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Autore: Hika86    15/07/2012    1 recensioni
[50/50 capitoli COMPLETA][0/5 capitoli extra IN CORSO] Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si guardò allo specchio piegandosi in avanti per osservare meglio il proprio viso e sistemarsi il trucco. Ultimamente aveva una cera orribile. Lei, che amava una vita calma, ripetitiva e semplice, da troppi mesi ormai si ritrovava preda di emozioni forti e cambiamenti improvvisi. Sentiva di essere quasi al limite della propria sopportazione. Non c'era modo di mandare avanti il negozio da sola: era brava sì, ma non una veterana, non riusciva a cucinare, curarsi dei clienti, tenere l'inventario degli ingredienti in magazzino, fare gli ordini, pulire il negozio, allestire la vetrina, controllare il materiale per i pacchetti e, magari, trovare anche il tempo per respirare. E i soldi non bastavano a niente, perchè per fare tutto quello di cui doveva occuparsi poteva tenere aperto il negozio meno tempo di prima! Però non voleva rinunciare. Non poteva permettere che il negozio della maestra chiudesse per colpa della sua inadeguatezza. Non trovava una soluzione e si angosciava abbastanza da non riuscire a dormire bene, ed era sola. Dopo l'ultima litigata con Aiba non si erano più sentiti e si sentiva sola come non le era mai capitato. Era rimasta single anche per lunghi periodi, ma non si era mai sentita così. Le mancava ascoltare la risata di Masaki, ascoltare i suoi racconti di lavori incredibili e averlo al proprio fianco, silenzioso, mentre gli raccontava della Maestra, delle piccole difficoltà di ogni giorno o dei grossi problemi di quel periodo. "E' possibile che il fidanzato più impegnato che io abbia mai avuto sia finito con l'essere quello con cui ho condiviso più cose?" si domandò mentre si lavava le mani per togliersi i residui di trucco azzurro dalle dita "Non c'è nessuno come lui adesso. Ognuna delle mie amiche ha i sui problemi e più che "fatti forza, troverai una soluzione" non sanno dirmi. Lui forse direbbe la stessa cosa... ma con un sorriso" annuì tra sè, sorridendo leggermente nel ricordare il viso raggiante di Aiba "No, non c'è nessuno come lui. Non posso raccontare alle altre tutti i miei problemi, perchè Aiba deve rimanere un segreto e nascondendo la sua identità non è possibile sfogarsi completamente. Erina è l'unica, ma non se la passa bene nemmeno lei... ChibiMasa non può essere un problema. Non può esserlo tanto da costringermi a parlare con altri. Devo imparare a gestire con lui le cose che lo riguardano". Sistemò la scollatura del vestito e strinse la cintura prima di richiudere i trucchi nella borsa e tornare in sala "Ma come pretendo di gestire un rapporto umano se non riesco nemmeno a far funzionare un negozio?" si chiese sconsolata.
Per distrarsi almeno un giorno era andata all'aperitivo degli ex alunni della scuola di cucina che aveva frequentato a Yokohama. Aveva preso il treno la sera prima e aveva passato la notte a casa della sua famiglia. Ora era lì, circondata soprattutto da sconosciuti di altri anni, e non aveva ancora trovato nessuno dei vecchi compagni. E Kokoro non era abile a farsi nuove amicizie. Stava sorseggiando un analcolico leggermente amaro e dopo aver passato una prima mezz'ora in piedi vicino al tavolo delle tartine aveva deciso di andare a curiosare verso quello dei dolci. «Li hanno preparati gli attuali alunni della scuola» spiegò un uomo che si era fermato al suo fianco mentre lei osservava l'accurata estetica del cibo messo a disposizione degli invitati
«Sono belli» si limitò a commentare
«Il fatto che lo siano significa necessariamente che siano anche buoni?» domandò questi
«No, ma è inevitabile, per chi deve mangiare, giudicare un cibo anche visivamente»
«Hai imparato Hanayaka san» concluse questi, mettendosi a ridere. Kokoro alzò lo sguardo dal tavolo all'uomo a cui aveva risposto senza farci caso. «Shimizu sensei» pronunciò sorpresa prima di inchinarsi «Quanto tempo...»
