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Autore: Andy Grim    31/01/2007    4 recensioni
E se i personaggi di Candy Candy fossero vissuti 30 anni più tardi? E se la guerra che incombeva sullo sfondo non fosse stata la Prima ma la Seconda Guerra Mondiale?
E se la collega di Candy - Flanny Hamilton - avesse incontrato una persona speciale mentre faceva la crocerossina?
E se questo capitolo incontrasse il vostro favore e ne seguissero altri, cronologicamente successivi?
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Il ritorno

Capitolo 5: Il ritorno

 

UCPFH 05

 

 

“S

utura!” disse il dottor Riley, dopo aver terminato di estrarre il proiettile da 8 millimetri dal fianco del sottotenente McTavish, gregario della Prima Squadriglia, rimasto ferito nel combattimento.

Dopo un paio di secondi, il medico alzò lo sguardo verso la sua assistente: “Sutura, ho detto…!” ripeté, a voce più alta.

“Sì, dottore…!” esclamò l’infermiera, arrossendo colpevole e affrettandosi ad eseguire con la consueta perizia.

Il maggiore scosse la testa. Ogni tanto la stanchezza e la tensione a cui era sottoposto il suo personale si facevano sentire, ma era la prima volta che una cosa del genere capitava alla signorina Hamilton!

Terminata l’operazione il dottore fece cenno alle altre due infermiere, affinché portassero il paziente in corsia, poi presentò la schiena a Flanny.

“Vada pure a riposarsi, miss Hamilton” le disse, mentre lei gli slacciava i nodi del camice sterilizzato “credo che per oggi abbiamo finito.”

“Sì, dottore… speriamolo…!”

Michael Riley avvertì, nell’ultima parola pronunciata, un tono che non derivava affatto dal pur palese bisogno della ragazza di tirare il fiato…

Mentre le porgeva il camice appena sfilatosi, cercò la frase che meglio avrebbe potuto rincuorarla: “Cerchi di stare su: conosco di fama quel pilota. Si dice che ci sia nato, su un aeroplano!”[1]

“Sì, certo…!” rispose lei, sommessamente, afferrando il camice per riporlo nell’armadietto. Se non fosse stata una persona di poche parole, avrebbe però ribattuto al suo superiore che purtroppo i piloti nati non mancavano nemmeno a quelli dell’altra parte… ed era questo che la preoccupava!

Lasciata la sala operatoria entrò nell’ambulatorio che divideva quest’ultima dalla corsia e s’imbatté nella sua amica e collega Natalie Venc, intenta a fasciare il tenente Stone.

“Non potrebbe fare più in fretta, signorina? Dovrei tornare al campo.”

“Può andare anche subito, se non le secca grondare sangue come una fontana…!” rimpallò, acida, l’infermiera.

Il buon James accusò il colpo: “OK, mi scusi… sono un po’ nervoso: due dei nostri non sono ancora rientrati e allora…”

“Ecco, ho finito.”

“Grazie… mi  scusi ancora!”

Stone fece per abbandonare la stanza, quando Flanny lo fermò: “Aspetti un momento, tenente…!”

“Dica…”

“Avete… perso degli altri compagni…?”

Il pilota annuì, tristemente: “Due della Prima Squadriglia sono stati abbattuti… uno dei nostri… Cornwell… si è gettato in picchiata per sfuggire a un jap che l’aveva inquadrato… e il nostro CO[2] li ha seguiti per aiutarlo!”

“Sta parlando… del tenente Greason…?” chiese la donna, cercando invano di mantenere la voce ferma.

“Sì…” sospirò Stone, rimettendosi il berretto in testa “…mi perdoni, devo andare a rapporto.”

L’infermiera strinse i pugni, osservando la figura del pilota allontanarsi. La sua collega attese che l’uscio si richiudesse, poi si avvicinò silenziosamente alla sua amica e le mise una mano sulla spalla: “Tranquilla… vedrai che tornerà.”

