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Autore: _CodA_    16/07/2012    3 recensioni
E per rendere omaggio allo spirito natalizio, pubblico una long-fic BRITTANA in tema (il fatto di averla iniziata il 6 giugno sono dettagli...)
Vedrete che ci sarà quasi sempre uno schema fisso di intro + personaggio in prima persona. Spero vi piaccia! :)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La determinazione: tante persone ne fanno a meno, vi rinunciano, per la quantità di energie che impiega, per la forza necessaria, per il coraggio che si deve avere, per possederla.
Essere determinati è insito in noi, innato; qualche volta possiamo diventarlo.
Ma non possiamo mai smettere.
E la determinazione, se alimentata, cresce;
viva più che mai in un ideale, un sentimento, uno sguardo, in un intreccio di dita, da cui trarre forza.


Santana's PoV

Non so per quanto tempo continuammo a fissarci, sorridenti, mentre reggevo quel pezzo di carta oramai stropicciato, ma che aveva impresso il mio più grande segreto.

Ed ora che il segreto era stato svelato, ora che ero stata capace di rivelarlo, rivelare me stessa con esso, ammettere i miei sentimenti, sentivo davvero di poter ricominciare.
E qualcosa nel viso di Brittany mi suggeriva che anche lei era pronta a farlo.
Mi guardava, fiera e commossa, ma incapace di frenare la curva del suo sorriso, il luccichio nei suoi occhi, pieni di sollievo e felicità.
Era pietrificata dall’intensità di tutti quei sentimenti con cui l’avevano travolta tre semplici parole.
Passato almeno un minuto, però, iniziai a trovarmi scomoda in quella situazione, i suoi occhi fermi su di me iniziarono a mettermi in allarme; volevo che dicesse qualcosa, che mi dicesse che andava tutto bene e che era felice, come me.
“Britt, dì qualcosa. Io.. ”
Fui travolta da un abbraccio che non avevo visto minimamente arrivare.
Aveva spalancato le braccia e le aveva richiuse rapidamente, strette, forte su di me.
Sentì il suo respiro caldo e affannato sulla mia spalla, lentamente percepì anche le sue mani sulla mia schiena premermi forte contro di sé.
Abituandomi alla sua presa salda, al suo corpo caldo, mi sentì protetta.
Chiusi gli occhi e respirai piano.
L’avevo di nuovo tra le mie braccia, schiacciata contro di me, quasi per diventare una sola persona. E in realtà già lo eravamo;
Perché mi sentivo annullata in lei, completamente persa tra la sua pelle ed il suo profumo.
“Sono contenta di averti ritrovata...”
Un sussurro meglio di qualsiasi altra dichiarazione d’amore.
La conferma di cui avevo bisogno per poterla stringere forte a mia volta, per abbandonarmi sicura alle sue braccia, felice di non emergerne mai più.
Mi sentì di nuovo piccola, una bambina, la bambina che non ero mai stata, che andava protetta, coccolata, amata.
E, mentre la vecchia Santana Lopez sarebbe scappata da tutto questo, da sentimenti che avrebbe definito -sciocchi- e -da poppanti-, adesso la nuova me si tuffava senza paura in questa vasca di emozioni.
Finalmente ero cresciuta, ero divenuta una vera donna, illuminandomi della più semplice e forse banale delle riflessioni:
i sentimenti non erano mai stati per i deboli, ma per gli esseri umani.
E non c’era niente di più giusto che lasciarsi abbracciare da Brittany, lasciarsi amare da colei che amavo.
I nostri respiri si placarono entrambi. Era passato il bisogno impellente che aveva avuto di gettarsi su di me e stringermi forte. Restava però il desiderio di godersi l’una la presenza dell’altra, di continuare ad amarsi in un silenzio senza tempo.
“Non ti lascerei andare mai.” confessò.
“E allora non farlo...” risposi disperata, poggiando più comodamente la testa sul suo petto, con gli occhi chiusi, senza allentare la presa sulla sua schiena.
La sentì sorridere.
“Mi piacerebbe tanto, ma si sta facendo tardi...”
Mi limitai a stringerla più forte, a schiacciare la testa sul suo seno tanto da sentire il cuore battere forte sotto la sua pelle.
Non volevo fare altro che stringerla e sentire il suo cuore avvolta dal suo profumo.
“Ti prometto...” iniziò catturando la mia attenzione “..ti prometto che una volta uscite da questa stanza, non cambierà niente. Sarò ancora più decisa a recuperare gli anni perduti e mostrare al mondo là fuori di cosa siamo capaci insieme”
Sorrisi ancora sulla sua pelle, orgogliosa della sua forza, del suo coraggio, della sua voglia di combattere ancora.
Ma sebbene le sue parole fossero convincenti, pronunciate con quella voce tremendamente sicura e sensuale, il rifugio tra le sue braccia era molto più convincente; molto più allettante, molto più concreto.
"Pronta ad andare?"
Avrei voluto dire di no, perché in effetti affrontare il mondo di colpo mi sembrava un passo ancora troppo grande, ma non volevo deluderla, non volevo essere debole.
Volevo essere forte e coraggiosa per lei, dovevo renderla fiera della sua scelta.
Con calma mi staccai dal suo corpo accogliente, le regalai un sorriso sincero e annuì.
E, persuasa definitivamente dal sorriso che mi restituì, accettai la sua mano e mi lasciai condurre al piano di sotto.



