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Autore: Alice Dolohov    13/07/2012    3 recensioni
Una one-shot sull'amore proibito tra Regulus Black e un personaggio inventato da me, Jacqueline.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Autore: Alice Black Efp
Titolo: Un bacio proibito brucia più del fuoco
Rating: verde
Generi e Avvertimenti: romantico, malinconico, drammatico; one-shot
Personaggi: Regulus Black, Nuovo Personaggio
Situazione scelta: amore tra un Purosangue e una Babbana
Note: ho immaginato un Regulus Black solitario e isolato, che incontra una bambina Babbana e diventa suo amico, in un periodo precedente al suo arrivo ad Hogwarts, dove finirà a Serpeverde e conoscerà i nuovi amici, quasi tutti futuri Mangiamorte. Jacqueline - un personaggio da me inventato - unisce tutto ciò che c’è di buono nell’animo di Regulus. Lei è innocenza, speranza, bontà, sincerità, purezza. Ma il loro è un amore proibito, impossibile, che non ha futuro. Questo Regulus lo sa, ma non Jacqueline, che nella sua ingenuità fino alla fine non saprà mai la verità. Regulus capisce che Jacqueline è come un’illusione, che il loro stesso amore è un miraggio. Il ragazzo sa fin dall’inizio che c’è un’unica fine possibile per il loro amore…
 
 

Un bacio proibito brucia più del fuoco
 
 
 

Non separarti dalle illusioni. Quando se ne saranno andate,
può darsi che tu ci sia ancora, ma avrai cessato di vivere.
 
Mark Twain

 
 

Aveva giocato con lei fin da quando entrambi erano bambini, persi in un mondo fantastico in cui le differenze tra di loro erano magicamente annullate. Gli aveva fatto compagnia nel periodo in cui i suoi genitori erano troppo impegnati per occuparsi di lui e suo fratello si sentiva già troppo superiore anche solo per rivolgergli la parola. La Jacqueline bambina portava sempre i capelli raccolti in due lunghe trecce bionde e aveva il sorriso più dolce che Regulus avesse mai visto. Si innamorò presto di lei, quando il tempo dei giochi finì in fretta così come era iniziato.
Un’estate era tornato al numero 12 di Grimmauld Place e si era ritrovato davanti una sconosciuta giovane donna dagli splendenti occhi azzurri e i lineamenti familiari. Era rimasto a fissarla senza dire nulla, deglutendo rumorosamente e asciugandosi una gocciolina di sudore sulla fronte bollente, abbagliato da tanta bellezza. Ormai non andavano più insieme sulle altalene del parco giochi vicino casa, non si divertivano più a incidere i loro nomi sulle cortecce degli alberi. Adesso si sdraiavano nell’erba insieme, tenendosi per mano, in silenzio, contemplando il cielo azzurro, oppure ridevano degli aneddoti che Regulus raccontava sul suo “rigido collegio in Svizzera”. Ma il tempo dei baci era arrivato in fretta, e quando Regulus posò le sue labbra su quelle rosa della ragazza, pensò che niente avrebbe mai potuto renderlo così felice e spensierato, mai niente avrebbe annullato il suo pensiero come aveva fatto quella semplice ragazza Babbana.
Regulus cercava di non pensarci, cercava di comportarsi come se la loro storia avesse un futuro, parlava con lei di andare lontano, insieme, di partire per un paese esotico e comprare una casa in riva al mare. Sogni, sogni sussurrati a fil di labbra, sogni abbozzati, sogni che non si sarebbero mai avverati. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, fin dall’esatto istante in cui l’aveva guardata con il batticuore, le farfalle nello stomaco e la febbre. Ma aveva finto di non sapere, aveva finto di crederci, perché non riusciva a staccarsi da lei, non riusciva a guardarla negli occhi e a dirle che tra loro era finita.
Il periodo a Hogwarts era un’agonia che non passava più. Continuava a pensare a lei giorno e notte, incapace di dormire, di seguire le lezioni, di giocare a Quidditch. In alcuni momenti si sentiva soffocare, imprigionato in una vita che non gli apparteneva. Alcuni giorni si ritrovava a desiderare di non essere nemmeno un mago, così avrebbe potuto prendere Jacqueline e scappare con lei lontano da Londra, dai suoi rigidi genitori Purosangue, da quella casa che gli dava la claustrofobia, da quel fratello che lo disprezzava per le sue amicizie e i suoi discorsi sulla purezza del sangue, che in realtà faceva soltanto per convincere i parenti di essere il figlio giusto, il giusto Black. Quando spariva per interi pomeriggi, alcune volta per intere giornate per scappare da Jacqueline, nessuno si chiedeva mai dove fosse finito, tutti erano sempre sicuri che stesse facendo qualcosa di importante, qualcosa legato ai Mangiamorte e all’Oscuro Signore. Niente di più falso.
Aveva finto di interessarsi al lato oscuro soltanto per evitare di destare sospetti durante le sue lunghe assenze, ma sapeva che il momento sarebbe presto arrivato: il momento in cui avrebbe dovuto guardare Jacqueline negli occhi e le avrebbe dovuto dire che tra loro non c’era futuro, che era finita. Ma ogni giorno rimandava, sempre più innamorato della sua candida innocenza, del suo spirito sognatore, dei suoi occhi azzurro cielo, di quella bocca che sorrideva maliziosa, per poi aprirsi in una risata liberatrice, Jacqueline che non riusciva mai a fare la seducente, per quanto ci provasse. Ma la ragazza lo conosceva bene, e gli domandava perché il suo umore peggiorasse di giorno in giorno, perché alcune volte la guardasse con una strana espressione in volto, malinconica, tormentata, quasi agonizzante. Ma non poteva farla preoccupare, Jacqueline era fatta per sorridere, sempre, per bearsi nella sua ingenuità, sempre convinta che tutto il mondo fosse buono e caro, che tutti fossero sempre pronti ad aiutare il prossimo.
Ma Jacqueline non sapeva che il male era più vicino di quanto pensasse, non sapeva che stava arrivando strisciando, oscurando il sole e spegnendo le stelle. Perché il male è un veleno che porta con sé odio e rabbia, vendetta e risentimento. Ed entrambi avrebbero imparato a loro spese che niente può sconfiggere un odio forte e bruciante, che ti corrode gli organi interni e si fa strada fino al cuore, per poi portarti con sé nelle tenebre, che li avrebbero presto risucchiati entrambi.
 