«Moltissimo in effetti» annuì questi, piegandosi in avanti a sua volta «Temevo mi avessi dimenticato»
«Non potrei» scosse il capo e accennando un sorriso «Ho imparato molto da lei, le sono molto debitrice»
«Eri già brava» la corresse lui «Mi hai messo in seria difficoltà, dico davvero. Sei stata una delle migliori alunne che io abbia mai avuto, ma anche la più difficile con cui trattare»
«Mi dispiace molto di averle creato fastidio» si affrettò a dire Kokoro, tenendo il capo chino
«Hanayaka san, il punto è che non l'hai creato affatto» rise quello divertito «Facevi bene ogni cosa e facevi subito tutto esattamente come lo dicevo, senza battere ciglio. Ci ho messo tre anni per tirarti fuori dalla tua impeccabile diligenza per farti capire che non dovevi sempre ascoltare me»
«Che la cucina è un arte con la quale devo saper giocare e usare la fantasia, staccandomi da quello che dicono i libri, le ricette o l'isegnante» ripeté quasi meccanicamente «Me lo ricordo... non so più quante volte me l'ha ripetuto in quel periodo» annuì
«Andrei a prendere una boccata d'aria, vieni con me?» propose l'uomo e lei lo accompagnò volentieri. Shimizu Rui era stato il suo insegnante di pasticceria per i tre anni di scuola di specializzazione. Dato che quello era il campo che preferiva, la sua materia era quella in cui Kokoro si era sempre applicata con più dedizione. All'epoca era una ragazza molto più silenziosa e chiusa, tanto eccitata dal poter ferquentare finalmente la scuola che l'avrebbe indirizzata verso il proprio futuro da seguire come un automa tutto ciò che le veniva detto, non capendo quanto i suoi insegnanti preferissero i trasgressori e i creativi. Gli stessi maestri però non uscivano dal loro ruolo di insegnanti e continuavano a darle voti alti semplicemente per l'ottimo risultato, senza avere mai il fegato di dirle che non bastava un piatto perfettamente cucinato a renderlo eccezionale. Shimizu sensei era stato l'unico. Era poco più che trentenne all'epoca e sprizzava energia e voglia di trasmettere conoscenza, come solo gli insegnanti giovani fanno. Fin dal primo giorno le aveva dato dei buoni voti, ma mai il massimo. Lei si era impegnata ancora di più, per creare dolci ancora più perfetti, ma non aveva avuto il punteggio più alto. Frustrata era andata avanti così per circa un anno e mezzo, cercando di seguire le parole dell'insegnante alla lettera, allenandosi per ore a preparare quello che lui chiedeva, ostinandosi perchè quella era la materia che più le interessava ed era anche l'unica in cui non riusciva a dare il massimo. Era arrivata a pensare lui ce l'avesse con lei per qualche strano motivo. Infine, a metà del secondo anno, si era fatta avanti a fine lezione e gli aveva domandato con disperazione dove stesse sbagliando. Shimizu sensei mostrò tanta di quella gioia al vederla finalmente mettere in discussione se stessa e i suoi sforzi, che la lasciò totalmente spiazzata: i voti non eccellenti erano solo un modo che lui aveva pensato di adottare nella speranza che l'orgoglio e l'amore per quella materia la spingessero a porsi domande, a rivedere il suo modo di lavorare. Ci aveva messo un po' a dare i suoi risultati, ma quella tecnica aveva infine funzionato. Da allora era stato l'insegnante più speciale mai avuto e Kokoro la sua preferita: aveva addirittura discusso con lui l'idea di partire per Tokyo, ancor prima che con la famiglia. Ora Shimizu sensei aveva lo stesso aspetto di quando lo aveva conosciuto: alto, moro, dalle mani grandi e la risata facile; ma aveva una strana luce negli occhi, quella di un quarantenne disilluso.
«Non insegno più qui» disse quando ormai era già a metà sigaretta. Era un tipo più espansivo di Kokoro, pieno di un'energia scoppiettante, molto entusiasta, ma era uno che rifletteva molto prima di parlare se si trattava di cose serie. In Kokoro aveva trovato un alunna perfettamente quieta e paziente nell'attendere i suoi giudizi e consigli. «Oh, quindi ha trovato un altro lavoro?» domandò la ragazza sorpresa
«Macchè, mi hanno licenziato, nient'altro» rispose prima di un lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita
«Oh... credevo che i dolci in sala fossero prodotti della sua ultima classe di studenti»
«Mmmh» mugugnò scuotendo il capo «Sono diventati i ragazzi del nuovo insegnant: all'inizio dell'estate mi hanno comunicato che a Settembre non mi avrebbero più richiamato»
«Non ha trovato un altro lavoro?» chiese tristemente. Era stato il suo insegnante preferito, quello che aveva lasciato l'impronta più profonda nella sua formazione come professionista, ma anche come persona, pensare che l'avevano cacciato dalla scuola la faceva soffrire. «Non ce l'ho fatta» rispose girandosi verso di lei e facendole un debole sorriso «Mi piace insegnare, volevo rimanere in questo campo e ho sperato fino all'ultimo che ci ripensassero. A metà settembre mi sono dovuto rassegnare all'idea che i miei ragazzi sarebbero cresciuti sotto le direttive e i consigli di un'altra persona e a quel punto... beh, quale scuola cerca insegnanti nuovi a metà anno?» fece stringendosi nelle spalle