"Hallelujah! Iniziavamo a credere che vi foste ammazzate a vicenda!"
Le parole di Matt passarono totalmente inosservate.
Lo sguardo di Quinn fu catturato dalle nostre mani intrecciate, dai nostri evidenti, seppur lievi, sorrisi.
E io la guardai, seguì il suo sguardo e poi tornai a guardarla.
Era felice per noi; tutto era come doveva essere, finalmente.
Io e Brittany ci stavamo prendendo la nostra rivincita, e non avrei potuto sperare in amica migliore che ci supportasse.
"Prendete qualcosa? Non avete finito la vostra colazione..." pronunciò Quinn con quella sua voce melliflua, quasi in un sussurro, temendo di spezzare qualcosa: quel legame perfetto tra le nostre dita, quell'aura di serenità che ci proteggeva.
"No, grazie" rispose, prontamente, Brittany; io ero al suo fianco, ma non avrei potuto dire niente, non sarei riuscita a parlare. Credevo ancora tutto così surreale e idilliaco.
"Passeremo la giornata a casa dei miei, non vorrei fare aspettare ancora mia madre. In fondo... sono anni che non mi vede!" concluse con un sorriso e aspettandosene altri in cambio.
Ma mancava qualcosa.
"Che cosa le hai fatto?"
La domanda di Matt portò l'attenzione su di me.
Sentì i loro sguardi posarsi, indugiare, cercare qualsiasi cosa, ma io non li vedevo realmente, ero bloccata nei miei pensieri, nella mia felicità, nell'accettazione di una realtà ancora troppo surreale, che si tramutava in una semplice increspatura delle mie labbra.
"Che le hai combinato? L'hai drogata, per caso?" chiese allarmato lui, lasciando il suo sgabello per precipitarsi a guardarmi negli occhi e scrutare le mie pupille.
"Scusami...?" iniziò Brittany risentita.
"Dico... ma sei scemo?"
"Quinn, ma guardala! Non è lei!   Lopez!! Ci sei? Mi senti? Terra chiama Lopez!"
Continuavo a sorridere, mentre lui sventolava in modo agitato le mani, schioccando le dita come per farmi risvegliare.
Ma io ero già sveglia, era quello il bello. Non stavo sognando, era tutto vero.
"Niente! E'... è.."
"..cotta!" completò Quinn per lui, guardandomi rassegnata, ma felice.
"Già" concordò Matt allontanandosi quasi disgustato.
"Preferivo la Santana Lopez disperata; almeno quella, quando si incazzava, aveva le palle!" asserì riaccomodandosi sul suo sgabello dietro l'isola.
Di sott'occhio notai il volto di Brittany diretto verso il mio. Mi guardava e io non potei fare a meno di guardarla incantata a mia volta.
Quella dea bionda era mia, mia e solo mia!
"A me piace ogni versione di Santana Lopez, ogni aspetto originale" pronunciò Britt senza staccare i suoi occhi azzurri dai miei.
"Dio buono, sto per vomitare!"
Quinn, che era rimasta incantata a guardarci come un miraggio, assimilò le sue parole e si avvicinò a lui per un pugno sul braccio.
"Ma piantala! E' solo invidia la tua! E continua ad ingozzarti coi biscotti!" completò ficcandogliene uno in bocca.
"Beh.." cominciò Brittany voltandosi verso Quinn, distogliendomi da quello stato catatonico ".. noi dobbiamo andare. Quinn, è stato un piacere rivederti."
"Anche per me, tesoro" rispose lei abbracciandola brevemente.
"Spero di riuscire a vederti più spesso, soprattutto ora che mi fermerò un po' a Lima.."
"Come? Cosa?" chiese presa alla sprovvista.
Britt sorrise dell'esatta reazione che si aspettava di suscitare con una tale notizia.
"Ho deciso di tornare a Lima per qualche tempo e...  vedere come va"
Quinn spostò quasi impercettibilmente il suo sguardo su di me e poi tornò a sorridere verso Britt.
"Allora ci conto!"
Brittany annuì e poi, lentamente, in un graduale distacco, lasciò la mia mano per potersi allontanare e concederci qualche minuto da sole.
"Vado a recuperare le tue cose." mi rassicurò prima di uscire dalla cucina. "Scimmione, perché non vieni ad aiutarmi con i bagagli?"
"Ma.. io veramente.."
"Muoviti!" urlò Quinn guardandolo con astio per tutto il tragitto fin fuori dalla cucina.

