Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: roxy92    14/07/2012    3 recensioni
Chi ha sbirciato la fic che ho cancellato prima avrà una vaga idea di come scrivo. Mi piacciono le cose che non piacciono alla massa, trattate in modo non ordinario. Io lo so che me le cerco, ma ognuno, quando libera la fantasia, produce i risultati più disparati. Il mio è questo.
Dal prologo:
"Quando non ricordi il tuo passato, è come se un macigno fosse sempre in procinto di caderti addosso. Ce l’hai sospeso sopra alla testa, trattenuto da un filo sottile. Il terrore che il presente sfumi come il tempo trascorso è una morsa che attanaglia lo stomaco e a tratti non fa respirare.
Se sei abbastanza forte, ore, giorni, minuti e secondi, ti scivolano addosso come se il tempo non esistesse. Le tue mani sembrano vuote ai sentimenti e ti ritrovi sempre a stringere il niente. Non hai nulla per cui vivere e nulla per cui morire."
Io mi metto alla prova nel disperato tentativo di creare qualcosa che superi almeno le più basse aspettative... Qualcuno di voi mi da una mano e mi dice che ne pensa? Anche sapere se è meglio lasciar stare... Se ne avete il coraggio, buona lettura. :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non aveva tempo per pensare. Doveva tramortirla nel più breve tempo possibile, o almeno renderla inoffensiva quel tanto che bastava per realizzare il suo proposito.

Mentre si puliva la guancia col dorso della mano, non potè che compiacersi sempre più dei progressi della ragazza. Era da tantissimo tempo che qualcuno non riusciva a ferirlo.

"Sei migliorata molto."

Ammise suo malgrado, una nota di tristezza nella voce.

"...ma non abbastanza."

Si avventò su di lei e mentre la giovane si metteva in posizione d'attacco. Già concentrato, si disperse nel vento. La sua supplica di perdono arrivò come un sospiro. La sua stretta sul collo come una stilettata.

Era ricomparso all'improvviso ed era riuscito subito ad afferrarla. L'effetto sorpresa, a volte, è la miglior strategia. Aveva iniziato a sollevarla da terra, affranto.

"Sta calma. Durerà un attimo."

Tremò appena mentre Galen gli rivolgeva uno sguardo di puro odio. Non era quello il sentimento che avrebbe voluto da parte della sua allieva.

Posò la mano aperta sulla fronte madida della vittima, che iniziava a chiudere gli occhi per la mancanza di ossigeno. Aveva già iniziato a recitare la formula quando quel raggio di luce lo prese alla spalla. Era troppo preso per rendersi conto che quel muso verde fosse già arrivato.

Haldir allentò la presa sul collo della giovane e accompagnò con un braccio la sua caduta verso terra, in modo da poggiarla senza farle provare altro dolore. La osservò dormire placidamente.

"Che le hai fatto, bastardo?"

Gli insulti di Piccolo non lo raggiungevano affatto. Il namecciano si sentì trafitto dall'espressione dell'avversario. Riconobbe subito quella freddezza: la prima volta, Galen lo aveva trattato allo stesso modo.

Deglutì mentre lo straniero estraeva le spade e le faceva volteggiare con quella leggerezza che possiede solo il vento. Era del tutto diverso dai mocciosi che avevano attaccato l'amica giorni prima ed erano stati battuti con facilità impressionante. Quelli erano polvere a confronto.

La stessa maestria di Galen, la stessa tecnica. Il namecciano, istintivamente, indietreggiò di un passo.

"Stavolta la farò finita con voi namecciani."

A mostrare quanto Haldir fosse fuorioso, solo il tremore delle sue dita sull'elsa.

"La farò finita con voi una volta per tutte. Non la travierete un'altra volta."

Piccolo riuscì ad evitare il fendente all'ultimo. Aver visto all'opera Galen si era rivelata la sua salvezza. Imprecò mentalmente. Doveva inventare qualcosa alla svelta.

Nella mente di Haldir, al viso giovane di Piccolo, si sostituiva quello più vecchio di un altro namecciano. Le sembianze di uno solo di quel popolo, si moltiplicavano fino a raffigurare i volti di tutti gli abitanti di quel villaggio.

Quando Galen, infatti, era meno alta di lui e non gli arrivava neppure alla spalla, quando si ritrovarono sperduti su quel pianeta, lei aveva rinnegato il suo ordine di non aver rapporti con quella gente. All'inizio, sciocco, non aveva detto nulla.

Aveva creduto che si trattasse di un caso fortuito: lei era entrata in quel dannato villaggio solo per riaccompagnare un bambino che s'era perso.

