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Autore: clalla97    14/07/2012    7 recensioni
*SPOILER PER IL CANTO DELLA RIVOLTA*
Sono gli ultimi Hunger Games. I Giochi di Capitol City hanno inizio ora.
Gli occhi sono puntati sull'Arena per l'ultima volta.
Per la prima volta non sono i Distretti ad aver paura per i propri figli.
Per la prima volta un pedigree di Capitol City non serve a rimanere in vita.
[Storia temporaneamente sospesa, in attesa che l'ispirazione torni dal suo viaggio in Messico]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Torrone

 

Alla luce del sole la stanza avrebbe dovuto avere un aspetto diverso. Avrebbe dovuto quasi prendere vita. Invece era ancora una triste succube delle lampade al neon, fredde e prive di calore, che illuminavano le pareti in modo triste, accendendo l'ambiente di una luce artificiale che rendeva la pelle biancastra e smorta e che costringeva lo sguardo a rimanere puntato vero il basso per non rimanere accecato.
La stanza era grande, più di quanto non se la ricordasse, e aveva un'eco particolare che faceva sì che il rumore provocato dalle scarne parole dei presenti equivalesse alle urla di una folla inferocita. Era quasi migliore di notte, in quel silenzio ai limiti dell'inquietante, in quella penombra che faceva sembrare le luci ancora più artificiali. Se non altro aveva un aspetto misterioso.
Leena osservava. Non le importava particolarmente dell'allenamento. Non ancora. Preferiva decisamente inquadrare con certezza tutte le persone che aveva attorno. Non voleva trovarsi messa alle strette perché aveva avuta la leggerezza di sottovalutare gli altri Tributi. Non avrebbe commesso un errore patetico come quello.
Ad una prima occhiata sembravano solo dei ragazzini viziati improvvisamente sbattuti contro la dura realtà, dovendo prendere in mano delle armi quando la cosa più simile usata in vita loro era una stata lametta da barba e un coltello da burro.
Non si accontentò, però, di un'analisi così superficiale, e continuò ad analizzare la situazione.
La seconda impressione non le mostrò nulla di nuovo ma mise in risalto la solita disperazione, quella che animava continuamente i gesti di tutti.
Gran cosa, la disperazione. In grado di portare alle azioni più crudeli. In grado di snaturare completamente un uomo, spingendolo sull'orlo della pazzia.
Leena seppe immediatamente che non importava quanto loro fossero goffi, inesperti, quasi patetici. Non era indispensabile saper uccidere. Sarebbe bastato respirare, la disperazione avrebbe fatto tutto il resto. Li avrebbe portati a ferire, anche contro la loro volontà, a tingere la terra del sangue degli amici, a tentare di vincere a tutti i costi.
La ragazza si chiese se anche i suoi gesti apparissero disperati agli occhi degli altri.
Molto probabilmente sì. Lei non era diversa da tutti gli altri, in fondo.
Era una ragazzina che aveva avuto tutto nella vita, materialmente parlando: cibo, abiti, comodità. Le era sempre bastato un solo schiocco di dita per ottenere ciò che voleva.
Improvvisamente Leena fu assalita da una nuova paura, completamente diversa dalle precedenti.
Leena scoprì in quei pochi secondi che non erano gli altri Tributi il suo più grande nemico, ma quella che sarebbe stata l'Arena. Quella che avrebbe dovuto darle cibo, acqua... vita. E che forse le avrebbe negato tutto quanto. Ebbe paura.
Ma in quei pochi secondi scoprì anche un'altra cosa.
Quella paura le piaceva. Perché era umana, perché era parte di lei, perché non richiedeva altre vite che la sua.
Non avrebbe permesso che la disperazione animale che si celava anche dietro ai suoi occhi la controllasse.
Avevano il suo corpo. Non avrebbero avuto anche la sua anima. Non l'avrebbe permesso.
Se i Distretti volevano spettacolo probabilmente lo avrebbero ottenuto. Ma non da lei.