"Allora.." sussurrai con un sospiro.
"Allora... eccoci qua..." lei fece altrettanto.
"Io.."
"Credi di star facendo la scelta giusta, San?"
Sapevo che Quinn sarebbe rimasta la parte razionale di me, la mamma preoccupata che non avevo mai avuto, la sorella maggiore che mi guardava le spalle. E soprattutto l'amica che, senza mezzi termini, mi diceva la sua.
"E' Brittany che voglio, è lei che ho sempre voluto" risposi, pronunciando finalmente parole sensate con serietà e passione.
"Voglio dire.. vi siete rincontrate ieri.. avete parlato ma.. Se lei si pentisse di restare qui? Se fosse accaduto troppo in fretta?"
"Fretta?" risi amaramente delle sue stupide obiezioni che volevano solo creare scompiglio alla mia situazione idilliaca. "Non credo di averci mai messo tanto tempo per una decisione, Quinn. Per anni ho negato a me stessa i miei sentimenti per lei, per anni ho rimpianto di essermi lasciata sfuggire l'opportunità di vivere questa storia, non sarò così stupida da ripetere lo stesso errore due volte!"
La mia determinazione, l'occhio lucido che però non aveva ceduto alla convinzione delle mie parole, sembrarono calmarla; forse finalmente quella storia valeva per lo meno un tentativo anche ai suoi occhi.
"Dovevo sentirtelo dire! Sono felice per voi!"
E lo splendido sorriso che mi rivolse mi fece capire che lo pensava davvero.
"Prendetevi cura l'una dell'altra, mi raccomando!"
Mi disse all'orecchio premurosamente, mentre mi abbracciava forte, forse come raramente era successo tra noi.
"Lo faremo" la rassicurai.
E, prima che potessi versare anche solo una lacrima, la voce di Brittany mi riportò a lei, alla realtà del momento, alla felicità che mi attendeva.
"E' tutto pronto!"
"Arrivo!" risposi.
Guardai ancora una volta Quinn, con un sorriso raggiante che mai avevo indossato prima.
Era innegabile: ero felice.