Flanny si girò di scatto verso di lei, frustando l’aria con la bruna coda di cavallo: “Che cosa ne sai tu? Eh…?” insistette poi, vedendo che Natalie non rispondeva, limitandosi a sorriderle.

“È che… per me, sei sempre stata un libro stampato, Flanny.”

Era vero. Le due avevano frequentato insieme la scuola per infermiere, prima presso l’ospedale Saint Joseph, poi a Chicago, presso l’ospedale Santa Johanna. Per Natalie Venc, la collega Flanny Hamilton era sempre stata un modello di dedizione e serietà e l’ammirazione provata per lei si era gradualmente trasformata in una profonda amicizia. Questa amicizia poteva apparire a senso unico, vista la proverbiale freddezza della compagna “occhialuta”, ma Natalie si era presto accorta che quell’atteggiamento non derivava da un animo arido, bensì dalla propensione della bruna nell’esprimere le proprie virtù coi fatti, più che le parole… e Flanny le era stata molto grata per questo, ricambiandola di cuore. Lo stesso sarebbe accaduto con la loro buonissima collega di nome Candy, che pure era giunta alle stesse conclusioni. Ma mentre Natalie aveva accettato l’atteggiamento di Flanny limitandosi ad esserle amica in silenzio, l’esuberante carattere della loro bionda compagna era stato più volte male interpretato e questo aveva impedito che Flanny e Candy (addirittura compagne di stanza, presso la scuola del St.Joseph) diventassero ottime amiche, pur avendolo, nell’intimo, sinceramente desiderato.

“Lascia stare… vado a stendermi un po’.”

“Flanny, aspetta…” l’amica attese che l’altra le porgesse di nuovo attenzione, poi proseguì “…a parte ciò che posso saperne io… se pensi che quel giovane possa essere il tipo giusto… prenditelo. Non farti del male ancora per chissà quanto…!”

La mora sgranò gli occhi, stupendosi del fatto che la sua discreta compagna avesse pronunciato una discorso del genere. Quella guerra assurda, combattuta fin negli angoli più remoti del mondo, stava facendo proprio perdere la testa a tutti!

“Potevi almeno aspettare che tornasse, prima di dirmi una cosa simile… non credi?!”

Lo sforzo impiegato per rendere la voce più acida che poteva, le provocò un singulto alla gola, che spinse la sua amica a prodursi in un nuovo exploit: un secondo dopo, la stava già abbracciando teneramente.

“Non è il momento… né il luogo per scegliersi la persona giusta, Natalie...” sussurrò Flanny, cercando di trattenere i singhiozzi “…senza contare che potrei anche… averlo già perduto…!”

Natalie sospirò: “Il destino se ne frega del luogo e del momento, cara!” le disse, sfregandole la schiena.

“Lo so…!” gemette la mora, sommessamente. Poi, tanto per calmarsi, spostò la sua attenzione sulla chioma castana della sua amica, a pochi centimetri dai suoi occhi.

“Che c’è…?” chiese Natalie, sentendosi afferrare una ciocca.

“Lo sai che… ti si stanno imbiondendo i capelli…?”

 

***

“Questo è tutto…?”

“Sì, signore…!” rispose il tenente Stone, passandosi una mano sulla fronte.

Il colonnello Clint Hardgison emise un lieve borbottio, grattandosi la barba ormai cresciuta dalla mattina, con fare meditabondo. Faceva fatica a guardare verso il sottoposto, sapendo bene quanto lui e Greason fossero amici. Se la sua posizione glielo avesse consentito, avrebbe certamente provato una punta di rimorso per aver mandato in volo lui e Cornwell nelle loro “particolari” condizioni, ma le circostanze lo avevano obbligato a farlo senza nemmeno esitare. Un comandante non può esitare: è tenuto ad agire.

Guardò l’orologio: “Hanno ancora abbastanza carburante, per tornare…?” chiese poi al suo aiutante, maggiore Holstrome.

“Fra dieci minuti non ce l’avranno più, colonnello.” rispose questi.