 

Si passò una mano sulla fronte, ritraendola madida di sudore. Odiava quegli allenamenti, che mettevano sotto gli occhi di tutti le sue debolezze.
Sotto gli occhi dei Tributi, impegnati tanto quanto lei, e anche dei Mentori, appollaiati come tanti avvoltoi sulle gradinate, intenti a carpire i loro segreti, le loro tecniche, i punti da sfruttare durante i giochi.
Arrampicata, uso di armi, tecniche di sopravvivenza. Ovviamente mai corsa.
Era riuscita ad accendere un fuocherello solo dopo essersi procurata un bel po' di vesciche e un paio di graffi. Patetico. Patetico quasi quanto la scottatura che faceva bella mostra sul suo avambraccio, colpa di quella banalissima lingua di fuoco.
Stava riprendendo fiato o meglio, stava cercando di smetterla di ansimare come un cane di dieci anni dopo una corsa particolarmente lunga.
Aveva cercato di tenersi lontana dalle armi quanto più poteva. Soprattutto dopo che la freccia del suo arco aveva mancato il bersaglio, conficcandosi nel muro, a pochi centimetri dalla testa di Chaz, che si era bloccato sul posto e l'aveva guardata, senza capire se quello fosse stato un tentato omicidio o un puro errore.
Le era salita la nausea dopo aver visto con che precisione Maryvonne aveva centrato il bersaglio e quanto Lexy e Tracie ci fossero andate vicine. Perché non poteva essere come loro?
Era incoerente, lo sapeva: non volere uccidere nessuno, ma volere la sicurezza di sapersi difendere. Eppure non poteva farne a meno. L'istinto di sopravvivenza aveva sempre la meglio. Ma non poteva permetterselo.
Distolse gli occhi dalla postazione, torcendosi le mani, alla ricerca di qualcosa che fosse sicura di poter fare almeno decentemente.
“Allora... hai trovato un modo per ucciderci tutti? Sai, sono proprio curioso di sapere come farai, visto che sei così patetica.”
Bastò la voce di Kaleb per far montare in lei la rabbia e vedere Nita che gli faceva da guardaspalle la fece innervosire ancora di più.
“Gira al largo, non è giornata.”
“Non è mai giornata, per te, Snow.” rispose lui con un sorriso beffardo.
“E allora stammi lontano.” ringhiò voltandosi, per riuscire a mantenere la calma. Difficile, ma possibile.
“Altrimenti cosa mi fai? Mi uccidi? Ora? Nell'Arena? Sono curioso.”
Kaleb la stava esasperando, e di sicuro prima o poi sarebbe scoppiata.
“Non lo so se ti uccido. Ma una cosa te la prometto comunque. Tu non uscirai vivo da lì. Che sia per merito mio o di qualcun altro. Te lo giuro su qualsiasi cosa.”
Le parole erano state pronunciate a voce alta e l'eco le aveva trasportate febbrilmente per tutta la stanza. Tutti si girarono a guardarla, sorpresi.
Kaleb era rimasto un paio di secondi in silenzio, forse spiazzato dalla incrollabile sicurezza con cui Leena l'aveva freddato. Poi aveva ghignato di nuovo, ritrovando la sua sfrontatezza.