"Credi che sia giusto presentarsi qui, insieme, senza nemmeno avvisare?" chiesi preoccupata a Brittany, mentre guardavamo casa sua dall'esterno, tra la neve che accennava a sciogliersi sul prato, crogiolandoci nell'attesa e nella preoccupazione.
Chiedevo a lei, volevo che mi confermasse che non c'era pericolo, che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati tutti felici per noi, proprio come lo era stata Quinn.
Ma leggevo esattamente le mie stesse paure sul suo volto, sulle sue labbra tirate, nei suoi occhi fissi.
E nonostante questo, dopo un mio lungo sospiro carico di tensione, prese la mano che avevo lasciato ricadere sul fianco, la strinse nella sua, intrecciò le sue dita alle mie, per l'ennesima volta quella mattina.
E gliene fui grata perché, non so come, quel gesto sembrava darmi la forza necessaria per affrontare i dubbi, le incertezze e le paure.
"Andrà bene"
Alle sue parole secche, mi voltai per guardarla, ma lei stavolta non mi donò i suoi occhi; temeva che avrei letto la menzogna che vi si nascondeva.
Così fui io a stringerle la mano.
"Male che vada, la mia auto l'ho parcheggiata proprio di fronte, non ci mettiamo niente a scappare!"
Ma non appena ebbi concluso la frase, strinsi gli occhi, conscia dell'errore che avevo fatto. Non volevo riaprirli, non osavo nemmeno immaginare come fosse la sua faccia ora: magari rossa di rabbia, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi fiammanti.
Eppure la presa della sua mano era ancora salda nella mia.
Lentamente schiusi le palpebre e la vidi lì, impassibile, che mi fissava.
"Nessuno scapperà, né oggi né domani. Intesi?"
I miei occhi furono rapiti dai suoi, bloccati da quella voce decisa, priva di rancore o rabbia.
"Intesi.." sussurrai.
Accennato un passo, la seguì subito, stringendo ancora la sua mano, chiedendomi se però, una volta entrate, avrei dovuto lasciarla andare. Fu lei a darmi una risposta un attimo prima di bussare alla porta, voltandosi verso di me con un viso improvvisamente trasformato, prossimo al pianto.
"Non mi lasciare la mano, ok?"
"Ok.."
Cercai di sembrare il più sicura possibile, calma, e non totalmente impressionata dal suo stato di panico.
Suonò il campanello e a tempo di record la madre aprì la porta di mogano che conoscevo bene.
Ero così presa dall'ansia, dalla preoccupazione, dal dover tranquillizzare me per calmare anche Brittany, che avevo dimenticato che avrei finalmente rimesso piede in quella che era stata la mia seconda casa, il mio rifugio, il mio Natale.
Ma non ebbi modo di rifletterci a lungo.
L'istante in cui realizzai di star per varcare quella soglia, compiendo uno dei passi più grandi di tutta la mia vita, mi ritrovai faccia a faccia con la signora Pierce che, al quanto stupita, ci fissò imbarazzata.
"S-s-santana?! Non ti aspettavo, non sapevo nemmeno fossi in città! Britt, perché non mi hai detto che era in città? Avremmo organizzato una cena tutti insieme, come ai vecchi tempi! Vieni cara, entra!"
Con una valanga di parole e una mano sulla spalla, la signora Pierce mi spinse ad occupare l'atrio di casa, e io mi trascinai Brittany, che sembrava frastornata da ciò che accadeva, probabilmente più da ciò che credeva sarebbe accaduto.
Eppure era stata così sicura, così calma, fino a qualche minuto prima!
Questo repentino cambiamento mi mandava in confusione, senza che potessimo parlarne, senza che vi potessi porre rimedio.
Non riuscì a stare al passo della madre di Brittany, figuriamoci al passo delle sue parole!
"...sei diventata proprio una donna, è incredibile come passi il tempo..."
E nella confusione, nei disperati tentativi di capire di cosa andasse farneticando rumorosamente, mentre scompariva nel salone, i miei occhi si fermarono sulla figura che ci aveva appena raggiunto.
Dawn sostava allo stipite della porta, con le braccia intrecciate sotto al petto, un viso serio, contrito, e lo sguardo fisso sulle nostre mani intrecciate.
Non era come lo sguardo di Quinn, non era approvazione o felicità quella che si leggeva nei suoi occhi.
Provai istantaneamente rabbia.
Aveva avuto la mia Brittany, la donna a cui apparteneva il mio cuore da sempre, non aveva saputo renderla felice e adesso non riusciva ad accettare che lo fosse con me.
La cosa mi mandava in bestia.
"Che problemi hai?"
"Santana..." mi ammonì prontamente Brittany, stringendo più forte la mia mano, avendo notato lo sguardo teso che avevo rivolto a Dawn e che adesso mi stava ricambiando.
Quest'ultima invece di parlare, rispondere alla mia domanda, con impertinenza sbuffò rumorosamente, alzando gli occhi al cielo, e sparì in cucina.
"No, dico, ma l'hai vista?! Vuole la guerra!"
Brittany mi costrinse a girarmi completamente verso di lei, a guardarla negli occhi, a perdermi momentaneamente in quelle iridi azzurre innamorate di me.
Era bellissima.
"San.. San ascoltami, devi promettermi che cercherai di andare d'accordo con Dawn."
"Ma-"
"So che non è facile. Ma ho bisogno di sapere che non sarà necessario perderla;
è lei che si è presa cura del mio cuore durante tutto questo tempo..."
Abbassai la testa, sconfitta. Sapevo che era la verità, sapevo anche che non ne aveva nessuna colpa, ma quelle parole ferivano, colpivano in pieno petto, stracciavano fili di ferite appena cucite.
Sapevo che non era il pronunciarle a renderle vere, ma evitando di dirle, sarebbero scomparse, se non per sempre, il tempo necessario per accettarle.
"La puoi fare questa promessa? Per me?"
Era impossibile, nonostante il tumulto di tristezza e angoscia che mi stringeva il petto, poter dire di no a quegli occhi supplicanti, quel viso preoccupato, a quell'amorevole voce che mi chiedeva di fare la brava, di dimostrarmi matura, la donna che tutti avrebbero desiderato al proprio fianco.
E io, per lei, l'avrei fatto mille volte senza esitazione.
Sorrisi, cercando di non tradire la ferita sanguinante che continuava a bruciare, e annuì.
E poco mi importava della ferita quando, con la mano libera dalla mia, mi strinse una guancia e mi baciò.
"Ti amo tanto"
Era la conferma, le parole di cui sentivo il bisogno, l'impellente bisogno, per sapere che i miei sentimenti erano ricambiati, che i suoi erano forti e determinati come i miei.
"Ti amo anch'io" risposi flebilmente.
Lei sorrise felice, serena di nuovo.
Mi ricordai che anche lei era fragile, che anche lei, nonostante il viso sempre solare, le energie a mille e i pensieri positivi, aveva le sue paure, le sue angosce, forse più dolorose e acute delle mie, proprio perché costretta a nasconderle.
"Cerchiamo tua madre... l'ho vista sparire nel salotto parlottando e credo che a breve si accorgerà della nostra assenza.."
Annuì e ci incamminammo mano nella mano verso il salotto.
La madre era intenta a preparare il tavolo, addobbato di rosso e di verde,
Notai subito il grande albero di Natale, che si illuminava ad intermittenza, in fondo alla stanza e fui investita dai ricordi.
Non avrei mai creduto che ritrovare le cose esattamente com'erano, come le avevo lasciate, mi avrebbe fatto quest'effetto.
Sentivo finalmente di poter far parte di qualcosa, di potermelo godere, comprendendo l'importanza che quel rituale, il Natale e Brittany in sé avevano acquisito con il passare degli anni.