L’ufficiale superiore si passò una mano sulla faccia: “Maledizione… otto perdite in un giorno! Stamattina Milford, Bielaski, Giannelli e Talbott… oggi Lezinski e Johnson… e ora anche Cornwell… e Greason…!”

“No… lui no” intervenne Stone, con un tremito nella voce “non posso credere che l’abbiano abbattuto…!”

“Vorrei averne anch’io la certezza, tenente” sospirò il comandante del reparto “ma se qualche diavolo giallo è riuscito a beccarlo in combattimento manovrato… con la scarsa performance del Warhawk e i postumi dell’incidente della settimana scorsa…”

“Lui non è tipo da farsi beccare, signore, glielo assicuro” ribadì James, battendo il pugno sul tavolo “Non Andy…!!”[3]

Hardgison fissò il volto dell’aviatore e non se la sentì di inficiare maggiormente la fiducia di quell’uomo per il suo compagno d’Accademia.

“Beh, speriamolo… ad ogni modo, Holstrome, appena il tempo sarà scaduto, trasmetta un dispaccio radio a Chung-King: chiederemo agli amici cinesi di mandare una pattuglia terrestre in zona, per rintracciarli.”

“D’accordo, signore.” rispose l’aiutante, guardando l’orologio a sua volta.

***

Nonostante le insistenze di Natalie, la buona Flanny non era potuta restare sulla branda nemmeno un quarto d’ora; aveva quindi ripreso a occuparsi della camerata, anche se i suoi movimenti erano sempre più incerti e bruschi. Natalie faceva del suo meglio per resistere a dirle qualcosa, sperando se ne accorgesse da sola prima di combinare qualche pasticcio… e meno male che miss Mary Jane, la direttrice della loro vecchia scuola all’ospedale St. Joseph, non era lì a vedere come si era ridotta la sua migliore allieva!

A un certo punto l’attenzione delle infermiere e dei pazienti venne distolta dallo scoppiettante rombo di un motore… un motore che sembrava proprio stare aspirando disperatamente gli ultimi vapori di benzina…

“EHI…!!!” fece il sergente Logan, della Terza Squadriglia, sentendosi rovesciare in faccia il contenuto del bicchiere d’acqua che l’infermiera bruna stava per porgergli.

“Oh… mi scusi…!!” sussultò Flanny, arrossendo violentemente in viso “Aspetti…!” mormorò, tamponandogli tempestivamente il viso con una salvietta pulita.

“Grr… grazie…!!” esclamò il pilota, leggermente risentito.

Dalla direzione dell’aeroporto giungevano sempre gli scoppiettii prodotti dal motore dell’aereo, assieme a un miscuglio di voci concitate. Una terza collega di Flanny aprì la porta che dava nell’ambulatorio e subito si sentì la voce del dottor Riley: “Sì… capisco. Mandiamo subito la squadra d’emergenza!”

Immancabilmente Flanny si lasciò sfuggire il bicchiere vuoto che ancora teneva in mano… e il rumore del vetro che s’infrangeva sul pavimento fece saltare i nervi a Natalie: “Flanny, vai con loro, su…!”

“Co… cosa…?” chiese lei, con discreto imbarazzo.

“Dai, muoviti… tanto qui non combineresti niente di buono!”

La collega sembrò esitare… poi annuì rassegnata e, cercando di non badare alle significative occhiate dei ricoverati, lasciò in fretta la corsia.

Sorridendo, Natalie scosse la testa, andando subito con la mente a una loro collega, in quel momento piuttosto lontana: “Ah, Candy… se sapessi cosa ti sei persa…!!”[4]

 

***

Presso l’aerodromo gli specialisti si tenevano pronti a intervenire cogli estintori, nel caso si fosse verificato un probabile atterraggio d’emergenza. Poco discosti, attorno a una jeep attrezzata con una barella, stavano inoltre gli assistenti sanitari, fra i quali la signorina Hamilton, altrimenti detta miss pezzo di ghiaccio.

