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Autore: claudineclaudette_    16/07/2012    6 recensioni
Il mio nome è Yuri diventerò una guerriera! Il mio maestro…. Ma cominciamo dall’inizio!
La storia di una giovane che cerca di andare contro i pregiudizi della società in cui vive per riuscire a realizzare il suo sogno.
Dico solo un nome: Sephiroth! ...e una parola: Commenti! Perchè più commenti rendono gli autori più felici!
p.s. Lei non è una Mary Sue :p promesso!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
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19. OMEN

 

Avrei dovuto capire immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Dal momento in cui la mattina dopo, scendendo le scale, sentii qualcuno muoversi freneticamente in cucina. Poi il rumore di una tazza che si infrangeva. Quando varcai la soglia della cucina vidi mia madre china a terra, intenta a raccoglierne i cocci.

- Buongiorno – dissi, ancora mezza addormentata. – Vuoi che vada a prendere la scopa?

- Non ce n’è bisogno. Sono tutti pezzi grossi, li raccolgo a mano – mi rispose. Non mi accorsi che la sua voce tremava leggermente, se avessi solo prestato un po’ più di attenzione alle sue mani, però, avrei visto che stavano tremando.

- Dove sono gli altri? – chiesi prelevando un biscotto dalla scatola aperta sul tavolo.

- Lo sai – fece lei alzandosi in piedi e dandomi subito le spalle, - in giro.

Ridacchiai piano. – Penso che li imiterò molto presto! – e presi un altro biscotto.

Nel frattempo lei aveva finito di pulire per terra e si era seduta di fronte a me. Una mano appoggiata sopra l’altra e gli occhi che guardavano ovunque tranne che verso di me.

Mi corrucciai. Questo no, non era normale. – Mamma? Cosa c’è?

Si alzò di scatto. – Niente, niente, cosa vuoi che ci sia? – esclamò.

Tuonò, c’era aria di tempesta. Il rumore improvviso la fece sobbalzare, solo che mentre lo faceva diede un colpo alla scatola dei biscotti, che cadde dal tavolo. Riuscii ad afferrarla al volo e la rimisi cautamente sul tavolo ma a quel punto mia madre se n’era già andata dalla stanza.

Ero confusa. L’euforia che mi aveva pervaso fino a quel momento scomparve, oscurata da un profondo senso di disagio. Mi alzai in piedi e feci il giro del tavolo, posizionandomi nel punto dove era stata mia mamma quando ero entrata in cucina. Aveva fatto cadere una tazza, che doveva essere stata sul tavolo. Era caduta per terra e destra, quindi probabilmente anche la mano, o il braccio, con cui l’aveva urtata doveva essere quello destro. Feci un passo verso sinistra e l’occhio mi cadde sulla pianta appoggiata al centro del tavolo. Cosa diavolo…? Sbirciai dentro il vaso (la pianta era dentro un altro vaso e solo quello era appoggiato dentro il vaso di terracotta, molto più grande) e scorsi una carta tutta stropicciata. Ero sempre più confusa. Allungai una mano e la afferrai. Una lettera?

In quel momento sentii mia madre muoversi al piano di sopra: non volevo che mi sorprendesse con una cosa che aveva palesemente cercato di nascondere. Rimessi a posto la pianta e corsi fuori dalla porta che dava sul retro. Aveva cominciato a piovere e mi diressi velocemente verso la stalla. Mi infilai in uno spazio tra un covone di grano e il muro e tirai fuori la lettera.

Era di mio padre. Era arrivata due giorni prima, mentre ero ancora a Junon. Perché mia madre avrebbe dovuto nasconderla? Sì può sapere perché era così nervosa? e aprii la lettera con una forza tale da strapparla in due. Nell’istante in cui lo facevo un freddo presentimento aveva cominciato a corrermi lungo la spina dorsale. Cercai di scacciare la sensazione con un brivido autoindotto, scrollai le spalle cercando di scrollare di dosso anche quella sensazione di inquietudine e cominciai a leggere.

In quel momento mi immobilizzai. Smisi di respirare, smisi di sbattere le palpebre, credo che anche il mio cuore avrebbe smesso di battere se solo avesse potuto.

Mi lasciai scappare un singhiozzo. Non era possibile. Com’era possibile? Continuavo a ripetermi. Eppure lo sapevo. L’avevo sempre saputo. Me lo ero sempre aspettata…e in realtà da qualche parte nel profondo del mio cuore sapevo quale era il vero scopo del viaggio di mio padre. Ma lo sapevo veramente? Con un moto di rabbia scagliai la lettera lontano da me. Mi girai da un lato e diedi un calcio al covone di grano. Ormai piangevo.

 

“Il signor Kenai e figlio hanno acconsentito a prendere in moglie nostra figlia. Stiamo per partire. Saremo a casa entro una settimana. Porterò anche il figlio del signor Kenai. Abbi la decenza di renderla presentabile.”

 

Ovviamente era firmata da mio padre.

Ancora un calcio. Poi afferrai la lettera e corsi di nuovo in casa. Salii precipitosamente le scale e stavo per scagliarmi contro la porta chiusa della camera di mia mamma quando un rumore mi fece arrestare a metà del gesto. Piangeva. La sentivo singhiozzare attraverso la porta. Basto questo per togliermi il coraggio di affrontarla. Urlarle contro e sbatterle in faccia la lettera non sembrava più la soluzione giusta. Lasciai cadere la lettera per terra, ormai ridotta a un straccio tanto era stata spiegazzata e strappata. Girai sui tacchi e lasciai la casa. Di corsa, verso Safer. Chiamai Lei Lan con un fischio che subito mi raggiunse. Le saltai in groppa e insieme cavalcammo velocissime verso la montagna, ignorando l’acqua che mi sferzava il viso.