"Ragazze, eccovi! Stavo decidendo l'assegnazione dei posti..." concluse meditando a lungo. Non capivo se volesse spostare le sedie col pensiero o se aspettasse un'illuminazione. Aveva un che di surreale.
"Mamma, non credo ce ne sarà bisogno.." tentò di fermarla Britt, restando assieme a me un po' in disparte.
"Oh tesoro, ho invitato un bel po' di persone per pranzo! Credo che sarà necessario stabilire i posti!"
Non mi resi conto della situazione fin quando Brittany non parlò con voce sottile.
Le succedeva solo quando era molto emozionata, ed i suoi occhi mi suggerivano che non erano emozioni positive stavolta.
"Mamma... ma perché?"
"Oh, tesoro, come perché?! La tua famiglia vuole rivederti, vuole stare con te!" rispose tranquillamente la madre, con tale incuranza che desiderai improvvisamente farle sparire il sorriso con un sonoro ceffone.
"Ma... è.. è con te che voglio stare, mamma. Pensavo che avremmo passato questi giorni insieme.."
Il tono di voce tremante, quegli occhi lucidi, il viso più pallido del solito: era chiaramente sotto shock e allibita dalle parole e dalle azioni della madre, improvvisamente distante, quasi glaciale con quel sorriso inopportuno stampato sulla faccia.
"E saremo insieme! Insieme anche ai parenti!"
La osservavo continuare ad aggirare l'enorme tavolo che occupava il salone, sistemando posate e tovaglioli, spostando di pochi millimetri una candela rispetto al cesto del pane, continuando a distrarre lo sguardo da noi, continuando a camminare veloce, senza mai fermarsi.
"Perché fai così? Mamma, per favore, non possiamo essere solo io e te e...?!"
"Oh, non dire sciocchezze! Non vorrai essere egoista e risultare scortese nei confronti dei tuoi familiari che, oltretutto, ti hanno vista sparire anche questo terzo Natale!"
Mi sentì all'improvviso terribilmente fuori luogo. Era a causa mia se la sera prima Brittany era fuggita via, lasciando gli ospiti, i parenti, la madre, che avevano avuto, solo poche ore prima, occasione di rivederla.
La mano tremante nella mia, però, mi ricordò che non ero io quella che aveva bisogno d'aiuto, non ero io che, con autocommiserazione e disagio, avevo bisogno d'attenzione, ma lei; lei che stava assistendo ad un totale blocco della madre, una madre da sempre affettuosa che improvvisamente si stava comportando come se sua figlia non contasse niente, come se non esistesse; e chi meglio di me poteva capirla?
Dovevo starle vicina, ricordarle che c'ero io a volerle bene, c'ero io ad amarla;
Che lei non aveva fatto nulla di male, nulla di sbagliato. Poteva continuare a fidarsi di me e del mondo. La madre, prima o poi, avrebbe fatto i conti con se stessa perché, diversamente dalla mia, a lei importava qualcosa di sua figlia, le aveva sempre voluto bene.
Questo comportamento distaccato, anche se poteva non sembrare, ne era solo la conferma.
"Mamma! Che importa se ho perso il Natale assieme a loro! Voglio passarlo con te!"
Brittany iniziava ad agitarsi. Lo sbalordimento iniziale era passato e aveva lasciato posto alla frustrazione, alla rabbia, al bisogno di chiarire e non lasciare tutto in sospeso.
Ma la madre sembrava non volerne sapere. Si ostinava a girare in tondo, tornando sempre al punto di partenza, ripetendo gesti inutili solo per prendere tempo, per occupare la mente ed impedirle di prendere il sopravvento sulle sue parole.
Il silenzio che ora regnava era interrotto solo dal respiro affannoso della mia Brittany, che tratteneva quella voglia di combattere e urlare, e dalle posate che Mrs Pierce lasciava sbadatamente urtare di tanto in tanto.
Io ero ferma, immobile, trattenevo il respiro e lo lasciavo andare silenziosamente solo quando necessario. Avrei voluto scomparire, ma sapevo che dovevo restare per lei, per la bionda che stava al mio fianco, che mi amava e che io amavo, che aveva bisogno di me ora più che mai, e che stringeva la mia mano come fosse l'unica cosa che le fosse rimasta, la sua unica certezza e l'unica che fosse importante.
"Mamma, ti prego, aspetta! Sono qui adesso, perché non vuoi festeggiare con me, perché non mi vuoi nemmeno guardare?"
Quella domanda, così diretta, ghiacciò la madre sul posto e, non so esattamente perché, la sua reazione immobilizzò anche me, più di quanto non lo fossi già.
Trattenevo il respiro proprio come se fossi stata io sua figlia.
Temevo qualsiasi risposta.
Era questa la conversazione che sarebbe dovuta avvenire tra me e mia madre, tanti anni prima.
Perché non mi ascolti? Perché non mi guardi? Perché fai finta che io non esista?
Ma il coraggio mi era sempre mancato, avevo avuto troppa paura delle risposte, senza pensare che non averle affatto mi avrebbe gettato ugualmente nello sconforto, persa tra i -se- e i -ma-, nell'eterno rimorso.
La mia vita era fondata sui rimorsi.
Forse era questo il motivo per cui avevo sentito il bisogno vitale di chiarire con Brittany, di riprendere la nostra storia, darci le possibilità che ci eravamo negate, che io avevo reso impossibile anche solo pensare.
Riponevo in Brittany la risoluzione del mio eterno rimorso; seppure con esito negativo, avevo bisogno di porre la parola fine, capire se potevo o meno rimarginare la frattura di un rapporto madre-figlia trascurato, anzi, inesistente.
Brittany attendeva disperatamente una risposta, proprio come me, ma con maggior vigore, con coraggio e furore, con il desiderio negli occhi di non lasciare le cose in sospeso. Voleva che la madre alzasse lo sguardo su di lei e iniziasse a parlare.
Ma la signora Pierce fissò terrorizzata per alcuni secondi la tavola che aveva preparato.
"Ho lasciato le patate in forno..."
E senza aggiungere altro, scomparso il sorriso, con occhi e gesti svuotati da qualsiasi emozione, si diresse in cucina.
Mentre io mi lasciavo stupidamente prendere dal panico, credendo che il destino mi stesse mandando un qualche strano messaggio, confinandomi nell'inquietudine dell'incertezza, dell'irrisolvibile incomunicabilità, mi sentì strattonare e focalizzai i miei occhi su ciò che stava accadendo.
Misi a fuoco la mano che stringeva la mia, il braccio che mi tirava e i capelli biondi che si muovevano scompostamente all'indietro.
Brittany. Dovevo mettere a fuoco Brittany.
Quando voltammo l'angolo della stanza, seguendo esattamente il tragitto della madre verso la cucina, intravidi di profilo i suoi occhioni azzurri, sconvolti, umidi, sfuggenti.
La seguivo senza dire niente, trascinata, poco cosciente di ciò che mi circondava.
Ma di lei dovevo tenere conto, dovevo restare collegata alla sua realtà, al suo mondo e alle sue emozioni.
Feci l'unica cosa che sentivo di poter fare, senza interferire troppo o troppo poco: strinsi più forte le mie dita tra le sue, facendole sentire il calore, la vicinanza, l'amore.
Il mio pollice in automatico carezzò il dorso della sua mano.
-Sono qui con te-
Le aveva sussurrato la mia pelle.
Due secondi dopo, il tempo di percepire il contatto, di costringere la mente a deviare lo scorrere dei pensieri, convogliare riflessioni e sensazioni verso un palmo di mano, le sue dita risposero alla stretta.
Quel saldo intreccio il suo -Grazie-.

