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Autore: Compostezza    11/07/2012    2 recensioni
«Sei peggio di mia madre quando ti ci metti.» sbuffò, aumentando il passo e scorgendo all’orizzonte il grande edificio in mattoni rossi.
«E’ per questo che sono la tua migliore amica.»
Si voltò verso di lei. «Perché sembri mia madre?»
«No, perché sono l’unica che riesce a non farti replicare ogni volta.»
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Efelidi.

Huntington Beach.
April, 2010. h10.27







Sam infilò la chiave nella serratura e si fermò ad osservare la luna che faceva capolino da dietro il piccolo bosco alle spalle della sua villetta. Era piena e bianca, coperta in qualche punto da trine di nuvole soffici. Le tornò in mente una vecchia storia che le raccontava sua nonna da piccola quando andava a trovarla, amante delle leggende, incantesimi e creature magiche. La storia di un lupo che aveva perso uno dei suoi cuccioli e, ululando, la luna gli era venuta in aiuto ritrovandolo. Però non si ricordava la fine e, più ci pensava, più era confusa, quindi lasciò perdere e spinse il portone bianco, lanciando le buste della spesa in un angolo.
«Finalmente sei tornata! Dimmi che hai la mia dose.»
«Sì, ma non lo urlare ai quattro venti.» si piegò sulla borsa di plastica più piccola e ne tirò fuori un pacchetto, passandolo all’amica strepitante mentre si mordeva frenetica il labbro e fissava con adorazione la confezione.
«Lo sai che troppi fanno male?»
«Io ringrazio il creatore e mi inchino di fronte a lui. Devo fargli una statua quando torniamo a LA.» la bionda scosse la testa riordinando il cibo nel frigorifero. Marta era seduta, invece, sul divano a ingozzarsi di marshmallow alla fragola ed a guardare l’inizio di Ostel.
«Mi hai preso i cereali al cioccolato?»
«Oh merda.» si lasciò scappare, drizzando il busto nella sua direzione.
«Sam!» la mora sbuffò lasciando cadere la testa all’indietro.
«Lo sai che non mi devi dire le cose mentre esco di casa. Potevi scrivermelo sulla lista?» dalla tasca dei jeans prese il biglietto ripiegato e scarabocchiato. «Io non esco di nuovo, vacci tu a comprarli.»
«Ma li mangi anche tu e poi sei vestita!»
«Perché te no?» alzò un sopracciglio. «Alza quel tuo bel culo dal divano e vai al supermercato.»
«Sono qui da neanche un giorno e mi vuoi mandare in centro?» si alzò, raggiungendola nella cucina. «Ho il senso dell’orientamento sotto i piedi e mi perderei di sicuro.»
«E’ l’ora di acquistarlo. Tieni, ti farà comodo.» da un cassetto del piccolo mobile nel corridoio estrasse una cartina e gliela lanciò dritta tra le braccia.
«Almeno il tom tom.» chiese esasperata.
«Te lo scordi!»
«Perché?»
Marta incrociò le braccia al petto assumendo un’aria offesa con tanto di labbrino in bella mostra.
«Sei capace di distruggermelo con i tuoi modi dolci!» con le dita fece il segno delle virgolette.
«Distruggerlo? Io? Se non mi è mai caduto neanche il cellulare.»
«Quello nuovo. Quant’è che ce l’hai? Un mese? Massimo due?»
«Sei una fottuta acida.» strinse gli occhi.
«E tu una scansafatiche.»
«Parla quella che dorme ventotto ore su ventotto.»
«Vorrai dire ventiquattro ore su ventiquattro, Marti.» cercò di trattenere le risate onde evitare che, la mora, si arrabbiasse ancora di più.
«Sei.. tu sei.. uffa.» si voltò facendo volare la chioma di capelli castani e salì al piano di sopra, impuntando i pieni nudi nella moquette grigia.
«Chi fa per sé, fa per tre. Ricordatelo.» ridacchiò a sentire un “vaffanculo” a pieni polmoni e in un italiano perfetto dal piano di sopra.







Ci volle circa una buona mezz’ora e due persone per trovare il grande supermercato e, dopo essere stata quasi arrotata da una vecchia signora, entrò nell’edificio. La prima cosa che fece fu gettare il cartone bianco pieno ancora del liquido scuro e dove sotto la scritta “estremamente caldo” compariva in una calligrafia frettolosa e in rosa il suo nome.