Lungo i bordi di quella striscia di terra, a intervalli regolari, erano state piantate delle torce, i cui stracci imbevuti di benzina spandevano una luce tanto lugubre quanto provvidenziale per quel pilota “ritardatario” che, se avesse mancato la pista nella già calata oscurità, sarebbe andato incontro a conseguenze molto gravi!

Tutti i piloti e gli avieri presenti strizzavano disperatamente gli occhi, nella speranza di scorgere la luce proveniente dal faretto d’atterraggio di cui erano dotati anche i P-40 e che scendeva con la gamba sinistra del carrello principale… ma la presenza del caccia in arrivo continuava ad essere denunciata dal solo scoppiettio del motore, i cui intervalli si dilatavano in maniera preoccupante. O il pilota non poteva abbassare il carrello per problemi al circuito idraulico o aveva disinserito quello elettrico per risparmiare anche solo qualche preziosa goccia di carburante in più!

“Dici che ce la fa…?” chiese Victor Sanders a James Stone, che gli era accanto.

Il compagno strinse la mascella: “Se è lui, ce la fa di sicuro!”

La sagoma scura del velivolo si avvicinava progressivamente. Dall’imbocco della pista lo separavano soltanto un centinaio di metri in orizzontale e meno di cinquanta in altezza… se non che, all’improvviso, l’Allison del P-40 protagonista di quel ritorno solitario, emise un ultimo singulto e tacque una volta per tutte.

Naturalmente lo sfortunato caccia cominciò subito a picchiare, segno che chi lo pilotava si era affrettato ad assumere l’assetto migliore per non scendere sotto le 70 miglia orarie della velocità di stallo. Né flaps, né carrello erano infatti stati abbassati e il caccia stava sfrecciando paurosamente verso terra[5]

“Atterra senza ruote…!” esclamò Sanders.

“Allora sa quello che fa.” commentò Stone, di rimando, ormai sicuro su chi fosse ai comandi di quel caccia.[6]

Il Curtiss Warhawk annullò in una manciata di secondi lo spazio che ancora lo separava dal terreno e cominciò a strisciare di pancia sulla terra battuta. Una miriade di scintille si sprigionò allora dal metallo, generando fra gli astanti un’apprensione molto minore di quella che avrebbero provato se non fossero stati consapevoli che quell’aereo aveva il serbatoio ormai vuoto.

“Oh, Gesù…!!” esclamò comunque il sottotenente Sanders.

Il caccia continuava ad avanzare, sollevando una notevole nube di polvere, mentre tutto il personale del reparto lo stava rincorrendo con sollecitudine. Finalmente, dopo qualche violenta derapata, quella massa metallica di oltre quattro tonnellate si decise ad arrestarsi, quasi al limite opposto della pista principale.

Alcuni specialisti, muniti di estintori a CO2, raggiunsero per primi l’aereo, seguiti subito dai barellieri del reparto sanitario. Fra di loro giunse anche Flanny Hamilton, che però, nel vedere il parabrezza del caccia completamente imbrattato di sangue, si bloccò barcollando,  lasciandosi sfuggire un grido soffocato.

Fortunatamente, non appena gli avieri si affrettarono a spalancare il tettuccio, la scrupolosa infermiera poté scorgere una mano guantata che sporgeva dallo stesso e, subito dopo, l’ancora giovane tenente Andrew Steve Greason di Providence (Rhode Island) venne issato fuori dall’abitacolo…

Un secondo respiro di sollievo fu concesso alla ragazza quando vide che il suo paziente preferito riusciva a tenersi in  piedi da solo e non sembrava ferito gravemente. Non appena messo piede a terra (non aveva bisogno di saltare, dal momento che l’ala poggiava direttamente sul suolo), Andy si sfilò il casco di cuoio, si scrollò di dosso i due avieri che ancora lo sorreggevano premurosamente e avanzò verso la piccola folla circostante ostentando uno sguardo terreo e un’andatura da automa.