«Perchè è qui oggi allora?» domandò appoggiandosi ad una delle colonne che reggevano la grande tettoia al di sopra delle scale d'entrata della scuola
«Perchè questi sono i miei studenti» rispose subito «E perchè la nuova insegnante di pasticceria è un'incapace, la scuola aveva bisogno di qualcuno che sapesse allestire eventi come li vogliono loro ed io ne ho preparati tanti che non li conto più. Mi avrebbero pagato e quando me l'hanno detto ho dovuto mettere da parte l'orgoglio e accettare»
«Vuol dire che l'ha fatto per rivedere noi e... per soldi?» chiese incredula
«I momenti migliori per cercare lavoro sono in primavera o all'inizio dell'anno fiscale... e poi sono circa dieci anni che non cerco un posto di lavoro, non saprei da che parte girarmi, dove chiedere o cosa vorrei fare esattamente» espirò l'ultima boccata di fumo e spense la sigaretta grattandola su un gradino «Insomma non ho uno stipendio da fine luglio, quindi sono due mesi e mezzo che non ho entrate. Non dico di essere con l'acqua alla gola, perchè comunque ho lavorato tanto tempo e un po' di soldi da parte li ho, ma non sono a mio agio se a mantenermi è mia moglie. Inoltre Yumi chan l'anno prossimo comincerà a frequentare un juku* per prepararsi all'ammissione all'università»
«Come sta sua figlia?» chiese allora, cercando di cambiare discorso in maniera naturale. Le faceva pena vedere una persona che tanto ammirava, ridotta in quello stato senza meritarlo affatto. «Continua a saper cucinare solo uova strapazzate e quasi sempre dimentica il sale» rispose Shimizu, e risero entrambi «Ma è anche rimasta un genio della matematica e della scienza. Non ha proprio preso da suo padre. Credo voglia iscriversi ad un corso di laurea in chimica.. o era fisica? Sono tutte uguali per me quelle cose là»
«Credo che la chimica serva per creare il lievito e la fisica la applichiamo per staccare una torta bruciata dalla teglia» suggerì Kokoro e ripresero a ridere. «Tu piuttosto? Sei partita per Tokyo alla fine, vero? Hai fatto avanti e indietro per partecipare a questo aperitivo?» domandò accennando con il capo all'interno dell'edificio
«Sono arrivata ieri e ho dormito a casa della mia famiglia. Stasera torno però, sì» annuì
«E cosa combini laggiù?». "Mando in fallimento una pasticceria storica", così avrebbe voluto rispondere, invece rimane in silenzio a guardare a terra mentre cercava una risposta altrettanto sincera, ma meno drammatica. «Mi hanno assunto in una pasticceria tradizionale quando sono arrivata lì» spiegò tornando a guardare il suo insegnante
«Sei stata fortunata! Non era proprio quello che ti interessava fare?» fece il suo ex-insengnate, felice per lei «C'erano anche altri tuoi compagni molto bravi, molto portati per la materia e a volte migliori di te, ma come preparavi tu i dolci tradizionali... quello non sapeva farlo nessuno. Ricordi? Quelle poche volte in cui li facevamo erano le uniche occasioni in cui prendevi il massimo»
«Me lo ricordo» rispose Kokoro
«In quelli ci hai sempre messo passione. E come sono i colleghi?» chiese ancora. La ragazza si morse le labbra, non avrebbe voluto quella domanda, ma Shimizu sensei non poteva sapere. «Credo... credo le sarebbe piaciuta la proprietaria» farfugliò inizialmente «Come dice lei, quel tipo di dolci li facevamo raramente. Quello che ho imparato dopo, l'essermi potuta perfezionare lo devo a ciò che quella donna mi ha trasmesso. E' stata più fortunata di lei: ha trovato una Kokoro che aveva già imparato ad ascoltare con attenzione ed essere creativa allo stesso tempo» concluse tentando un sorriso. L'uomo la osservò con serietà «Quando è successo?»
«Da troppo poco tempo» rispose semplicemente
«Mi spiace per la perdita» fece lui con un lieve inchino «Adesso cosa fai?». "Mando in fallimento la sua pasticceria", avrebbe voluto rispondere di nuovo così e ancora una volta si trattenne. «Il negozio era storico nel quartiere, sto cercando di portarlo avanti. I familiari della Maestra mi hanno solo chiesto un affitto simbolico per il negozio»
«Capisco» annuì l'uomo «Insomma sei nei guai fino al collo: non ti ci vedo a trattare da sola con dei clienti Hanayaka san» fece scherzoso, con un lieve sorriso, cercando di tirarla su di morale. Lei rispose con un altrettanto debole sorriso. «Sei giovane sai? Vuol dire molto: troverai un modo per venirne fuori. Sei patologicamente timida e silenziosa, ma hai una pazienza stoica e una fermezza d'animo che credo nemmeno tu voglia notare in te stessa. Sono certo potresti stupirti da sola, vedrai che ce la farai» le disse per incoraggiarla, ma senza sorriso: molto seriamente. «Anche lei sensei» disse Kokoro raddrizzando la schiena «Anche lei ce la farà. Perchè le è sempre piaciuto creare dolci, perchè non è più lei se non ha una vita piena e perchè ama la sua famiglia»
«Ti ringrazio» ridacchiò allora «Adesso rientriamo, prima che pensino che faccia qualcosa di strano con la mia studentessa preferita. Hanayaka san, devi trovarti un bravo ragazzo e portarlo al prossimo ritrovo» scherzò avviandosi verso la porta
«Ce l'ho già il ragazzo» rispose lei d'istinto «Ma la gente normale lavora a quest'ora, mica come noi disperati» aggiunse poi scherzando, mentre lo seguiva all'interno.