L’aria condizionata le punzecchiava la pelle e un afflusso di persone si faceva largo tra i vari reparti. Seguì l’indicazione dei dolci e subito riuscì a individuare la confezione dei suoi cereali preferiti su uno scaffale in alto.
Io dico, non è che al mondo siamo tutti alti uno e novanta, cristo!
Salì in punta di piedi, facendosi forza sullo scaffale più basso e sulle sue esili braccia: non sarebbe mai tornata a casa senza di loro.
«Dove sono i commessi rompi balle quando servono?» mormorò, fissando in cagnesco la scatola azzurra. Forse se ci metteva un po’ più di attenzione, la scatola avrebbe preso vita e si sarebbe mossa nelle sue mani.
Sì, nei sogni, Marty.
«Serve una mano?» disse una voce bassa, maschile, leggermente inclinata.
«Avrei bisogno deli cereali. Quelli con l’adorabile pollo stampato sopra. A quanto pare, c’è una discriminazione per i meno dotati in altezza.» teneva sempre le spalle alla figura, che con facilità riuscì a tirare giù la maledettissima confezione. Si girò verso di essa, pronta col suo migliore sorriso finto e una serie di ringraziamenti da sparare e liquidarsi poi.
«Grazie mille. E’ un po’ imbarazzante però..» si irrigidì all'istante.
«Si figuri. Come vede anche io non sono stato dotato di quei centimetri necessari ad arrivare ai vari scaffali.»
Il suo cervello era riuscito a collegare l’uomo di fronte a lei con la scatola a mezz’aria in una mano, come una sorta di nemico. Un allarme scattato nella sua testa come una scritta in rosso lampeggiante.
«Ma lei è quella giornalista di moda.. ehm, mi sfugge il nome.. Mar..»
«Marta Coleman, come l’attore Gary Coleman, esatto.»
«Beh, io sono Zacky, come Zackary Levi.»
Zackary James Baker detestava fare la spesa, sia perché ripeteva convintissimo che fosse un compito creato e studiato per le donne che per il fatto che non sapeva mai cosa dovesse comprare, nonostante avesse la lista sigillata nel taschino della sua tuta. Lui era uno di quegli uomini che suddivideva ogni cosa e incarico, preciso, ordinato e in maniera dettagliata. Tutta la sua vita, in parte, era programmata. C’era quello che doveva fare lui, quello che dovevano fare i ragazzi e quello che doveva fare la sua amata Cass. Un pensiero leggermente maschilista ma che faceva purtroppo parte del carattere del ragazzo.
Un’altra cosa che faceva parte del suo carattere era la straordinaria capacità di capire se un giornata sarebbe andata bene o no. Straordinaria perché ci azzeccava sempre. Aveva una brutta sensazione? Sarebbe successo qualcosa di negativo e viceversa.
Quella mattinata, al contrario, non riusciva a catalogarla bene
Vedendo che la ragazza non muoveva un dito e se ne rimaneva immobile a fissarlo, si schiarì la voce.
«Sei una nostra fan?»
«Eh? Fan? Oh, no, per l’amor del cielo.» a quella frase accompagnò una leggera smorfia ripensando alla volta in cui, per caso, aveva fatto partire una loro canzone da youtube.
Osceni, pesanti, urlanti e rumorosi.
«Tutti hanno gusti musicali diversi e non c’è nulla di male. Ti avevo già inquadrato dalla maglietta che porti. Mia madre impazzisce per lei da.. quando ne ho ricordanza.»
«Tua madre è un genio e si intende di buona musica.» ad interrompere quello strano e curioso momento fu il cellulare di lei che suonava interperrito nella tasca dei pantaloni.
«Pronto? No, sono viva e sono riuscita a trovarlo. Certo che ho usato la cartina. No, ovvio. Sam, vaffanculo! Fiducia pari a zero, eh?» lanciò un’occhiata al ragazzo rimasto ferma a guardarlo.  Sembrava infastidito e sorpreso.
«Sam ti devo lasciare o rischio di tornare domani. Hai stoppato il film? Brava.» disse nella sua lingua madre riponendo l’aggeggio al suo posto.
«Ehm.. ecco.»
Cosa diavolo dico adesso?
