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Autore: Lacus Clyne    16/07/2012    1 recensioni
Sono trascorsi sei mesi dalla caccia di Tom Culpeper al branco di Mercy Falls. L'inverno è tornato, e alle porte del Natale, Isabel torna a casa, nel gelido Minnesota. Una voce di lupo totalmente inaspettata e le sue speranze si riaccendono. Sam, Grace, Cole sono tornati? O è solo un miraggio dettato dal desiderio di rivederli?
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autrice: Grazie a tutte per le recensioni, ragazze, son contenta che la storia vi stia piacendo!! Posto oggi il terzo capitolo, buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ISABEL

 

 

Fu l’aroma del caffè a svegliarmi. Quando riaprii gli occhi impiegai qualche istante a rimettere a posto i pezzi. Ero a casa di Romolo, nel letto di Beck che era passato a Cole, faceva caldo e avevo la sensazione di aver dormito avvolta in un piumone nonostante le coperte non fossero state minimamente aperte. Mi tirai su, stiracchiandomi, e feci mente locale. Chi diavolo c’era in casa? Poco male, quando sentii il crescendo di una delle sue canzoni non ebbi dubbi. E se ancora me ne rimaneva qualcuno, quando vidi Cole St. Clair affacciarsi sulla soglia della porta, con solo un paio di pantaloni da tuta grigi addosso e con in mano una tazza di caffè fumante, tutto fu fugato.

“Ben svegliata, principessa. E’ quasi mezzogiorno.” Mi informò, educatamente. Ma il ghigno sulla faccia meravigliosa che si ritrovava stava a significare “Sei stata alla mia mercè per una notte”. Fissai quegli occhi verdi incastonati come smeraldi nella perfezione di quel volto, il suo sguardo tradiva la sfida. Ed era alto, le sue spalle erano un invito a cingerle. Non so nemmeno cosa mi trattenesse dall’alzarmi da quel letto e correre a baciarlo. Eppure, mi lasciai cadere pesantemente sul materasso.

“Grazie.”

“Caffè?” Domandò, servizievole.

“L’hai fatto tu?” Chiesi, sollevando pigramente una palpebra, lui arricciò sensualmente le labbra, gesto che mi provocò il batticuore.

“Allora farà schifo.” Dissi, decisa a non dargliela vinta.

“Sempre meno di quello che mi hai trascinato a bere l’ultima volta. E comunque l’hai già provato, e ti è piaciuto.” Rispose lui, ponendo enfasi sul doppio senso di quell’ultima frase. Lo seguii con lo sguardo mentre si avvicinava e mi porgeva la tazza. Era incredibilmente sensuale, con quelle braccia lunghe e il modo in cui le spalle si inarcavano mentre si avvicinava. Tuttavia, mi ero ripromessa di non farmi più illudere, sebbene devo dire, mi costasse uno sforzo sovrumano.

“Non ti stanchi mai di ciondolare per casa mezzo nudo?” Chiesi, afferrando la tazza. Doveva essere roba di Grace, considerando la faccia di un alce stampata sopra.

“Mi pareva che avessimo già discusso a questo proposito, una volta.” Ribattè divertito.

Sollevai lo sguardo fino a incrociare il suo e feci spallucce.

“Sarò felice quando ti verrà una broncopolmonite.” Sibilai, bevendo il caffè. Forte e con molto zucchero. Non aveva dimenticato cosa mi piaceva.

“Vorrà dire che quando accadrà chiederò a Grace di occuparsi di me.” Continuò come se nulla fosse. Sollevai un sopracciglio. “Sempre se Romolo non deciderà di ucciderti prima.”

“Non potrebbe mai uccidere il suo vero amore.” Disse con teatrale sarcasmo.

“Contento tu.” Replicai guardandolo di sottecchi. Posai la tazza. “Da quanto sei tornato?”

“Da un po’. L’agente Koenig ci ha avvisati del trasferimento dei tuoi in California.”

“Finora siete rimasti nella penisola allora…”

“Elementare, Watson.” Mi pungolò. Io lo ignorai.

“Ma la domanda è… “Perché sei tornato solo tu e non Sam?”, non è così?”

Il modo in cui la voce si enfatizzava su quel non Sam mi fece innervosire. Dopo tutto questo tempo, credeva ancora che mi piacesse Sam? O forse, era un altro dei suoi giochetti mentali? Decisi di non dargli corda.

“Va’ all’inferno, Cole. E restaci. Sono più che certa che Satana sarà ben felice di cederti il trono.” Risposi, voltandomi su un fianco.

“Ha chiamato tua madre.” Mi comunicò serafico.

Brutalmente strappata alla vita, fui costretta a rivoltarmi.

“Stai mentendo, spero. E sappi che non è un bello scherzo.”

Per tutta risposta, estrasse il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni. In quel momento, inorridii.

“Hai frugato nelle tasche del piumino… e per giunta mi hai rubato il cellulare… tu sei un deficiente, Cole!” Protestai.

“Può essere, ma continuava a squillare e non è la mia sveglia ideale.” Disse lui, sedendosi sul letto.