Erano le undici di sera quando Aiba riuscì finalmente a tornare a casa. Sul lavoro avevano tirato per le lunghe e poi si erano fermati a chiacchierare. Non era particolarmente stanco, ma non aveva nemmeno voglia di cucinarsi niente. Salì le scale del condominio dove si trovava il suo appartamento, a Roppongi, cercando di ricordare cosa avesse in frigorifero o nella dispensa e pensare così ad un menù accettabile e rapido per la cena, poi, arrivato al pianerottolo, si bloccò con un piede ancora sul gradino precedente. «Ehi» salutò Kokoro, alzando una mano ed agitandola leggermente. Aveva poggiato la schiena contro il muro, a fianco della porta di casa sua, e teneva una sacchetto della spesa tra le mani. Non si era seduta a terra perchè era vestita troppo elegante per farlo. «Che sorpresa...» farfugliò lui squadrandola inebetito «Non ti aspettavo, non ti sei vestita così per me vero?» le domandò
«No, devo ammetterlo: non è per te» annuì lei con un sorriso, staccandosi dalla parete «Torno da un party e sulla via del ritorno, dato che ero a Tokyo, ho pensato di passare a trovarti. E' un po' che non ci vediamo» spiegò abbassando lo sguardo imbarazzata. Aiba la trovava carinissima nel vestito bianco e celeste che indossava e lì per lì si pentì di non averla più ricontattata dopo il loro ultimo incontro. «Sì è un po'» riuscì solo a rispondere. Sentì che i muscoli delle spalle gli si erano improvvisamente irrigiditi per la tensione. «Ho... ho fatto la spesa. Posso cucinarti qualcosa?» chiese lei lentamente, come se soppesasse con attenzione le parole da usare. Sicuramente ricordava come lui l'aveva sgridata l'ultima volta che si erano visti e forse ora si sentiva in colpa, per quello cercava di farsi il più piccola possibile davanti ad Aiba. Il ragazzo ridacchiò sommessamente: gli era mancata tantissimo in quei giorni di silenzio tra loro, più di quanto avesse immaginato. «Ma come fai?» domandò aprendo la porta
«A fare cosa?» chiese confusa
«A comparire sempre al momento giusto e con la soluzione a tutti i miei problemi: mi stavo chiedendo cosa fare per cena dato che non ho nulla» rispose entrando in casa ed accendendo la luce «Scusa il disordine, non aspettavo nessuno». In realtà non era così in subbuglio quell'appartamento: era suo ma ci passava ben poco tempo, perchè quando ce l'aveva scappava a Chiba dalla sua famiglia. «Non importa. Posso chiederti un cambio? Non mi sembra il caso di cucinare con un vestito di seta» chiese lei mentre si slacciava il cinturino delle scarpe col tacco «Per favore» aggiunse non appena salì il gradino di casa, con un lieve inchino
«Non devi essere così formale sai?» fece Masaki prima di avviarsi in camera per cercarle qualcosa. Ci mise un po' a scegliere quale maglietta darle, ma ancora di più a trovare un paio di pantaloni «Mi sa che gli unici che ti stanno con la cintura stretta al massimo sono i bermuda di jeans. Te li ho lasciati sul letto in camera, provateli» spiegò tornando verso l'ingresso dove lei lo aspettava docilmente. Altre volte si era messa a gironzolare per casa come fosse sua, ma quel giorno sembrava volersi proprio comportare da ospite. La fissò mentre entrava in camera sua e socchiudeva la porta. In parte gli faceva tenerezza quell'atteggiamento, ma in parte lo rattristava: gli dava l'idea di avere un muro tra loro, una barriera che non era abituato ad alzare con Kokoro e che non faceva altro che aumentare la sua tensione. Svuotò il sacchetto della spesa sul tavolo chiedendosi quale fosse il reale motivo che l'aveva portata fin lì dopo tutti quei giorni, poi, non vedendola ricomparire, tornò verso la stanza. «Ehi, tutto ok?» domandò bussando lievemente prima di entrare
«Sì... cioè... mi cadono anche con la cintura» spiegò lei girandosi. Masaki trattenne a stento una risata «Sembri un topo nel vestito di un elefante» ridacchiò appoggiandosi allo stipite
«Ti stai dando del ciccione? E non ridere» lo rimbeccò aggrottando le sopracciglia mentre si teneva i pantaloni con le mani perchè non cadessero. «Ehi, ehi smettila! Non sei affatto carino!» si sedette sul letto a una piazza e mezzo liberando così le mani «Non hai una tuta? Forse l'elastico dei pantaloni sportivi è più stretto» sospirò
«Va bene» annuì cercandoli nel cassetto «Però sei buffissima così»
«Ti ho detto smettila!» esclamò lei lanciandogli un cuscino sulla schiena «E io che ho pensato di farti il kara-age... è così che mi ringrazi?»
«Sul serio?» domandò raggiante, dandole dei pantaloni grigi «Ti adoro»
«No, adori il kara-age» lo corresse lei «E ora fuori: mi cambio e arrivo».
