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Autore: devonneshope    13/07/2012    9 recensioni
'Il cancro potrà toglierle quello che vuole, ma non riuscirà mai a lavarle via quel sorriso dalle labbra.'
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cazzo campanella, sbrigati a suonare! Sbuffai sonoramente attirando l’attenzione della professoressa.
“Malik, se vuol rimanere altro tempo dopo la scuola, deve solo dirmelo senza troppe pretese” mi freddò.
Poi le mie orecchie piansero di gioia: la campanella. Scattai i piedi correndo verso l’uscita, scansando gente su gente.
Salii sulla mia auto e sorrisi: chissà cosa fa’ adesso..
Dopo mezz’ora di viaggio snervante, eccomi lì davanti all’ospedale. Percorsi i corridoi girando e avanzando, conoscendo a memoria il percorso.
“Buongiorno Zayn!” mi salutò un medico.
Sorrisi e aumentai la velocità.
“Oh, Zayn! Com’è andata oggi a scuola?”La voce dell’infermiera mi fece bloccare di colpo.
“Bene, grazie Jenny. E te invece? Come è andata ieri sera con Brandon?” risposi.
“Uno schifo. Il principe azzurro che credevo che fosse, in realtà non è nemmeno capace di tagliarsi una pizza.” Scoppiammo a ridere e poi ci salutammo.
“Ah, Zayn. L’hanno spostata nella stanza 138.” Aggiunse prima che io girassi l’angolo. Sentii il cuore battere all’impazzata ogni passo ad ogni passo che avanzavo.
138. Eccola.
Presi un respiro e poi, aprii lentamente la porta;
appena la vidi, sentii il cuore sorridere e piangere allo stesso tempo. Dormiva beatamente mentre l’unico rumore nella stanza era il ‘bip’ dell’elettrocardiogramma e il suo respiro.
“Stronzo, perché non sei venuto ieri?” disse facendomi sobbalzare. Mi fece la linguaccia divertita e mi chiesi ancora una volta quanto la vita potesse essere bastarda.
Eccola lì, la mia Sam.
Sam, la ragazza che aveva ottimi voti a scuola.
Sam, quella che aveva tanti amici.
Sam, che non aveva una famiglia.
Sam, che non aveva perso il sorriso neanche quando le avevano detto che era malata di cancro.
Portava un cappello di lana per coprire l’assenza di capelli, quando io mille volte le avevo detto che era bellissima lo stesso; gli occhi stanchi e le occhiaie erano la prova che non aveva dormito bene quella notte.
“Allora? Perché non sei venuto ieri?” la sua voce ruppe il filo dei miei pensieri.
“Mia madre mi ha costretto a rimanere a casa. Dovevo controllare mia sorella mentre lei era via.” Spiegai guardandola.
Lei annuì indifferente e chiuse gli occhi.
“Bene, ora se permette mio caro visitatore, vorrei tornare a riposare” disse offesa.
“E’ il tuo modo di dirmi che ci sei rimasta male?” Le accarezzai la guancia.
Non rispose e scostò la mia mano.
“Bene, allora buona notte.” Mi alzai e mi diressi verso l’uscita.
“Zayn..” sussurrò, ma io la sentii benissimo. Mi voltai e mi fiondai con lei nel lettino facendole il solletico.
“Ma come, non volevi riposare?” sussurrai nel suo orecchio.
“Le persone cambiano.” Disse lei strafottente.
“In trenta secondi?” Lei sorrise e poi, mi abbracciò.
“Mi sei mancato” disse.
Le baciai la testa e afferrai il mio zaino;
“Allora, oggi capelli verdi, rosa o blu?” le mostrai le parrucche e lei quasi urlò.
“MI HAI PRESO QUELLA BLU? IO TI AMO ZAYN JAWAAD MALIK!” La afferrò di corsa e la indossò.
“Come sto?” disse atteggiandosi come una modella.
“Raperonzolo II” dissi prima di afferrare la sedia a rotelle nascosta dentro l’armadio. L’aiutai a salire, staccando i mille fili che la tenevano legata a quel letto.
“Malik è in testa con la sua Sam 2001, seguito da Schumaker e Rossi nel circuito 1 del reparto oncologico del S. George.” Iniziai a correre nei corridoi spingendo la carrozzina, mentre le infermiere urlavano e i medici ridevano insieme Sa,.
“E Malik taglia il traguardo arrivando primo in classifica! La folla impazzisce!” simulai gli applausi e le urla mentre continuavo a correre verso la macchina.
"Non sei normale." Disse tra le risate.
La aiutai a sdraiarsi nei sedili posteriori e buttai la carrozzina nel cofano.
“Allora signorina, andiamo sulle stelle?” dissi con accento francese guardandola nello specchietto retrovisore.
“Non siamo sul Titanic mio caro, mi accontento del nostro posto.” Sorrise e tornò a sdraiarsi.
Accesi la radio e iniziammo a cantare come matti con il volume altissimo.
I don’t mind spending every day, around your corner in the pouring rain, look for the girl with the broken smile, ask her if she wants to stay awhile, and she will be loved, she will be loved!”
Quanto amavamo quella canzone? I Maroon 5 si erano superati, quello era certo. Dopo un quarto d’ora, arrivammo: le nuvole coprivano il cielo, ma questo non ci scoraggiò più di tanto. L’aiutai ad alzarsi e poi, camminammo verso il parco attraversando la distesa di verde che lo separava dalla strada. Si avvicinò all’altalena e si sedette con aria stanca.
“Vuoi tornare indietro?” le chiesi preoccupato.