“Sei come tuo nonno. Capace solo di togliere dalla tua strada tutto ciò che ti minaccia, con le buone o con le cattive.”
Non doveva pronunciare quella frase, Kaleb. Non proprio lui che riusciva a minare il suo autocontrollo, non proprio lui che odiava con tutta se stessa.
“Non mi paragonare a lui. Non farlo mai.”
Nita fece un passo avanti. Continuavano a fare errori, quei due. Se con Kaleb era riuscita a controllarsi, con Nita non ce l'avrebbe fatta. Lo sapeva già.
“Ma guardarla, la piccola Snow... un misera manciata di neve, ecco cosa sei.”
“Neve? Nah... è stata calpestata talmente tante volte che ormai è diventata fango, non è vero, Leena?” Le parole di Kaleb bruciarono, ma era vere. Terribilmente, vere. E questo gliele fece odiare ancora di più.
Non sono uguale a mio nonno! Sono solo una povera vittima. Continuerai a giocarti questa carta anche nell'intervista, ci scommetto. Ma un po' di decenza ce l'hai?” La voce di Nita le trapassò i timpani con la violenza di un martello pneumatico. Leena vide rosso. Veramente. Tutto si tinse di vermiglio e le parole uscirono di bocca da sole.
“Tu parli di decenza a me? A me? Anche io scommetto, se vuoi: tu ti giocherai la carta del: Snow? Non gli ho mai parlato in vita mia. Lo odiavo.
I presenti nella sala le osservavano incuriositi e perplessi. Non era così? Nita conosceva Snow?
Improvvisamente Leena fu pervasa da una strana calma e sorrise alla ragazza, un sorriso che non prometteva niente di buono. Un sorriso da predatrice. Un sorriso che non aveva nulla della ragazza attenta ai sentimenti degli altri. Un sorriso che era pronto a ferire. Irrimediabilmente.
“Dimmi Nita... è una curiosità che mi rode da sempre. Magari questo è il momento buono...”
Nita si guardava intorno come un animale in trappola, senza riuscire a reagire, a dire una sola parola. Quando Leena tirava fuori gli artigli era uno spettacolo devastante. Tutti i presenti provavano quasi pietà per quella ragazza che sembrava farsi sempre più piccola sotto lo sguardo deciso della nipote di Snow, minuta e delicata. Ma mai come in quel momento i Tributi avevano avuto paura di lei.
“Ti sei fatta solo mio padre o hai dato una ripassata anche a mio nonno?”
I Tributi e anche i Mentori sulle gradinate spalancarono gli occhi, impietriti da quell'ultima domanda. Nita era arrossita, senza avere la prontezza per smentire tutto. Le sarebbe bastato sfoderare un'espressione stupita, disgustata, incredula. Le avrebbero creduto senza riserve. Ma non l'aveva fatto.
“Risposta eloquente. Mi fai proprio schifo.”
Leena si voltò, andandosene. Lo aveva sempre sospettato, ma saperlo con certezza la disgustava profondamente.
Probabilmente quello era stato l'allenamento più fruttuoso della giornata: imparare a ferire. A piccoli passi, prima emotivamente, poi avrebbe imparato a farlo anche fisicamente.
Quella battaglia l'aveva vinta lei. Magari avrebbe vinto anche la guerra.