Flanny avrebbe voluto precipitarsi su di lui, ma un deciso quanto inspiegabile formicolio nelle gambe glielo impediva. Al contrario, Stone e Sanders si mossero con solerzia e lo raggiunsero.

“Andy…” esclamò il primo “…come stai…?”

“Mai stato meglio…” rispose lui, senza alzare gli occhi “…o peggio… non lo so…!”

Continuando a camminare con quello strano passo, né lento né veloce, Greason si trovò allora a passare accanto a Sanders, che gli chiese: “E… Cornwell…?”

Il tenente si arrestò, mentre le sue mani si stringevano a pugno e, sempre tenendo lo sguardo a terra, scosse lentamente la testa.

Spinto dal suo carattere inguaribilmente ottimista, il compagno non si accontentò di quella muta risposta, per quanto fosse abbastanza inequivocabile: “Vuol… vuol forse dire che…”

“…CHE SE N’È ANDATO AL CREATORE!! QUESTO VOGLIO DIRE, IDIOTA…!!” urlò Andy, incollerito.

L’altro ammutolì, impaurito dal suo atteggiamento. Ora che gli stava vicino di pochi passi, il più anziano dei Compari di Chicago notava come ad Andy tremassero le mani e come il suo volto, cupamente illuminato dal bagliore delle torce d’emergenza, fosse sconvolto.

James Stone si appressò a sua volta: “Non deprimerti, Andy… io… sono sicuro che hai fatto del tuo meglio per…”

“NO, MALEDIZIONE…!!!” sbottò lui, esasperato “MI AVEVANO AFFIDATO UN NOVELLINO E NON L’HO RIPORTATO INDIETRO…!! HA PERSO LA TESTA E S’È FATTO PIZZICARE DA UN GIAPPONESE… E IO NON SONO RIUSCITO A COPRIRLO, PERCHÉ LA CARCASSA HA COMINCIATO A FARMI MALE… DOPO CHE AVEVO RASSICURATO IL VECCHIO CHE POTEVO VOLARE DI NUOVO!! RISPARMIAMI LE TUE FREGNACCE DA FRATELLO MAGGIORE, JIM: NON HO FATTO DEL MIO MEGLIO… HO FATTO DEL MIO PEGGIO…!!!”

Senza aggiungere altro, lanciò rabbiosamente a terra il casco e si diresse a passo svelto verso le baracche del campo.

“Andy, aspetta…!” tentò di richiamarlo Stone.

“E lasciami in pace, cazzo…!!” esclamò invece lui, senza fermarsi.

A questo punto, un lampo di fiera risolutezza brillò minacciosamente negli occhi della capo infermiera del reparto sanitario. Con rapide falcate raggiunse e sopravanzò il “suo” aviatore e gli si parò davanti. Andy notò la gonna bianca dell’uniforme, rialzò il viso e si arrestò, fissandola piuttosto incerto.

“Dove vuole andare, tenente?” gli chiese la donna, con voce ferma.

Lui drizzò le spalle e cercò di sorridere, senza riuscirci.

“A farmi un goccetto, dottoressa… ho avuto una giornata pesante!” rispose, asciutto.

Il ben noto e sinistro luccichio comparve su una lente degli occhiali di Flanny: “Lei non andrà da nessuna parte, tranne che in clinica” ribatté, scuotendo lentamente la testa “avanti…!” concluse, additandogli la direzione dell’ospedale.

“Senta, miss Hamilton: forse le sfugge il fatto che ho già passato da un pezzo la pubertà… quindi so perfettamente di cosa ho bisogno, in questo momento!”

Flanny incrociò le braccia: “Davvero?” sospirò “E di che cosa…?”

“Di ubriacarmi. Per cui mi lasci passare… signorina iceberg!”

Quell’appellativo, che per anni l’aveva lasciata indifferente nei confronti dei tanti pazienti “irrispettosi”, le provocò stavolta un effetto ben diverso, pronunciato da quel ragazzaccio testardo! Due lacrime traditrici stavano per uscirle, ma le ricacciò indietro, socchiudendo gli occhi…

“Falla finita, Andy” sussurrò, facendosi comunque ben sentire dall’interessato “o i tuoi compagni scriveranno a casa di avere visto il loro capo venir schiaffeggiato davanti a tutti…!!”