«Tranquilla, so che sei amica e collega di Sam, non c’è bisogno che ti agiti così.» rispose freddo.
Alzò un sopracciglio. «Sono giusto un po’ agitata, bello mio. Come reagiresti tu, se davanti a te ti ritrovi, per caso e la prima volta che metti piede in questa città, un amico d’infanzia della tua migliore amica e chitarrista della band che l’ha fatta soffrire per tutto questo tempo? Sono anche troppo poco agitata.»
«Penso che non siano affari tuoi.» la liquidò con uno sguardo rabbioso e nervoso.
«Non sono affari miei, mh? Non c’eri tu o gli altri in questi quattro anni a tenerla su di morale, non hai passato notti in bianco perché aveva incubi su incubi, cercando di farla sorridere e scherzare.. comportarsi come una persona normale, no, non mi sembra.» aveva fatto un passo in avanti, avvicinandosi maggiormente al ragazzo, sentendo ogni muscolo del suo corpo teso e tremolante.
Era un fiume in piena e la tensione era decisamente aumentata.
«Eri costretta?» sorrise amaro. «Nel senso.. non sei stata obbligata a farlo, ne ti è stato imposto.»
Marta strabuzzò gli occhi, lasciando andare le braccia lungo il corpo. «Ma tu sei così idiota di natura o lo sei diventato? Dio, non ti facevo così deficiente, sul serio. Che ragionamenti del cavolo fai? E’ una mia amica, ci tengo ed ovvio che l’ho dovuto fare.» rispose chiudendo gli occhi e sperando che, magari, lui sarebbe scomparso all’improvviso e lei sarebbe tornata felice da Sam.
«Quindi tu non sei una nostra fan da quello che ho capito.»
«Hai capito bene.» aprì gli occhi, puntandoli su di lui. «Io ascolto altri generi musicali e non sto dietro a dei coglioni pieni di piercing e tatuaggi fin sopra i capelli.»
«Oh, afferro.» sorrise. «Tu sei più da Britney Spears, Taylor Swift, Jonas Brothers, o che so io, Madonna?»
«Cosa avresti contro Madonna, scusa?» incrociò le braccia al petto. «Fino a prima dicevi che tutti hanno dei gusti diversi ed è okay, adesso mi vai a punzecchiare la mia cantante preferita?» indicò la maglietta con la sua foto stampata sopra.
Una cosa che non si poteva mai toccare alla mora era la sua musica , la sua Madonna e ovviamente la sua moda. La passione per lei era iniziata da piccola, appena una sua amichetta le aveva regalato un vinile con quella donna dai vestiti stravaganti e dalla voce così ipnotica e leggera da farla rilassare e sognare. Automaticamente e di conseguenza era nata la passione per la moda e tutto quello che riguardava l’eccesso, l’eccentrico e il fuori dal comune ed era grazie, per dire, alla signora Ciccone e alla sua influenza che aveva portato avanti l’amore per i vestiti da farla diventare una giornalista abbastanza nota.
«Io proprio niente. Te l’ho detto. Mia madre è una sua fan sfegatata e so più cose di quanto non ti puoi immaginare.»
«Di certo non cambia il mio pensiero su di te, o sulla tua musica, o i tuoi amici.» assottigliò il tono della voce.
«E cosa sapresti, di grazia?»
Oddio, hai la faccia da schiaffi.
«So che siete stati importanti per una ragazza, che le avete spaccato il cuore in più frammenti difficili da rincollare e farli tornare come una volta, dovessero passare altri undici anni.» disse prendendogli i cereali, causa e inizio di quella stramba conversazione, dalle sue mani tatuate. «So che ama sebbene non lo ammetta ancora il tuo amico, che vi vuole un bene dell’anima e farebbe di tutto per riallacciare i rapporti. So tutto questo perché me lo dice ogni benedetto giorno. Forse solo sono una pedina in più che non c’entra nulla in questa specie di gioco, ma ci tengo a quella biondina e non voglio vederla più in queste condizioni. Adesso scusami me ne vado o dà di matto. Ci vediamo, Zackary.»
Zacky guardò con grande sorpresa la ragazza filarsene via da quella situazione scomparendo dietro l’angolo e non potè non sorridere leggermente. Ciascun movimento, parola o sguardo gli ricordava meccanicamente Cass, una sosia più alta e con più palle -nel senso metaforico ovvio-.