Masaki si concesse una doccia mentre Kokoro preparava da mangiare, era il miglior modo di togliersi addosso la stanchezza della giornata e rilassarsi. Normalmente non l'avrebbe lasciata da sola a cucinare, le aveva sempre fatto compagnia, ma quella era una serata strana. Si comportavano normalmente, ma era teso e sapeva che avrebbero affrontato un discorso importante prima o poi. Dall'ultima volta che si erano visti era passata più di una settimana e si era reso conto che doveva essere stata la prima volta che Kokoro si era scontrata con la dura realtà: lui era il ragazzo indaffarato che tornava a casa la sera stanco, da accudire e coccolare sì, ma il più delle volte era un personaggio famoso che condivideva la maggior parte della sua vita con altre persone -non solo uomini-, con cui bisognava far attenzione a come comportarsi in pubblico e una relazione con lui non andava presa alla leggera. Mentre spegneva l'acqua della doccia e ascoltava l'improvviso silenzio calato nel bagno pieno di vapore bianco, per la prima volta, pensò a come sarebbe stato diverso tra lui e Kokoro se lui fosse stato una persona qualsiasi. Nell'asciugarsi però ebbe nuovamente la certezza che, se quella sera si fosse trovato davanti ad una scelta, la sua risposta sarebbe stata sempre la stessa, senza alcun dubbio. Anche se avesse significato troncare il loro rapporto.
Quando entrò in sala, con indosso anche lui una tuta, l'odore leggermente speziato del kara-age gli fece venire l'acquolina in bocca. Si sedettero a tavola e cominciarono a mangiare in silenzio. «A che party sei stata con quel vestito?» domandò dopo un po' Aiba per sciogliere l'evidente tensione che c'era nell'aria
«Un aperitivo di ex alunni nella mia scuola di Yokohama» rispose Kokoro «Sono tornata alle dieci e qualcosa a Tokyo, era tardi e ci avrei messo tanto ad arrivare a Chiba così ho pensato che tanto valeva passare a farti un saluto»
«Ti stava bene quel vestito» le disse dopo aver mandato giù un pezzo di pollo croccante
«Grazie» rispose arrossendo
«Quanti ex compagni ci hanno provato con te?» domandò, ma se ne pentì il secondo successivo «Volevo dire...»
«So cosa volevi dire» lo interruppe la ragazza. Aiba non disse nulla, tenendo la punta della forchetta tra le labbra e abbassando lo sguardo sul piatto del kara-age. «Lo sai che non sono brava a parlare con la gente. Ho solo incontrato il mio professore di pasticceria»
«Una volta me ne avevi parlato» annuì Masaki
«Quando abbiamo visto "Chocolat"» sorrise Kokoro «Abbiamo parlato a lungo. Lo hanno licenziato, non se la sta passando bene... un po' come me»
«Ma... hai fatto avanti e indietro da Chiba a Yokohama? Sarai distrutta» chiese d'improvviso lui
«Avrei voluto, ma sarebbe stato troppo stancante, così sono partita ieri e ho dormito una notte dalla mia famiglia»
«Com'è andata con loro?» alzò lo sguardo a fissarla, preoccupato
«Avrei preferito non stare da loro» rispose stringendosi nelle spalle
«Ti senti ancora in colpa?» domandò addolorato
«Dato come stanno andando le cose ora direi che mi sento anche peggio» rispose secca la ragazza. Aiba finì il pollo nel piatto senza aggiungere altro. Sapeva del senso di colpa che Kokoro provava per aver lasciato la sua famiglia e aver cercato lavoro a Tokyo. Aveva lasciato che sua sorella si occupasse da sola di sua madre lasciandole come unica soluzione il rimanere a vivere in casa loro per accudirla, senza potersene andare perchè era già lei ad allontanarsi. Nessuno gliel'aveva fatto pesare in casa, ma a lei era costato coraggio e si era sentita egoista: ora che il lavoro trovato lì non stava andando nemmeno tanto bene doveva essersi sentita ancora peggio. Sparecchiarono in silenzio finchè la ragazza non lo afferrò per la manica della maglietta a maniche corte. «Devo parlarti» disse con voce flebile. "Ci siamo" pensò Masaki chiudendo il frigo dopo averci rimesso la bottiglia d'acqua. «Ci mettiamo alla finestra? Preparo il te e arrivo, mi aspetti lì?» propose. Il suo balcone dava su una viuzza pedonale molto frequentata di Roppongi, con tanti piccoli locali e qualche pub tradizionale, così loro si erano messi spesso a chiacchierare seduti a terra, sul pavimento della sala, e le gambe distese sul balcone, guardando di sotto. Mentre preparava la bevanda il ragazzo si rese conto di muoversi lentamente solo per perdere tempo. "E' perchè ho paura... non l'ho chiamata e non le ho scritto per timore di questo momento. Se questa è l'occasione in cui mi dirà di volermi bene, ma di non poter sopportare una relazione con me.. beh, sarebbe la fine della nostra relazione" pensò versando l'acqua calda. Prese con sè le tazze di te e la raggiunse sul balcone, trovandola nella solita posizione. Si stava avvicinando l'autunno e quella sera faceva più fresco del solito, così si era messa la coperta del divano sulle spalle. «Di cosa volevi parlare?» le domandò subito, sedendosi al suo fianco dopo aver spento la luce del salotto
«Ho avuto un'idea durante il viaggio di ritorno da Yokohama» gli spiegò. Aiba scrutò il suo profilo, illuminato solo dai riflessi delle luci della strada sotto di loro. «Non sono pronta a lavorare in una pasticceria da sola, ma non voglio far fallire il negozio della Maestra» cominciò a spiegare «Ho bisogno di una mano, sarebbe sciocco non ammetterlo, quindi credo che chiederò a Shimizu sensei di lavorare per me» spiegò in tono deciso, girando la testa per guardare Masaki negli occhi «Lui è molto bravo, molto esperto, mi fido e abbiamo un buonissimo rapporto. Lo stimo tanto e non sopporto che una persona di così grande talento e così buona debba passare un periodo tanto brutto senza aver fatto niente di male. E poi è uno che con le persone ci sa fare. Mi occuperò io di mantenere la produzione in linea con il lavoro che ha sempre fatto la Maestra e sono certa che lui sarà abilissimo a capire come funziona il negozio. Le clienti lo adoreranno, lo hanno sempre adorato tutti» continuò a spiegare «E' perfetto: non dovrei più fare tutto da sola e avrei nuovamente un collega abile al mio fianco. Lavorerà con passione ed energia, non solo perchè ha bisogno di un posto e di soldi, ma anche perchè questo è sempre il suo campo. Non è un pasticciere che va a fare il benzinaio, è un uomo che continua a fare ciò che più adora nella sua vita. Sono sicura che accetterà»
«Sei sicura?» domandò Masaki confuso: non era esattamente il discorso che si aspettava di affrontare. «Mi sembra di capire che sia anche una persona orgogliosa: accetterà di ricevere pietà da una sua ex alunna?»