Detestavo che avesse frugato nel piumino, ma soprattutto, che avesse parlato con mia madre.

“Che le hai detto?” Domandai seccata, afferrando il cellulare.

“Innanzitutto ho constatato che si ricordava ancora di me, il ragazzo nudo sulle scale di casa. Quando ha capito chi ero mi ha scongiurato di lasciarti andare senza farti del male, e che non avrebbe detto niente a tuo padre. Però devo ammetterlo, nonostante tutto vorrei proprio rivederla la faccia di quello stronzo. Scatenerebbe un putiferio, non credi?”

Gli rivolsi un’occhiataccia, poi sospirai.

“Sai che me ne frega. Per quel che mi riguarda mi sono già opposta una volta, posso farlo ancora.” A costo di finire i miei giorni confinata a casa di mia nonna o in un collegio al riparo da qualunque essere di sesso maschile e dai lupi. Sostenni il suo sguardo.

“Che diavolo le hai detto… davvero?”

Fece spallucce, delle gran belle spallucce.

“Ha chiesto come fosse andato il viaggio e se stessi bene. Le ho detto che era andato tutto bene, ma che eri molto stanca. In fondo, era la verità, no?”

“Intendevo riguardo a te.” Replicai.

“Oh, quello? In realtà non mi ha chiesto nulla in proposito.” Rispose. Se stava mentendo, lo faceva bene. Se era sincero, lo faceva bene lo stesso. Quando si alzò, mandò in frantumi il mio auto-controllo. Lo trattenni per il braccio. Le sue mani, così desiderate, così audaci, trovarono il mio viso. Prima ancora che potessi realizzarlo, ci stavamo baciando. Quanto avevo  desiderato che accadesse di nuovo. E nonostante avessi ripetuto a me stessa più volte che era sbagliato, beh, avrei permesso alla mia anima di bruciare per l’eternità pur di riprovare un’altra volta quella sensazione. E più mi avvinceva, più quel bacio diventava profondo e famelico, più sentivo il mio cuore galoppare verso l’ignoto. Ma ancora una volta, Cole mi sorprese. Si scostò da me lasciandomi confusa e in apnea, il suo sguardo vacuo diceva più di mille parole. Sentii di nuovo quell’insopportabile sensazione di frustrazione. Non importava che mi desiderasse, che fossimo ancora tanto avvinti l’uno dall’altra. Cole mi aveva allontanata ancora una volta da lui. Per quanto mi facesse piacere che l’attrazione tra noi fosse ancora viva, la delusione che nemmeno quello fosse cambiato, era straziante. Infilò le mani nelle tasche e stette lì, di fronte a me. La resa. Non mi avrebbe toccata se non fossi stata io a volerlo.

“Non devo aspettarmi altro, vero?” Domandai, sebbene sapessi già la risposta. Mi alzai velocemente dal letto e lo oltrepassai, raccogliendo gli stivali da terra.

“Isabel…” Cominciò , ma non avevo voglia di ascoltarlo.

“Dacci un taglio, Cole. Non è necessario.” Dissi, infilando lo stivale, che maledizione, non voleva saperne di appuntarsi. Sbottai, che giornata di merda.

Si voltò verso di me, poi si chinò ad aiutarmi, lo guardai perplessa. Cole St. Clair era un egocentrico bastardo a cui non importava di altri che di se stesso. Quella stessa persona che serrava con una mano la mia caviglia e con l’altra tirava su la zip del mio stivale. Quando ebbe finito, mi aiutò con l’altro stivale, poi rimase lì a guardarmi.

“Sei tornata per Jack, non è così?” Mi chiese.

“Può darsi. In ogni caso non certamente per te.” Mi affrettai a ribadire.

“Non te l’ho chiesto. C’era bisogno di farmi notare una cosa del genere?” Suggerì.

Avrei potuto approfittare di quella posizione per assestargli un calcio, ma avevo un groppo in gola che desideravo far uscire a ogni costo.

“Ho aspettato una telefonata per mesi, Cole!” Strillai. “Credevo che tu fossi morto… eppure sei tornato, e mi hai detto che eri vivo. Ti ho detto di non perdere il numero. Che c’è? L’hai smarrito? Magari eri troppo preso dai tuoi esperimenti da folle per ritagliare un attimo, un solo, fottuto attimo, per telefonarmi? Ho passato sei stramaledetti mesi confinata in una stanza di merda, in balia di quei due pazzi che mi odiano per quello che ho fatto, lontana da tutto e tutti… hai idea di come diavolo mi sia sentita? Hai idea di quanto abbia sperato che tu ti degnassi di fare una cazzo di telefonata, Cole St. Clair?!”

Rimase in silenzio, lo sguardo fisso sui miei stivali, e quella reazione, così orribilmente da Sam, mi fece imbestialire. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, e Dio solo sa quanto avrei voluto, ma si rialzò, alto e vicinissimo, puntando i suoi occhi verdi nei miei. Sorrise. Uno di quei sorrisi che avrebbero fatto sciogliere il cuore di qualunque ragazza. Ma nel suo sguardo, vidi improvvisamente balenare un guizzo lupesco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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