Sospirò abbassando lo sguardo e perdendosi nel flusso dei suoi pensieri.








Dopo che se ne era andata da Huntington Beach aveva iniziato a frequentare delle sedute da uno psicologo per aiutarla ad esternare tutti i sentimenti rinchiusi in se stessa. Ed aveva funzionato. Aveva diminuito il numero di sigarette al giorno, l’alcol, la caffeina e l’ira. Tendeva a rompere tutto ciò che le capitava tra le mani, grande o piccolo che fosse lei lo tritava in mille pezzetti. Ora sapeva controllarsi benissimo. Però quello che stava guardando sfidava anche il migliore psicologo e, sicuramente, si trattava solo di allucinazioni provocate dalla sua mente stanca.
Tirò un soffio di sollievo nel vedere, Marti, al suo fianco, fissare il modellino di due metri del Gigante di Ferro camminare per il giardino.
Quindi, non era un’allucinazione.
«Ciao mamma.»
«Tesoro, ti piace? Lo ha comprato tuo padre dopo l’ultimo viaggio in Giappone. Riesce a parlare come un essere umano e lancia la pallina al cane. Che ne pensi?»
.. che la mio padre, da solo, e con dei soldi,è davvero pericoloso.
«E’ grandioso, davvero grandioso. Tu che ne pensi, Marti?» sorrise raggiante verso l’amica che staccò gli occhi dal robot piegato a guardare il piccolo cagnolino.
«Perché indossa un tutù?»
«Era nella confezione.» si guardò intorno e riprese a parlare. «Sono degli aggeggi moderni che manipolano la mente e ti fondono i neuroni, come il resto della tecnologia insomma.»
«Allora non ti piace!» esordì la bionda affiancando la madre e superando il cancelletto del giardino.
«Come fai a dirlo a tuo padre? Era così contento che l’ho assecondato.» scosse la testa. «Quando si mette in testa qualcosa è impossibile rimuoverlo.» entrate nel piccolo soggiorno, preparò i bicchieri con la limonata. Era la ricetta di casa Reed, tramandata e tramandata da madre in figlio col passare degli anni e delle generazioni. Per Sam, invece, era una sciocchezza, poiché non aveva niente di speciale e i normali ingredienti di una normale limonata. Ma guai a dirlo a una madre attaccata così tanto alle tradizioni da farne delle leggi.
«Comunque..» passò un bicchiere ad entrambe le ragazze. «.. come mai siete qui?»
«Passavamo per caso.»
«Nessuno passa per caso. Soprattutto se quel qualcuno si è presentato il giorno prima.»
«Noi sì. Allora, mamy, non abbiamo avuto l’occasione di parlare per bene. Cosa.. cos’è successo in questi anni? Qualche news? Scoop? Pettegolezzo?» Sam si sporse in avanti; i gomiti impiantati sulle ginocchia magroline e pallide, coperte da una leggera gonna nera e un sorriso un po’ troppo tirato sul volto poco interessato.
Laryssa incurvò il sopracciglio chiaro, scrutando la figlia con sospetto. «Se hai da dirmi qualcosa, fallo adesso, senza rigiri. Ti conosco, Samantha, meglio di quanto puoi immaginare. L’ultima volta che ti sei interessata a qualche pettegolezzo del quartiere avevi quattro anni ed era per il tuo giornalino personale.»
La bionda si irrigidì sull’attenti, avvertendo un fremito lungo la colonna vertebrale e le gambe molli e pesanti.
«Samantha?» domandò sorpresa la mora.
«Odia farsi chiamare con il suo nome di battesimo intero e nessuno riesce a capire il perché. Mmh..» sospirò incrociando le braccia con delicatezza e lentezza. «.. questa limonata è davvero ottima.»
«L’ultima volta che mi hanno chiamato così, o meglio, mi ha chiamato così è stato all’età di dieci anni, mamma.» disse seria.
«Perché lo odi?»
Sam si voltò verso Marta. «Non lo so.. sai? Cioè, non lo odio, odio, semplicemente preferisco Sam. E’ più.. carino. Ci sono tanto abituata.»
Marta portò una mano sulla fronte e si appoggiò allo schienale del divano. «E io che non me ne sono mai accorta. Certo, non ci ho pensato, tanta gente si chiama così, però fa effetto. E poi Samantha è un nome così bello!» scattò dritta.