«Accetterà» annuì «Non glielo chiedo per pietà nei suoi confronti, ma per disperazione: non posso andare avanti, non ce la faccio da sola. Ho bisogno di lui. Se si pensasse che io provi pietà per lui nel offrirgli il lavoro allora si potrebbe anche dire che lui accetterà per pietà nei confronti di una sciocca inesperta. Le clienti apprezzano le modifiche ho fatto al negozio, vedono gli sforzi che ho fatto per portare avanti una realtà a cui erano affezionate, ma se non riesco a continuare allora non potrò più rispondere alle loro esigenze e finiranno con l'abbandonarlo. Sono arrivata fin dove potevo da sola, ma non credi che a volte fare del proprio meglio significhi anche riconoscere quali sono i propri limiti?»
«Sì... sei stata brava finora» annuì lui con un sorriso tirato «Era questo che volevi dirmi?»
«Sì, volevo sapere cosa ne pensavi. Se ti andava bene» spiegò prendendo un sorso di te e tornando a guardare verso la strada
«E' il tuo lavoro, perchè chiedi a me il permesso?» domandò sorpreso
«Perchè... lavorerei con un uomo e non voglio che tu sia geloso» spiegò lentamente
«Tu... tu ti preoccupi per me?» fece incredulo «Io pensavo volessi lasciar perdere» sospirò appoggiandosi agli infissi della portafinestra, sollevato
«Lasciar perdere cosa?»
«Me! Noi... tutto» spiegò scuotendo il capo «Credevo mi avresti lasciato»
«Se quelle fossero state le mie intenzioni pensi che ti avrei cucinato la cena?». Aiba si girò a fissarla, interdetto. «Oh. Sì, è vero. Non ci avevo pensato» ammise sbattendo le palpebre.

Kokoro soffocò una risata contro il braccio. Risero di nuovo, insieme. Le era mancata quella risata e la sbadataggine tipica di Aiba.
Quando smisero bevvero ancora qualche sorso in silenzio, ascoltando i motorini che passavano, i passi delle persone che attraversavano la strada finchè non entravano in qualche locale. «Hai fatto bene a sgridarmi l'altro giorno. Mi ha sgridato anche Erina» spiegò dopo un po' «L'errore è stato mio e mi sono meritata tutto quello che mi hai detto. Ho mal interpretato il tuo atteggiamento, tu hai agito avendo cura del nostro rapporto e io ho temuto ti stessi stufando di me solo perchè una persona qualsiasi mi ha suggerito questa possibilità. Ho agito senza parlarti, senza chiederti una conferma, ma ascoltando una sconosciuta: non è così che devo fare, vero? Devo avere fiducia, ora l'ho capito. Scusami se mi sono comportata in maniera tanto stupida» disse chinando il capo.