 

Si era seduta, la stanchezza cominciava a far presa su di lei in modo definitivo, costringendola ad un po' di riposo. Ne stava approfittando per bendarsi la mano che continuava a farle male.
Aveva sempre avuto una terribile paura della sofferenza, bastavano un piccolo taglio, un colpo più forte del solito contro l'angolo di un comodino, un po' di mal di gola per metterla in ginocchio e si era sempre odiata per questo, eppure non riusciva a farci nulla. E continuare ad essere sottoposta a sofferenze non aiutava: al dolore non ci si abituava mai, continuava a fare male, tanto.
Si passava fra le mani una pietra appuntita raccolta in una delle tante postazioni, chiedendosi se le sarebbe mai servita come arma. Forse, se solo fosse riuscita ad usarla nel modo giusto.
La mano che le si posò sulla spalla la prese alla sprovvista e fu un gesto quasi istintivo graffiare quel dorso candido con la punta pietrosa.
Il sangue scese in un piccolo filo rosso lungo le dita e cadde, come pioggia di rubino, sui suoi pantaloni, macchiandoli di vergogna per un tale gesto. Il gemito di sorpresa e dolore la fece tornare in sé quanto il bruciore di uno schiaffo al viso.
“Tracie... io... mi dispiace.” lo sguardo della ragazza sembrava capirla. Leena le fu grata, per questo.
“Non è importante. Fammi un po' di posto.” le disse, ma la ragazza non riusciva a distogliere lo sguardo da quel dorso che lei aveva ferito, a dispetto di tutto quello che si era promessa.
Così Leena si scostò, lasciandola sedere, le prese la mano fra le sue e la fasciò con quelle bende che priva ricoprivano le sue, di ferite.
“Grazie.”
“Scusami.”
Tracie le sorrise. Leena l'aveva sempre ammirata, a Capitol. Era una una ragazza così bella, dall'aspetto così innocente, e allo stesso tempo capace di una decisione e di una forza estranee alla maggior parte delle sue coetanee. Le tornò in mente l'espressione impassibile con cui aveva scagliato la freccia, che si era conficcata nella spalla del bersaglio. Niente di letale, ma almeno avrebbe rallentato l'avversario. Lei, invece, l'aveva mancato totalmente.
“Non abbiamo nemmeno avuto il tempo di parlare, Leena. Come stai?” le chiese con sincero interesse. Erano sempre state amiche. Non particolarmente strette, ma pur sempre amiche.
“Ora, male. Cioè... mi guardo intorno e tutti fanno bene almeno qualcosa. Io...”
“Tu eviti le cose che ti riescono meglio.”
Leena la guardò, aggrottando la fronte.
“È così evidente?”
“Beh, ti sei tenuta lontana dalle erbe, e so che te la cavi. Non hai toccato la katana e so che tutto sommato la maneggi. Ti sei arrampicata pochissimo. Direi che sì... è evidente.”
“Grazie, Tracie.” un sorriso sbocciò sulle labbra della ragazza. Tracie era sempre così... grande. Aveva la sua età. ma nel modo di porsi sembrava infinitamente più matura.
“Dimmi una cosa, Leena... Perché hai rifiutato l'alleanza con Jonathan?”
La ragazza abbassò lo sguardo, colpevole, ma sapeva che di lei si poteva fidare, che lei era dalla sua parte.
“Mi aveva promesso che sarebbe morto cercando di proteggermi e non potevo permetterlo. È il mio migliore amico, in fondo.” Tracie sorrideva, quasi divertita.
“Il tuo migliore amico, certo... Quindi era solo per questo: perché non volevi metterlo in pericolo.”
“Direi di sì, che ti aspettavi?” chiese Leena perplessa.
“Non lo so... magari avevi realmente deciso di farci fuori tutti pur di vincere.”
La risata salì dalle gole di entrambe e si riversò nell'aria, liberandole dai pesi che le opprimevano, almeno per qualche istante.
Leena si asciugò le lacrime di ilarità che bagnavano gli angoli dei suoi occhi, ignorando deliberatamente gli sguardi che erano puntati su di loro.
“Già, dovevo immaginare che non poteva essere realmente così.” Tracie le diede una spallata scherzosa.
“Lo sai come sono fatta. Non sarei un pericolo per nessuno.” La voce aveva un che di amaro che però Tracie non notò.
“Quindi fammi capire... ora non hai nessun alleato.”
“No... sono sola.” questa volta la nota d'amarezza fu evidente.
“Ti sbagli. Non sei più sola. Ora hai me.”
Leena sentì nascere per l'ennesima volta la gratitudine per quella ragazza che aveva sempre le parole giuste per aiutarla. Ma non poteva accettare.
“Vale lo stesso principio di Jonathan. Non posso.”
“Non prendiamoci in giro. Tu non moriresti per salvare me come io non morirei per salvare te. Però possiamo aiutarci. Due è sempre meglio di una.”
Leena sorrise con sincerità. Non essere sola... era una bella tentazione.
“Due è meglio di una, hai ragione. Va bene.”
“A una condizione.”
Ecco, doveva immaginarselo. Doveva per forza esserci una fregatura.
“Quale?” chiese sospirando rassegnata.
“Rivoglio la Leena che conosco. Quella che si rialza ad ogni difficoltà, che sbatte la testa contro il muro fino a che questo non crolla. Quella che ho davanti non è Leena, è un budino. Voglio vedere il torrone che ricordo.”
La ragazza sorrise e la abbracciò. Tracie ricambiò quella stretta, un sorriso che illuminava il viso di entrambe.
“E torrone sia, allora. Abbiamo qualcosa da fare.”
Aveva un'Alleata.
Ma soprattutto una vera amica.