L'allieva aveva lasciato quel posto in fretta e, in un primo momento, aveva creduto che non ci avesse più rimesso piede.

Parte dell'addestramento della loro razza di nomadi, era la mera sopravvivenza.Le aveva lasciato libertà. Col senno di poi, troppa.

Galen eseguiva le sue tecniche ma, piano piano, si allontanava sempre più da lui, molto più di quanto lo fosse sempre stata. Solo per colpa loro, di quei maledetti namecciani.

Per quando se ne rese conto, il capovillaggio, per la ragazza, era diventato un punto di riferimento troppo importante. Haldir ricordava benissimo quelle parole. Aveva ancora la cicatrice nell'anima.

"Il mio maestro è fortissimo, ma non ha sempre chiaro il concetto di bene e male."

Così aveva confidato Galen al saggio, credendo di essere sola con lui. La ragazza ignorava di essere spiata.

Non era la prima volta che insultavano Haldir, ma, allora, il fendente era della sua ultima allieva, dell'ultima erede che egli lasciava dietro di sè.

"E' vero che ci hanno distrutto, ma non condivido la sua idea di vendetta."

Galen fissava un punto dell'erba azzurra ai suoi piedi e si coprì gli occhi con le mani.

"Vuole fare ai nostri nemici ciò che loro fecero a noi."

La sua voce, quando era col suo maestro, non era mai alterata dal pianto. Haldir si chiese se fosse perchè non lo ritenesse degno di essere messo a parte di quella debolezza o perchè lei lo credesse incapace di comprenderla. Entrambe le ipotesi lo ferirono ancora.

"Crede che la vendetta cambi qualcosa. L'unica cosa che cambierà sarà che saremo noi a causare tutto quel dolore."

La giovane aveva stretto convulsamente la casacca all'altezza del cuore, come se la ferita aperta la notte che avevano massacrato i suoi compagni sanguinasse ancora.

"Con che diritto farò ad altri quello che hanno fatto a me? Io non lo voglio quel sangue sulle mani."

A quell'estraneo Galen non aveva timore di mostrare le guance rigate dalle lacrime.

"Non è che ho paura: io non temo ne dolore ne morte. "

Di quello fu orgoglioso il guerriero, li come maestro non aveva fallito.

"Ma non accetto di essere parte di quel male."

Vide il dorso di quelle dita esili tergersi le palpebre in fretta, lo sguardo fiero tornare quello di sempre. Il vecchio namecciano, fino ad allora in silenzio, aveva aperto le labbra rugose.

"Prova semplicemente a parlare al tuo maestro. Sono sicuro che capirà ciò che senti."

Galen aveva spalancato le palpebre. Quelle erano le parole più sagge e inutili che potevano essere applicate ad un caso come il loro. Anche Haldir era sbigottito: che razza di consigli dava quello?

Quel vecchio trombone non aveva capito che nella loro razza non c'era posto per certe sciocchezze? Galen, invece, si, aveva capito. In lei si era accesa una fiamma di lucidità folle.

"Hai ragione: hai ragione gli parlerò."

Sfiorò l'elsa delle spade che aveva al fianco.

"Gli farò capire nell'unico modo possibile."

Aveva chinato il capo Haldir: l'unico modo possibile era il duello all'ultimo sangue.

Mentre osservava Piccolo fremeva. Da troppo tempo tratteneva la sua potenza. Sarebbe stato quel gigante verde il primo a perire a causa della sua furia.

Il namecciano, in posizione di difesa, serrò i pugni, pronto a parare i suoi colpi. Non si stupì troppo quando l'avversario sparì dalla sua vista. L'istinto gli suggerì di alzarsi in fretta in volo.

Aveva ragione: l'aria sotto di lui diventò fredda, tanto da ghiacciare il terreno ed impedirgli la visuale per effetto di una nebbia spessa.

All'improvviso, fu come se mille aghi gli penetrassero nella carne e uscendo ne staccassero via la pelle. Il namecciano gemette. Quando riusì ad aprire gli occhi si rese conto che migliaia di cristalli di ghiaccio, che splendevano taglienti, vorticavano sospinti da quel vento, che altro non era la furia di un'aura.

In quell'aria, concentrandosi, poteva scorgere il profilo sfumato dell'avversario che brandiva le spade. Ogni cristallo era la scia di un suo fendente.

Piccolo imprecò: come poteva aver ragione di n avversario privo di forma? Gettò lo sguardo verso la ragazza riversa a terra, il cui viso era in parte coperto da diverse ciocche dorate. La sua consolazione era che lei non si trovava in pericolo.