Una volta in cucina osservammo in silenzio la madre cacciare effettivamente le patate dal forno e poggiare la teglia sul marmo dell'isola.
Brittany aspettava impaziente una nuova reazione, una parola, qualsiasi cosa le desse la conferma che la madre per lo meno l'ascoltasse.
Lei combatteva, per entrambe, e io mi sentivo una nullità a confronto, incapace di reagire, persa com'ero in quella sensazione di sconforto e imminente fallimento; indossavo occhi disperati che mai avevo mostrato ad altri che non fossero i miei specchi.
Ma, cercando una distrazione, un modo per legarmi alla realtà, un modo che non fosse Brittany e la sua lotta, nonché la mia sconfitta, lo sguardo cadde su colei che sostava allo stipite dell'altra porta d'entrata per la cucina.
Dawn mi guardava, probabilmente già da un po', scontrosa e irritante.
All'istante seppi in quale altro sentimento rifugiarmi, seppi come evadere dalla paura.
La vecchia Santana Lopez l'aveva fatto per anni.
Dovevo concentrare le mie forze verso la gelosia, verso la rabbia, verso l'odio.
Riversare l'odio che provavo verso me stessa su qualcun'altro mi risultava talmente facile... e poi era così liberatorio!
Già solo pensarci mi stava lentamente cambiando.
I miei occhi focalizzavano solo lei ora.
Dawn: le sue labbra tirate, le sopracciglia incurvate, gli occhidi sfida.
Sapevo esattamente come sfruttare a mio favore i suoi impulsi, tutta l'energia negativa che stava trattenendo nel viso contratto e le braccia strette al petto.
Ero pronta: bastava un passo verso di lei per rivendicare la mia superiorità, dimostrando che non avevo alcun timore di avvicinarmi.
Voltai il mio corpo verso di lei, feci un passo e poi una mano stretta alla mia mi impedì ogni altro movimento.
Brittany non l'aveva fatto apposta, non aveva cercato di fermarmi, non si era accorta di nulla; semplicemente la sua presa era forte, potente, e mi aveva all'istante ricordato di lei, mi aveva ancorata a lei.
Mi voltai a guardarla, ancora immobile con lo sguardo fisso sulla madre, e sorrisi impercettibilmente.
Ogni pensiero negativo era sparito, ogni intenzione dimenticata; c'era solo lei, lei che senza saperlo riusciva a calmarmi, cambiarmi, rendermi la persona migliore che lei meritava.
Quando guardai nuovamente Dawn, la beccai a fissare la nostra stretta di mano, ancora più gelosa e stizzita. Poi si voltò dall'altra parte, fissando fuori dalla finestra, volendo ignorarmi completamente.
Non serviva mostrarmi superiore, non c'era bisogno di fare scenate, ribadire la posizione che doveva mantenere; era già tutto chiaro.
Bastavano le dita di Brittany che schiacciavano le mie, la fiducia e la forza che traeva dalla mia sola presenza, a rendere evidente l'amore sincero che ci univa.
E nessuno poteva competere.