 

“Sai, credo di non ricordare una sola volta in cui tu ti sia gettato nella mischia a socializzare.”
Quin alzò lo sguardo, mostrando una buona dose di irritazione che non scemò nemmeno quando distinse il volto di Leena, una delle poche persone che riuscisse a sopportare senza sclerare di brutto.
“Oh, certo... io adoro socializzare. Non so proprio che mi succede.”
“Ecco perché non hai una ragazza. Le allontani tutte con quella insopportabile ironia.”
“Chi non mi vuole non mi merita.”
Leena rise, scompigliandogli i capelli. Quin li risistemò infastidito.
“Pidocchio, sai che non puoi cavartela da solo nell'Arena, vero?”
“Certo che posso, Zecca.”
“No. E se io ti proponessi un'alleanza? Ti procuro da mangiare, un posto possibilmente chiuso dove stare e in cambio tu ci intrattieni la sera con le tue storielle macabre e ti lasci aiutare. Come condizioni non sono male, no?”
Il ragazzino osservò diffidente le due ragazze che gli sorridevano rassicuranti.
“Dov'è l'inghippo?”
“Ci hai scoperte.” sospirò con teatralità Leena. “Vogliamo metterti con le spalle al muro e mangiarti vivo. Siamo cannibali, ma è un segreto.”
Il ragazzino rise, scuotendo i riccioli scuri.
“Fico. In questo caso accetto. Un'offerta del genere non si rifiuta. Ho sempre sognato di farmi mangiare.
Leena sorrise soddisfatta. Avrebbe avuto la possibilità di proteggere un'altra delle persone a cui voleva bene.
Lottie sorrideva timidamente a un ragazzo alto, dai capelli rossi, perciò dedusse che fosse al sicuro.
La lista era esaurita.
“Così mi piaci, torrone.” commentò Tracie sorridendo.
“Beh, se dobbiamo fare le cose, facciamole bene.”

 