Assunse la posizione meditativa. Anche se era in mezzo a quel turbine di lame dove concentrarsi e riflettere. Non sapeva dire perchè. Non gli importava se ci avesse lasciato la pelle.

Voleva solo combattere con onore. Per se stesso e forse, soprattutto per lei. Calò le palpebre sulle sue iridi più nere del carbone e dell'ebano, teso a richiamare tutta la sua forza interiore.

Il suo spirito combattivo aveva iniziato a crescere in fretta, la luce della sua aura a risplendere come sole attorno alla sua figura. Non se ne sarebbe andato senza tentare il tutto per tutto, anche se quel tutto sarebbe stato ingigantire la sua forza e lasciarla esplodere come quella di una supernova. Era un tentativo estremo e fors'anche inutile.

Chissà in quale momento quella pazza dai capelli biondi gli era penetrata così tanto nell'anima da rendere così pazzo pure lui. Non gli importava. Si sarebbe lasciato esplodere per portarsi all'inferno quel demonio che l'aveva colpita. Galen non ci sarebbe mai riuscita da sola e voleva essere libera.

Lo capì in quel momento che per donarle ciò che più desiderava le avrebbe dato anche la propria vita. Ne era consapevole. Era la seconda volta che si sacrificava per qualcuno che contava. Solo, mentre se ne andava, avrebbe desiderato sapere cosa avrebbe provato se gli fosse dato di vederla sorridere nel modo gioiso in cui rideva Gohan, con la certezza di essere lui la causa di quel sorriso.

Si vergognò di se stesso per quella debolezza mentre i cristalli di ghiaccio iniziavano a martoriare più in profondità il coprispalle, tanto che ne sentiva il metallo scricchiolare. Ormai, il suo corpo non doveva essere poi troppo diverso da quelli che ricordava nei disegni di Galen. Se non era stato fatto a pezzi, era perchè quel bastardo si voleva divertire.

Non gli avrebbe dato soddisfazione di vittoria. Serrò le labbra, pronto ad esplodere col suo ultimo grido di guerra, al ritmo del proprio cuore che pompava impazzito nel petto. Era pronto a scatenare la vendetta che la stessa Galen bramava. Del suo avversario non sarebbe rimasto nulla.

Fu in quell'attimo sospeso prima della fine, quando aveva già iniziato a scatenare la propria forza, che senti il calore di un abbraccio fragile sulle spalle, una voce nota che non avrebbe mai immsginato così dolce.

"Cosa stai facendo?"

Interdetto, non seppe cosa rispondere.

"Cosa stai facendo? Tutto questo non è necessario."

Si sentì mancare Piccolo. Non gli importava capire perchè lei fosse arrivata li. Ciò ce gli fece male fu accorgersi delle sue lacrime sulle spalle.

"Voglio che torni all'obelisco per farti curare."

Provò a controbattere e si rese conto di non essere padrone dei suoi movimenti, stretto in quella morsa da cui non avrebbe mai voluto liberarsi. Vedeva l'erba, le rocce e gli animali sopra di sè: il cielo azzurro e le nubi bianche sopra la testa. Le proprie mani e le proprie gambe, però, non riusciva a scorgerle.

Era talmente leggero, come se il suo corpo non esistesse. Provò a girarsi verso Galen e il suo cuore si fermò: anche se piangeva, non erano lacrime amare.

"E' merito tuo, vero?"

Mentre lei le annuiva, si rese conto di essere nello stesso identico stato di Galen e del suo maestro. La ragazza promise che l'avrebbe fatto tornare normale, non appena l'attacco del suo maestro sarebbe cessato.

"Ma tu ora devi andare. Qui me la cavo benissimo da sola."

Provò ad opporsi ma costretto ad osservare attorno a se, notò che quegli stessi cristalli che lo avevano ridotto allo stremo, in quel momento non potevano nulla contro di lui.

"Ora riesco a ricordare ogni cosa. Io sono la sua ultima allieva. Conosco tutti i suoi segreti e ho l'esperienza per padroneggiarli."

Anche se non poteva vederla a pieno, percepì il tocco delle sue labbra sulla guancia e le lacrime quasi asciutte sul viso.

"Farò in modo di trasportarti sull'obelisco."

Deciso ad opporsi in tutti i modi, il namecciano non potè però nulla contro il torpore inesorabile che calò sui suoi sensi. Si addormentò sulla pietra dura dell'obelisco, come drogato.

Il peso del suo corpo l'aveva colpito come un macigno.

Imprecò contro se stesso per averla lasciata sola, consapevole che, in quella battaglia tra allieva e maestro, non c'era posto per lui e i suoi sentimenti.


  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: roxy92