Il tenente Andrew S. Greason, Providence 1907, West Point 1932, spalancò gli occhi. Poi, con un ultimo guizzò di amor proprio, ribatté: “Flanny… non costringermi a mancarti di rispetto…!”

“PROVACI…!!!” esclamò lei, con voce forte e secca.

Il ragazzo rimase ammutolito. Si avvicinò lentamente e alzò la mano destra, puntando minaccioso l’indice verso di lei… stava per dire qualcosa, quando trasalì nel vedere i suoi occhi che, pur nell’intatta fierezza dello sguardo, stavano versando copiose e silenziose lacrime. Tornò quindi a bloccarsi, sempre tentando invano di articolare qualche parola, ma le labbra gli tremavano più delle mani. Alla fine non resistette più e l’abbracciò di slancio: “Scusami… sono un idiota…! Ti scongiuro… scusami…!!”

Lei ricambiò quell’abbraccio, prima teneramente, poi stringendolo con tutte le sue forze.

“Ti prego…” gli disse “…promettimi di non farti mai del male…  promettimi di aver sempre cura di te… promettimelo…!!”

Lui annuì con la testa, prima di rendersi conto che la ragazza non poteva vederlo in viso: “Te lo prometto…” rispose, allora “…anzi… te lo giuro…!”

“Promettimi anche” chiese ancora, sempre stringendolo “che non permetterai a nessuno… di allontanarti da me…!!”

“Certo…” rispose lui, accentuando la stretta “…sta’ tranquilla…!”

“Mi raccomando” ribadì Flanny, con voce adesso tremula “perché io… a questo mondo… non ho che te…!”

Andy strinse le palpebre, già decisamente umide: “Farò di tutto per bastarti… contaci!”

Non si dissero altro. Si guardarono semplicemente negli occhi e si sorrisero timidamente. Poi si presero per mano e si diressero lentamente verso la clinica del campo.

Per quanto strano potesse apparire, in quel momento non sentirono il bisogno di baciarsi, né di dichiararsi, né tanto meno di fidanzarsi… e sarebbe trascorso ancora un certo tempo, prima che questi avvenimenti si concretizzassero.

Forse erano troppo pessimisti e desideravano abbandonare prima quel desolato terreno di guerra… o forse erano troppo ottimisti e sentivano di avere, per quello, tutto il tempo del mondo.

Non si saprà mai. Forse nemmeno loro lo sapevano con sicurezza.

Sapevano una cosa, tuttavia... ed era la più importante: si erano incontrati!

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 



[1] Non è proprio così, ma si dice che Larry Greason portasse spesso in volo la moglie Maggie McGeen sul suo Neuport Bebè, anche durante il primo periodo della sua gravidanza…!

[2] Capo-squadriglia (da Squadron Commander).

[3] Mai dire mai… un giorno lontano Andy Greason si sarebbe fatto beccare (non mortalmente) da un certo Schultz von Heindrich, suo pariclasse nella Luftwaffe tedesca, che pure era suo amico per la pelle… ma questa è un’altra storia!

[4] In seguito Flanny minacciò di chiedergli il divorzio, se mai Andy avesse raccontato il fatto alla loro amica! Ovviamente stava scherzando, ma il marito pensò fosse meglio prendere la cosa sul serio e tenne la bocca chiusa. Candy non ne seppe mai nulla.

[5] Circa 112 Km/h. Se l’aereo avesse rallentato ancora per la perdita di potenza, sarebbe piombato al suolo come un macigno!

[6] Non potendo più essere assistito dal motore, il pilota aveva evidentemente ritenuto che un atterraggio sul carrello - ulteriore elemento frenante per la resistenza dell’aria - lo avrebbe esposto alla pericolosa eventualità di capottare.

  
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