“Spostati.”
Kaleb fissava Jonathan con una palese espressione di sfida stampata sul viso.
Aveva appena lasciato la postazione di combattimento dove era riuscito a rompere il naso a un certo Josh, a far sanguinare Regan e Alysha e a fare parecchio male ad Hal.
Era soddisfatto e le labbra piegate in una posa divertita lo testimoniavano ampiamente.
Era rimasto in quella sorta di limbo fatto di autocompiacimento fino a quando non si era scontrato con Jonathan, che gli aveva sbarrato la strada e che ora si rifiutava di farlo passare.
La sorellina era alle sue spalle, con quella insopportabile espressione ansiosa, aggrappata alla maglia del fratello, ma a due prudenti passi di distanza, per sicurezza.
La tensione vibrava come un filo teso fra i due ragazzi e, fiutando la lite, Den, Nita, Lexy e Maryvonne si erano posti alle sue spalle, confermando quella tacita alleanza che fino a quel momento era solo aleggiata sulle teste dei Tributi.
Jonathan si era invece trovato spalleggiato da Leena, Tracie e Quin, che sembravano piuttosto a disagio nel doverlo difendere, quasi lo sentissero un obbligo morale particolarmente sgradevole.
“Sta più attento, Carter. E fammi passare. Se vuoi litigare, ti conviene stare attento.”
“Sei tu che vuoi litigare. E se sei venuto a cercare grane da me, hai fatto centro. Ne ho a palate da offrirti.” Jonathan aveva sfoderato un sorriso arrogante, sfidandolo.
“Non costringermi ad insegnarti come stanno le cose, qui.”
“Sai, le tue minacce non mi toccano per niente. Anzi, le tue parole mi fanno solo aria.”
Kaleb avanzò di un paio di passi, trovandosi faccia a faccia con Jonathan, i nasi divisi da un paio di centimetri.
“Io ti anniento, Carter. Ti distruggo.”
Il ragazzo lo spinse via con violenza.
“Stai attento a te, Kaleb. Stammi lontano.”
L'altro sorrise di rimando con insofferenza e agitò distrattamente una mano.
“Sparisci, va'. Fammi contento.” commentò con accondiscendenza.
“Se tu te ne andassi, stai tranquillo che ti starei lontano.”
Il sorriso si gelò sulle labbra del biondo.
“Stai rischiando grosso. Io non sto giocando. Tu non sei nulla.”
“Sei solo capace di minacciare.”
“Io ti distruggo.”
“Sai che spavento mi fai.” Jonathan ridacchiò.
Kaleb sorrise a propria volta.
“Non ti sopporto proprio, Carter. Tu e i tuoi amichetti fareste meglio ad andarvene, prima di trovarvi veramente nei casini.”
“Siete tu e i tuoi paraculo che cercate casini. Non noi.”
“Non mi provocare.”
“Stai facendo tutto da te. Ti bastava prendere un'altra strada e lasciarmi in pace.”
Kaleb arricciò il naso come un grosso felino annoiato.
“Sai, mi piace proprio questo odio che impregna l'aria.”
“Già, l'hai appestata. L'hai viziata.”
“Che ci posso fare, è il mio vizio migliore, allora.” rise con voce tagliente.
“Sai, credo che l'aria si sia avvelenata per colpa tua. L'hai spinta al tentato suicidio.”
“Almeno è merito mio, se sei senza respiro.”
“No, è merito del tuo alito.”
Kaleb ringhiò, ma si costrinse a mantenere la calma.
“Ti sbagli. È l'odore dell'odio.”
“Immagino quindi che a te piaccia tanto.”
Jonathan avanzò di un passo.
“Se ti avvicini giuro che ti uccido.” sputò Kaleb fra i denti.
“Stai tranquillo, stare vicino a te non è decisamente il mio posto ideale.” Jonathan esprimeva una calma invidiabile.
“Dovresti smetterla di comportarti come uno snob. Solo perché sei un Carter, solo perché sei ricco sfondato, non hai il diritto di tirartela.”
“Sempre meglio che essere un pezzente.” asserì il moro con deliberata cattiveria.
“Mi chiedo perché tu esista. Davvero.” ansimò l'altro cercando di calmarsi con la respirazione.
“E mi chiedo perché tu respiri ancora. Avrei dovuto ucciderti già tanto tempo fa.”
“Adoro troppo quest'odore di odio per lasciarti il potere di portarmi via l'aria.” il sorrisetto stava tornando sulle labbra del biondo.
“Già... una vita consacrata all'odio. Mi fai pena.” (*)
Evidentemente quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, perché Kaleb si scagliò contro Jonathan, gettandolo a terra, mettendosi a cavalcioni sopra di lui, scaricandogli addosso un paio di destri invidiabili.
Leena osservava la scena senza avere la forza di intervenire, così come Sophia, che fissava inorridita il fratello. I tirapiedi di Kaleb invece sorridevano tra di loro, soddisfatti della forza del loro miglior alleato.
Dovettero intervenire due uomini per riuscire ad allontanare il ragazzo da Jonathan, che lo fissava con odio, con un labbro tumefatto e un occhio pesto che sicuramente il giorno successivo sarebbe stato violaceo.
Kaleb rise aspramente, scrollandosi di dosso i due uomini e allontanandosi.
“Non fai più l'arrogante, vero? Sei vuoi sfidare qualcuno devi assicurarti di saperlo battere. La prossima volta spostati ed evita di farti umiliare così. Grazie per il piccolo divertimento, però. Non vedo l'ora di ucciderti. E non sei l'unico della mia lista.”
Leena sostenne lo sguardo del ragazzo, sorridendogli con innocenza.

 