«Me lo ha suggerito sua nonna. Si dice che sia nato molti secoli fa durante un processo per stregoneria e il suo significato sia “nome di Dio”. E’ anche il secondo nome di mia zia.» rispose tranquillamente bevendo un sorso dal bicchiere.
«Wow.» meravigliata si voltò nuovamente verso la bionda. «Ehi, perché non me lo hai detto?»
«Ma sei la donna del perché tu?» roteò gli occhi al cielo per poi scoppiare a ridere attenuendo il nervosismo. «Non mi sembrava così importante, tutto qua.» poggiò la borsa di pelle nera sul divano e prese il pacchetto nuovo di sigarette, liberandolo dalla plastica trasparente.
«Come stavo dicendo, io, ti conosco fin troppo bene e so dove vuoi andare a parare. Si, continuano a venirmi a farmi visita appena possono. Mi raccontano dei tour e della loro vita, di quanto siano contenti di quello che è successo, di quanto amano ciò che fanno e mi chiedono di te.»
«Buon per loro.» rispose acida. 
Laryssa lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo e si portò un dito sulle labbra. «Sai vero che la miglior arma è il perdono?»
Sam puntò i suoi occhi azzurri in quelli castani della madre. «Certo, certo.» fece un tiro.
«Hai un vero talento per farti del male. Vuoi sapere come la penso io?»
«Anche se rispondessi contrariamente ho la mezza idea che me lo dirai lo stesso.»
Marta guardava le due donne in silenzio e con grande rispetto per entrambe. Si soffermò maggiormente sulla signora Reed e il portamento davvero educato. Doveva essere stata una donna con un grande temperamento ed esperienza.
«Sarò schietta e indolore: devi darti una svegliata e andare da lui.»
Fece una risata amara e si torturò una ciocca ribelle uscita dalla crocchia disordinata.
«Di solito è l’uomo a fare il primo passo.»
«Se stai dietro a queste fandonie andrai poco lontano, tesoro. Hai due possibilità: si può scegliere la linea d’attacco e buttarsi oppure dimenticare e andare avanti col la vita sconfitti. Però non puoi dimenticare, al massimo puoi bere e sperare che tutto svanisca d’incanto ma non è una favola o un film, è la vita vera Sam e tu, alla fine, hai una possibilità sola, tocca a te a prenderla. Io so solo che non voglio più vedere il cuore spezzato di mia figlia e il dolore negli occhi di un ragazzo.»







Michelle era impazzita. Se ne stava lì, intorno alle sue amiche fatte e rifatte, ad urlare squillante di come i riferimenti d’oro donassero alla sua pelle abbronzata. Si era provata una ventina di abiti solo il giorno prima e non era riuscita a trovare quello adatto, quello che le faceva sentire le farfalle nello stomaco. A lui, invece, era bastato entrare dal primo negozio di abiti matrimoniali e scegliere lo smoking più nero, bello e costoso che avessero. Dopotutto il matrimonio durava un’ora e si sarebbe sicuramente cambiato con abiti più comodi.
«Un mese? Sta scherzando, spero? Non posso aspettare un mese per avere il mio abito! E’ inaccettabile.»
Brian, esasperato da quella situazione e con la nausea per il troppo profumo interno alla stanza, roteò gli occhi e fece un passo in avanti. «Mich, ci sposiamo fra tre mesi, fino a quel giorno non lo indosserai mai, hai aspettato fin’ora cosa ti costa aspettare altri trenta giorni?»
«Mi costa eccome Brian. Se poi dovessi ingrassare?» si voltò verso di lui, in piedi.
«Basteranno due punti, no?» e guardò il sarto seduto di fronte alle donne annuire e ringraziarlo per averlo salvato dal linciaggio. «Inoltre, sei magra da far paura ed è elasticizzato.» puntò lo sguardo su di lei.
«Ma se cambiassi idea? Mi conosci, sono imprevedibile.»
Sospirò. «Val, è vero che non cambierà idea?» cercò aiuto nella sorella gemella appena tornata da New York.
«Mich, Brian, ha ragione, dai, stai tranquilla, mettiti il cuore in pace e fidati.» senza farsi vedere mimò un grazie con le labbra alla mora che sorrise di rimando.
