fermai sull’uscio della porta e mi volta per salutarlo. Per una volta non era più alto di me: il gradino di fronte al mio portone mi permetteva di annullare ogni differenza. “Grazie per avermi accompagnata fino a qui. E ancora grazie per avermi salvata da quel tipo” “E’ stato un piacere” disse con una scrollata di spalle, come se la cosa non gli importasse. Mi avvicinai per salutarlo ma la situazione si capovolse in pochi istanti. Mi prese totalmente alla sprovvista, proprio come la prima volta. Sapeva di birra, come la prima volta. Socchiusi gli occhi e lasciai inconsapevolmente che le mani scivolassero fra i suoi capelli, scompigliandoli. Improvvisamente mi girò la testa e il nostro contatto si sciolse. Lo guardai senza sapere cosa dire. Lui sorrideva. “E’ stato divertente essere il tuo fidanzato per una sera” pronunciò beffardo. Non gli risposi. “Spero solo di aver riaggiustato i cocci del tuo sogno infranto, dolce fanciulla”. “Sei totalmente ubriaco” fu l’unica cosa che riuscii a dire, scuotendo la testa. “Per questo l’ho fatto. Domani non ricorderemo niente, rammenti?”.
Domani non ricorderemo niente.




Ok, ok lo so che è una vita che non aggiorno. Avevo promesso che avrei aggiornato una volta a settimana ma fra esami univeritari, ispirazione svanita, concerti e impegni vari sono stata troppo occupata per scrivere questo capitolo.
La "svolta" finale ha sorpreso anche me, se devo essere sincera. I miei personaggi fanno sempre di testa loro, non li sopporto quando fanno così. Boh, spero solo che almeno adesso Paulie sembre più carino e coccoloso e un po' meno "ce-lìho-solo-io" ahahah
Voi che ne pensate? Fatemi sapere con un commento, pliiis. Senza le recensioni non riesco a trovare la motivazione giusta per continuareee ç___ç (occhei, così sembro una pazza psicopatica alla ricerca di attenzioni).
Spero di poter aggiornare presto. Il prossimo capitolo è già in lavorazione ;)
Baci baci

   
 
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