§

 
 
Le illusioni. Le illusioni sono come un soffio di vento in una giornata afosa, come un sorso d’acqua nel deserto, come una mela che pende dal ramo più alto di un albero. Irraggiungibili, inesistenti, chimere a lungo inseguite ma mai afferrate. Jacqueline era la sua illusione. Un sogno nebuloso che non sembrava davvero concreto, reale, che sembrava potesse sparire da un momento all’altro, sospinto via dal vento. Ma Jacqueline era concreta, era reale. Non era finta, non era fatta di polvere di stelle o di acqua cristallina. Aveva sangue che le scorreva nelle vene, muscoli, organi, aveva sentimenti, provava dolore. E questo, più di ogni altra cosa, più della sua ingenuità, più dell’innocenza con cui vedeva il mondo, era stato la sua fine.
Quel giorno Regulus aprì la porta di casa Black con un groppo in gola e un peso sullo stomaco. Aveva fatto una passeggiata solitaria, cercando di schiarirsi le idee, di pensare in modo razionale, ma non era servito a nulla. Fortunatamente la casa era deserta, i suoi erano usciti per andare chissà dove, suo fratello non viveva più con loro da mesi, scappato a vivere dai Potter come progettava da tempo. La cosa più intelligente che avesse mai fatto. Quando l’urlo di dolore rimbombò nella casa vuota, Regulus capì di non essere davvero sorpreso. Corse e corse, entrò in salotto sbattendo la porta e sentì le risate di sua cugina lontane, come ovattate. Vedeva solo Jacqueline a terra, agonizzante in un mare di dolore, che lo guardava e gridava, gridava. Ma nessuno poteva sentirla. Regulus era come paralizzato. Bellatrix scoppiò di nuovo a ridere, seguita da Rodolphus, il marito che tanto la adorava, ma che lei trattava solo come un accessorio. 
- Abbiamo beccato la Babbana che gironzolava nella piazza sola soletta. Nessuno sentirà la sua mancanza.
Le loro risate erano un insulto. Regulus avrebbe voluto torturarli, provocargli dolore, uccidergli, e nel momento esatto in cui partorì quei pensieri, capì di essere esattamente come loro. Non sapevano della loro storia d’amore, semplicemente si annoiavano, e avevano deciso di impiegare il tempo facendo qualcosa di divertente. Erano spietati, il male puro scorreva in loro. Ma i suoi pensieri di vendetta non erano molto più puri delle loro azioni. Si ritrovò inerme, fuori dal salotto, seduto per terra lungo la parete, mentre le risate di Bellatrix e le urla di dolore di Jacqueline squarciavano il silenzio che di solito regnava in casa Black. Si ritrovò a chiudersi nella sua stanza, nell’angolo più lontano dalla porta, le mani sulle orecchie.
Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare, anche quando la ragazza smise di gridare, le sue grida continuarono a rimbombargli nelle orecchie, e continuarono a farlo per giorni, mesi, anni. Fino al suo ultimo secondo di vita, le grida di Jacqueline gli ricordarono la sua codardia, gli ricordarono quel sogno cha aveva vissuto ad occhi aperti, la sua stupidità nel credere di essere superiore a tutti gli altri Black. Ma l’aveva lasciata morire per salvarsi la vita, perché se avesse ammesso che gli importava sarebbe morto anche lui, proprio come lei. Ma, con il passare dei giorni, la morte cominciò a sembrargli la cosa migliore, la cosa più giusta per lui. L’aveva amata davvero, ma era stato incapace di salvarla.
Il tempo passava e si ritrovò a pensare addirittura se la ragazza fosse mai esistita. I suoi ricordi erano confusi, ingarbugliati, sembrava che la pazzia stesse prendendo il sopravvento su di lui. Si ritrovò addirittura a dimenticarsi il suo viso, il colore dei suoi occhi, la morbidezza dei suoi capelli. Ma soltanto la morte gli avrebbe fatto ricordare tutto. Il viso di Jacqueline gli si era finalmente mostrato com’era veramente e Regulus aveva saputo di essere stato perdonato da lei, perché Jacqueline era un angelo e gli angeli non portano rancore, non covano spietate idee di vendetta. Regulus era tornato sulla retta via, aveva fatto di tutto per far vincere il bene, ma alla fine era morto, e aveva abbracciato la morte come un’inevitabile compagna della vita. Jacqueline aveva perdonato lui, ma lui non perdonò mai se stesso.
 

 

Per anni sono fuggito senza sapere da cosa.
       Credevo che, correndo più in fretta dell’orizzonte,
le ombre del passato non avrebbero intralciato
il mio cammino. Credevo che, mettendo tra me e
loro una distanza sufficiente, le voci nella mia
testa si sarebbero zittite. Per sempre.
 
Carlos Ruiz Zafon, Marina

                                                           
 

  
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