Trionfavo in silenzio, mentre tornavo a guardare Brittany, aspettando con lei, ma senza pensare più tanto alla situazione irrisolta che si era cristallizzata sotto ai nostri occhi.
"Allora?"
La voce stridente tradiva l'impazienza, non senza ragioni.
La madre sostava dietro l'isola, mescolando ancora le patate con una forchetta senza che ce ne fosse alcun bisogno.
"Allora cosa, tesoro?"
Ed ecco tornare il sorriso, più tirato di prima, mentre cercava qualcos'altro su cui impegnare gli occhi e la mente.
Si diresse verso il frigorifero e poi tornò dov'era per preparare dell'insalata.
Si muoveva a scatti tra le credenze e le ante aperte e chiuse rapidamente, la velocità della routine.
"Mamma, guardami.. cosa c'è che non va? Parlami.."
La signora Pierce la ignorò completamente, mantenendo quello stupido sorriso sulle labbra mentre si dedicava ad altre faccende.
"Margaret, sai per caso dov'è quel maglione di lana che mi regalasti due Natali fa?!"
Il signor Pierce fece il suo ingresso in cucina senza fare troppo caso a noi, all'atmosfera, non per insensibilità, ma semplicemente perché non se l'aspettava, non poteva averne idea.
"Oh buongiorno, ragazze! Non vi ho sentito arrivare!"
Io e Dawn ci limitammo a sussurrare un -buongiorno- e sorridere, imbarazzate, coscienti della situazione di cui non potevamo informarlo.
"Randy, hai visto nel cassetto centrale?"
La voce spazientita della moglie spezzò ancora il silenzio.
Mi voltai subito a guardare Brittany che non aveva salutato il padre, non aveva detto niente, ma aspettava ancora che la madre si decidesse a parlare.
Ero preoccupata.
Ma, poiché continuava a fissare sua madre senza accorgersi del mio sguardo, tornai anch'io a seguire i loro discorsi.
"Prova, allora, nell'anta del mobile alto. Lì metto tutte le cose natalizie. Anche questa maglia che hai va benissimo, però!"
"Quella è più nuova! Ma.. tesoro, tutto bene?"
Di qualcosa Mr Pierce si era finalmente accorto. Aveva osservato gli occhi della moglie scorgendo ciò che avevo visto anche io: panico.
"Certo, ho solo mille e uno cose a cui pensare!"
Non volendo approfondire e credendo alle sue parole, si scambiarono un sorriso fugace e il marito lasciò nuovamente la cucina.
Prima che Brittany potesse ribadire un suo invito a parlare, la signora Pierce parlò.
"Dawn, cara, ti dispiacerebbe portare questa teglia al centro della tavola?! Ho già posizionato il sottopentola!"
"Nessun problema, signora Pierce!"
"Oh, che sciocchezze! Quante volte ti devo dire di chiamarmi Margaret?!"
Dawn sorrise impacciata, già diretta verso il salotto, impaziente di scampare a quella situazione.
“I condimenti!” esclamò poi la madre come se ci fosse chissà quale emozione nel ricordarsi tale futilità.
“Mamma...”
Avendo la testa ancora nella porta del frigorifero notai nettamente l’aria di uno sbuffo evaporare dalla sua bocca.
Neanche a Brittany sfuggì e approfittò di quel segno di debolezza.
“Mamma, possiamo parlarne? Cosa c’è?”
La madre chiuse la porta e tornò alle sue faccende, riprendendo l’apertura dei vari mobili alla ricerca di qualcosa che sembrava non trovare mai.
Brittany era stanca di doverla seguire velocemente con gli occhi, stanca di parlare ad una schiena, ad un sorriso tanto ostentato quanto falso, stanca di non avere risposte.
E sbottò, senza preavviso.
“Insomma!!! Vuoi fermarti un attimo e starmi a sentire?!?!”
Forse era la prima volta che vedevo Brittany veramente arrabbiata, spazientita, che alzava la voce.
Da adolescente era sempre stata solare e aveva imparato a lasciarsi scivolare addosso le cattiverie e i fastidi degli altri. Niente sembrava davvero turbarla. E, seppure accadeva, le sue reazioni erano sempre molto pacate.
Questa improvvisa reazione sorprese me e sicuramente anche la signora Pierce, almeno per i primi 10 secondi.
Poi la sua espressione cambiò. La stessa rabbia con cui si era animata Brittany infervorò gli occhi chiari della madre.
Il sorriso era scomparso.
“Fermarmi?!?!? Fermarmi??? Io non posso assolutamente fermarmi!!! Perché se mi fermo, se ti guardo negli occhi, qui a due passi da me, se ti vedo gironzolare per casa, adesso anche con Santana proprio come ai vecchi tempi, io torno indietro col tempo, dimentico che tu ora non vivi più qui, mi abituo di nuovo alla tua presenza, e lasciarti andare ancora sarà più doloroso di prima!”
Ci fu un attimo di silenzio.
Gli equilibri andavano lentamente ristabiliti, ma sembravamo tutt’e tre bloccate.
Io ero spaventata dalla signora Pierce, che era sempre stata pacata e adorabile, proprio come la figlia. Brittany invece era sotto shock. La osservai: aveva la bocca semiaperta, gli occhi inondati di lacrime che ancora stentavano ad uscire.
Volevo abbracciarla, ma non sarebbe servito a niente. Non ero io la causa della sua sorpresa, del suo dolore, ma la consapevolezza di non essere riuscita a capire la madre, di non essere riuscita a capire di averla ferita, tanti anni prima e ancora adesso.
Margaret Pierce era paonazza in viso. Recuperava un po’ di fiato e cercava di ossigenare nuovamente il cervello.
Aveva finalmente messo le carte in tavola, aveva fatto la prima mossa e ora aspettava una reazione dell’avversario.
Era necessaria una reazione, di qualsiasi tipo, e lo shock di Brittany, che prolungava l’attesa, non faceva che divorarmi da dentro.
La tensione non faceva che crescere, ora che la signora Pierce aveva dato sfogo ai suoi pensieri, alle sue preoccupazioni, ora che guardava Brittany dritta negli occhi invitandola a reagire, con la presunzione di essere dalla parte del giusto, dalla parte offesa, che doveva vendicare un dolore.
Strinsi inavvertitamente la sua mano, più per riflesso che altro, e in quello stesso istante una lacrima precipitò dall’occhio destro di Britt, dritta sul mento.
Lo shock era passato.
Stava tornando alla realtà, con coraggio era pronta ad affrontarla.
