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Autore: _Niral    17/07/2012    1 recensioni
Cosa accadesse se un giorno ti guardassi allo specchio e non ti riconoscessi? Questa è la One Shot che parla di Emma, una ragazza che un giorno si accorge di non riuscire a trovare più se stessa. Spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carnevale. Emma indossava un costume bianco da angelo. Ad ogni passo sopra il pavimento lucido della discoteca lasciava sguardi ammirati dietro di lei. Le luci abbaglianti le davano un’aria paradisiaca. Le labbra appena truccate si piegavano in un finto sorriso ogni volta che incrociava uno dei suoi amici, ma gli occhi, azzurri e velati di quel mistero che la caratterizzava, rimanevano impassibili. Si sentiva bellissima quella sera, eppure qualcosa non andava. Non era lei quell’angelo che ballava leggiadro al centro della pista. Forse era la sua controfigura, ma certamente non era lei.

Un ragazzo le offrì da bere e lei accettò: probabilmente aveva solo bisogno di sciogliersi un po’ e dopo sarebbe tornata la solita Emma, regina delle feste, ladra di cuori. Buttò giù con un solo sorso la bevanda e tornò a ballare. Molti ragazzi, come solito, le chiesero il nome.

Mi chiamo Emma e quella che pensi di vedere non sono io, è l’ologramma che le altre persone mi costringono a proiettare. Sei sicuro di volermi conoscere?”

O almeno, questo era quello che avrebbe voluto rispondere ogni volta, ma l’abitudine che ormai era diventata parte di lei le faceva dire un semplice “Sono Emma, piacere di averti incontrato.”

Dopo infinite presentazioni e altrettanto numerosi drink, la ragazza si ritirò nel bagno. Un bagno strano, quello del locale. Pieno di specchi. La testa di Emma prese a girarle, così si appoggiò ad uno di essi. Vide che il trucco le stava lentamente colando sulle guance: stava forse piangendo? Il mascara si era ormai sciolto lasciando macchie di tristezza sul volto. Perché stava piangendo? Si accasciò a terra, con le ginocchia piegate al petto.

L’hai scelta tu questa vita.” Continuava a ripetersi. “La vita senza pensieri che tanto desideravi. Guardati adesso, non ti riconosci neanche.”

Sentì un senso di nausea salirle allo stomaco, ma non era colpa dell’alcol: era rabbia. Rabbia contro sé stessa e contro tutto ciò che l’aveva indirettamente obbligata a diventare lo stereotipo di ragazza perfetta, bella e popolare. Una volta non era così: aveva grandi aspirazioni nella vita, amava lo studio e si sentiva bene con sé stessa anche con qualche chilo in più o gli occhiali. Si strappò con rabbia le ali del costume da angelo e le gettò lontane. Ma quella che indossava era una maschera molto più profonda, una maschera cucita sulla pelle viva. O forse più di una. Emma le contò sulle dita delle mani: una per la scuola, una per gli amici, una per lo sport e una per la famiglia. Quattro. Quattro maschere cucite accuratamente giorno dopo giorno fino al punto di non ritorno. Le sembrava di essere in un romanzo di Pirandello, in un mondo pieno di attori e comparse, pieno di burattini e burattinai. E poi il conduttore dello spettacolo: la società, che ti costringe ad essere ciò che non sei, a fare ciò che non vuoi.

È possibile ribellarsi? O chi si ribella viene eliminato dallo show?

Emma si alzò dal pavimento gelido. Ansimava. Non piangeva così da tanto tempo, l’ultima volta era stata quasi un anno prima, quando a scuola era stata vittima di bullismo perché era troppo grassa, o troppo bassa, o semplicemente non all’altezza del mondo che le girava attorno. Come un ingranaggio superfluo in un macchinario perfetto. Allora aveva fatto di tutto pur di diventare il fulcro di quel macchinario: si era sbarazzata di ogni cosa che la faceva sembrare “diversa”, aveva iniziato a fare continue visite dall’estetista, diete estreme che più di una volta la avevano fatta finire all’ospedale, si era comprata vestiti nuovi e costosi, fino a rimanere schiava del suo corpo.

Ed ora che era finalmente cambiata non avrebbe voluto altro se non tornare indietro.

Cercò di rimuovere con le unghie il make-up che le impastava il volto, graffiandosi. Si odiava. Come era finita a quel punto? Il costume che fino a poco prima era perfetto, adesso si era lacerato. Come lei. Tormentata dalla sua vera natura che cercava di evadere.

Aveva lo straziante desiderio di addormentarsi e di non risvegliarsi più. Ma non sarebbe servito a niente se non a sentirsi peggio, a sentirsi arresa.

E poi si vide trent'anni dopo. Con un bel lavoro, un marito, magari dei figli e un sorriso sulle labbra. Non le sarebbe importato di quei chili in più, delle rughe o di qualche capello bianco. Sarebbe stata finalmente libera.

Con questo pensiero in mente cercò di ricomporre quel poco che era rimasto del suo costume e uscì dal bagno. Quanto era stata là dentro? Le sembrava passata un'eternità da quando era entrata. Attraversò la folla di persone che si muovevano al ritmo della musica senza fermarsi a guardare o a parlare con nessuno e tornò a casa.

Arrivata entrò nella sua cameretta. Si mise il pigiama che indossava quando era piccola, rosa, un po' ridicolo forse, con tutte quelle stelle, ma morbido e profumato. Ringraziò mentalmente sua madre per non averle permesso di eliminare anche quell'ultimo ricordo della sua infanzia. Sciolse i capelli, poi tolse il trucco e le lenti a contatto e inforcò gli occhiali. Un vero sollievo. Si guardò allo specchio. Una lacrima cadde silenziosa sulla moquette.

-”Bentornata Emma. Bentornata.”

  
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