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Autore: alwaysabelieber    14/07/2012    0 recensioni
Grazie ad un'iniziativa scolastica, una tredicenne Italiana avrà la possibilità di ospitare, in casa sua, un coetaneo Americano. Un miscuglio di nazioni, cultura, e modi di fare. Il racconto di una grande amicizia destinata a diventare storia di un grande amore. Tutto deve, però, svolgersi in un solo mese. Quanti sogni possono realizzarsi in 31 giorni? E soprattutto, ne saranno davvero 31, o i due otterranno altre possibilità?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fui lieta di constatare che non fu esattamente come avevo previsto, che sia stata la voglia di salire su un aereo e giocare a rincorrermi con un sogno o l'eccitazione di un viaggio non previsto non seppi dirlo, ma non solo in mezz'ora avevo preparato per bene tutte le mie cose, avevo trovato anche il tempo per andare a salutare i miei due migliori amici. 

Casa Montuori fu la prima tappa, non per scelta, semplicemente perché precedeva quella di Valentina e benché fosse notte fonda, trovai Francesco e Ryan ancora svegli a giocare, e allora fui certa che il cielo avesse decisamente sbagliato la tonalità del suo colore e che la luna avesse fatto la prepotente non volendo lasciare spazio al sole, ma mi convinsi che non era così quando, una volta varcata la soglia della porta, mi chiesero all'unisono cosa ci facessi esattamente in giro in un'ora così tarda. 

Ero rimasta con loro per un po', rimurginando sul possibile posto di Londra in cui saremmo andati per lasciare l'indirizzo a Ryan semmai sarebbe voluto venire a stare con noi, ma non conoscendo la benché minima cosa sul mio destino, gli promisi soltanto di farglielo sapere.

Quando mi accorsi che se non fossi andata via non avrei fatto in tempo ad andare dalla Vale, girai i tacchi e tornai sui miei passi, le mani nelle tasche dell'enorme felpa di Justin, i denti che facevano a cazzotti tra di loro e la pelle d'oca, l'aria era gelida.

Aspettai al numero 5 per almeno un'abbondante ventina di minuti prima di arrendermi e andarmene, lasciai un messaggio a Valentina e tornai verso casa.

Camminavo a testa basta come se potessi evitare che il gelo penetrasse in ogni parte di me, quindi mi accorsi che un Justin ansante correva verso di me soltanto quando mi atterrò davanti ai piedi. 

- Giri notturni? - esordì, un sorriso incerto stampato in volto.

- Nessun giro, sono andata a salutare. Magari sarebbe carino se lo facessi anche tu. - dissi, piatta.

- Magari sarebbe stato carino se mi avessi avvertito. - rispose di rimando, le sopracciglia aggrottate.

- Levati. - dissi soltanto, spingendolo di lato in modo da avere la strada libera.

Mi si piantò di nuovo avanti e prese a fissarmi, era impossibile reggere il suo sguardo, così fissai nel vuoto, il capo chino.

- Cos'hai? Non devi seguirmi per forza, se non vuoi. - proferì, cercando il mio sguardo, forse provocandomi.

- Se non voglio, dici? Se non avessi voluto non avrei messo su tutto questo casino, Io ho sol.. - articolai il mio discorso tutto d'un fiato, ma la sua interruzione arrivò puntuale.

- Non dirlo, non lo fare. - ammiccò.

- Devi saperlo, io ho paura, paura di perderti, paura di essere dimenticata. Mi sto fidando di te. - dissi, vociando confusamente, certa che non avesse capito.

Lo interruppi prima che potesse parlare di nuovo.

- E poi voglio Ryan, voglio che lui faccia la sua parte in quest'avventura, voglio averlo accanto, portamelo. - sbottai, incrociando finalmente il suo sguardo.

Lui non rispose, e allora pensai che forse stavo chiedendo troppo, o anche se era poco lui era convinto di non significare abbastanza per poter realizzare la mia richiesta, così delusa lo spinsi nuovamente al lato.