La dura giornata era ormai conclusa, con grande sollievo di tutti. Alla fine si erano pure sorbiti una lunghissima ramanzina su quanto fossero vietate le risse e su come li avrebbero puniti se fosse successo un'altra volta. Niente di nuovo, insomma. Sempre le solite minacce vuote.
Leena aveva salito le scale massaggiandosi la schiena dolorante, ma davanti alla porta l'attendeva una sorpresa. Se piacevole o meno non seppe dirlo nemmeno lei, lì sul momento.
“Devo parlarti.” asserì con decisione un Jonathan dal volto sfigurato dai pugni di Kaleb.
“Come vuoi. Però spostati da lì che voglio entrare. E per favore, non piantare un casino come quello di oggi. Te ne basta una, di pestata, al giorno.”
Le parole colpirono il bersaglio e Jonathan si allontanò dalla porta con lo sguardo basso di vergogna, di umiliazione.
“Allora? Parla pure.” lo esortò Leena, scagliando le scarpe in un angolo e rimanendo a fissarlo con le braccia incrociate.
“Perché? Perché hai preso le mie difese, con Kaleb? Credevo non volessi più avere nulla a che fare con me e Sophia.” disse a denti stretti.
“È stata Tracie ad insistere.” Bugia. Bella grossa, anche. “E poi mi sembrava che tu avessi bisogno di aiuto.”
“Appunto. Può anche essere che tu abbia deciso di non avere più bisogno di noi. Ma noi abbiamo un disperato bisogno di te.” Sembrava che confessare quella debolezza fosse per Jonathan un dolore enorme. Forse lo faceva solo per Sophia. Non doveva essere facile ingoiare il proprio orgoglio in quel modo.
“La cosa non mi riguarda.” lo informò Leena con freddezza.
Vide l'espressione controllata di Jonathan incrinarsi, rivelando un dolore che lui non le aveva mai mostrato, in nessun caso.
“Io non ti ho mai lasciata. Ti sono sempre stato accanto. Perché mi abbandoni tu, proprio ora che sento il bisogno di averti vicino? È solo perché voglio morire per salvarti? Posso... posso cercare di accontentarti, se vuoi.” sembrava in difficoltà.
“Davvero?” chiese lei beffardamente. “Lo faresti sul serio?”
“No... però... forse...”
“È inutile, Jonathan. Io non sarò vostra Alleata. Non ho nessun obbligo verso di voi.”
“Se non vuoi farlo per me almeno fallo per Sophia.”
“È solo una ragazzina. E a proteggerla basti tu. Il discorso è chiuso.”
“Ma tu hai degli alleati.”
“Sì.” dove voleva arrivare?
“E allora perché non me e Sophia? Perché loro e non noi? Cos'hanno di meglio?” Ah, ecco il punto.
“Sono manovrabili.” Dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere. Non era mai stata in grado di mentire, ma era necessario. Proprio come era necessario combattere contro il desiderio di abbracciarlo con tutte le forze aveva in corpo.
Il ragazzo rimase ammutolito a fissarla.
“Dov'è finita la mia Leena? Che fine ha fatto? Quella che ho davanti è identica a Snow.”
Non se lo aspettava, non da lui, anche se era comprensibile.
Lo capiva, ma quella frase era troppo per non reagire.
Lo schiaffo lo colpì ad uno dei grossi lividi che imporporavano la guancia e lo fece grugnire di dolore.
“Non ti azzardare a dirlo un'altra volta. Non ne hai il diritto.”
Le sue mani forti le bloccarono i polsi e la spinsero contro il muro.
“Non mi toccare, stronza.”
Leena non rispose, rimase a guardarlo, impassibile.
“Devo forse dedurre che ogni cosa che ci fosse fra noi, amicizia, affetto... è svanita?” chiese il ragazzo. La sua voce risuonò come un vaso vuoto. Senza sostanza.
“Hai ottime capacità deduttive, a quanto pare.” la sua, di voce, voleva essere decisa, ma lo sforzo usato per pronunciare una bugia così grossa le tolse le forze per controllarla e così le uscì debole, incerta. Ma a Jonathan bastò.
“Come desideri. Vorrà dire che nell'Arena per me sarai un Tributo come tanti altri. Se dovrò farlo ti ucciderò. Senza pensarci due volte.”
Il ragazzo la lasciò, come se non riuscisse a toccarla, come se lei lo disgustasse. Leena non si sarebbe sorpresa se fosse stato veramente così.
Dovette dar fondo a tutte le sue energie per non crollare in ginocchio davanti a lui.
Una coltellata. Ecco com'era stata quella frase, per lei. Una secca pugnalata, dritta in mezzo alle costole.
“Speriamo che le nostre strade non si incrocino mai, allora, Jonathan. Perché io non esiterò.”
La quota massima di menzogne era esaurita, quel giorno, e quando la porta si chiuse alle spalle del ragazzo, lasciandola sola, Leena cominciò a piangere silenziosamente.
Il suo Jonathan.
Il suo migliore amico.
Non era mai stato così lontano da lei.