 

Ogni volta che andavo da lui, sempre, finivo per domandarmi come avrei fatto a trovarlo. Sapevo dove teneva le sue cose, questo sì, ma spesso lui vagava per la foresta. Non era sempre negli stessi posti. Eppure trovavo sempre la strada per raggiungerlo. Non mi era mai capitato di dover vagare per più di dieci minuti prima di trovarlo, e la foresta era grande, molto grande. Era come se sapessi esattamente dove andare.

Quella volta non fu diverso. Lasciai Lei Lan presso il suo “accampamento”  e mi inoltrai ancora di più tra gli alberi. La pioggia non accennava a voler smettere, anzi, se possibile cominciò a scrosciare ancora più fitta. Mi pentii di non essermi acconciata i capelli sulla testa: ormai fradici mi si incollavano sul viso e lungo il collo.

Ebbi la conferma di star andando nella direzione giusta quando sentii in lontananza un rumore metallico che in questi ultimi mesi mi era diventato dolcemente familiare: si stava allenando con la spada. Lo capii ancora prima di riuscire a vederlo, oltre un albero caduto.

Sapevo che era bravo…ma bravo ormai non mi sembrava più il termine adatto. Era qualcosa di straordinario. C’era qualcosa di inumano nelle sue movenze, tanto che sospettai che fino a quel momento si era sempre trattenuto quando si era trovato a impugnare la spada in mia presenza.

Feci qualche passo in avanti, quasi ipnotizzata dai suoi movimenti. Ormai c’erano solo il tronco dell’albero caduto e alcuni metri a dividerci. Safer stava eseguendo alcune delle stesse posizioni che aveva insegnato a me in quell’ultimo periodo e improvvisamente capii tutte le correzioni che a me sembravano inutili. Sembrava…anzi, sono certa che fosse consapevole di ogni muscolo del suo corpo, che potevo veder guizzare e contrarsi ogni qual volta che cambiava posizione.

Rimasi a osservarlo in silenzio per alcuni minuti, finché, improvvisamente, non si fermò. La pioggia continuava a scendere rumorosa, su di me, su di lui. Anche i suoi capelli ormai erano fradici, gli si erano appiccicati sul viso come avevano fatto i miei, ma non sembrava che gli dessero fastidio. Non credo che se ne fosse nemmeno accorto.

Appoggiai le mani sul tronco dell’albero per scavalcarlo e farmi avanti ma in quel momento Safer si mosse di nuovo, repentinamente, con una rabbia trattenuta che non potei fare a meno di notare. Roteò su se stesso e scagliò una palla di energia contro una roccia, mandandola in mille pezzi. Quasi contemporaneamente si voltò ancora una volta e fendette l’aria con la Masamune. Dalla lunga lama della spada si crearono delle lame di luce che vorticarono attraverso gli alberi di fronte a lui. Li tagliarono nettamente, come se fossero stati fatti di gesso anziché di solido legno. Scricchiolarono forte prima di rovinare rumorosamente al suolo. Da lì fu un attimo capire che anche l’albero su cui mi stavo appoggiando aveva subito la stessa sorte.

Il mio primo istinto fu di correre subito da lui. Abbracciarlo, baciarlo. Ma qualcosa mi fermò, la realizzazione che avrebbe odiato più di ogni altra cosa essere visto da me in quello stato. Non l’avrebbe sopportato. Così indietreggiai silenziosamente, mi voltai e recuperai Lei Lan. La sua angoscia aveva la precedenza sulla mia, avevo tempo per dirgli della lettera di mio padre. Sarei tornata da lui quella sera. Dopotutto, avevamo ancora tutto il tempo del mondo.

 

E daghe con gli hint nefasti! Mi dispiace, non resisto. Cmq OMEN, il titolo, deriva dal latino e significa presagio, viene usato in inglese come termine corrente per esempio “Bad Omen”…che ne so un gatto nero. Poco Sephiroth…e quel Sephiroth che c’è è circondato da fanghirlaggio. A un certo punto non sapevo più se ero io o se era Yuri a fanghirlare! Tant’è che ho tagliato tipo un intero paragrafo in cui mi perdevo a descrivere gli addominali scolpiti di Sephiroth bagnati dalla pioggia…poi mi sono ricordata che non era un harmony! ;)

Spero di essere riuscita a scuotervi un po’ dall’atmosfera fluffeggiante dei capitoli precedenti e che il capitolo vi sia piaciuto anche se c’è stato poco Seph :)

Un ringraziamento speciale va a onewingedangel che mi ha supervisionato durante la stesura di questo capitolo, morendosela dal ridere e sconvolgendosi del fatto che riuscissi a parlare con lei e scrivere! <3

Per finire un saluto a Pino Giulivo…Pino, sarai sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori. So che la nostra conoscenza è stata breve e che avresti voluto avere un ruolo più importante ma ti amiamo anche per questo…ti auguriamo tutta la felicità possibile con Salice Scoiattola. Con amore,

Aya

(so che non avete idea di cosa sto parlando…ma giuro sto morendo dal ridere xD)

Un bacio a tutti <3

   
 
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