«Non c'è bisogno che ti scusi ChibiKo» mormorò lui piegandosi a cercare il suo sguardo «Il fatto stesso che tu abbia pianto dopo il tuo errore era segno che avevi capito. Ho solo temuto di aver esagerato quando ho visto che non ti facevi più sentire»
«Mi vergognavo troppo... e poi ho pensato fossi ancora arrabbiato, aspettavo una scusa qualsiasi per tornare a sentirti»
«E la tua scusa è saltata fuori oggi?» domandò con un sorrisino
«Più o meno» annuì «Tu hai ascoltato tutti i miei problemi in questi mesi, oggi ho trovato una possibile soluzione e ho pensato subito di venire a dirtela. Era giusto che la sapessi, volevo sentire il tuo parere» spiegò guardandolo in viso. Era il momento di dirgli tutto ciò che aveva capito su di lui durante quel periodo di lontananza tra di loro. «Mi hai ascoltato, mi hai sostenuto, mi hai sopportato. Questi giorni senza di te sono stati così tristi... ho capito quanto averti con me sia importante: mi piace il tuo sorriso, è bello immaginarlo, ma ancora di più vederlo. I tuoi sorrisi mi hanno sempre aiutato tanto. La tua presenza lo ha fatto: sei il mio ragazzo, ma sei anche una presenza speciale al di là di quello che provo per te. Non riesco a pensare di non averti più con me o di voler un altro, per me sei insostituibile»
«No, sei tu che sei insostituibile» la interruppe Aiba accarezzandole una guancia «Sei una persona come non ne ho mai avute nella mia vita. Sei tanto diversa eppure ti sei gradualmente inserita nei miei ritmi e nelle mie giornate senza mai arrenderti davanti a nessuna difficoltà. Come potrei non scusare un errore a qualcuno che ha la pazienza di vivere simili esperienze e non dire "questo è troppo per me"? Tu hai continuato a sopportare me e la mia vita»
«La fai suonare male» farfugliò Kokoro socchiudendo gli occhi, crogiolandosi nella sensazione della calda mano del ragazzo che le toccava il viso
«No, no, ascoltami» le disse appoggiando la fronte contro la sua «Ogni giorno mi passano davanti agli occhi tante persone, vado in tanti luoghi, faccio tanti lavori, ma quando penso a te... beh, so dove trovarti, so che mi basta un'ora di macchina e tu sarai esattamente dove ti cercherò a fare proprio ciò che immagino: dare un po' di felicità agli altri con un semplice sorriso, una gentilezza e un dolce. Ecco... diciamo che in un mare in tempesta tu saresti la mia boa. Anzi no! Sei un faro sì. E non ridere» la rimproverò prendendole il viso tra le mani «Non sono tanto bravo a parole, lo sai» borbottò e riprese a parlare solo quando lei annuì tornando a seria «Non voglio che ti arrendi con me. Non voglio che mi lasci, perchè tu sei parte delle mie certezze: pensare a te mi dà la tranquillità e la calma di cui a volte ho bisogno e non so dove cercare. Tu sei preziosa... sei tu quella insostituibile»
«ChibiMasa» disse Kokoro mettendo le proprie mani sulle sue «Ti bacerei, ma tu mi insegni che sul balcone non è la cosa migliore da fare»
«A questo servono le luci spente: è troppo buio» le sussurrò prima di baciarla per primo. La ragazza prese la coperta che aveva sulle spalle e lo abbracciò al collo per coprire anche lui, mentre rispondeva al suo bacio con passione. Dopo i primi attimi però Masaki si staccò dalle sue labbra ridendo sommessamente. «Cosa? Che c'è?» domandò Kokoro confusa
«Scusa, scusa» farfugliò lui tra le risate tornando ad appoggiare la fronte contro la sua «E' che sono felice e non riesco a trattenermi» riuscì a rispondere prendendo fiato
«Che scemo che sei» sospirò la ragazza mettendosi a ridere, contagiata
«Sono il re di scemolandia, l'hai dimenticato?» le domandò «E tu sei la regina»
«Ah la regina, è vero» si ricordò d'improvviso di quello stupido discorso che avevano ripreso più volte in quei mesi, ma non ebbe tempo di formulare una frase da dirgli in risposta perchè Aiba la afferrò per i fianchi e la fece sedere a cavalcioni sulle sue gambe. «E tu vuoi essere la mia regina, vero?» le domandò guardandola negli occhi. La ragazza lo fissò a sua volta, trovandosi più in alto di lui. Gli accarezzò le guance, sorridendo. "Certo, sarà stato con altre donne: attrici, modelle, più belle di me, più comprensive, più simili a lui... ma posso stare sicura che non abbia chiesto a nessuna di loro di essere la regina degli scemi con lui" pensò tra sè mettendosi ancora a ridere. «Perchè ridi? Cosa ho detto?» domandò incuriosito Masaki
«Niente» rispose lei scuotendo il capo e dandogli un bacio sulle labbra «Sono la tua regina. Per cosa potrei mai ridere se non per una scemata?»
«Hai ragione anche tu» annuì stringendola a sè e baciandola ancora. Rimasero così per alcuni minuti, dimenticandosi di qualsiasi altra cosa al mondo, anche di essere per metà all'esterno, sul balcone, finchè non finirono a cercarsi e toccarsi a vicenda con sempre maggior trasporto. «ChibiKo...» lo sentì sussurrare con voce strozzata, mentre lei era intenta ad accarezzargli il collo con le labbra
«Mh?» riuscì solo a mugugnare. La testa le girava leggermente e agiva spinta da un'eccitazione crescente. «A questo punto... non qui» spiegò Aiba schiarendosi la voce «Non è il caso, no?»