Sentì la sua mano calda afferrarmi il polso e fermarmi non appena avevo ripreso a camminare, e un incredibile tepore mi invase, sentivo il volto riscaldarsi, ma ero convinta che non c'entrasse niente con il tocco della sua pelle sulla mia, era qualcosa di più, mi sentivo debole ed incredibilmente vulnerabile, e non era una bella sensazione, dopo tutto.

Lo vidi aprire la bocca, ma non emise alcun suono. 

Si schiarì la voce con un colpo di tosse e afferrò anche l'altra mano.

- Andiamo a prenderlo. - biascicò nel mio orecchio, come se avesse il timore di parlare ad alta voce per paura che potessi captare il suo stato d'animo, ero brava in questo tipo di cose.

Lo abbracciai così forte che fui convinta di avergli tolto per un attimo il respiro. Ma ero felice adesso. E anche lui lo era, io lo sapevo quand'è che era felice e quando no, lo sapevo meglio di tutti. Però aveva anche paura, ma quella l'avevo anche io. 

- Speravo proprio mi dicessi una cosa del genere. - dissi, manifestando la mia felicità.

Ryan non fu felice quanto noi quando bussammo ininterrottamente alla sua porta decisi a farlo svegliare, ospitarci in casa al caldo, fargli preparare le sue cose in un nano secondo e caricarlo su un aereo, tuttavia lo fece e superato il grande passo sembrava felice anche lui, almeno quanto noi. 

Lasciò un biglietto scritto a Francesco, che adesso dormiva russando schifosamente, lo ignorai e tutti e tre ci avviammo carponi ma svelti verso l'uscita.

Decisamente non mi andava di percorrere tutta la strada fino a casa per l'ennesima volta, ma camminando al centro tra Ryan e Justin giurai che fu più piacevole di quanto mi aspettassi. Il rientro a casa non fu altrettanto piacevole, e scommetto che per i miei genitori non lo era stato neanche vederci sparire all'improvviso. Già, doveva essere stato terribile, non avere più notizie.

- Non vi meritereste di partire più, nessuno di tutti e due, due… tre… cosa succede? - sbraitò puntuale mia madre, prima urlando e poi abbassando pericolosamente il tono di voce.

- Scusaci mamma, davvero. Lui è Ryan, parte con noi. - spiegai, come se tutto già fosse deciso.

- Si, perché è così facile, non è vero? - sbottò, avvicinandosi di un passo ad ogni parola.

- Calmati, mamma. Lui è il nostro migliore amico, verrà, è così che deve andare. - inveì, con un tono che quasi non ammetteva repliche, beh, non per mia mamma. 

- E' così che dovrebbe andare se avessimo un altro biglietto a disposizione. - si giustificò lei.

- Troveremo un modo, Lily. - irruppe mio padre, stranamente calmo, ma euforico allo stesso tempo.

Era la cosa giusta? partire intendo, lo era? E se poi Justin diventasse davvero famoso, così famoso da dimenticarsi di me? No, non potrebbe. E invece lo farà, alla fine, cosa sono io per lui, per Justin, cosa sono? un'avventura scolastica, tutto qui. E' questo che significo per lui, lui per me no naturalmente, ma come glielo spiego? 

Perché lui è sempre pronto a dirmi quelle quattro paroline dolci, ma fin quando crede che mi basteranno? Io mi stancherò, un giorno. 

E se lui me le dicesse solo per arrivare al suo scopo? Potrebbe essere, ma non lo so e forse c'è una parte di me che neanche vuole saperlo, eppure non posso fare a meno di pensarci.

Porto improvvisamente le mani al volto e scappo in camera, mi faccio una tana con le coperte e rimango ad indugiare. Su tutto, ogni singola cosa. 

Ma era evidente che il tempo stringeva, non potevo permettermi il lusso di pensare troppo a lungo. Quindi non giunsi ad una vera e propria conclusione, e quando ero quasi sul punto di farlo mio padre aveva bussato agitato alla porta vociando confusamente, e allora mi resi conto che non c'era. Una conclusione. 