 

“A volte proprio non la capisco.”
Katniss si distese sul letto, sospirando esasperata.
“A me invece sembra così trasparente.”
Peeta le sorrise, uscendo dal bagno e distendendosi accanto a lei.
Fu naturale per Katniss appoggiare la testa sulla sua spalla, lasciandosi accarezzare i capelli.
Solitamente la regolarità di quel gesto le conciliava il sonno, trasportandola in quel vortice di incubi da cui riusciva a sottrarla solo colui che ce l'aveva gettata. Ma quella sera aveva troppi pensieri per la testa per lasciarsi rilassare così facilmente.
“Come fai a dire che è trasparente?”
“Beh, si capisce subito quello che pensa.”
“Lo so, e a volte mi convinco di averla capita. Solo che poi fa qualcosa che fa crollare tutti i castelli che avevo costruito su di lei. Come oggi. Il modo in cui ha parlato a Nita. Il modo in cui l'ha attaccata. Non riesco a capire se stia solo fingendo o se faccia sul serio.”
Peeta scrollò le spalle, facendo sobbalzare la testa di Katniss.
“Io credo che tu ti stia arrovellando troppo. Leena si è arrabbiata con lei, e dopotutto chi non lo avrebbe fatto? Nita ha... beh, mi fa impressione solo a pensarlo.” disse rabbrividendo.
Katniss lo seguì a ruota.
“Già. Chi mai farebbe una cosa del genere? Senza esserci costretto?”
“A quanto pare qualcuno c'è.” la ragazza ridacchiò, anche se non c'era assolutamente nulla da ridere.
“Dici che mi dovrei fidare di lei?”
“Dico semplicemente che dovresti smetterla di accanirti cercando per forza bugie dove non ce ne sono. Non necessariamente. Non ti chiedo di fidarti. Per la fiducia ci vuole tempo. Leena la mia ce l'ha già. La tua se la conquisterà col tempo. Ma tu non opporre resistenza.”
“La fai facile.”
“Lo è. Sei tu che complichi tutto.” Peeta le sorrise, baciandola.
“Davvero ti fidi di lei?” insisté la ragazza staccandosi.
“Sì.” rispose lui sorridendo esasperato.
“Beh... tu sei irrimediabilmente ingenuo.”
Il ragazzo rise e fu il turno di Katniss
per baciarlo.
“Smettila di pensarci e dormiamo. Bastano già gli incubi a tenerci svegli la notte.” concluse Peeta con tranquillità.
“Hai ragione.”
“Ti amo.”
“Lo so.”
Il ragazzo scoppiò a ridere, spegnendo la luce e infilandosi sotto le coperte, per poi sentire Katniss che si accoccolava sul suo petto.
Fu solo al buio, che la ragazza riuscì a parlare, quasi la luce le rendesse impossibile pronunciare quelle quattro parole che tanto premevano sulle sue labbra.
“Ti amo anche io.”
Peeta le baciò con dolcezza i capelli.
“Lo so.”

 

* Allora... tutto il dialogo/litigio fra Jonathan e Kaleb è stato spudoratamente adattato da una canzone... Chi indovina quale è? Se non indovina nessuno vi do la soluzione nel prossimo capitolo ^-^ se qualcuno indovina... io lo adoro!

Commenti pazzi di una pazza:
Allora... piccolo (mica tanto... otto pagine di word ._.) capitolo, in cui non succede niente di eclatante se esludiamo un paio di liti fra i personaggi. Un capitolo fatto un po' così... in circa un'ora.
Quindi... chi odia Nita alzi la mano. *Clara alza tutto quanto* Cioè... che mucca! Sia il papà che il nonnino. Bleah!
Per i fan della coppia Leena/Jonathan mi dispiace tanto. Cosa volete che ci faccia? La storia si scrive da sola.
Per le fan della coppia Leena/??... c'è davvero un fan di una coppia che non sia Leena/Jonathan? Se c'è me lo faccia sapere ù-ù sono curiosa
Grazie per chiunque chiuderà un occhio davanti ai mille errori che sicuramente invadono il capitolo, ma non ho avuto il tempo di ricontrollarlo e per la prossima settimana non avrò neanche tempo per prendere in mano il pc, figuriamoci per scrivere. Quindi... il prossimo capitolo si farà desiderare.
Perdonatemi di tutto e grazie a tutti.
Clara

  
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