“No, sto bene grazie.” Sorrise. Dio, quant’era bello quel sorriso.
Mi sedetti accanto a lei e ci dondolammo guardando il cielo:
“Ti ricordi la prima volta che sei venuto a trovarmi?” mi chiese, scoppiando poi a ridere.
“Che ti ridi? Non sapevo se era l’orario delle visite!” risposi ridendo.
La verità era che io e Sam, prima della sua malattia, ci eravamo parlati a malapena. Anzi, quando a scuola dissero che a una certa Watson era stata diagnosticato una leucemia, non ricordavo neanche chi fosse.
Poi un pomeriggio, mi aveva assalito un desiderio assurdo di andare a vedere come se la passasse quella ragazza in ospedale; mio padre era morto a causa di cancro ai polmoni e in qualche modo, mi sentivo legato a quella sconosciuta. Avevo preso l’autobus e avevo bussato alla sua porta.
Non avevo neanche avuto il tempo sospirare, che Sam si era presentata sull’uscio tutta felice. Quando aveva visto me però, tutto il suo entusiasmo era andato a farsi fottere.
“E tu chi cazzo sei? Dove sono Jade e Veronika? E Bill?” Si era affacciata più volte per vedere se ci fossero altre persone oltre a me e poi, era tornata a guardarmi con sufficienza.
“Allora?” continuò.
“Io non so chi sono.” Avevo balbettato.
“Il reparto per i malati di Alzheimer è proprio lì dietro.” Aveva finito chiudendo la porta.
“No, dicevo che non so chi sono le persone che hai nominato.” Mi affrettai ad aggiungere.
“Vuoi dire che nessuno ha appeso striscioni a scuola per dirmi di non mollare?” riaprì la porta e alzò il sopracciglio.
Scossi la testa.
“E nessuno è scoppiato a piangere durante le lezioni per la mia situazione?” continuò.
Scossi di nuovo la testa.
Improvvisamente, gli occhi le si erano riempiti di lacrime si era buttata nel mio petto.
“Cazzo, non sono morta, non ancora, perché nessuno lo capisce?” aveva singhiozzato. L’avevo abbracciata senza trovare parole da dire:
“E’ un mese che me ne sto qui tutta sola ad aspettare che qualcuno mi venga a fare visita e non è arrivato nessuno!” Aveva continuato.
“Forse.. Forse arriveranno domani, o comunque in settimana.” avevo balbettato cercando di calmarla. Ma non uno dei suoi amici venne a trovarla nei sei mesi successivi. Nessuno, se non io.
Da quel giorno, ero andato a trovarla tutti i pomeriggi, dando buca ai miei amici o ai familiari; a scuola nessuno sapeva cosa facessi nel pomeriggio, così come a casa.
“Sei proprio figa con i capelli blu.” Dissi prendendo la sua mano.
Sorrise e si alzò, mettendosi a sedere sulle mie ginocchia.
“Lo so che attizzo, ma vedi di tenere a bada l’amichetto eh!” disse fingendosi una super modella. Risi di gusto e le cinsi la vita con le braccia:
“Ci scherzi sopra, ma sei bellissima per davvero.” Sussurrai.
Per un attimo, ripensai ai sei mesi che avevamo passato insieme: l’avevo vista piangere, ridere, scherzare, mi aveva confessato le sue paure più grandi e mi aveva confidato tutte le sue certezze. Avevo conosciuto il suo lato più insicuro, quello che teneva nascosto a tutti, avevo imparato a non urtare il suo orgoglio e soprattutto, avevo imparato a farla sorridere.
L’avevo sorretta ogni volta che tendeva a cadere, l’avevo spronata a non mollare mai e alla fine, mi ero innamorato di lei.
“Mi canti la nostra canzone?” chiese supplichevole riportandomi alla realtà. La nostra canzone, già. L’avevamo scritta insieme nei pomeriggi di pioggia, quando non potevamo uscire all’aria aperta. Mi alzai e la presi in braccio, facendola sdraiare sull’erba fresca ancora bagnata dalla pioggia.
“Solo il ritornello. Lo sai che ho una voce orribile.” Dissi sdraiandomi accanto a lei.
Appoggiò la sua testa sul mio petto e attese che io iniziassi a cantare.

Cause when you’ve given up
When no matter what you do it’s never good enough
When you never thought that it could ever get this tough,
That’s when you feel my kind of love

And when you’re crying out
When you fall and then can’t pick, you’re heavy on the ground
When the friends you thought you had haven’t stuck around
That’s when you feel my kind of love
.

No appena finii di cantare, lei sorrise e poggiò le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi la strinsi a me.
“Non provare mai più a dire che hai una brutta voce o non ti aprirò più la mia porta d’ospedale.” Sussurrò.
Sorrisi e promisi a me stesso che non l’avrei mai lasciata andare. Mai.


La canzone è My Kind of Love di Emeli Sandé e questa è la traduzione del ritornello:

Perché quando ti sei arreso
Non importa quello che fai, non è mai buono abbastanza
Quando non avresti mai pensato che potesse essere così dura,
Allora sentirai il mio tipo di amore.

E quando piangerai
Quando cadrai e non riuscirai ad alzarti, quando sarai pesante sul terreno
Quando gli amici che pensavi di avere non saranno più con te
Allora sentirai il mio tipo di amore.



 


 

  
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