Schiuse le labbra, cercò tra i pensieri, il cuore e la lingua, le parole giuste da dire, le parole adatte, le parole.
Un’esitazione poco prima di muovere le labbra e suonò il campanello di casa, che spezzò il silenzio, spezzò la tensione, spezzò il momento.
Brittany e la madre si guardarono ancora negli occhi per qualche istante, pochi secondi, entrambe profondamente dispiaciute, eppure raggelate da un sentimento che era stato troppo tempo tenuto nascosto.
Si guardarono consapevoli che ancora una volta non potevano parlarne, che ancora una volta il discorso sarebbe rimasto in sospeso, mentre il dolore non faceva che acuirsi, ora anche nell’animo di Britt.
“Vado ad aprire”
Queste le uniche parole secche, prima che la madre uscisse.
Peggio del silenzio ovattato, in cui credevo di essere, ci fu percepire il respiro profondo di Brittany, che ancora tentava di assimilare le parole e gli avvenimenti.
La bocca era ormai chiusa e quando mi rivolsi totalmente verso di lei, le lacrime iniziarono a scorrere senza freni.
La guardai affranta, disperata per la mia impotenza.
Le accarezzai una guancia cercando di portar via qualcuna di quelle lacrime amareggiate.
“Sono una pessima figlia”
“Oh no, Britt... Ti prego, no. Non devi nemmeno pensarlo!”
La attirai verso di me e lei si rifugiò sul mio collo.
Le accarezzai dolcemente i capelli biondi, facendo scorrere la mano anche sulla sua  schiena, mentre si lasciava andare al pianto.
Separò le nostre mani per potermi abbracciare, per potermi stringere a sé più forte che poteva, per poter sentire sotto le dita anche altra pelle, tutto il mio corpo, che la cullava.
“Shhh...” continuavo a sussurrare, sperando trovasse un po’ di pace e un po’ di calma in quel dolce suono, nella mia voce. “Sei stata sempre un’ottima figlia, la migliore che si potesse desiderare. Tua madre ti ama tanto, così tanto da non sopportare di doverti perdere ancora..”
Le mie parole sembrarono peggiorare la situazione. Il pianto aumentò, si fece più rumoroso e io non sapevo cosa fare.
Capì che oramai non piangeva solo per la situazione con la madre.
Stava sfogando le emozioni di quei giorni, tutte, in una sola volta.
Aveva già pianto la prima sera, al buio tra le mie braccia, ma quello era stato quasi un pianto di gioia.
Era arrivato il momento di un pianto di liberazione. Doveva rinascere forte come prima, ma non poteva farlo se non si liberava della frustrazione, dello sconforto, della malinconia, dell’angoscia, di quelle catene che volevano affondarla.
Qualsiasi cosa avessi detto non sarebbe servito a niente. Dovevo limitarmi a stringerla, cullarla, essere lì per lei, con lei, condividendo le sue lacrime.
E potevo farlo. Volevo.
Se avessi potuto avrei assorbito io la tristezza per lei!
Non avrei mai voluto vedere lacrime in quegli occhi così belli.
Una volta che riemerse dal mio collo, sentì quasi un vuoto. Era così naturale che fosse vicino a me, il più vicino possibile; così naturale da sentirne il bisogno.
Avrei sentito sempre la sua mancanza, in ogni istante della mia vita, perché era una parte di me.
“Va un po’ meglio?” azzardai a chiedere, una volta che si fu stropicciata gli occhi, ormai contornati di rosso, come una bambina, come le avevo visto fare mille volte tanti anni prima.
Ringraziai, dentro di me, che certe cose non cambiassero mai.
“Poco”
Ma il fatto che rispondesse era già un gran segno. Potevo finalmente dire qualcosa, senza che peggiorassi la situazione.
“Britt...” sussurrai il suo nome, carezzandole la guancia sinistra ancora bagnata. “...sei una persona meravigliosa, una donna fenomenale e una figlia adorabile. Prima o poi lasciamo tutti casa; chi in un modo, chi in un altro. Siamo destinati a crescere. Tua madre deve solo farsene una ragione. Probabile che volesse solo poterti dire -ciao- prima che tu partissi...”
Lei abbassò lo sguardo, sconfitta, sentendo nuovamente i sensi di colpa inondarle gli occhi.
“... ma stavolta può dirti -bentornata-.” le ricordai, concludendo con un sorriso.
Risollevò il capo a quelle parole rassicuranti, ricordando il motivo principale per cui avevamo avuto tanto impazienza di parlare con la madre, e mi restituì un sorriso sincero, uno di quelli belli che solo lei aveva e che solo a me donava.
Uno strano vociare raggiunse le nostre orecchie in un lento crescendo.
I parenti stavano invadendo casa rumorosamente e non c’era più tanto tempo per momenti di quiete ed intimità.
“Pensiamo a sopravvivere al pranzo coi parenti; per il resto c’è tempo. Non ti pare?”
Le offrì nuovamente la mia mano che iniziava a sentire la mancanza della sua.
La accettò senza nemmeno guardarla, senza esitare, la strinse e mi sentì nuovamente completa, capace di poter respirare davvero.
 

Piccola nota:

Allooooooooora... prima di tutto mi rendo conto di dovervi delle scuse! xD
Dovete perdonarmi per la lunghissima attesa per questo capitolo, ma, tra vari esami ed impegni, questo capitolo, più che essere stato un parto (come al solito), ha avuto un lungo travaglio!
Spero che comunque il capitolo abbia ripagato l'attesa e che vi sia piaciuto (non vi nascondo, però, che non mi convince per niente, per cui... siate clementi!)
In oltre devo ringraziare quelli di voi che in un modo o nell'altro mi hanno sostenuto e spronato a continuare, quelli che hanno aspettato silenziosiamente e chi, con una parola, mi ricordava teneramente di darmi una mossa xD
Il capitolo non è l'ultimo, per la gioia di qualcuno, e non so nemmeno se lo sarà il prossimo. Ci sono cose da sistemare...

Intanto cosa pensate di questo capitolo? Ho deluso qualche aspettativa? Troppo lento? Noioso?
Leeeeeeeet meeeee know!!!!

Spero di aggiornare al più presto (lo so che lo dico sempre, ma io ci spero davvero! ahahah)
Grazie ancora a tutti!

_CodA_ 






 
  
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