Ma dopo tutto, chi se ne frega? Avrei rischiato, è così che si fa nella vita.

- Arrivo, arrivo. - mi limitai a dire, e sentì mio padre allontanarsi a grandi passi, lo sentì scendere le scale e quando mi fui sistemata per bene mi decisi ad andare.

Era tutto pronto, ed era assurdo. Lo era davvero, ma alla fine mi andava bene.

Così passarono le ore successive senza che io rivolgessi la parola a nessuno, se non mi avevano concesso di riflettere quando ero al caldo sotto le coperte, dovevano darmi almeno un po' di tempo per farlo adesso, e benché inizialmente insistevano tutti e quattro con le domande, adesso si erano finalmente arresi.

Solo dopo aver stabilito che alla fine se proprio doveva andare tutto male, comunque avrei fatto un'esperienza ed avrei visto Londra, - la città dei miei sogni, dopo New York - decisi di sorridere e parlare amorevolmente con tutti, in aereo, al decollo e anche all'atterraggio. L'atterraggio, eravamo atterrati ed era stato più difficile dirlo che farlo, alla fine.

L'aria era così… così diversa rispetto alla nostra. In realtà tutto era diverso, perché era Londra, semplice. La era tutto bello, c'erano i prati, i bus a due piani, lo Starbucks, China Town, il fatto è che la mentalità è diversa, diversa positivamente. E poi c'erano i ragazzi, quelli belli, quelli che ti tolgono il fiato e devo ammettere che questo era stato uno dei pensieri che mi aveva spinto ad essere così allegra nelle ore precedenti. Non che io abbia bisogno di uno che non sia Justin, certo che no, ma insomma, a quale ragazza sana di mente dispiacerebbe? 

- Forse è da questa direzione che dobbiamo andare - esordì mio padre facendo un cenno con la testa, una mappa alla mano e il trolley nell'altra. Era stato il primo a parlare da quando eravamo arrivati, tutti eravamo stati troppo impegnati ad analizzare ogni singolo particolare di quella, per tutti, nuova città. Era mozzafiato.

Ci ritrovammo davanti ad un tipico appartamento inglese, un Loft, era così che lo chiamavano da queste parti. Da qualche parte avevo sentito che non era solo il nome di un'abitazione, ma che era diventato un vero e proprio stile di vita. 

Quando entrammo non potetti fare a meno di cacciare un grido strozzato, soffocato da me stessa, ne seguirono altri quattro e mi resi conto che quella meraviglia che avevamo avanti non aveva fatto quell'effetto soltanto a me. 

Era un ambiente unico, completamente ricoperto di un bianco ancora più bianco del bianco stesso, non c'erano porte, soltanto archi che dividevano i vani, e a volte non c'erano proprio, era enorme con una TV altrettanto grande, due divani ed una poltrona incorniciavano un salotto perfetto, che mi fece rilassare soltanto a vederlo. 

Mi chiesi come avesse fatto mio padre a sopportare una spesa del genere, non che i soldi ci mancassero, ma quello era troppo anche per noi. 

Lasciai che i bagagli cadessero con un tonfo per terra, e poi corsi ad esplorare ogni angolo dell'appartamento e scelsi io la prima camera, destinata a diventare la mia, prima che gli altri avessero il tempo di reagire alla mia impulsività.

- E' pazza. - sentì la voce di Ryan. 

- Lo è, davvero. - acconsentirono gli altri. 

Forse lo ero, ma avevo analizzato tutte le camere e quella che avevo scelto era di gran lunga la più bella, andai a riprendere la valigia e la depositai a terra ai piedi del letto, la aprì e afferrai un leggero completo intimo, lo infilai e mi concessi di sistemare il bagaglio il mattino seguente, mi infilai sotto il copertone e aspettai finché le mie palpebre non si fecero pesanti. 

Era stato un grande giorno, e domani ne iniziava un altro altrettanto grande ed allettante. 

  
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