«Bene, vada per un mese. Invece, per il velo, lo vorrei appena più chiaro dell’abito e con qualche ricamo alla fine.»
Il moro sospirò e, inforcati i fedeli occhiali, afferrò le chiavi della macchina e il pacchetto rosso e se la svignò all’esterno della casa diretto verso quella dell’altro chitarrista.
Non riusciva a rimanere ancora in quella casa, con quelle persone così false e odiose da dargli allo stomaco. Huntington Beach lo cambiava. Toglieva la maschera di Synyster Gates e tornava ad essere il solito Brian Haner, un bambinone nel corpo di un trentenne, spensierato e diviso in due. Diviso in due perché la sua città natale, come il resto, gli ricordava inevitabilmente la sua adolescenza e il suo primo amore.
Il suo primo, unico, amore.
Era una ferita ancora aperta che difficilmente si sarebbe chiusa presto, o del tutto.
Lanciò un’occhiata al vetro della sua macchina, parcheggiata fuori casa Baker, e guardò il suo viso attraverso il riflesso. Il solito viso, con il solito naso, i soliti occhi nocciola, le solite labbra fini e due grossi solchi circondati dalle occhiaie violacee. Una cosa non c’era più: le sue efelidi. Sapeva quanto ci impazziva, lei, e quante volte gli aveva ripetuto che erano davvero carine e quanto gli donassero, quindi aveva deciso di nasconderle, ogni volta, con un fondotinta speciale. In ogni occasione faceva sparire le macchioline verdastre, che con gli anni erano aumentate, dal naso e dalle guance. Un gesto morboso ma che lo faceva sentire, in qualche modo, bene.
Scosse la testa per scacciare via quei pensieri e si passò una mano nei capelli folti.
Avete bisogno di una tagliatina.
Sorrise e spinse il bottone allo stipite aspettando che qualcuno si affrettasse ad aprire o si sarebbe sciolto dal caldo eccessivo.
«Baker, finalmente.. disturbo?» chiese titubante nel vedere la sua faccia del suo migliore amico un blocco di ghiaccio inespressivo.
«Ehm, forse.. forse è meglio se ripasso.» continuò non vedendo nessuna risposta dal ragazzo.
«No! Cioè, sì, vieni, puoi entrare.» si spostò e fece spazio per farlo entrare.
«Stai bene?» domandò guardandolo sospetto appena chiuse la porta d’ingresso.
Zacky si passò una mano dietro il collo, abbassando lo sguardo. «Più o meno. Scusa se mi sono bloccato ma non ti aspettavo minimamente ed avevamo già un ospite e.. dio, che confusione.»
«Ehi, ehi, calmo, vai piano. Come non mi aspettavi? Te l’ho detto ieri che passavo.» alzò un sopracciglio.
«Se mai ti saresti annoiato ad ascoltare Michelle.. oh.»
Brian sorrise. «Ecco. Comunque hai un ospite? E chi è? Lo conosco?»
Zacky lo superò avanzando verso il soggiorno per soffermarsi allo stipite. «Sì, lo conosci benissimo.» gli lanciò un’occhiata e il moro, confuso, si avvicinò.
Il sangue gli si ghiacciò nelle vene, avvertendo un bruciore incredibile in tutto il corpo massacrarlo lentamente come uno dei peggiori e letali veleni al mondo.
Perchè ciò che vide non se lo sarebbe mai aspettato. Mai e poi mai. 













Salve, people :)
Ecco a voi il quattordicesimo capitolo (come al solito non mi piace ed è corto e.e) e già le cose iniziano a farsi interessanti. Nel prossimo capitolo inizierà il bello e ci sarà un'incontro dopo tutto questo tempo :)
Insomma, ce ne saranno di belle.
Scusati eventuali errori, i discorsi che non tornano e i personaggi non mi appartengono, sono il frutto della mia mente malata.
Questo caldo fa brutti scherzi e la voglia di muovere anche un solo muscolo è pari a zero.
Vabbè, ringrazio di cuore per le bellissime recensioni :
Mezmer_
zetavengeance
Devon
e chi l'ha messa fra seguite, preferite, ricordate e chi la legge semplicemente.
Un vostro parere fa sempre piacere!  :) 
Grazie mille!
Alla prossima, G.
  
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