«Mh» annuì lei serrando le labbra per trattenersi dal fare qualsiasi cosa e trovare la forza di alzarsi in piedi. Il ragazzo fece lo stesso una volta che lo lasciò libero dal suo peso e la prese per mano. Richiuse la finestra e lanciò la coperta di nuovo sul divano prima di condurla verso la sua stanza. Si fermò sulla soglia girandosi a guardarla «Sei sicura?» chiese. Era visibilmente teso ed era comprensibile: tutte le volte che aveva tentato un passo in quella direzione Kokoro lo aveva assecondato e poi bloccato, ma quella volta era diverso. Non c'era un motivo preciso che lo rendesse tale, semplicemente sentiva che quel desiderio era nato in entrambi in maniera del tutto naturale e nello stesso momento. Per una volta lei lo aveva provocato e lui aveva fatto lo stesso, arrivando insieme a quel momento. Forse era una maniera troppo romantica di intendere un rapporto sessuale con qualcuno, ma era così che voleva accadesse con Masaki, almeno la prima volta. La ragazza strinse la sua mano ed oltrepassò per prima la soglia della camera da letto, tirandolo dentro con sè.

«Masaki.... Masaki» si sentì richiamare. Aprì gli occhi lentamente, trovandosi il viso di Kokoro davanti al proprio. Non aveva tirato le tende la sera prima, ma era ancora mattina presto quindi la luce non era forte. «Nh... cosa?»
«Il tuo cellulare... ho risposto per sbaglio» mormorò la ragazza «Non so chi sia» spiegò arrossendo. La notizia lo svegliò d'improvviso, se la persona sbagliata avesse sentito una donna rispondere al suo cellulare a quell'ora del mattino avrebbe avuto dei guai. «Pronto?»
⎨Te lo ricordi che stamattina abbiamo un servizio?⎬domandò una voce dall'altra parte dell'apparecchio
«Mmmh, sì. Ora sì» rispose Aiba più tranquillo: era Jun
⎨Per fortuna che ti ho chiamato⎬sospirò l'amico⎨So che lo sai, ma io te lo ripeto perchè sono tuo amico: al tuo cellulare devi rispondere tu, sarebbe stato un guaio se da questa parte ci fosse stata la persona sbagliata invece di un tuo amico già al corrente dei fatti⎬
«Hai ragione: lo so, ma fai bene a ripeterlo. Faremo più attenzione» annuì il ragazzo passandosi una mano sugli occhi
⎨Spero che tu abbia dormito almeno tre o quattro ore Aiba chan, ma immagino che lo capirò dalla tua faccia quando ci vedremo⎬disse divertito⎨A dopo⎬ e riattaccò.
Jun era un tipo discreto, se avesse chiamato quell'impiccione di Nino probabilmente lo avrebbe sgridato e avrebbe fatto battutine acide tutto il giorno. Matsujun non avrebbe detto niente a nessuno e non avrebbe accennato alla cosa. «Non dovevo rispondere, scusa, scusa, scusa» disse subito Kokoro unendo le mani davanti al viso «Mi è venuto istintivo per spegnere la suoneria»
«Non importa» mormorò stringendola a sè con un sospiro «Ti ho sgridato, ma anche io non mi sto dimostrando attento» disse con preoccupazione «Seriamente, dobbiamo alzare la soglia di attenzione al massimo»
«Sì, lo farò» annuì la ragazza. Jun aveva di che preoccuparsi, erano le cinque del mattino e Aiba non aveva dormito molto. Quella notte con Kokoro era stata più lunga del normale, perchè dopo tanto tempo non si era più trattato di sesso e basta, ma aveva letteralmente "fatto l'amore" con lei. C'era stato molto sentimento in ogni loro gesto e non era stato solo eccitante, ma anche bello e divertente, tanto da spingerli a prolungare il più possibile quei minuti. Si erano messi a dormire sotto le lenzuola del suo letto poco meno di due ore prima, dopo essersi rimessi almeno la biancheria e una maglietta e ora avrebbe voluto tornare a dormire per poi svegliarsi dopo qualche ora, ancora con la sua ragazza tra le braccia. «Dobbiamo alzarci» disse invece lei «Tu devi andare, e io pure. Devo tornare fino a Chiba e preparare il negozio»
«Prendi un taxi?» le domandò
«E' più veloce. Ti spiace se per oggi non preparo io la colazione?» chiese dandogli un bacio sulla punta del naso
«Ma ho fame» si lamentò senza volerla lasciar andare nonostante lei si stesse muovendo per uscire dalle lenzuola
«Se mi lasci andare mi vesto e vado a prendere qualcosa in strada»
«C'è una caffetteria all'angolo. Macchiato al cioccolato, senza cacao. Grazieeee» mugugnò sciogliendo l'abbraccio e mettendosi a pancia in giù. Ascoltò il frusciare dei vestiti per qualche secondo poi aprì pigramente gli occhi e osservò il corpo della sua ragazza mentre si toglieva la maglietta usata come pigiama e rimetteva il vestito della sera prima. Non le disse niente, semplicemente rimase a fissarla e la lasciò uscire dalla stanza. Si sarebbe concesso ancora due minuti di pigrizia, indugiando sui ricordi della sera prima, poi avrebbe cominciato a prepararsi anche lui

*i juku sono le scuole di preparazione o quelle con corsi di ripetizione


Ok, ok... finiti gli esami, finito quasi tutto. E' ora di rimettersi a scrivere. Spero il capitolo sia venuto bene, non è facile riprendere il filo di una storia così lunga. Si ricominciaaaa *O*

  
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